Gli attributi di Dio - Conferenza di P. Tomas Tyn, OP

 

Gli attributi di Dio

Conferenza di P. Tomas Tyn, OP

Bologna, 27 novembre 1986 - Presso Istituto Tincani

 

Audio:  http://youtu.be/z4zp7N9Jjh0

L’ultima volta ci siamo intrattenuti affabilmente, riguardo alla esistenza di Dio, le cinque vie di San Tommaso, per dimostrare l’esistenza appunto di Dio. Abbiamo detto che Dio è quell’ente che sussiste in virtù del suo stesso essere. È una cosa interessantissima. Tutte le cose, tutte le entità hanno il loro essere quasi al di fuori di sé. È possibilissimo concepire l’uomo senza pensare al suo essere[1].

Tanto è vero che esistono potenzialmente tanti individui umani, che realmente ancora non esistono, esisteranno tra cento anni, per esempio, ma oggi ancora non esistono. Quindi nel concetto di una entità limitata non si nasconde, non è implicito l’essere stesso. C’è un solo concetto in cui l’essenza coincide con l’essere[2]: è il concetto di Dio. Dio non si lascia definire[3], ma la descrizione migliore di Dio, è quella che dice: Dio è quella essenza che coincide con il suo stesso essere.

Dio è soltanto, non è nient’altro che essere, ma essere l’essere, è molto, moltissimo. Essere tutte le cose[4], secondo l’attualità dell’essere. Quindi praticamente, a differenza delle essenze limitate, particolari, nelle quali si distingue ciò che la cosa è e il suo esserci, in Dio coincide ciò che Dio è e il suo esserci. Come diceva Sant’Anselmo, Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di più grande; ora, se Dio non esistesse, io potrei pensare qualcosa di più grande di Dio. Quindi, il concetto di Dio implica l’essere. Certo non è ancora lecito dedurne l’essere reale di Dio, perché giustamente San Tommaso dirà ad Anselmo: mi dispiace, caro Collega nella santità e anche nel dottorato della Chiesa – e, perché entrambi sono Dottori della Chiesa, -, ebbene, caro Collega, mi dispiace, ma in sostanza tu non fai altro che introdurre nel concetto di Dio quell’essere, che spetta al concetto di Dio, però io, per sapere se se una tale essenza che è il suo essere davvero esiste non posso dedurre l’essere reale dall’essere pensato, ma ho bisogno di una via che in qualche modo mi dimostri proprio la realtà dell’essere di quella essenza, che non è pensabile se non come esistente.

Provo a ripeterlo. Vedrete che si capirà. Non è una cosa difficile. La cosa è questa. Le cose stanno in questi termini. Sant’Anselmo dice questo: Dio non si può pensare se non come esistente. Questa è la definizione di Dio. A un certo punto, però, Anselmo, come si può dire, fa questo tour de force, tende a dire: io allora, da questa necessità di pensare Dio come esistente estraggo l’esistenza, cioè dico: ciò che non può essere pensato se non come esistente, effettivamente c’è. Obiezione di San Tommaso: non vale la conclusione. Perché? Perché non è la stessa cosa l’essere pensato e l’essere reale.

Quindi, il punto debole della prova anselmiana, detta anche prova ontologica, è questo: non è possibile passare dall’essere pensato o concettuale all’essere reale[5]. Però San Tommaso dà pienamente ragione a Sant’Anselmo per quanto riguarda la definizione di Dio, il concetto di Dio. L’essenza di Dio è semplicemente l’essere. L’essenza di Dio è l’essenza di quell’ente che coincide con l’essere, Esse Ipsum, Dio è lo stesso essere.

Allora, è qui che abbiamo introdotto in qualche modo, o creato un ponte per passare dal tema dell’esistenza di Dio a quell’altro tema che è quello della sua essenza. Questa seconda meditazione è intitolata: Attributi di Dio. Gli attributi sono le proprietà di Dio. Le proprietà poi integrano una essenza. Oggi ci intratterremo proprio su questo, cioè sulle proprietà dell’essenza di Dio.

Premetto a tutto questo una distinzione. E cioè che la scuola di San Tommaso distingue tra l’essenza metafisica e l’essenza fisica delle cose. Ma non solo lui; questa è una dottrina abbastanza comune tra gli Scolastici, benchè ci siano i nominalisti estremi, come Ockham, che la negano.

Faccio un esempio. L’essenza metafisica dell’uomo è ciò che primariamente costituisce l’uomo come uomo, la proprietà prima e fondante della sua umanità. Che cos’è ciò che in noi ci fa diventare uomini a differenza di tutte le altre creature, e di tutti gli esseri viventi? È la nostra razionalità. Quindi la razionalità è l’essenza metafisica dell’uomo.

Esiste un’essenza metafisica, sempre costituita da una sola proprietà, quella che costituisce la cosa in quanto è tale. Invece, l’essenza fisica è quella essenza che risulta da tutto un insieme di proprietà, che spettano a quella tale cosa; però scaturiscono dall’essenza metafisica, cioè dal costitutivo della cosa. Esempio dell’uomo: sulla razionalità si fonda, per esempio, la volontà e la libertà. Quindi, l’essenza fisica dell’uomo, al di là del suo costitutivo, che è la razionalità, comprende anche la volontà, o appetito intellettivo, come la chiama San Tommaso.

 La volontà comprende anche la libertà. Senza intelligenza niente libertà. La radice della libertà è l’intelligenza, perché voi capite che se noi avessimo una conoscenza solo sensitiva come quella degli animali, non saremmo in grado di relativizzare i beni; cioè ogni bene apparirebbe a noi come un bene in assoluto. Un esempio molto facile. Il cagnolino, quando gli presentate da mangiare, mangia, non si pone la domanda se il mangiare è utile per la sopravvivenza e fino a che punto deve mangiare o non deve mangiare. Insomma, non ha problemi di dieta e via dicendo.

