Dialettica e diabolica
Il progetto di Hegel
Come funziona la dialettica hegeliana
Per Hegel la dialettica è un affermare-negare costruttivo spirituale come «metodo assoluto del conoscere ed insieme l’anima immanente del contenuto stesso»[1]. Essa è opera della ragione:
«La ragione è negativa e dialettica perché dissolve nel nulla le determinazioni dell’intelletto. Essa è positiva perchè genera l’universale e in esso comprende il particolare»[2]. «Lo spirito nega il semplice e così pone la determinata differenza dell’intelletto. Ma insieme la dissolve e così è dialettico. Senonchè esso non si ferma al nulla di questo risultato, ma in questo risultato stesso è parimenti positivo ed ha così restaurato quel primo semplice, ma come universale che in sé è concreto»[3].
Notiamo un’esasperazione estremistica dell’antitetica dialettica fino al punto di annientare le determinazioni dell’intelletto, salvo poi a risorgere - difficile sapere come - grazie all’«immane» e «magico potere del negativo». Non è chiaro che cosa sia in Hegel questo negativo che egli attribuisce allo spirito e che pare avere più influsso sul reale che non lo stesso positivo.
Hegel non riesce a fondare la diversità, il limite, la differenza e l’alterità perché gli manca la nozione analogica dell’essere. Per operare la distinzione egli dispone solo dell’affermazione e della negazione, che oppone l’essere al non-essere. Ora è vero che per distinguere bisogna dire: questo non è quello. Ma non basta. Se ci si ferma a ciò, l’altro appare come la negazione del primo, per cui sembrano escludersi a vicenda. Come fondare allora la coesistenza nella diversità? Non è più possibile: l’altro è il nemico da eliminare perché o io o lui.
Hegel confonde l’opposizione dell’essere al non essere con la distinzione fra il questo e il quello. L’et-et diventa un aut-aut. Non c’è più la distinzione che conduce all’unione, ma la contrapposizione che porta alla guerra. Tra me e te nessuna somiglianza, nessuna analogia, nessuna convenienza, nessuna proporzione, ma semplicemente l’esclusione reciproca. Immaginiamo come sarà possibile con questi princìpi costruire la concordia e la pace nella società.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia: che l’aut-aut diventa un et-et. Il falso e il male acquistano libera cittadinanza nell’«Intero»: vengono qualificati come «diversità». La sodomia? Non è un male, ma la semplice scelta di un diverso orientamento sessuale. L’ateismo? Non è una falsità, ma solo un’opinione diversa. E così via.
In Hegel è evidente il primato della ragione sull’intelletto, come già in Kant e questo perchè il conoscere non è concepito come un vedere, ma come un fare e il fare ha bisogno di uno svolgimento che non c’è nel puro intuire dell’intelletto. Non si tratta di progredire nel vedere sempre meglio la stessa cosa o l’assoluto, adeguando il pensiero all’essere, ma di operare una circolarità autocosciente nella quale tutto è negato e tutto ritorna: la posizione iniziale nega se stessa, la negazione nega la negazione negata e riafferma la posizione iniziale arricchita dell’apporto che viene dal negativo. È la ragione dialettica di Hegel come espressione dello Spirito. Dice infatti Hegel:
«Nella sua verità la ragione è spirito e lo spirito sta al di sopra di tutti e due, della ragione intellettuale o dell’intelletto razionale. Esso è il negativo, quello che costituisce la qualità tanto della ragione dialettica, quanto dell’intelletto; lo spirito nega il semplice e così pone la determinata differenza dell’intelletto.
