Il mondo è finito o infinito? Riflessioni sul libro di Bolloré e Bonnassies "Dio la scienza le prove" - Seconda Parte (2/3)

 

Il mondo è finito o infinito?

Riflessioni sul libro di Bolloré e Bonnassies Dio la scienza le prove

Seconda Parte (2/3)

 Finito e infinito

Per introdurci alla comprensione della controversia fra i due Santi Dottori, è bene definire in anticipo che cosa possiamo intendere per «finito» e «infinito». Cominciamo col definire che cosa è il finito, cosa molto facile, perché esso cade immediatamente sotto la nostra esperienza ed è perfettamente comprensibile. È dalla constatazione del finito che noi ricaviamo l’idea dell’infinito. Che cosa è dunque il finito? Dobbiamo partire dalla distinzione fra il fine (o scopo) e la fine (o termine). 

Il finito è quell’ente, del quale abbiamo quotidiana esperienza e che costituisce anche l’oggetto della fisica, ente sensibile e mobile, spaziotemporale, generabile e corruttibile, ente che esiste, ma che potrebbe non esistere, ente dunque contingente, la cui essenza non è quella di essere, cioè non esiste per essenza o necessariamente, ma l’essenza è quella di essere solo qualcosa di definito e di limitato, questo e non quello. 

Per questo ci accorgiamo che la sua esistenza e il suo essere non sono fondati su se stessi, non hanno in se stessi la loro ragion d’essere, ma sono causati da un essere che esiste per se stesso, da se stesso e in forza di se stesso, che chiamiamo Dio. Gli Autori non fanno esplicitamente questo ragionamento, ma, partendo dalla constatazione della finitezza spaziotemporale del mondo, capiscono che il mondo è creato da Dio e quindi arrivano allo stesso risultato che io ho espresso in termini metafisici.

Ora il finito è qualcosa che ha un fine ed ha una fine, ossia finisce. Esso stesso è un fine, ossia un bene appetibile o, come si esprime la Bibbia, è «cosa buona».  Ma non è tutto il bene possibile, è solo un bene parziale, appunto finito. Per esprimerci con Platone, non è la bontà. Questo solo è il bene totale ed infinito, completo e perfettissimo, Dio, pienamente saziante per chi cerca un bene infinito.

Il finito è il fine o bene appetibile dall’agente; è il bene al quale tende l’agente; è ciò che l’agente buono vuol fare o desidera secondo le sue forze, che sono a loro volta finite e limitate; il fine, si suppone buono, è ciò che è voluto o sperato o posseduto dalla volontà; è ciò per cui o a causa di cui l’agente agisce. La fine è il punto di arrivo del finito, il punto terminale insuperabile, col quale il finito finisce, ha fine, termina e non va oltre.

Il finito è il limitato. È il circoscritto, circondato e determinato da un confine, che è la sua forma, la sua essenza specifica o individuale, ciò per cui possiamo definire il finito, dire che cosa è. Il finito non può da sé oltrepassare il proprio confine, il proprio limite.

Il fine può essere un bene estrinseco all’agente, un bene superiore all’agente stesso: un bene amato, da possedere o al quale l’agente si unisce; oppure può essere intrinseco all’agente; e allora è la sua perfezione, la sua compiutezza finale, la sua felicità.

Il finito è anche ciò che è eseguito o compiuto: un’opera finita. Se però non è ancora compiuta, non diciamo che è infinita, ma che è non finita. Occorre distinguere allora il semplice non finito dall’infinito.  È vero che l’infinito è un non-finito, ma non nel senso che non abbia raggiunto il fine o abbia fallito il fine, non nel senso dell’incompiutezza, ma in un senso perfettivo, nel senso che l’infinito è o va oltre il finito, lo trascende, è un superamento od oltrepassamento del finito. C’è dunque un non-finito che è l’imperfetto e c’è un non-finito che è perfezione. Il primo è passaggio dalla potenza all’atto; il secondo è puro atto.