Noialtri invece ci facciamo tutte queste domande. Perché? Perché sappiamo che il mangiare ha certamente una funzione estremamente importante per la nostra sopravvivenza, però riusciamo a relativizzare in qualche modo quel bene particolare sapendo che è uno tra tanti beni, ma, proprio per collocarlo tra tanti beni bisogna avere il concetto del bene in quanto tale.

Questo concetto del bene suppone l’astrazione e quindi l’intelligenza. Perciò niente libertà senza intelligenza, perché solo con l’intelligenza astraente siamo in grado di relativizzare i singoli beni e quindi di dominarli, anziché esserne dominati.

Vedete, quindi l’esempio dell’uomo. Dico tutto questo, non perché il nostro tema adesso sia quello di parlare della libertà. Ma ve lo dico per farvi vedere come si distingue l’essenza metafisica dall’essenza fisica. Si tratta di una proprietà che fonda in qualche modo la costituzione di un essere. Nell’uomo è la razionalità, e a sua volta su questa proprietà si innesta tutto un ordine di altre proprietà, che ne scaturiscono e l’insieme di queste proprietà derivate è appunto l’essenza fisica.

Quindi l’essenza fisica è come se scaturisse dall’essenza metafisica. Allora, il nostro caro Autore Franco Amerio, in questo Catechismo per gli adulti, veramente ben fatto. Mi sono molto rallegrato che sia uscito questo libro, perché in questo campo, diciamocelo chiaramente c’è una certa carenza.

Infatti, il catechismo per gli adulti non è una cosa facile, perché non è un trattato di teologia, ma nel contempo non dev’essere una specie di romanzo; dev’esser fatto in maniera divulgativa ma nel contempo intelligente e poi soprattutto ortodossa, cioè che ci sia l’obbedienza al Magistero della Santa Romana Chiesa[6].

Finalmente c’è un libro che effettivamente soddisfa un po’ a queste condizioni. Allora, Amerio[7] comincia dalla semplicità di Dio, la quale si connette con l’essenza fisica di Dio. Adesso vi dico quello che dice appunto il Padre Josephus Gredt, Ordinis Sancti Benedicti, un caro Benedettino, che pure è un grande discepolo di San Tommaso e che scrisse un bel manuale di filosofia aristotelico-tomistica.

Ebbene, il Padre Gredt premette[8] il trattato sulla semplicità di Dio e distingue le due tesi: innanzitutto parla dell’essenza fisica di Dio, poi di quella metafisica[9]. E dice: l’essenza fisica di Dio è costituita da tutte le perfezioni in grado infinito e in somma semplicità. Essa è costituita da tutte le perfezioni nel loro insieme in grado infinito, - non una perfezione fino a metà o a tre quarti, la perfezione dev’ essere infinita, -, da tutto l’insieme delle perfezioni in grado infinito e in somma semplicità.

Vedete perché anche qui il nostro Autore[10] premette il trattato sulla semplicità di Dio, perché, per afferrare l’essenza fisica di Dio è molto importante insistere su questa semplicità. Ossia, quando si tratta degli attributi di Dio, bisogna che purifichiamo il nostro pensiero delle vicende umane o create, e bisogna scordarsi delle creature. Bisogna purificare il pensiero da quello che c’è di imperfetto della creatura.

Allora, noi, nell’ambito creaturale, ci accorgiamo in qualche modo, che ogni creatura possiede tante perfezioni, però nessuna di esse è la creatura stessa. La creatura ha le perfezioni, ma non è le sue perfezioni[11].

Possiamo dire che, persino a proposito della nostra essenza metafisica, la nostra razionalità, noi abbiamo la razionalità, non siamo la nostra razionalità. La facoltà razionale è qualcosa in noi, ma non è la nostra essenza. Qualsiasi altra perfezione che posso avere, mettiamo che io stia seduto, anche questa è una perfezione molto accidentale, ma è una perfezione.

Bene, questo mio essere seduto qui e parlare con voi è un certo tipo di agire. Ma questo agire non è la mia essenza, è un qualcosa di aggiunto alla mia essenza. Ora, tutto ciò che noi in qualche modo facciamo, tutto quello che possono essere le nostre perfezioni, si aggiunge alla nostra sostanza, non è la nostra sostanza, è qualcosa di aggiunto alla sostanza.

 Ora, non è che le nostre perfezioni si aggiungono soltanto alla nostra sostanza, ma si aggiungono anche l’una all’altra. Per esempio, leggere un libro non è scrivere un libro, Quindi, l’azione di leggere e l’azione di scrivere sono due azioni distinte che si aggiungono, si sovrappongono l’una all’altra, e così via per tutti i possibili attributi delle cose create.

            Vedete come siamo complicati noialtri. E poi si dice che il buon Dio è difficile, no, siamo difficili noialtri, non so se mi spiego. Ma il fatto è proprio questo, che la complicazione avviene a livello delle creature. Dio è perfettamente semplice, però è molto difficile e complicato conoscere la semplicità, questo lo ammetto molto volentieri.

Allora, vedete, il fatto è questo, che bisogna però arrivare appunto a pensare così. Cioè quelle perfezioni che in noi si sovrappongono l’una all’altra e si distinguono realmente l’una dall’altra, in Dio coincidono in un unico essere. Non è che ci sia la composizione di una perfezione e poi l’aggiunta ad un’altra e poi ancora ad un’altra. No. Tutte le perfezioni lì sono un tutt’uno. Vedete la semplicità di Dio. Essa significa che in Dio non c’è alcuna composizione. In Dio non esistono composizioni di sorta.