Ma insieme la dissolve e così è dialettico. Se non che esso non si ferma sul nulla di questo risultato, ma in questo risultato stesso è parimenti positivo ed ha così restaurato quel primo semplice, ma come un universale che in sé è concreto. Sotto un tale universale non viene sussunto un particolare dato, ma in quel determinare e nella sua risoluzione anche il particolare si è già determinato. Questo movimento spirituale che dà a sé nella sua semplicità la sua determinatezza ed in questa dà a sé la sua uguaglianza con se stesso, questo movimento, che è perciò lo sviluppo immanente del concetto, è il metodo assoluto del conoscere e insieme l’anima del contenuto stesso»[4].
Per Hegel ogni cosa si afferma – tesi -, si autonega (l’«alienazione»), si «toglie» -antitesi -, nega la sua negazione[5], riafferma se stessa (si «innalza») e torna se stessa ad un livello superiore (il «progresso») – sintesi -. È questa la famosa dialettica hegeliana. Questo livello superiore però non è definitivo, perché ciò avviene in tutte le cose ed anche in Dio, per cui si trova anche nell’assoluto. Il che fa capire che il parmenideo Hegel non è poi così lontano da Eraclito tanto quanto a tutta prima potrebbe sembrare. Se il divenire è immanente all’eterno, ciò è perché in fin dei conti il divenire è eterno.
La risposta di Hegel è molto deludente: nessuna soluzione a questi problemi, perché Dio stesso è impigliato in essi e non sa venirne fuori. È meglio dunque accettare il nostro destino così com’è. Nietzsche non era lontano da Hegel quando parlava di amor Fati.
Hegel tende altresì a racchiudere il reale nell’essere vivente e in particolare nella storicità dello spirito, che poi è lo spirito umano. E concepisce Dio stesso sul modello di questo spirito. Come per Lutero anche per lui il vero Dio è il Dio incarnato, il Dio-uomo, fino al punto di identificare la natura umana con la natura divina.
Egli, pur con tutta la sua spiritualità, non riesce ad evitare una concezione materialistica dello spirito. Concepisce l’azione dello spirito, atto di per sé immanente al soggetto, sovratemporale e sovraspaziale, secondo il modello della vita fisica, dell’azione transitiva spaziotemporale, immersa nel tempo, mutevole ed evolutiva.
Quindi di ogni cosa si deve dire che è così e non è così. Occorre congiungere il sì col no. Non bisogna mai pronunciarsi in modo netto ed assoluto: o sì o no, ma si deve dire sì senza escludere il no e no senza escludere il sì. È questo per Hegel il pensiero inclusivo che accoglie tutto e non esclude nulla. Altrimenti abbiamo un dualismo che non risolve le contraddizioni e non crea l’unità della realtà, non costruisce l’«intero», il tutto, l’assoluto, il sistema.
La cosa interessante e caratteristica della dialettica hegeliana è proprio questa: che egli non abbandona affatto l’ideale dell’unità, della conciliazione e dell’identità; ma dice che o si raggiunge tutto ciò proprio mediante la contraddizione, nella contraddizione oltre la contraddizione.
Viene in mente, se volete, l’immagine di un soggetto che domina due passioni contrarie lasciandole nel loro contrasto, ma attuando ciononostante una condotta moderata e saggia. Resta tuttavia il fatto che la vera virtù sa assoggettare la passione in modo da non avvertire più la ribellione della carne. Voglio dire che la vera soluzione dei conflitti sta nella loro totale eliminazione e non semplicemente nel tener duro a denti stretti lasciandoli in piedi ed accontentandosi di ottenere che non facciano troppo danno.
Altra cosa che sorprende nella dialettica hegeliana è il fatto che se da una parte fluidifica i concetti e si pone sul piano dell’apparire, non si presenta affatto come connessa alla contingenza e all’opinione, ma pretende di mostrare la necessità logica di tutto ciò che accade, compresa la stessa vita divina. In tal modo Hegel affronta gli stessi dogmi della fede cristiana ed ha l’audacia di vederli niente più che un sapere di fatto carente della sua ragione, ragione che è saputa dal filosofo che ne conosce la necessità.