L’infinità mondana legata alla potenzialità può avere due forme: c’è un infinito nella quantità, non nell’essere, per il quale, dato un finito, questo è sempre superato, e questa è l’infinità dell’universo nel tempo e nello spazio. E si dà anche l’infinito matematico, oggetto dell’immaginazione ed ente di ragione, come l’infinito numerico o numero infinito: dato un numero, si può sempre aggiungere un’unità. Con l’immaginazione dividiamo senza mai finire la quantità matematica discreta o numerica e la quantità continua o geometrica. Concepiamo senza essere fermati da limiti numeri reali e numeri immaginari,

Esiste inoltre l’infinità potenziale della materia, oggetto della fisica: individuato un corpuscolo, ne scopriamo sempre un altro ancora più piccolo, parte o componente del precedente. Distinguiamo lo spazio reale sempre più ampio di quello che pesavamo, mentre possiamo concepire uno spazio immaginario infinito, oggetto della geometria, che Newton scambiò per spazio reale, perché non tenne conto del fatto che lo spazio non è un contenitore vuoto che precede i corpi ma è un accidente della sostanza materiale.  I corpi, propriamente, non sono collocati nello spazio, ma è lo spazio che è soggettato nei corpi determinandoli nel luogo nel quale si trovano.

Possiamo parlare di un’infinità delle dimensioni cosmiche, benché ogni volta troviamo una distanza finita di una formazione celeste dalla terra. Trovata però una galassia ad un data distanza, ecco che in seguito, osservando meglio, se ne scopre un’altra più lontana e così senza fine. Qui c’è l’infinito in quanto non si finisce mai di scoprire nuovi fenomeni. Ma è chiaro che restiamo nel finito nel senso che restiamo nel creato.

Per questo resta vero che l’universo possiede delle dimensioni ontologiche e non è proibito parlare della sua espansione in atto, come del resto risulta dalla fisica moderna. Se misuriamo distanze e dimensioni, vuol dire che ci sono. Tuttavia anche qui siamo nel transfinito: non giungiamo mai a misurare l’ampiezza dell’universo così come si misura l’ampiezza della Piazza Rossa di Mosca.

Esiste inoltre un infinito gnoseologico, che è il nostro sapere, infinito si capisce non come la scienza divina, ma nel senso che progrediamo e andiamo sempre oltre il finito, il già saputo, senza finire mai: il progresso della scienza è un continuo aumento e miglioramento di conoscenza, per cui si dà un progresso o un aumento continui senza fine.

Col progredire del nostro sapere e dei nostri mezzi e metodi di ricerca e di scoperta, noi troviamo nell’universo sempre nuovi aspetti, troviamo corpi celesti sempre più lontani, particelle elementari sempre più piccole. Da qui deduciamo che l’universo è infinito non nel senso che sia Dio, ma nel senso che, benché ontologicamente finito e creato non ha confini spaziali da noi misurabili una volta per tutte.

Ci siamo resi conto che nel suo conoscerlo si avanza sempre, cioè non arriverà mai il giorno in cui diremo: ecco, siamo arrivati ai confini. Ecco, adesso sappiamo quanto è esteso ed ampio l’universo, così da poterlo misurare come se si trattasse di una sala da ballo o così come si arriva ai confini della Svizzera o della Germania. Procediamo all’infinito perchè l’universo è infinitamente conoscibile senza essere infinito nel senso perfettivo, ossia senza essere l’Infinito divino. Dio è assolutamente infinito; l’universo è finitamente infinito.

Certo, al di là dei confini dell’universo non c’è nulla, se non Dio. Dio è fuori dell’universo, ma anche dentro, se è vero che è il creatore di ogni cosa e bisogna quindi che Egli sia vicino ad ogni cosa per farla essere e conservarla. Ma di questa ulteriorità fisica dell’universo non riusciamo ad avere alcuna immaginazione.  Saremmo tentati di immaginarla come uno spazio vuoto, come il buio della stanza attorno a un piccolo lume. Senonchè lo spazio suppone i corpi. E dove non ci sono corpi, non c’è lo spazio.

Tuttavia è innegabile all’esperienza che questo mondo è finito, è limitato. Come non porsi allora il problema di quali sono i suoi confini? Quali le sue dimensioni? Se il mondo è  finito – ci vien da pensare -, il suo spazio dovrà ben essere limitato, dovrà ben essere finito, avere un termine, per quanto lontanissimo da dove siamo noi, come lo spazio racchiuso in una sala! I nostri telescopi vedono sempre più in là: finirà mai questo avanzamento?