Nel mondo creaturale esistono tante composizioni. Pensate per esempio alla più banale, che è quella delle parti cosiddette integrali, le parti quantitative: una casa che è fatta dalle fondamenta, dalle pareti, dal tetto, dalle finestre, dalle porte e via dicendo, insomma tutto quello che spetta ad una casa.

Pensate all’uomo, fatto di una testa, di un collo, torace, mani, gambe e via dicendo, insomma tutte le parti sono ben distinte l’una dall’altra. In Dio tutto questo ovviamente non esiste. Voi capite che questa distinzione di parti è dovuta alla quantità, all’estensione, che spetta solamente ai corpi, quindi delle sostanze incorporee non sono estese né così quantificabili.

Poi c’è la composizione di accidente e di sostanza, come abbiamo visto. Per esempio, mi metto a camminare, ma il mio camminare non è il mio essere. In Dio, tutto ciò che Dio fa è il suo essere, non è una aggiunta al suo essere. E poi c’è la composizione di materia e forma. Tutte le cose materiali corporee sono una forma ricevuta in una materia. In Dio ovviamente non c’è composizione di materia e di forma.

Ma non solo. In tutte le creature, anche quelle immateriali, anche quelle più pure e più semplici, anche negli angeli e nelle anime nostre che sono un po’ imparentate con gli angeli, in quanto pure immortali e spirituali, ebbene, anche nelle essenze in qualche modo spirituali e immateriali esiste una minima complessità.

Questa minima complessità, che caratterizza tutto il mondo delle creature è la composizione dell’essenza con l’essere. Anche nell’angelo differisce ciò che è l’angelo dal suo esserci. Solo in Dio sparisce anche questa minima composizione. Quindi, Dio è assolutamente semplice. In Dio non c’è composizione alcuna. Però, notate bene, uno potrebbe dirmi: se Dio è semplice, allora è un semplice essere senza contenuto.

No. Perché, c’è semplicità e semplicità. E voi avrete forse già intuito che quando parlo della semplicità di Dio, non intendo parlare di un essere impoverito di qualsiasi sfumatura e differenza. Dio nella sua semplicità è l’essere differenziatissimo, in quanto in Dio ci sono tutte le perfezioni, sia semplici, che in qualche modo quelle cosiddette miste[12].

Forse già la volta scorsa abbiano accennato un pochino ad una quarta via di San Tommaso, se mi ricordo bene, e alla distinzione anselmiana tra queste distinzioni semplici e miste. Che cosa vuol dire? Ci sono delle perfezioni che sono solo perfette e nient’altro. Essere buoni è sempre meglio che essere non buoni. Avere l’intelligenza è sempre meglio che non averla, avere vita è sempre meglio che non averla, e via dicendo.

Quindi ci sono perfezioni semplici. Altre perfezioni non sono semplici. È bene che un essere le abbia, ma non è bene che le abbiano tutti gli esseri. Per esempio, la discorsività della nostra razionalità. Essa vuol dire che l’uomo per ragionare deve passare da tante premesse a delle modeste conclusioni. Questo è un bene per l’uomo, ma gli angeli ci direbbero: no, grazie; se volessimo regalare a loro, la nostra razionalità, direbbero di no. Perché loro non pensano concludendo da premesse, ma intuendo la verità in se stessa. Vedete quindi che ciò che è perfetto - razionalità - rispetto all’uomo, non è perfetto rispetto per un essere superiore.

Quindi ci sono determinate perfezioni che non racchiudono in sé nessuna imperfezione, mentre altre, per quanto siano perfezioni, connotano una qualche imperfezione. Entrambi i tipi di perfezione sono attribuibili a Dio, ma diversamente. Le perfezioni semplici, che sono solo perfezioni, si dice che sono in Dio formalmente ed eminentemente, cioè ci sono propriamente e in grado infinitamente più alto.

Le perfezioni miste non ci sono in Dio formalmente, ma si dice virtualmente e eminentemente, ossia non c’è la stessa perfezione, perché questo non si addice a Dio, ma  c’è qualcosa di diverso, che è molto di più di quella perfezione che è mista all’imperfezione. Faccio un esempio: in Dio c’è certamente l’intellettualità, la quale comprende in sé anche il suo modo imperfetto, che è quello della razionalità discorsiva, razionalità umana. E la nostra intellettualità è una intellettualità impoverita, che fa fatica, che in qualche modo cammina lentamente.

L’intellettualità divina invece non è razionale, ma è molto di più dell’essere razionale. È intellettualità semplice. Vedete come praticamente le perfezioni semplici contengono in sé anche le loro modalità imperfette, ma senza quella imperfezione.

Quindi, tutte le perfezioni si attribuiscono a Dio o propriamente o metaforicamente. Per esempio, si dice nella Scrittura che il Signore è forte come un leone. Ecco, il leone di Giuda. Dicendo che il Signore che è forte come un leone, naturalmente non ci si riferisce alla forza dell’animale, ma si tratta di una trasposizione della forza proprio materiale dal mondo fisico al mondo spirituale e cioè Dio non soltanto è più forte più di un leone, ma lo è in maniera diversa.

Quindi, ci sono le perfezioni miste, che si attribuiscono a Dio metaforicamente e le altre che gli si attribuiscono propriamente, ma sempre con un’istanza infinita. Chiarito questo, diciamo appunto che Dio è assolutamente semplice, cioè le sue perfezioni non si compongono l’una con l’altra. Ma perché questo? Perché, se le perfezioni si componessero l’una con l’altra, si limiterebbero l’una rispetto all’altra.

