Cartesio e la Chiesa

 

Cartesio e la Chiesa

Nessuno può porre un fondamento diverso

da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo

I Cor 3,11

Nel 1663 le opere di Cartesio furono messe all’Indice; ma la Chiesa non ha mai fatto un elenco degli errori di Cartesio. Ciò fu fatto da allora fino ai nostri giorni dai tomisti, come per esempio Giovanni di San Tommaso, Zigliara, Liberatore, Gredt, Fabro, Schwalm, Olgiati, Cordovani, de Tonquédec, Kuiper, Simon, Zacchi, Toccafondi, Maritain, Gilson, Tyn, Livi.

L’attrattiva che suscita Cartesio è data dal fatto che i cartesiani, sin dal sorgere della sua filosofia, con una costante ed abile campagna propagandistica sono riusciti ad accreditare presso molti le sue idee come la «filosofia moderna», facendo credere, quindi che la precedente filosofia tomista fosse superata per non dire falsa e illusoria.

La cosa che a tutta prima stupisce e appare paradossale è il successo che Cartesio ottenne subito e fino ha ottenuto ai nostri giorni fra i luterani tedeschi. Ci si domanda: ma come è stato possibile che un razionalista come Cartesio abbia fatto tanta fortuna presso i seguaci del ben noto odiatore della ragione e della filosofia?  

Se riflettiamo bene alle implicanze delle idee di Lutero e di Cartesio, ci accorgeremo di come sono andate le cose. Lutero apprezzava sì il realismo biblico, ma ciò che supremamente gli stava a cuore era il proprio io, la sua propria salvezza, avere e sentire Dio con sé. Quindi nel fondo di questo apparente realismo c’era una forma di soggettivismo, che si manifesta con l’idea luterana di coscienza come fonte assoluta di verità, divina rivelazione superiore e antitetica al dogma cattolico.

Ora il cogito di Cartesio era proprio quello che faceva comodo, perchè anche il cogito è una forma di soggettivismo sul piano della ragione. Resta però la domanda: se per i luterani la fede è un’esperienza immediata senz’alcun contatto con l’aborrito Aristotele, con la scolastica o col dogma cattolico, per quale motivo hanno accettato il razionalista Cartesio? Per il fatto che l’autocoscienza cartesiana si sposava benissimo col concetto luterano della fede.  

Così i luterani, come è evidente in Hegel, chiamano «ragione» quella che per Lutero è la fede. E ciò che con disprezzo Lutero chiamava «ragione» divenne il realismo aristotelico-tomista. Solo che se per Lutero l’oggetto di fede restava soprannaturale, in Hegel viene ridotto a meccanismo dialettico.

Tuttavia Hegel resta luterano nel negare la concezione cattolica della ragione come via alla fede, mentre in entrambi la verità assoluta e divina è un immediato: Lutero la chiama fede[1], Hegel la chiama ragione. Lutero arriva alla fede negando la ragione. Hegel vede nella fede e nella religione una figura (Vorstellung) della ragione (denken) e della filosofia.

Per Hegel ciò che la fede crede, la ragione lo spiega. Per Lutero ciò che la fede crede, la ragione lo nega. Cartesio serve ad Hegel per ridurre la fede a ragione, sicchè in Hegel la ragione prende il posto di quella che per Lutero è la fede: la scienza divina.

Così Lutero, per soddisfare il suo desiderio teologico egocentrico, solo apparentemente mistico[2], non esitava a rifiutare il magistero della Chiesa, che disciplinava la sua ragione e lo esortava alla modestia, e lo stimolava ad uscire da se stesso nella carità e a porre Dio al di sopra dei suoi interessi o gusti personali.

L’astuzia di Cartesio fu quella di convincere molti che la sua filosofia sostituiva Aristotele nella fondazione della metafisica e della verità, dando ad intendere che forniva le vere prove dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima. Dunque una filosofia definitiva applicando la quale – così prometteva Cartesio - l’uomo avrebbe potuto diventare pienamente signore della natura.

In effetti siamo debitori a lui degli immensi progressi moderni della tecnica. Ma a prezzo della perdita del senso dell’essere, senza il quale, come osserva giustamente il Padre Fabro, precipitiamo nel nichilismo ovvero, come osserva il Maritain, se da una parte l’umanità padroneggia oggi tecnicamente la natura, dall’altra, si ritrova

 

«indebolita e disorientata davanti alle realtà intellegibili, alle quali l’umiltà di un’intelligenza sottomessa all’essere l’associava per il passato; per lottare contro i corpi è attrezzata come un dio; per lottare contro gli spiriti ha perduto tutte le sue armi e le leggi senza pietà dell’universo metafisico la stritolano beffardamente»[3].