In tal modo Hegel nega la misteriosità della verità divina. Egli concepisce la rivelazione cristiana come svelamento del mistero. Dunque la verità – conclude Hegel – è svelata, non velata e laddove è svelata non c’è più mistero. Sì, però ricordiamo che egli si professa luterano, per cui il suo concetto di ragione, per quanto possa sembrare lontano dall’irrazionalismo luterano, in realtà non è così: cosa è infatti la ragione dialettica, se non una ragione divina che nega la nostra ragione umana? Essa è quella coincidentia oppositorum, della quale aveva già parlato il Cusano quale superiore coincidere in Dio del sì e del no al di sopra delle esigenze del principio di non-contraddizione valido per noi, ma dal quale è libera la Ragione divina?
Quanto al rapporto dell’individuo con la società (Stato e Chiesa), in Hegel questo rapporto non si presenta come un rapporto interpersonale basato sul libero arbitrio degli attori, ma è assimilato alla dialettica del rapporto relativo-assoluto o accidente-sostanza o parte-tutto dell’Intero o della totalità o dell’Io o dell’Assoluto stesso, dove la negazione è rappresentata dalle categorie dell’alienazione (Entäusserung) ed estraneazione (Entfremdung)[6].
Mostrando un’evidente ignoranza del concetto cristiano di fede egli abbassa la fede al semplice sapere volgare che riguarda il piano della «rappresentazione» (Vorstellung), cioè quel sapere che, superato dalla conoscenza del perché, assicurato dal «pensiero» (denken) o dalla ragione, non sarebbe altro che il meccanismo dialettico.
In tal modo i dogmi della creazione, della Trinità, del peccato originale, dell’incarnazione, della redenzione, della risurrezione, della Chiesa diventano «figure» (Gestalt) del processo dialettico mediante il quale Dio pone Sé, nega Sé, nega la negazione di Sé, torna a Sé.
Hegel nega il principio di non-contraddizione?
Il principio di non contraddizione dice che non è possibile affermare e negare, pensare e non pensare simultaneamente di una cosa la stessa cosa. Questo è il principio di non-contraddizione.
Ora, stante il fatto che il nostro pensare, per essere vero, deve basarsi sulla realtà, dobbiamo dire che questa regola del pensare e del giudicare si ricava direttamente dal principio di Aristotele secondo il quale la base del sapere, la cosa più sicura circa la quale nessuno può sbagliare e quindi la convinzione primordiale e fondamentale di tutti, ciò che ci incoraggia ad affrontare il sapere, è che non è possibile che un ente sia e non sia simultaneamente e sotto il medesimo aspetto.
Diversamente il sapere sarebbe impossibile perché non avrebbe il suo oggetto che è l’ente, ciò che esiste e che ha una sua identità. Se l’ente negasse sé stesso, il pensiero sarebbe bloccato. Ebbene, Hegel par dire proprio il contrario di Aristotele: l’ente nega sé stesso, questa negazione nega sé stessa in modo tale che ritorna l’ente iniziale, ma arricchito di ciò che la negazione gli ha opposto. Infatti la negazione è un positivo, per cui essa aggiunge sé stessa come nuovo positivo al positivo iniziale e così lo arricchisce di contenuto.
Il principio primo di Aristotele riguarda l’essere, non il dire o il pensare. Esso è chiamato propriamente principio di identità, l’identità dell’ente, nel senso che ogni ente ha una sua identità, sicchè è sé stesso (idem, ipse) e non altro da sè, è identico ed uguale a sé stesso ed è diverso da ogni altro ente. Nessun ente reale individuale è identico o uguale ad un altro, ma solo con sé stesso. La sua essenza astraendo dai dati concreti, è sempre quella, è sempre la medesima, anche se l’ente muta.