 La composizione è sempre un completare una cosa dalla parte di un’altra. Questo completare è un perfezionare. Ora, ciò che è perfezionabile non è ancora perfetto. Dio non è perfezionabile, è già perfetto. Quindi, in Dio non c’è possibilità di aggiungere perfezione a perfezione. Quindi tutte le cose in Dio sono perfettamente semplici, tutte le perfezioni coincidono con tutte le altre. Notate però che le perfezioni non sono sinonimi, cioè non possiamo dire per esempio: in Dio la giustizia significa la stessa cosa che la misericordia, perché il concetto di giustizia è diverso da quello di misericordia. Nel concetto della giustizia c’è dare a ciascuno quello che gli spetta.

La signora mi ha chiesto se non si tratti qui di una terminologia puramente umana. La risposta è questa: è vero che è una terminologia umana, tuttavia in questo caso l’uomo non è che abbia tutti i torti, nel senso che effettivamente il nostro concetto in quanto umano e anche il termine, - termine vuol dire la parola -, che significa il concetto, è ricavato dalla cosa in sé, come le cose stanno in rerum natura, come le cose stanno nella verità. Ora, in questo senso la giustizia e la misericordia sono concepite in modi realmente diversi. In Dio coincideranno, si capisce, però coincideranno come realtà, non come concetti. Come concetti rimangono sempre distinti.

Quindi, la giustizia continua a significare sempre quello che è la giustizia, cioè dare a ciascuno quello che gli spetta, la misericordia è andare al di là della giustizia, rinunciare al proprio diritto. Quindi, il Signore, è nel contempo giusto e misericordioso. E noi potremo dire: è giusto quando punisce i peccatori e misericordioso quando perdona i peccatori.

La giustizia e la misericordia non sono in opposizione l’una con l’altra[13]. Si implicano l’un l’altra in Dio, non in noi, mai in noi sono proprio una accanto all’altra. In Dio invece coincidono in un modo che noi non conosciamo. Però, continuano a significare qualcosa di diverso. Quindi, la giustizia e la misericordia sono obiettivamente concetti diversi; però in Dio si implicano a vicenda, non si oppongono né si compongono tra loro. Perciò, se io penso Dio come giusto, esplicitamente lo penso come giusto, ma implicitamente anche come misericordioso e viceversa.

Qua c’è poi l’antropomorfismo nel senso che noi qua sulla terra facciamo fatica a vedere la misericordia di Dio per esempio quando è un po’ giusto con noi, e viceversa quando è misericordioso, diciamo: buon Dio, dov’è la tua giustizia, che stermina i peccatori. Allora, bisogna invece, avere proprio questo rispetto del divino, cioè dire: io qui sulla terra non capisco ancora come in Dio questi attributi coincidono. Lo saprò, quando vedrò l’essenza di Dio e cioè nella patria del cielo[14].

Vedete che sorpresa per noi, miei cari, quando vedremo proprio come tutto questo in Dio diventa un’identità ed una sola cosa. In questo senso il grande Nicolò Cusano[15] elaborò appunto la sua concezione di Dio in termini di una coincidentia oppositorum, coincidenza di opposti; non solo di opposti, ma anche semplicemente dei distinti. Infatti, ciò che è distinto per noi, realmente in Dio coincide. Vedete, quindi, che non è che in Dio gli attributi siano quasi assorbiti dalla sua essenza, così da scomparire, no. Ciascuno ha ancora la sua funzione, ma si implicano a vicenda senza comporsi l’uno con l’altro.

Allora questa è appunto la semplicità di Dio, che, come vedete, è tutta fondata sulla pienezza del suo essere, perché, essendo Dio, come dice San Tommaso, actus purus essendi, l’atto puro di esistere, di esserci[16]. In Lui non ci può essere né la mancanza di una perfezione, perché allora l’essere non sarebbe pieno, né una perfezione dimezzata, per così dire, cioè tutte sono in grado infinito, sennò di nuovo l’essere non sarebbe pieno e per di più le perfezioni non possono aggiungersi l’una all’altra, perché, se ci fosse questa complementarità, ci sarebbe ancora potenzialità, quindi un poter essere senza essere attualmente e ancora non pienezza di essere. E siccome Dio è pienezza di essere, tutte le sue perfezioni esistono in Lui e ci sono in grado infinito e con somma semplicità.

Ora, l’essenza metafisica di Dio. Abbiamo detto che l’essenza metafisica è quell’attributo che costituisce la cosa in quanto è tale distinguendola da tutte le altre. Quindi, l’essenza metafisica di Dio sarà quella sua proprietà che fonda tutte le altre e primariamente distingue Dio da tutte le altre creature, cioè da tutti gli altri enti che poi sono appunto enti creati.

Ora, San Tommaso ha questa tesi. La dico, non perché io lisci San Tommaso, ma perché mi pare che sia proprio giusta. Egli dice che l’essenza metafisica di Dio è costituita dalla sua aseità, mentre l’essenza delle creature, in quanto creature ed è comune a tutte le creature in tal senso, è costituita dalla loro abalienità[17].

Adesso vi spiegherò che cosa è l’aseità e l’abalienità. Pensate che vocabolario difficile! Ma, poi, quando si spiegano le parole, vedrete che sono cose in fondo molto semplici. Guardate, aseità significa “essere da sé”. In latino si dice esse a se, perché aseità, è semplicemente una parola ricavata dall’esse a se, un po’ formulata in astratto, aseità[18].

Similmente esse ab alio, essere da altro, esse ab alio, si dice poi abalienità, tanto per creare un neologismo. Allora, guardate che si dice che in Dio la sua essenza metafisica è costituita da quella pienezza di essere che è un essere non ricevuto da altro. Tutte le creature ricevono l’essere per partecipazione da altro. Dio invece è essere senza averlo ricevuto e senza poterlo ricevere[19].