Cartesio divise la persona umana in due sostanze contrapposte. Dubitò della veracità dei sensi. Voleva sostituire il cogito al principio di non-contraddizione. Ritenne come possibile l’esistenza di un «genio maligno» che ci inganna su tutto. Pose come oggetto della metafisica non l’ente ma l’io. Sostituì alla morale naturale la «morale provvisoria». Credette innata l’idea di Dio. Insomma, un disastro. Eppure molti lo hanno preso sul serio, come fondatore della «filosofia moderna».

Col suo cogito volle risolvere il problema della verità non con l’intelletto ma con la volontà e pose le premesse della produzione dell’essere da parte del pensiero, punto che sarà esplicitato da Fichte due secoli dopo. Pretendeva inoltre assurdamente di dimostrare l’esistenza della realtà esterna, dato immediato dei sensi.

Ma per accorgersi dell’impostura della sua proposta filosofica sarebbe bastato considerare la stoltezza del motivo che aveva spinto Cartesio a farla: la sua convinzione che fino al suo tempo l’umanità non aveva trovato il vero fondamento primo della certezza e quindi della verità e del sapere, ma era vissuta nelle apparenze e nelle illusioni.

Molti non si accorsero che questo era un attacco diretto non solo contro la ragione, ma contro la stessa fede cattolica e il bello era che Cartesio pretendeva di parlare in nome della ragione assicurando che a lui non interessava altro che la verità e che intendeva fare un’opera apologetica a favore del cristianesimo.

In realtà l’empietà di Cartesio consiste nel fatto che egli, con la pretesa del suo cogito di mettere in dubbio o di mutare o invalidare il fondamento del sapere definitivamente ed inconfutabilmente stabilito da Aristotele[4] o di trovare quello vero e sicuro, viene, con l’atteggiamento tipicamente gnostico di chi crede di conoscere la verità meglio di Cristo, a rinnegare di conseguenza indirettamente Gesù Cristo, che viceversa è quel Fondamento divino, assoluto e incrollabile che è già posto ab aeterno e sul quale soltanto si deve costruire per camminare sicuri sulla via della verità e della virtù.

Chi esamina quindi con attenzione la filosofia di Cartesio si accorge che essa non solo non ha fatto progredire la filosofia, ma l’ha fatta retrocedere all’epoca della sofistica greca di Protagora, a suo tempo confutato da Aristotele, il quale è il vero fondatore della metafisica, la quale, una volta posta, per la sua originaria certezza, fondamentale verità, incontrovertibile saldezza e perenne immutabilità, non ha bisogno di alcuna riforma o rifondazione, come pretese fare Cartesio, ma dev’essere appresa, insegnata, conservata e fatta indefinitamente progredire in una sempre migliore conoscenza  dei suoi sconfinati orizzonti di intellegibilità.

Cartesio non ha modernizzato o fatto progredire la filosofia, ma, come hanno dimostrato i tomisti, l’ha falsificata alla radice. Non ha irrobustito la ragione, ma l’ha distrutta, rendendo così impossibile la fede cristiana e, come ha dimostrato Fabro[5], ponendo le basi e i presupposti teoretici del moderno nichilismo e ateismo.

La vera filosofia moderna, conciliabile con la fede cattolica, ed auspicata dal Concilio Vaticano II, non si costruisce su base cartesiana e neppure utilizzando l’idealismo tedesco nato da Cartesio, come crede di poter fare Rahner, ma si costruisce su base tomistica, di un tomismo, come prescrive il Concilio, che sappia assumere i valori della modernità scartandone e confutandone gli errori.

L‘errore dei modernisti di ieri e di oggi, che merita la nostra condanna, non sta nell’esigenza in sé giusta di ammodernare e far progredire la filosofia cristiana, ma nel fatto che essi, anziché vagliare la modernità alla luce del Vangelo assumendo il positivo e respingendo il negativo, scelgono dal Vangelo solo quello che piace ai cartesiani e postcartesiani.

D’altra parte è da evitare anche l’errore di quei tomisti i quali, fermi ancora all’impostazione preconciliare, si lasciano sedurre, magari col pretesto della tradizione da quel lefevrismo che si oppone in modo indiscriminato, acritico e frontale alla modernità, come se essa non fosse altro che un cumulo di eresie e di bestemmie, ignorando quella parte di verità che resta in Cartesio ed è presente nei suoi seguaci fino ad oggi.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 28 agosto 2024

L’astuzia di Cartesio fu quella di convincere molti che la sua filosofia sostituiva Aristotele nella fondazione della metafisica e della verità, dando ad intendere che forniva le vere prove dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima. Dunque una filosofia definitiva applicando la quale – così prometteva Cartesio - l’uomo avrebbe potuto diventare pienamente signore della natura.