La riposta, per quanto possa apparire paradossale è: no. È sbagliato paragonare lo spazio o l’ampiezza dell’universo a quello della stanza nella quale ci troviamo. L’esperienza millenaria dell’indagine astronomica ci impone di rinunciare a questo paragone.

Non raggiungeremo mai i confini dell’universo così come adesso vediamo i limiti della stanza nella quale ci troviamo. In questo senso l’universo è illimitato. Non però che il suo essere non sia causato. Bisogna distinguere il limite ontologico dal limite spaziale. L’ente contingente - cioè il mondo - è limitato in quanto esso, insieme di cose la cui essenza non è l’essere, è composto di essenze finite, per le quali l’essere è determinato ad una data specie. Ora, il contingente, non esistendo necessariamente, è causato da un essere che esiste necessariamente. E questi è Dio.

Invece non c’è problema a concepire uno spazio illimitato, benché sia creato e quindi ontologicamente finito. Infatti, benché lo spazio sia un accidente dei corpi e questi non possano avere dimensioni infinite, tuttavia che cosa impedisce che le distanze tra i corpi aumentino indefinitamente, appunto come appare oggi agli occhi degli astronomi, che vedono un universo in espansione?

L’infinità dello spazio consiste nel fatto che all’osservazione dell’astronomo, ad una distanza nota se ne aggiunge continuamente una nuova, superiore, precedentemente ignota. Non chiediamoci dunque dove finisce lo spazio come ci chiediamo dove finisce il territorio della Repubblica Italiana. Lo spazio cosmico è dunque ontologicamente finito, ma è illimitato rispetto alla nostra capacità di misurazione, di comprensione e di indagine.  

Esiste infatti un finito ontologico spaziale che non consiste nell’assenza di confini spaziali così come una camera occupa un dato spazio, ma lo spazio cosmico con la sua immensità incalcolabile, smisurata e immensurabile, ci ha fatto capire di non aver confini, perché non ce li mostra mai, né c’è speranza che un giorno ce li mostri, quand’anche ogni giorno ampliassimo il nostro sguardo all’infinito, cosa del resto per noi impossibile.

Ci siamo ormai accorti che lo spazio cosmico ha bensì un’essenza finita ossia causata, ma che nel contempo, nel corso delle nostre indagini e scoperte, rimanda sempre ad un oltre ancora da scoprire, scoperto il quale, c’è un altro oltre e così all’infinito.

L’Infinito divino

Diverso è l’Infinito divino. Esso non è un oltre successivamente superabile, che sempre di nuovo riappare ogni volta che facciamo una nuova scoperta, non è un oltre provvisorio e attingibile, che viene sostituito da un altro oltre, ma è un oltre fermo e stabile una volta per tutte e che qui, noi finiti non potremo mai comprendere o calcolare, ma un giorno potremo vedere e adorare tutto, ma non totalmente per sempre.  È questa la visione beatifica di Dio promessa dalla fede cristiana.

Qui il limite del nostro sapere non è connesso al fatto che ad ogni nuova scoperta il limite si sposta più lontano nello spazio, più indietro nel tempo o più in basso o più in alto nella materia. Dio non sta in un oltre che ogni volta si ritira all’avanzare del nostro sapere, ma sta eternamente fermo infinitamente oltre, per quanto noi possiamo avanzare nell’indagine e nella conoscenza teologica.

Anche nel progresso della teologia, mano a mano che il nostro sapere su Dio aumenta, sempre la nostra ragione si sente superata dal mistero, ma qui non si tratta, come nel sapere fisico, di cogliere qualcosa di quantitativo e di parziale, che nasconde e successivamente faccia apparire qualche altra parte o un qualcos’altro, ma è sempre la medesima totalità, il medesimo assoluto che sempre meglio appare e nel contempo resta nascosto.

Il mondo può essere indefinitamente arricchito da Dio nel tempo – pensiamo alla continua creazione di nuove anime umane - da Dio creatore, senza mai diventare Dio, Dio, dal canto suo, non ha bisogno di progredire o di acquistare perché egli stesso costituisce l’infinito per eccellenza, la totalità o l’assoluto. E questo infinito è Dio. Dio non ha fine perchè è fine a sé stesso. Non deve raggiungere o attuare nulla e nulla gli si può aggiungere perché Egli è già Tutto.