Diciamo proprio, che se pensassimo che Dio potesse darsi l’essere, di fatto poi non potrebbe darselo. Perché? Perché la sua stessa essenza lo esclude. Così pure è assurdo quel concetto cartesiano e spinoziano della causa sui, della causa che causa sé stessa. E così pure Dio, in quanto è pienezza dell’essere, non può dare a sé stesso quell’essere che già possiede in sommo grado e in somma semplicità.

Quindi, in sostanza, quell’attributo che definisce Dio primariamente e lo distingue da tutte le creature è il fatto che Dio possiede in Sé la ragione sufficiente del suo essere. Invece, tutte le altre essenze hanno la ragione sufficiente del loro essere, al di fuori di sé. Ecco perché Dio è l’essere incausato, l’Essere da Sé, mentre le creature sono degli esseri causati, che ricevono l’esistenza da altro.  Ora, in tal senso si dice che l’aseità di Dio coincide con il suo essere ente[20] di per sé sussistente[21], ente per se sussistente ossia quell’ente, la cui essenza si identifica con l’esistenza. È la stessa cosa dire che Dio è l’essere da sé e dire che è quell’ente che possiede nella sua essenza la pienezza dell’esistenza per reale identità tra essenza ed esistenza; è perfettamente equivalente.

Alcuni raffinati aggiungono che è parimenti superente – e qui passo all’attributo della vita divina e dell’intelligenza divina -, dire che l’essenza metafisica di Dio è costituita non solo dall’essere sussistente, ma anche dal pensiero sussistente.

Invece, il nostro pensiero non è sussistente, perché non sussiste in sé, ma in noi, nella nostra mente; e per di più il nostro pensiero non pensa sé stesso[22] ma altre cose. Solo implicitamente, se va bene, pensa un po’ anche a sé stesso. Invece, il pensiero di Dio è un pensiero sussistente che pensa Sé Stesso, il pensiero che è pienezza di essere. Dio è intelligenza pura come è l’essere puro. Al vertice le perfezioni si congiungono. L’essere si congiunge con l’intellettualità. Perché questo? Perché Dio è nel sommo grado della immaterialità. L’essere perfetto è l’essere sommamente astratto, separato dalla materia.

Quindi l’essere divino, essendo sommamente immateriale, è sommamente intellegibile e anche intelligente. Perché questo? Notate, miei cari, che tutto il conoscere, ogni tipo di conoscere, cioè anche dal più umile, come quello degli animali e la conoscenza sensitiva, ogni tipo di conoscere è in qualche modo radicato nell’immaterialità.

Il conoscente è tale perché si emancipa dalla materia. La materia è sempre particolarizzante. Invece conoscere significa in qualche modo avere la capacità di possedere in sé la rappresentazione non solo di sé nella sua particolarità, ma anche la rappresentazione di altro da sé.

Questa ampiezza, che permette al soggetto conoscente di avere presente in sé anche qualcosa di altro da sé, è dovuta alla sua almeno minima immaterialità. Ora, quell’essere che pienamente possiede sé stesso in sommo grado di immaterialità, non può che essere pensiero e per giunta quel pensiero che non pensa altre cose da sé, bensì se stesso, perché ovviamente al pensiero infinito non può corrispondere un altro oggetto adeguato se non l’essere infinito.

Ecco come Aristotele genialmente ha proprio anticipato la theologia naturalis di noialtri cristiani cattolici, quando dice appunto che Dio è nòesis noèseos, Dio è il pensiero che pensa se stesso. Vedete come abbiamo congiunto l’essenza metafisica, pienezza di essere, aseità, con la vita di Dio, cioè con il pensiero. Dio vive, ma, notate, non vive come un vegetale, perché noi, quando pensiamo alla vita, partiamo sempre dall’infimo gradino, che è costituito dalle piante. Certo, le piante vivono, per fortuna loro; gli animali vivono, gli uomini vivono, gli angeli vivono, ma ciascuno ha un diverso grado di vita.

Nell’uomo, che è l’orizzonte di tutte le cose, si incrociano tutte le strade della vita. Ci sono, in qualche modo le funzioni vegetative, come quella del crescere e del procreare. Ci sono funzioni sensitive, come quella del conoscere sensitivo, i sensi. Ci sono poi le funzioni razionali come quella di pensare. Negli angeli non c’è l’aspetto vegetativo e sensitivo, ma c’è solo il pensiero. E poi in Dio c’è il pensiero sommamente pensante il suo proprio essere. Quindi Dio vive in quanto intellettualità e vita, ma solo come intelligente, non in altri modi di vivere.

Quindi, quando diciamo che Dio è vita, bisogna astrarre dalla vita delle piante. Bisogna invece pensare alla vita di una pura intelligenza. Allora, vedete che Dio è sommamente vita. Non solo, ma Dio, essendo sommamente pensiero e vita, è anche sommamente persona. Si dice che noi crediamo in un Dio personale. Non solo, ma la filosofia riesce a dimostrare – è una questione di razionalità, non di fede – che Dio è persona. Perché?

Boezio, il nostro caro amico che ci ha fornito tante definizioni, definendo la persona, dice che è ciò che sussiste in una natura razionale. Va bene questo? Dice: ciò che sussiste come individuo in una natura razionale[23]. Ora, Dio ha una natura intellettiva al sommo grado di intellettualità e nel contempo Dio è sommamente e concretamente sussistente. Quindi, essendo Dio sussistente e intelligente, è persona, perchè le condizioni per essere persona sono sussistenza e intelligenza. E Dio è sia sussistente che intelligente al sommo grado, quindi è sommamente persona.

