Tu che sei uomo ti fai Dio
Il mistero della divinità di Cristo
Come può un uomo essere Dio?
Tornando alla nostra questione dell’identità di Gesù, notiamo che in Dio l’individuo coincide con la specie, per cui nel caso di Cristo non possiamo fare lo stesso discorso che facciamo per noi uomini. Dio è un individuo. La natura divina, cioè Dio. è, come la definisce il Concilio Vaticano I, «una singolare sostanza spirituale».
Non esiste la specie «Dio» che abbia sotto di sé vari individui, come sotto la specie uomo stanno molti individui umani. Dio e la natura o sostanza divina sono la stessa cosa. L’essenza dell’individualità divina, a differenza di quanto avviene in noi, coincide con l’essenza della natura divina. Allora come fa ad esserci distinzione fra due individui, il Figlio divino e il Padre divino, se Dio è un individuo, un individuo può al contempo essere uno e due? Gesù è un solo individuo o sono due? O è uno o sono due. Non si scappa.
Come si esce da questa difficoltà? Il dogma dice che Gesù è una sola persona divina, la persona del Figlio, che è Dio. L’unità ontologica di Gesù è data dalla persona, non dalla natura, sia quella umana che quella divina, perché le nature, come dice il dogma, sono due, «senza mutazione, senza confusione, senza divisione, senza separazione», ma unite in un solo soggetto che è la persona del Figlio. Due nature, due essenze, due individui, due sostanze. Una persona. dunque Gesù è uno.
E come potrebbe essere altrimenti? È un uomo, è un singolo individuo umano. È una persona umana? Schillebeeckx lo ha affermato. Ma poi si è trovato nei guai, perché come cattolico ha dovuto riconoscere che Gesù è una persona divina. E allora? Gesù è due persone? Alla fine ha concluso con un pasticcio: Gesù è una persona in due persone.
Certo un figlio d’uomo ha la stessa natura del padre, ma si tratta della natura specifica. La natura individuale è differente nel figlio e nel padre. Invece con Cristo abbiamo che la persona del Figlio e la persona del Padre hanno la medesima individualità divina. Come ciò è possibile? Come fa lo stesso individuo Dio essere la natura di due individui, due persone distinte, il Padre e il Figlio?
Secondo quanto ci dice la ragione, se un ente è uno ha una natura, Gesù è un ente. Dunque la ragione ci porta a pensare che abbia una natura o essenza, quella di essere umano. Possiede la natura umana. Ora come può il dogma cristologico dirci che invece ha due nature, non solo la natura umana, ma anche quella divina? Come può un unico ente singolo ed individuale avere due nature, una natura divina oltre alla sua propria?
La natura divina è lo stesso Essere sussistente. Come fa l’Essere sussistente ad essere predicato di un uomo, come fa ad appartenere ad un uomo, come fa ad essere predicata di un uomo? In che senso Gesù è Dio? Schillebeeckx afferma che non lo possiamo affermare, perché sarebbe panteismo: non possiamo predicare la natura divina di una natura umana; sarebbe confondere l’una con l’altra. Infatti l’identificazione delle due nature, proibita dal dogma di Calcedonia, è proprio invece ciò che fa Hegel col pretesto dell’Incarnazione: o Logos sarx eghèneto.
Il sussistente, il soggetto, la personalità in Cristo non è il suo esser uomo, ma il suo esser Figlio. Per questo, quando diciamo che Gesù è Dio non enunciamo una proprietà o un predicato dell’esser uomo - questo sarebbe panteismo – ma la proprietà divina dell’esser Figlio. Dire che Gesù è Dio non significa predicare la divinità della sua umanità, ma predicare la divinità del suo esser Figlio. Gesù è Dio non in quanto uomo, ma in quanto Figlio. Schillebeeckx si vede dunque costretto a negare che Cristo sia Dio, per sostenere che dobbiamo limitarci a dire che Dio è in Cristo.
Ma allora come la mettiamo col dogma niceno secondo il quale Cristo è della stessa sostanza del Padre? Che cosa è la sostanza del Padre se non la natura divina del Padre? E che cosa sarà la sostanza di Cristo se non la divinità comune al Figlio e al Padre?
La domanda che ci poniamo è questa: come è possibile che Dio e un uomo, due enti, due persone, due sostanze, due soggetti siano uniti in un unico ente, un unico soggetto e un’unica persona? Fossero due attributi, due proprietà, due qualità o due accidenti, potremmo capire. Non c’è problema ad ammettere che l’uomo possegga ad un tempo l’intelligenza e l’istinto animale. Ma si tratta di due potenze che emanano dallo stesso soggetto.
Ma com’è possibile che un uomo – nella fattispecie Gesù – sia soggetto non solo della sua natura umana – il che non fa difficoltà -, ma anche della natura divina, quando sappiamo che Dio è l’ente supremo, persona e sostanza infinita, essere per sé sussistente?