Dio è quindi non finito ossia infinito non nel senso di imperfetto, ma, al contrario, nel senso che è talmente perfetto che non deve raggiungere alcuna perfezione, alcun fine interno o esterno a Sé. Egli non ha un fine, perché è fine a se stesso. Non ha bisogno di nulla perché non solo ha tutto, ma è tutto.

Egli solo dunque è perfezione infinita, mentre la perfezione di ogni creatura è finita perchè, anche se può andare sempre oltre nella conoscenza, nel potere, nella grandezza o piccolezza, nel tempo o nello spazio o nella quantità o nell’estensione o nelle dimensioni, lo fa sempre nell’orizzonte di un essere finito e causato.

Bisogna dunque distinguere l’infinito che non finisce mai, che è proprio del mondo, dall’infinito divino che è l’infinito in modo perfettissimo. Il finito è un compiuto. Ha una sua perfezione, ma ben maggiore è quella dell’infinito, perché essa non a termine o confine o limite. È la perfezione divina.

Insomma: esiste un infinito che si trova su di un piano d’imperfezione e questo infinito può convenire al mondo. Ed esiste un infinito sul piano della perfezione che conviene solo a Dio.

Importante cosa da osservare è che il finito è il causato. Infatti il finito è ciò che avendo avuto un fine e una fine, è ciò che è fatto, è l’effectum, il factum. E se c’è un fatto vuol dire che c’è il fattore. Aristotele esprime ciò col principio di causalità: se c’è l’effetto, c’è la causa.

La Bibbia preferisce esprimersi in termini personalistici: se c’è artefatto, c’è l’artefice. Per questo parla del mondo non come effetto di una causa, ma come l’opera di un artefice. Ma si tratta sempre della stessa cosa. Infatti il punto di vista metafisico di Aristotele corrisponde a quello personalistico della Bibbia, in quanto sia Dio che il mondo li vediamo nell’orizzonte dell’essere, mentre nel contempo la Bibbia supera il punto di vista di Aristotele, in quanto appare più chiaro l’aspetto personalistico della divinità.  

Quando l’universo ha cominciato ad esistere? E qual è il suo futuro?

È chiaro che il problema sollevato dalla questione dell’inizio è diverso da quello della fine. Sulla questione dell’inizio la professione di teismo creazionista degli Autori è chiara e convincente; un mondo che ha cominciato ad esistere un certo tempo fà, evidentemente non si sostiene da sé nell’essere: non può essere quel mondo infinito ed eterno che sognano i materialisti, ma è evidentemente un mondo finito e causato, davanti al quale la ragione e la scienza si chiedono: qual ne è la causa? Chi lo ha prodotto o creato?

Potremmo chiedere però ai sostenitori del Big Bang: come fate a sapere che prima di quel momento non c’è era nulla? Essi ci rispondono: perché i segnali che abbiamo degli spostamenti e del distanziamento fra di loro dei corpi celesti nel tempo ci hanno consentito di calcolare il momento nel quale nel passato ha potuto iniziare il loro movimento di distanziamento fra di loro e da noi.

In tal modo ci siamo accorti che retrocedendo verso il passato, quei segnali devono cessare, perché raggiungiamo, mediante i segnali che abbiamo adesso, quel punto e il corrispettivo momento temporale, ossia quel nucleo densissimo di materia cosmica fondamentale originaria, dal quale è nato l’universo, momento nel quale iniziando il tempo si pongono le condizioni che hanno reso possibili i segnali da noi calcolati, giunti a noi dello scorrere e della limitatezza del tempo cosmico.

Il che ci ha fatto capire che il tempo deve avere avuto ha avuto un inizio un tot di anni fà, che abbiamo calcolato in 14 miliardi di anni. L’universo ha una certa età a somiglianza di ciascuno di noi.  Ma se il tempo ha avuto un inizio vuol dire che allora il mondo stesso ha cominciato ad esistere, giacchè dove c’è il tempo c’è la materia e dove non c’è la materia non c’è il tempo. L’istante nel quale il tempo ha cominciato a scorrere coincide con l’istante nel quale il mondo ha cominciato ad esistere.