Ora, per quanto riguarda l’essere di Dio, c’è il nostro amico Amerio, il quale sottolinea il fatto della divina Rivelazione dell’essere di Dio. Adesso non trovo la pagina esatta, comunque non ha importanza. Il fatto è che il Signore stesso si è compiaciuto di rivelarci la sua essenza metafisica; si è rivelato così a Mosè.

E’ una cosa stupenda il fatto che, in mezzo a tanta narrativa, come egli ci fa giustamente osservare, ci sia la vicenda del popolo di Israele, ridotto ad una terribile schiavitù e via dicendo, ad un certo punto, ci sia questa visione di Mosè, Dio che appare a Mosè, e la sua domanda in mezzo a una preoccupazione pratica: come io mi presento al Faraone? Quello lì mi chiederà a nome di chi parli[24].

Allora Mosè chiede a Dio il suo nome: chi devo dire Chi tu sei, come ti chiami? Ed ecco che proprio si apre questa rivelazione perfettamente teorica, ossia Dio rivela a Mosè quello che è, e cioè dice appunto: “Io sono Colui Che E’”. Tu dirai: “Colui Che è” mi manda dai figli di Israele, mi manda dal Faraone per fare uscire il Popolo di Israele dall’Egitto, dalla casa di schiavitù e via dicendo.

Ciò non sia mai detto dinanzi ai nostri modernisti, miei cari, perchè per loro tutto è storia. Poveretti, perché, guardate che la storia è il contrario dell’intelligibilità, essa è massimamente inintelligibile. Non lo dico perchè la storia non sia magistra vitae, la storia è maestra di vita, con pochi discepoli, ma è maestra di vita o, dovrebbe esserlo. Tuttavia, se lo è, lo è non in quanto ridotta a individualità particolarizzata, che è un che di materiale, di fisico e quindi di inintelligibile. Se la storia è fonte di intelligibilità, lo è proprio in quanto c’è in essa qualcosa di spirituale che si realizza nel tempo. Ma, in quanto c’è dello spirito, c’è dell’eterno calato nel tempo.

Scusate se ogni tanto mi lamento con voi. In camera caritatis, si può fare tra amici, Ecco, allora, il guaio dei nostri tempi è questa esaltazione esagerata dell’individuale, del concreto, del materiale, del passeggero. È una anche malattia, perché, se uno si occupa solo di cosucce, e non si occupa dell’eterno per cui è fatto, guai a lui, la sua anima non riposa. Come dice Sant’Agostino, la nostra anima è inquieta finchè non si riposa in Dio.

 Quindi, bisogna ovviamente vedere anche nelle altre cose materiali, particolari, il valore immenso delle scienze moderne, però guai a noi se ci riduciamo a questo. Allora, l’esegesi, ahimè, al giorno d’oggi contesta questa metafisicità di Dio e dicono: ma no, si tratta di qualche cosa di eminentemente storico. Che Dio mi perdoni se ripeto queste sciocchezze. Si dice che siccome in ebraico non esiste il presente ma solo il futuro, Dio, quando ha detto: “Io sono Colui che è”, avrebbe significato: “Io sono Colui che sarò”.

Il buon Dio non diviene. E allora, il fatto che una determinata lingua umana non riesca ad esprimere in qualche modo un dato di fatto come tempo presente, non nuoce alla realtà di quella presenzialità perfetta dell’essere di Dio, che è un essere eterno. Vedete, quindi, che Dio si rivela a Mosè dicendogli quello che è, dicendogli cioè che è la pienezza di essere, non è un essere ricevuto in un’essenza, ma è quella essenza che è il suo stesso essere: “Io sono Colui Che sono”.

D’altra parte anche la nostra cara Consorella Santa Caterina ha avuto una rivelazione di Gesù, il quale, come Verbo dell’eterno Padre, le disse appunto: “Tu sei colei che non è[25]. Io sono Colui Che E’”. È così semplice. La creatura è quella che non è. Dio è Colui Che è. Non nel senso che noi non siamo nulla, ma nel senso che noi siamo per partecipazione.

Vedete come Gesù è metafisico, non è vero? È questo il bello. Lo disse già Aristotele che la metafisica non è una scienza umana, bensì divina, in tutti i sensi, perché è una scienza che studia Dio ma anche nel senso che solo Dio è metafisico per eccellenza. Noi lo siamo in maniera del tutto esitante e titubante. Ecco come il Signore riguardo a Mosè si fece metafisico e ci rivelò questa pienezza del suo essere.

Adesso, solo brevemente. Stiamo già oltrepassando il tempo. Vorrei lasciarvi spazio alle domande. Comunque, diciamo brevemente: immutabilità, immensità e eternità di Dio. Immutabilità di Dio. È immutabile ciò che non può passare dalla potenza all’atto, dalla possibilità alla realtà. Ora, la cosa è evidente. Abbiamo appunto visto che Dio è immutabile per il semplice fatto che in Lui non c’è ombra di potenzialità. In Lui tutto è essere, non c’è un poter essere. Quindi Dio non cambia. Però, a questo punto, i nostri moderni, sollevano delle obiezioni, che di per sé non dovrebbero aver luogo. Mortifica quasi il sentire certe cose. Cioè si dice: allora Dio è statico. E anche una mente piuttosto accorta come Rahner, dice che la cosa non è accettabile, perché allora Dio sarebbe statico.