Non c’è problema, certo, ad ammettere che natura umana e natura divina convengono e si accordano fra di loro: Dio è il creatore dell’uomo! Ma esiste anche fra di loro la differenza che c’è tra il finito e l’infinito. Quello che non riusciamo a capire è come può Dio essere soggettato in un uomo, come se Dio fosse una proprietà o una potenza dell’uomo alla pari dell’intelletto e della volontà, come se l’esser Dio fosse una possibilità dell’uomo, entrasse nell’orizzonte delle sue forze o delle sue facoltà. Certo, questa è la tesi degli atei e dei panteisti. Ma sappiamo che è assurda. Gesù, per quello che dice e per le opere che compie ha l’apparenza di un uomo che è diventato Dio.
Ma i farisei e i dottori della legge, che sapevano bene che ciò è impossibile, non dicono a Cristo: vediamo che sei riuscito a diventare Dio, ma: sei un superbo, un illuso, un millantatore, un bestemmiatore e un impostore, perché, pur essendo un semplice uomo, pretendi di attribuire a te ciò che appartiene solo a Dio. Essi però non consideravano i miracoli di Gesù e non traevano le necessarie conseguenze.
Tuttavia, se ci pensiamo bene, l’ipotesi che un uomo abbia una natura divina in aggiunta alla propria natura umana non è assurda perché, come ho detto, le due nature convengono fra loro e quindi sono unibili, possono stare assieme. E di fatto sappiamo come l’uomo coesista con Dio.
Sì, ma come due persone, due soggetti o enti sussistenti in sé, per sé e da sé. Ma nel caso di Gesù, che ne è della sussistenza? Infatti, perché Gesù sia uno come è effettivamente uno, ossia un ente sussistente, bisogna che in lui non ci siano due sussistenze, una umana e una divina, ma ce ne deve essere una sola.
E quale può essere? La conclusione s’impone: sarà la sussistenza divina. Infatti si può immaginare una natura umana senza sussistenza, ma non si può immaginare una natura divina senza sussistenza. Dunque Gesù è una persona divina, il Figlio di Dio, con una sussistenza divina e la sua natura umana fruisce della sussistenza divina.
Perché hanno sentito il bisogno di dare una nuova formulazione al dogma cristologico? Perché quanto era stato detto a Nicea non chiariva a sufficienza come era possibile che Cristo fosse ad un tempo uno e due. Il Concilio aveva chiarito che Gesù è uomo e Dio. Sì, ma che vuol dire? Una doppia persona? Una doppia sostanza? Un ente doppio? Un uomo abitato da Dio? Così pensava Nestorio.
Oppure il divino si mescola con l’umano? La natura umana e quella divina possono mutarsi l’una nell’altra, come aveva pensato Eutiche? Oppure l’umanità è solo un apparire o una teofania di Dio, come credevano i monofisiti e docetisti. Ecco dunque la precisazione di Calcedonia: una persona divina, il Figlio di Dio, una sola sussistenza, in due nature distinte secondo i famosi quattro avverbi, atreptos, asynchitos, adiairètos, acorìstos, che sono un capolavoro di rigore logico, ponendo le regole e nozioni fondamentali dell’attività dell’intelletto e della ragione. Se Hegel si fosse attenuto ad essi, non avrebbe fatto la confusione che ha fatto cadendo nel panteismo.
Occorre allora concepire la persona divina in modo diverso da come concepiamo la persona umana. Noi sappiamo che l’ente si divide in sostanza e accidenti. Se non possiamo attingere alla categoria della sostanza, dovremo ricorrere a quella dell’accidente. Ma quale? Sant’Agostino si accorse che il Padre celeste non è sostanza, non è, come da noi, che prima uno è una persona e poi, quando genera, gli si aggiunge l’accidente di esser padre, sicchè acquista una relazione che prima non aveva, cioè la relazione col figlio. In Dio – nota Sant’Agostino – le cose non vanno così: la persona del Padre si risolve nella sua paternità, ossia nella relazione al Figlio. Quindi il Padre non ha una relazione, come succede in noi, ma è Relazione al Figlio: è una Relazione sussistente.
Dunque in Dio la relazione non è un accidente come in noi, non è inerente, ma sussistente: è Persona. Dio, dunque, si è degnato di utilizzare e di elevare la relazione, che di per sé è un accidente, a costituire l’infinita dignità della Persona divina. Così avviene che quell’essere debole e relativo, al quale Aristotele non assegnava neppure la piena dignità dell’essere, ma considerava come un accidente, un povero, semplice esser-verso (pros ti), Dio, per attuare il Mistero della sua essenza trinitaria, lo eleva a dignità divina. Exaltavit umiles. Torneremo a vedere questo mistero.