La teoria del Big Bang è nata come logica spiegazione dell’espansione dell’universo, scoperta nel secolo scorso. Si potrebbe fare un esempio molto semplice di come è nato l’universo. Potremmo pensare all’esplosione di una bomba (non per nulla si parla di big bang, che vuol dire grossa esplosione). Quando una bomba esplode in un dato punto dello spazio, le schegge vengono proiettate con una certa  velocità in tutte le direzioni, in modo tale che esse, nel lanciarsi nello spazio si distanziano fra di loro in una certa direzione e in un certo tempo.

Ebbene, noi sulla terra siamo una di queste schegge, per cui, misurando il crescere nel tempo della distanza da noi dagli altri corpi celesti, calcolando il tempo impiegato in questo moto e supponendo una velocità costante delle schegge, ci siamo accorti altresì del provenire dei corpi celesti da un medesimo punto di partenza, appunto come se fossero le schegge di una bomba esplosa. Ora, calcolando il tempo del distanziamento fra i corpi celesti, nella supposizione di una velocità costante nostra e degli altri corpi celesti, non è stato difficile calcolare quando e dove è avvenuta l’esplosione.  

Fine Seconda Parte (2/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 4 novembre 2024


Il finito è il fine o bene appetibile dall’agente; è il bene al quale tende l’agente; è ciò che l’agente buono vuol fare o desidera secondo le sue forze, che sono a loro volta finite e limitate; il fine, si suppone buono, è ciò che è voluto o sperato o posseduto dalla volontà; è ciò per cui o a causa di cui l’agente agisce. La fine è il punto di arrivo del finito, il punto terminale insuperabile, col quale il finito finisce, ha fine, termina e non va oltre.

Diverso è l’Infinito divino. Esso non è un oltre successivamente superabile, che sempre di nuovo riappare ogni volta che facciamo una nuova scoperta, non è un oltre provvisorio e attingibile, che viene sostituito da un altro oltre, ma è un oltre fermo e stabile una volta per tutte e che qui, noi finiti non potremo mai comprendere o calcolare, ma un giorno potremo vedere e adorare tutto, ma non totalmente per sempre.  È questa la visione beatifica di Dio promessa dalla fede cristiana.

Immagine da Internet

5 commenti:

  1. Carissimo p. Giovanni le mando alcuni passaggi presi dall’articolo di Carlo Rovelli e Giuseppe Tanzella-Nitti pubblicato sul «Corriere della Sera» il 22 marzo 2024 i quali criticano la teoria del disegno intelligente contenute nel libro di Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies: «Dio. La scienza. Le prove
    “Come ci ripetono all’unisono i migliori scienziati e i migliori teologi, cercare prove per le verità della Fede nella scienza è una sciocchezza. Su ben altri livelli può svolgersi un dialogo proficuo fra le diverse forme del nostro pensiero o della nostra spiritualità.
    Recentemente, va di moda un presunto argomento scientifico che intenderebbe fornire le prove dell’esistenza di Dio. A detta di alcuni, certi risultati in fisica e cosmologia mostrano che l’universo che vediamo debba emergere da un «disegno intelligente». Proviamo a riassumere alcuni passi di questo argomento
    Ora, diversi lavori scientifici hanno mostrato che se queste costanti avessero valori diversi da quelli che hanno, il mondo come lo conosciamo non esisterebbe. Fenomeni molto generali, come la nascita e la vita delle stelle, o la possibilità della biosfera come la conosciamo, o addirittura l’espansione stessa dell’universo, non sarebbero potuti avvenire se queste costanti avessero avuto un valore diverso da quello che hanno. In alcuni casi, si può mostrare che basterebbe una minutissima variazione di queste costanti per rendere impossibili i fenomeni che conosciamo. Non abbiamo idea di come sarebbe l’universo se queste costanti avessero un valore diverso. L’universo è di gran lunga troppo complicato per poterlo «prevedere» sulla base delle sole equazioni fondamentali.
    Il termine che si usa comunemente per descrivere questo fatto è il termine inglese fine tuning, che significa «regolazione fine». Le costanti fisiche fondamentali, si dice, sono «finemente regolate» per dare l’universo come lo conosciamo. Fin qui, è tutto corretto. Ora viene l’argomento sbagliato. È sorprendente — secondo questo argomento — che le costanti siano così finemente regolate proprio per dare l’universo come lo conosciamo, che include noi stessi: ne segue che ci deve essere stato qualcuno che le ha regolate a questo scopo. Qualcuno con un disegno estremamente intelligente, che ha lanciato il mondo proprio con queste costanti, finissimamente regolate affinché il mondo sia quello che è, noi compresi. Questo è l’argomento del disegno intelligente. Qualcuno scrive che molti scienziati prendono l’argomento del disegno intelligente sul serio. Non è vero. C’è qualche scienziato che dà credito a simili argomenti, ma rispetto alle decine di migliaia di scienziati nel mondo si tratta di sparute eccezioni, spesso motivate da un sincero — ma maldestro — tentativo di difendere le rispettive lealtà religiose. La pressoché totalità degli scienziati considera l’argomento del disegno intelligente sbagliato.
    Se la struttura e l’evoluzione dell’universo rispondono all’intenzione di un Dio Creatore, ciò non può essere dedotto dalle osservazioni e dalle misure proprie del metodo scientifico, ma può essere solo ipotizzato in base ad altre fonti di conoscenza, non strettamente empirica. Non si può accedere alle intenzioni di una persona solo misurando le tracce lasciate dalle sue scarpe. Per individuare l’esistenza di un assassino a Sherlock Holmes non bastano gli indizi misurabili, ma ha bisogno di ipotizzare un movente, una finalità personale e intenzionale, non accessibile dal piano empirico.
    Infine, soprattutto, tutto ciò non è una critica a chi desidera leggere il mondo come l’espressione di un Dio Creatore. A nostro giudizio, questa lettura del mondo esiste su un altro piano, estetico, esistenziale, teologico, che può essere profondamente significativo e importante nella nostra interiorità. È la sciocca commistione di religione e scienza, che qui critichiamo, da scienziato e da teologo. Ci sembra tradisca tanto la razionalità scientifica, quanto la profondità e la ricchezza dell’esperienza religiosa.

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    1. Caro Anonimo,
      riporto il testo da lei inviato, con le mie risposte.

      1) “Carissimo p. Giovanni le mando alcuni passaggi presi dall’articolo di Carlo Rovelli e Giuseppe Tanzella-Nitti pubblicato sul «Corriere della Sera» il 22 marzo 2024 i quali criticano la teoria del disegno intelligente contenute nel libro di Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies: «Dio. La scienza. Le prove
      “Come ci ripetono all’unisono i migliori scienziati e i migliori teologi, cercare prove per le verità della Fede nella scienza è una sciocchezza.”
      R. 1)
      I due autori del libro, che ho commentato, non cercano affatto delle prove per la verità della fede nella scienza. Essi fanno semplicemente un lavoro filosofico, che giunge a conclusioni filosofiche.
      Infatti considerano il mondo dal punto di vista filosofico e, applicando il principio di causalità, giungono ad una conclusione di teologia naturale ossia alla conclusione dell’esistenza di Dio Creatore.
      Per questo i contenuti della fede cristiana restano completamente al di fuori dell’indagine, come è giusto che sia, giacchè, come è ben noto a noi cattolici, le verità della fede cattolica trascendono le capacità della ragione in quanto si tratta di verità divinamente rivelate.