Come ognuno di noi ha la sua carta d’identità, così ogni ente ha la sua identità. È chiaro che da qui e su ciò sorge il principio di non-contraddizione, che comporta un duplice imperativo morale: non dobbiamo contraddirci e non dobbiamo contraddire al vero, ma opporci al falso; non contraddire alla realtà, ma dire le cose come sono. È il precetto della coerenza, dell’onestà e della sincerità del pensare e del parlare, base indispensabile di una sana e pacifica vita sociale.
La contraddizione propriamente non riguarda la realtà dove vige l’identità dell’uno nella diversità dei molti. Contraddizione, contra-dictio, riguarda il dire. Siamo noi che possiamo contraddirci, per il fatto che elaboriamo giudizi, ragionamenti o composizioni di concetti in contrasto fra di loro. La realtà non si contraddice, ma è quello che è.
Occorre pertanto distinguere il contraddire dal contraddirsi dal contradditorio. Contraddire vuol dire contro qualcuno o qualcosa. Può essere sinonimo di dissentire, contrastare, disobbedire. Il tal senso Cristo è chiamato «segno di contraddizione» (Lc 2,34). Contraddirsi vuol dire una cosa e poi il suo contrario: incoerenza nel pensare o nel parlare. Queste due prime cose possono capitare o volutamente o involontariamente.
Il contradditorio, invece, che è quello che c’interessa qui, è un pensiero, un concetto o un giudizio che simultaneamente afferma e nega. E ciò è impossibile. È il contradditorio in terminis, se è un concetto, per esempio un animale non animato; contradditorio in iudicio, se è un giudizio, per esempio: Dio esiste e non esiste.
Ma come mai Hegel è arrivato, come sembra, a negare un principio così certo, evidente e fondamentale come il principio di non-contraddizione? Di fatto nessuno si può sbagliare su questo principio e tutti lo conoscono e lo applicano volenti o nolenti, se vogliono pensare. Si può dissentire a parole, ma non lo si può pensare. Probabilmente Hegel voleva solo riferirsi alle contraddizioni nel senso dei contrasti o delle ambiguità o delle incoerenze o non si è espresso bene.
Ciò che lo ha tratto in inganno è stato il suo idealismo, la confusione fra il pensiero e l’essere, fra il concetto e la realtà. Effettivamente, nel formare i nostri concetti incontriamo delle opposizioni di concetti. La realtà non può essere contradditoria, ma esistono concetti che si escludono a vicenda; eppure li dobbiamo usare per concepire la realtà.
Per esempio, i concetti di vita e di morte, benché contrari, si richiamano a vicenda. È solo nella realtà che può esistere una vita senza la morte. Così similmente il concetto di uomo non è il concetto di animale. Eppure diciamo che Paolo è simultaneamente animale e uomo. Come possiamo dirlo? Perchè nella o ossia nell’identità reale di Paolo i due concetti si identificano tra di loro perché razionale è la differenza specifica di animale
Inoltre Hegel, troppo impressionato dal fatto del divenire, ma senza rinunciare al desiderio di unità, non ha capito che cosa è l’identità dell’ente. È rimasto in mezzo fra l’essere e il non-essere ed ha creduto che per avere la verità e la realtà, l’essere e il non-essere stessero assieme e che quindi occorresse affermarli assieme nonostante la contraddizione.
Egli fa un abuso di espressioni contradditorie probabilmente nell’intento di esprimere il diverso, il distinto, l’alterità, il mutevole, il molteplice. Si vede che non sa usare il linguaggio dell’analogia, che gli avrebbe permesso di esprimersi in modo chiaro ed inequivocabile, senza dar l’impressione di contraddirsi.
Alcuni hanno creduto perciò che in fin dei conti Hegel non abbandonerebbe il principio aristotelico di non-contraddizione perchè anzi toglierebbe le contraddizioni per creare l’unità. Ma in realtà, se leggiamo attentamente come egli imposta il suo metodo per instaurare l’unità, egli dice chiaramente che non si tratta di fuggire o evitare la contraddizione, perché ciò sarebbe proprio il modo di «soccombere sotto di essa», ma occorre «dominarla», cioè mantenere fermi gli opposti nella loro opposizione, lasciarli in piedi nella loro tensione senza attuare la loro esclusione reciproca.