Restava la questione del criterio della distinzione delle persone. Qui cominciò un dissenso fra Latini e Greci, che si aggravò nei secoli fino allo scisma del 1054. Il Concilio di Firenze nel 1442, come vedremo più avanti, dette una chiarificazione dogmatica, che purtroppo non fu accolta dagli Ortodossi e ancor oggi essi si rifiutano di accettarla. Il Concilio insegna che la distinzione tra le persone si fonda su di una «relationis oppositio», un’opposizione relazionale per la quale la persona divina è una relazione sussistente come relazione di origine. Per questo le persone si distinguono per la loro differente origine. Ciò ha portato la Chiesa ad affermare che lo Spirito Santo non procede solo dal Padre, ma anche dal Figlio, perché siccome il Figlio e lo Spirito procedono dal Padre, per cui hanno comune origine, per distinguere lo Spirito Santo dal Figlio, occorre ammettere che lo Spirito procede anche dal Figlio[1].
Gli Ortodossi si sono sempre rifiutati di accettare questo criterio, giudicando sufficiente quello che essi credono di poter ricavare dal Nuovo Testamento, quando parla delle differenti attività, uffici o mansioni delle Tre Persone. Senonchè tale criterio non è sufficiente perché qui funzionano l’intelletto e la volontà divini, che appartengono alla natura divina, che è identica per le Tre Persone.
Vediamo dunque quanto importante è distinguere in Dio persona e natura (o sostanza), sussistenza e sostanza. Tali distinzioni ci consentono di introdurre in Dio il numero tre senza cadere nell’assurdo o nel politeismo. Così diciamo che Dio è uno nella natura e trino nelle persone e che Cristo è uno nella persona e duplice nella natura. Occorre peraltro osservare che comunque in Dio la distinzione fra natura e persona è puramente di ragione, perché Dio è la Trinità, il Padre è Dio, il Figlio è Dio e lo Spirito Santo è Dio, mentre la distinzione fra le persone è reale. Per questo il Concilio di Firenze del 1442 dice che «in Dio tutto è uno, dove non si tratti di opposizione relativa», ossia di distinzione tra le persone.
Altro punto. Che vuol dire il Credo con l’espressione «Dio da Dio»? Forse che da Dio può emanare un altro Dio? Saremmo nel politeismo. L’espressione non si riferisce alla divinità, ma alle persone. Significa che da Dio Padre proviene Dio Figlio, cosicchè il Padre è realmente personalmente distinto dal Figlio. Non è Dio che si incarna, ma è il Figlio.
L’Incarnazione non appartiene all’essenza di Dio, ma è un fatto storico, che avrebbe anche potuto non avvenire e non per questo a Dio Trinitario sarebbe mancato qualcosa. Quindi, contrariamente a quanto pensa Rahner, la Trinità «economica», ossia la Trinità che ci ha inviato Cristo non coincide affatto con la Trinità «immanente», - attributo col quale Rahner indica la Trinità in Se stessa -, che poteva benissimo esistere completa senza bisogno di aggiungere l’incarnazione del Figlio, Trinità che avrebbe potuto benissimo salvare l’umanità in altri modi.
Nel caso di Cristo, non è che il Padre ha istruito il Figlio come farebbe un padre terreno, ma semplicemente quello che il Padre sa e vuole lo sa e vuole anche il Figlio perché sono lo stesso Dio. Semmai Gesù, come uomo, può aver preso coscienza gradualmente della sua divinità, benché, come insegna Pio XII nell’enciclica Haurietis aquas del 1956 avesse la scienza infusa.
Fine Seconda Parte (2/3)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 26 novembre2024
Il sussistente, il soggetto, la personalità in Cristo non è il suo esser uomo, ma il suo esser Figlio. Per questo, quando diciamo che Gesù è Dio non enunciamo una proprietà o un predicato dell’esser uomo - questo sarebbe panteismo – ma la proprietà divina dell’esser Figlio. Dire che Gesù è Dio non significa predicare la divinità della sua umanità, ma predicare la divinità del suo esser Figlio. Gesù è Dio non in quanto uomo, ma in quanto Figlio.
Il Concilio di Nicea del 325 si limitava a dire che Gesù è il Figlio unico di Dio, nato dal Padre (ghennethenta ek tes usìas tu Patròs), generato, non creato, della stessa sostanza del Padre (omoùsios to Patrì), Dio da Dio, Dio Figlio da Dio Padre.
In Dio – nota Sant’Agostino – la persona del Padre si risolve nella sua paternità, ossia nella relazione al Figlio. Quindi il Padre non ha una relazione, come succede in noi, ma è Relazione al Figlio: è una Relazione sussistente. Dunque in Dio la relazione non è un accidente come in noi, non è inerente, ma sussistente: è Persona.
Padre e Figlio interloquiscono fra di loro? L’ipotesi è seducente, ma è falsa. Quando Gesù parla col Padre o il Padre fa sentire la sua voce al Figlio, non si tratta di uno scambio di idee fra Padre e Figlio, giacchè la mente e volontà del Padre e quella del Figlio sono identiche in quanto l’uno e l’altro è Dio. Si tratta invece di atti umani del Figlio e di manifestazione sensibile (udibile) del Padre all’umanità del Figlio. Inoltre, ciò che Gesù dice di avere appreso dal Padre è chiaro che lo sa perché la scienza divina è la stessa nel Padre e nel Figlio.
[1] Vedi San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.36.a,2.
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