Ora, c’è un duplice modo di staticità. C’è la staticità della pietra, per cui se voi la mettete lì, resta lì per forza di inerzia. Ma non è questa la staticità e l’immutabilità di Dio, C’è una staticità per mancanza di essere e c’è una staticità per pienezza di essere. Dio, ovviamente è statico, ma non perché gli manchi qualcosa, ma bensì perché è somma e piena vita. Vedete come bisogna appunto purificare i nostri concetti. E quando si dice stasi, staticità, non bisogna pensare alla staticità delle creature inerti, ma bisogna pensare a quella somma agilità di Dio, che nel suo agire non cambia. Ecco, quindi, l’immutabilità perfetta di Dio, Dio non cambia[26].

Immensità di Dio. Vuol dire anche ubiquità, si dice. Si dice che Dio è in ogni luogo. Ma in che modo? Certamente non come una cosa contenuta nel luogo. Noi siamo contenuti in un luogo. L’essere in un luogo, Aristotele lo definisce così: è praticamente l’essere contenuti dalla superficie del corpo immediatamente circostante.

Ossia, noi che siamo seduti qui, ciascuno di noi è circondato dall’aria. Notate bene, il luogo non è l’aria, che cambia, ovviamente, ma è la superficie idealizzata dell’aria che circoscrive il nostro corpo. Allora, ovviamente il buon Dio non è in un luogo in questo modo, cioè non è circoscritto da un altro corpo. Non è possibile pensare in questo modo. E però, Dio onnipotente è in tutti i luoghi. Perché? Perché tutte le cose che sono in un luogo dipendono da Dio e dipendono da Dio in una triplice maniera[27]:

ê   quanto alla conoscenza di Dio, perchè Dio conosce ogni essere ed è presente in ogni essere che conosce tramite la sua conoscenza;

ê   in quanto ogni essenza riceve l’essere da Dio, non solo nella creazione, ma anche nella conservazione, perché Dio mantiene ogni essenza in ogni momento nel suo essere. Cioè, se Dio – il Signore per fortuna non fa sciopero, a differenza di noialtri umani - se Dio non ci desse un momento solo l’essere, noi sprofonderemmo nel nulla. Perché? Perchè l’essere è sempre in più rispetto alla essenza. Quindi Dio infondendo l’essere in ogni momento a tutte le creature, è presente nelle creature. Ma bisogna quasi dire che Dio è presente - scusate se parlo così metaforicamente - nel midollo, nel cuore delle creature. Quindi praticamente Dio infonde l’essere in ogni momento alla essenza.

 

A questo punto la registrazione si interrompe.

Dato P. Tomas stava esponendo la dottrina di San Tommaso circa il fatto che Dio è in tutte le cose (Sum. Theol., I, q.8, a.3) presento qui il pensiero dell’Aquinate.

 

  1. Dio è nelle cose tramite la conoscenza che Dio ha delle cose. E questa immanenza di Dio Tommaso la chiama “presenza”. Questa “presenza” P. Tomas la chiama “conoscenza”.
  2. Tommaso parla di una immanenza “per essenza”. Questa immanenza consiste nel fatto che Dio è la causa dell’essere delle cose. P. Tomas parla di questo tipo di immanenza trattando del fatto che Dio creatore infonde l’essere nelle essenze create.
  3. Questa immanenza comporta il fatto che tutte le cose sono soggette al potere divino. E questa, per Tommaso, è l’immanenza “per potenza”. Questo terzo aspetto dell’immanenza divina manca nella registrazione, mentre molto probabilmente l’ha presentata a voce.

P. Tomas Tyn, OP - a cura di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Audio:  http://youtu.be/z4zp7N9Jjh0

Registrazione e/o custodia degli audio a cura di Amelia Monesi e/o Altri

Trascrizione da registrazione su nastro di Sr. Matilde Nicoletti, OP – Bologna, 25 febbraio 2012

Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP - Varazze, 22 dicembre 2017 e Fontanellato, 9 settembre 2024

Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP

Quelle perfezioni, che in noi si sovrappongono l’una all’altra e si distinguono realmente l’una dall’altra, in Dio coincidono in un unico essere. Tutte le perfezioni lì sono un tutt’uno. Vedete la semplicità di Dio. Essa significa che in Dio non c’è alcuna composizione. In Dio non esistono composizioni di sorta. 

Nel mondo creaturale esistono tante composizioni. Pensate per esempio alla più banale, che è quella delle parti cosiddette integrali, le parti quantitative: una casa che è fatta dalle fondamenta, dalle pareti, dal tetto, dalle finestre, dalle porte e via dicendo, insomma tutto quello che spetta ad una casa. Pensate all’uomo, fatto di una testa, di un collo, torace, mani, gambe e via dicendo, insomma tutte le parti sono ben distinte l’una dall’altra. In Dio tutto questo ovviamente non esiste. Voi capite che questa distinzione di parti è dovuta alla quantità, all’estensione, che spetta solamente ai corpi, quindi delle sostanze incorporee non sono estese né così quantificabili.

Poi c’è la composizione di accidente e di sostanza, come abbiamo visto. Per esempio, mi metto a camminare, ma il mio camminare non è il mio essere. In Dio, tutto ciò che Dio fa è il suo essere, non è una aggiunta al suo essere. E poi c’è la composizione di materia e forma. Tutte le cose materiali corporee sono una forma ricevuta in una materia. In Dio ovviamente non c’è composizione di materia e di forma. Ma non solo. In tutte le creature, anche quelle immateriali, anche quelle più pure e più semplici, anche negli angeli e nelle anime nostre che sono un po’ imparentate con gli angeli, in quanto pure immortali e spirituali, ebbene, anche nelle essenze in qualche modo spirituali e immateriali esiste una minima complessità. Questa minima complessità, che caratterizza tutto il mondo delle creature è la composizione dell’essenza con l’essere. Anche nell’angelo differisce ciò che è l’angelo dal suo esserci. Solo in Dio sparisce anche questa minima composizione. Quindi, Dio è assolutamente semplice.