Inoltre Hegel dice che la negazione dialettica non è una negazione totale della tesi iniziale, tale da concludere nel nulla. Essa non toglie tutto, ma solo ciò che si oppone al progresso, ossia è la negazione di una data determinazione che impedisce il progresso e quindi lascia in piedi il soggetto, che viene confermato e che è ciò da cui proviene la negazione, per cui essa riafferma, arricchisce e sviluppa il soggetto. Ma questo discorso non convince. Infatti, quando egli parla dell’essere non fa questa precisazione, ma parla semplicemente del nulla come negazione dell’essere tout court. Dunque l’essere si identifica col non-essere?
Per Hegel l’assoluto stesso è in contrasto con sé stesso. Ma – ci assicura - non c’è da preoccuparsi perché questa per lui è la realtà, questa è la verità. Nell’assoluto tutto è conciliato: il possibile e l’impossibile, il razionale e l’irrazionale, l’essere col non-essere, il vero col falso, il bene col male, Cristo con Beliar, il paradiso con l’inferno.
Il vero, come egli dice, è l’«intero», ossia la sintesi di tutte queste cose. Ciò che sembra vero è vero. Era il principio di Protagora, già confutato da Aristotele. Ciò che è vero per me è falso per te. Ciò che era vero ieri è falso oggi. È il relativismo e soggettivismo gnoseologici. È il suo principio della «fluidità» dei concetti, salvo poi a identificare la cosa col concetto della cosa, l’essere col pensiero, l’ideale col reale.
Egli avvertiva il valore dell’essere, dell’essenza, dell’identico, dell’uno, dell’universale, del semplice, dell’eterno, della sostanza, dell’assoluto, dello spirito. Voleva spiegare razionalmente il divenire, il mutare dei fenomeni naturali, delle idee, delle opinioni, della condotta degli uomini, della vita dello spirito, i progressi del sapere. Percepiva la realtà grandiosa ed impressionante della storia umana. Voleva spiegare l’opposizione tra l’essere e il non-essere, il vero e il falso, il bene e il male.
Aristotele già previde l’hegelismo nella sua poderosa critica a Protagora, dalla quale trascelgo solo alcuni argomenti, ma che merita di essere letta per intero. Essa si svolge per tutto il cap. V del libro IV della Metafisica, dopo aver confutato con numerosi argomenti, nel cap. IV, gli oppositori al principio di non-contraddizione:
«Dalla stessa convinzione deriva la dottrina di Protagora e perciò tutte e due le dottrine necessariamente reggono o cadono in egual modo. Infatti, se tutte le opinioni e tutte le parvenze sensoriali sono vere, esse dovranno necessariamente essere tutte vere e tutte false nello stesso tempo. Infatti, molti uomini hanno convinzioni opposte e tutti ritengono che coloro che non condividono le proprie opinioni sono in errore e da questo scaturisce come necessaria conseguenza che la stessa cosa anche sia e non sia; e se è così, segue anche, come necessaria conseguenza, che tutte le opinioni sono vere.
Infatti, coloro che sono nel vero e coloro che sono nel falso hanno opinioni fra loro opposte; ma se le cose stesse stanno in questo modo, tutti saranno nel vero. È evidente, dunque, che ambedue le dottrine derivano dal medesimo ragionamento. …
Coloro che hanno abbracciato questa convinzione a causa di alcune difficoltà, ciò fecero in base all’osservazione delle cose sensibili. E si sono formata la convinzione che i contrari e i contradditori possono esistere insieme, vedendo che i contrari derivano da una medesima cosa: infatti, se non è possibile che si generi ciò che non è, in quella cosa dovevano già preesistere tutti e due i contrari insieme. …
L’ente si dice in due sensi; pertanto in un senso è possibile che qualcosa derivi dal non-essere, mentre nell’altro senso non è possibile; ed è anche possibile che la medesima cosa sia e non sia, ma non nel medesimo rispetto; infatti è possibile che la medesima cosa sia ad un tempo i contrari in potenza, ma non in atto»[7].