      2) Su ben altri livelli può svolgersi un dialogo proficuo fra le diverse forme del nostro pensiero o della nostra spiritualità.
      Recentemente, va di moda un presunto argomento scientifico che intenderebbe fornire le prove dell’esistenza di Dio. A detta di alcuni, certi risultati in fisica e cosmologia mostrano che l’universo che vediamo debba emergere da un «disegno intelligente». Proviamo a riassumere alcuni passi di questo argomento.
      Ora, diversi lavori scientifici hanno mostrato che se queste costanti avessero valori diversi da quelli che hanno, il mondo come lo conosciamo non esisterebbe. Fenomeni molto generali, come la nascita e la vita delle stelle, o la possibilità della biosfera come la conosciamo, o addirittura l’espansione stessa dell’universo, non sarebbero potuti avvenire se queste costanti avessero avuto un valore diverso da quello che hanno. In alcuni casi, si può mostrare che basterebbe una minutissima variazione di queste costanti per rendere impossibili i fenomeni che conosciamo. Non abbiamo idea di come sarebbe l’universo se queste costanti avessero un valore diverso.
      R. 2)
      La cosa che ci riempie di stupore è come l’universo, pur possedendo delle energie di smisurata grandezza, agisce nei nostri confronti con una meravigliosa delicatezza, del tutto adatta alle esigenze della nostra personalità fisica, consentendo la nostra vita spirituale.
      Pensiamo per esempio alla temperatura di migliaia di gradi esistente nel sole. Eppure i raggi calorifici che arrivano sulla terra sono regolati in una scala adatta alla vita. Ora questo fenomeno manifesta chiaramente che la causa efficiente dei raggi solari nasconde l’azione di una entità intelligente, la quale, conoscendo la dignità della persona umana, fa agire la materia in modo da consentire l’esercizio nell’uomo delle sue facoltà spirituali.
      Deve dunque trattarsi di una personalità sovraumana, che possiamo senz’altra definire divina e chiamare col nome di Dio. Dio Creatore? Qui il problema è più delicato, perché non si tratta soltanto di determinare le condizioni materiali necessarie all’esercizio delle attività intellettuali, ma c’è il problema dell’esistenza dell’uomo e dell’universo. Qui rimando alle mie osservazioni circa gli argomenti portati dai due autori del libro.

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    2. 3) L’universo è di gran lunga troppo complicato per poterlo «prevedere» sulla base delle sole equazioni fondamentali.
      Il termine che si usa comunemente per descrivere questo fatto è il termine inglese fine tuning, che significa «regolazione fine». Le costanti fisiche fondamentali, si dice, sono «finemente regolate» per dare l’universo come lo conosciamo. Fin qui, è tutto corretto. Ora viene l’argomento sbagliato. È sorprendente — secondo questo argomento — che le costanti siano così finemente regolate proprio per dare l’universo come lo conosciamo, che include noi stessi: ne segue che ci deve essere stato qualcuno che le ha regolate a questo scopo. Qualcuno con un disegno estremamente intelligente, che ha lanciato il mondo proprio con queste costanti, finissimamente regolate affinché il mondo sia quello che è, noi compresi. Questo è l’argomento del disegno intelligente.
      R. 3)
      Questo discorso è molto simile al precedente, fondato sul riferimento a un disegno intelligente, che suppone una intelligenza organizzatrice. Ora io direi che anche qui il procedimento logico induttivo, come passaggio dall’effetto alla causa, è del tutto rigoroso e plausibile.

      4) Qualcuno scrive che molti scienziati prendono l’argomento del disegno intelligente sul serio. Non è vero. C’è qualche scienziato che dà credito a simili argomenti, ma rispetto alle decine di migliaia di scienziati nel mondo si tratta di sparute eccezioni, spesso motivate da un sincero — ma maldestro — tentativo di difendere le rispettive lealtà religiose. La pressoché totalità degli scienziati considera l’argomento del disegno intelligente sbagliato.
      R. 4)
      E’ evidente che se uno scienziato possiede un retroterra mentale di carattere empirista, positivista, agnostico, ateo, panteista, buddista, taoista e brahmanico, si rifiuterà di riconoscere l’attività della suddetta personalità intelligente sovramondana organizzatrice di quelle regolarità dell’universo che consentono la vita spirituale dell’uomo. Ma questo, che cosa significa? Significa che le visioni di fondo di questi scienziati, per quanto essi possano essere competenti nel loro campo, non consentono a loro di applicare in modo metafisico il principio di causalità per giungere alle conclusioni alle quali sono giunti gli autori di questo libro, coome ho spiegato nel mio articolo.

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  2. Grazie come sempre p. Giovanni per la chiarezza delle sue risposte e mi perdoni semi son dimenticato di firmarmi. Sono don Vincenzo.

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    1. Caro Don Vincenzo,
      in quello che lei mi ha scritto, anche se non erano parole di suo pugno, ho comunque riconosciuto la sua sensibilità anche nei confronti di coloro che ci contestano, offrendomi la possibilità di rispondere alle loro obiezioni.

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