Ora, San Tommaso ha questa tesi. Egli dice che l’essenza metafisica di Dio è costituita dalla sua aseità, mentre l’essenza delle creature, in quanto creature ed è comune a tutte le creature in tal senso, è costituita dalla loro abalienità.

 D’altra parte anche la nostra cara Consorella Santa Caterina ha avuto una rivelazione di Gesù, il quale, come Verbo dell’eterno Padre, le disse appunto: “Tu sei colei che non è. Io sono Colui Che E’”. È così semplice. La creatura è quella che non è. Dio è Colui Che è. Non nel senso che noi non siamo nulla, ma nel senso che noi siamo per partecipazione.

 

Immagine da Internet:
- Santa Caterina e Gesù, Scuola Toscana


[1] Oppure al suo esistere.

[2] Un ente che esiste per essenza oppure la cui essenza è quella di esistere.

[3] Perché la definizione suppone un genere superiore al definito o definendo. Ora Dio è l’ipsum Esse; quale genere ci può essere al di sopra dell’ipsum Esse? Che valore ha allora il nostro giudizio? Noi cogliamo la verità su Dio sapendo soltanto che il predicato conviene al soggetto, ma non sappiamo come. 

[4] Non nel senso panteista che Dio sia le singole cose esistenti, ma nel senso che le cose. Padre Tomas invoca qui l’atto d’essere e parla di un’identità dell’atto d’essere divino con l’atto d’essere di tutte le cose. Questa identità esiste, ma solo nell’essere divino e non al di fuori. Occorre ammettere questa identità perché Dio è il creatore dell’essere delle cose. Ora l’effetto deve preesistere nella causa e per questo l’effetto creabile è contenuto virtualmente in Dio identico all’essere di Dio.

[5] Padre Tomas intende dire che quando si tratta di determinare la causa di un effetto, bisogna mantenersi sul piano della realtà. Ora quale atto della nostra ragione che si pronuncia sull’esistenza o meno di qualcosa? Il giudizio di esistenza, che è giustificato non dalla semplice apprensione concettuale di ciò di cui si deve dimostrare l’esistenza, ma dal giudizio circa la sufficienza della causa che deve spiegare l’effetto. Solo così si ha la vera dimostrazione dell’esistenza della causa, in questo caso dell’esistenza di Dio.

[6] Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) verrà pubblicato nel 1992: COSTITUZIONE APOSTOLICA

FIDEI DEPOSITUM : https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_constitutions/documents/hf_jp-ii_apc_19921011_fidei-depositum.html - CCC: https://www.vatican.va/archive/catechism_it/index_it.htm

[8] Alla distinzione fra essenza fisica e metafisica.

[9] Queste due espressioni essenza fisica e metafisica sono due espressioni convenzionali scolastiche oggi cadute in cadute in disuso, ma con ciò possiamo tranquillamente accettarle.

[10] Franco Amerio.

[11] Un conto è avere una perfezione e un conto è essere una perfezione. Per esempio somma perfezione è l’essere, Ora solo Dio è l’essere; noi invece abbiamo l’essere, ossia partecipiamo dell’essere, non lo possediamo per essenza. 

[12] Sono le perfezioni che comportano materia.

[13] Padre Tomas intende dire che le due virtù si conciliano tra di loro come diverse espressioni della sua bontà, perché sia il premio che il castigo costituiscono un bene per l’uomo. Tuttavia esse si oppongono perché la misericordia solleva dalla pena, mentre la giustizia la irroga. L’apparente contraddizione si scioglie tenendo presente che l’una succede all’altra e si applicano a persone diverse.

[14] Noi adesso non sappiamo come questa conciliazione avviene nei casi particolari. Ma da un punto di vista di principio possiamo dire che giustizia e misericordia si richiamo a vicenda per il fatto che esiste tra gli uomini la giustizia e il peccato, che come tale merita di essere punito.

[15] Questo detto di Cusano non è del tutto chiaro, perchè sembra legittimare un Dio hegeliano che contraddice se stesso.

[16] Essere.

[17] Ab alio.

[18] Esse a se.

[19] Per capire che cosa è l’essere a sé si può partire dall’essere da altro. A ciò noi arriviamo partendo per esempio dal venire, come per esempio se io dico: vengo da Roma. Nel caso dell’essere abbiamo una dipendenza nell’essere, che ovviamente non è significata nel venire-da. È un venire-da che è un provenire-da. L’essere a sé non viene da altro ma da sé stesso, non ha bisogno di venire-da, perché basta a sé stesso.

[20] Meglio dire Esse, perché enti per sé sussistenti lo siamo anche noi, mentre solo Dio è l’esse per se subsistens.

[21] Ipsum esse per se subsistens.

[22] In prima battuta.

[23] Rationalis naturae individua susbstantia.

[24] Non è il Faraone, ma sono gli Israeliti.

[25] Caterina non intende dire che noi non siamo assolutamente niente, come disse Meister Eckhart, ma il suo pensiero va interpretato alla luce di quanto San Tommaso dice allorchè afferma che la creatura non è nulla da sé o per conto proprio.

[26] L’immutabilità divina non nega affatto l’agire divino e quindi afferma Dio come motore universale. La natura divina non può mutare proprio perchè è somma attività, attività perfettissima, dove l’azione coincide con l’atto puro di essere, attività che quindi non può aumentare né tanto meno diminuire. Diciamo allora che Dio non cambia perché non può non mantenere questa identità. Invece di staticità, che suscita una certa antipatia potremmo meglio parlare di stabilità, che comporta l’idea della robustezza e dell’incorruttibilità.

[27] Sum. Theol., I, q.8, a.3

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