Hegel ha capito veramente che cosa intendeva dire Aristotele col suo principio di non-contraddizione, quando gli ha contrapposto il suo principio di contraddizione? E noi abbiamo capito veramente Hegel quando lo accusiamo di aver negato il principio aristotelico di non–contraddizione?
Ecco come Aristotele enuncia il principio di non-contraddizione: «È impossibile che la stessa cosa ad un tempo appartenga e non appartenga ad una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto»[8]. Tutto lo scontro tra Aristotele ed Hegel si potrebbe riassumere nelle seguenti semplici espressioni. Aristotele dice: nessuna cosa può essere simultaneamente così e non così. Invece Hegel dice: ogni cosa può essere simultaneamente così e non così.
Chi ha ragione? Per Hegel le cose stanno come dice lui. Ma allora anche per lui stanno così e non possono nel contempo non stare così. E dunque Hegel confuta se stesso. Hegel, che si professa cristiano, qui non imita Cristo e si fa superare da un pagano, Aristotele. Come osserva infatti San Paolo, in Cristo non c’è stato il sì e il no, ma solo il sì. Come mai il cristiano Hegel si è fatto superare dal pagano Aristotele? Perchè chi è onesto nel ragionare, anche se non conosce Cristo, è più cristiano di chi è disonesto, anche se conosce tutte le verità di fede.
Fine Terza Parte (3/4)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 2 novembre 2024
Da notare che l’opposizione tesi-antitesi rimane. Qual è allora il risultato? C’è una vittoria certa, definitiva e stabile del bene sul male? C’è una vittoria della giustizia sul peccato? C’è una vita eterna libera dalla morte? C’è una verità definitiva che non possa più essere rimessa in discussione? C’è un bene assoluto, saldo, immutabile, incorruttibile, che non possa mai essere perduto? C’è una cessazione della sofferenza?
La risposta di Hegel è molto deludente: nessuna soluzione a questi problemi, perché Dio stesso è impigliato in essi e non sa venirne fuori. È meglio dunque accettare il nostro destino così com’è. Nietzsche non era lontano da Hegel quando parlava di amor Fati.
Come Cartesio si vantava di aver insegnato all’umanità a pensare, così Hegel si vantava di aver scoperto la logica, mentre ben altra è la verità. In realtà né Cartesio è lo scopritore del pensiero, né Hegel è lo scopritore della logica, ma semplicemente entrambi non fanno che ritornare ai primi passi della filosofia e all’antica sofistica di Protagora confutata da Aristotele. Così si deve dire che è Aristotele perfezionato da San Tommaso d’Aquino a costituire l’età adulta della filosofia a tutt’oggi raccomandata dalla Chiesa.
Immagine da Internet: Protagora
[1] Scienza della logica, Edizioni Laterza, Bari 1984, p.7.
[2] Ibid., p.6.
[3] Ibid.
[4] Scienza della logica, op. cit., pp.6-7.
[5] Hegel divide anche a volte questo secondo momento un due: negazione e negazione della negazione, prima del momento finale della ricostituzione della tesi e del ritorno all’inizio, in modo tale che i momenti della dialettica da tre diventano quattro.
[6] Vedi Georges M.-M. Cottier, L’athéisme du jeune Marx et ses origines hégéliennes, Vrin, Paris 1959.
[7] Metafisica, libro Gamma, cap.V, Edizioni Loffredo, Napoli 1968,. pp.307-308.
[8] Metafisica, libro Gamma, cap.III, 1005b20, op.cit., p.298.
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.