In effetti siamo debitori a lui degli immensi progressi moderni della tecnica. Ma a prezzo della perdita del senso dell’essere.

Ma per accorgersi dell’impostura della sua proposta filosofica sarebbe bastato considerare la stoltezza del motivo che aveva spinto Cartesio a farla: la sua convinzione che fino al suo tempo l’umanità non aveva trovato il vero fondamento primo della certezza e quindi della verità e del sapere, ma era vissuta nelle apparenze e nelle illusioni.

Chi esamina quindi con attenzione la filosofia di Cartesio si accorge che essa non solo non ha fatto progredire la filosofia, ma l’ha fatta retrocedere all’epoca della sofistica greca di Protagora, a suo tempo confutato da Aristotel.

La vera filosofia moderna, conciliabile con la fede cattolica, ed auspicata dal Concilio Vaticano II, non si costruisce su base cartesiana e neppure utilizzando l’idealismo tedesco nato da Cartesio, come crede di poter fare Rahner, ma si costruisce su base tomistica, di un tomismo, come prescrive il Concilio, che sappia assumere i valori della modernità scartandone e confutandone gli errori.


Immagine da Internet: - Ravenna, Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, Civitas Classis, particolare


[1] Si tratta di un concetto falso di fede, perché in realtà la fede è un sapere mediato dal predicatore.

[2] Ricardo García-Villoslada, nella sua pur bella e ricca opera su Lutero, sbaglia nel qualificare nel primo volume Lutero come «il frate assetato di Dio» (Istituto Propaganda Libraria, Milano 1982). No, come dimostrò Lutero dalla sua ribellione a Roma, la «sete di Dio» era in realtà la copertura del desiderio di affermare se stesso. Del resto, lo stesso Villoslada, mettendo a titolo del secondo volume “la lotta contro Roma», si smentisce, giacchè come fa un vero assetato di Dio e ribellarsi al Papa?

[3] Tre Riformatori. Lutero Cartesio Rousseau, Morcelliana, Brescia, 1964, pp.118-119.

[4] Nel famoso IV libro della Metafisica. Vedi anche il commento che ne fa San Tommaso. Qui troviamo il vero fondamento primo, universale ed evidente dell’umana ragione, della scienza e, per conseguenza, della virtù morale.

[5] Introduzione all’ateismo moderno, Edizioni EDIVI, Roma 2013.

4 commenti:

  1. Per Lefebvre e Viganò la verità assoluta e divina è anche un immediato, come per Lutero e Hegel: Lefebvre e Viganò la chiamano tradizione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Dino,
      Lefebvre e Viganò sono due vescovi cattolici, i quali sanno benissimo che la Sacra Tradizione non è oggetto di una intuizione immediata, ma, trattandosi di verità di fede, è un patrimonio di conoscenza mediato appunto dalla fede.
      Il problema che essi pongono non è questo, ma è il concetto sbagliato che hanno di tradizione, che essi oppongono ingiustamente alle dottrine del Concilio, come se esse fossero contrarie alla Tradizione.
      Per quanto invece riguarda Lutero e Hegel, il discorso è diverso. Avendo rotto con la Chiesa Cattolica, Lutero non teneva conto della Tradizione, ma si era fermato soltanto sulla fede, che egli considerava effettivamente una verità assoluta immediatamente intuitiva.
      Quanto a Hegel, è vero che per lui la verità assoluta è un immediato, con la differenza che Hegel pone la ragione al posto della fede, mentre per lui la fede è solo un simbolo della ragione.

      Elimina
  2. Padre, la ringrazio per la sua spiegazione e credo di aver capito quello che mi ha detto. Tuttavia, io cercavo di riferirmi al fatto che sia Lefebvre che Viganò sembrano supporre una conoscenza immediata della Tradizione (fraintesa, come lei dice) senza la mediazione del Magistero, così come Lutero sembrava supporre una conoscenza immediata della Scrittura, anche senza la mediazione della Chiesa e del suo Magistero.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Dino,
      sono pienamente d’accordo.
      L’errore di Viganò è lo stesso di Lutero, con la differenza che, mentre Viganò si rifà alla Tradizione, Lutero si rifaceva alla Bibbia. Ma nell’uno e nell’altro caso c’è la presunzione di tipo gnostico di sapere meglio del Papa qual è il significato della Tradizione e della Bibbia.
      Per noi cattolici infatti è il Papa a mediarci la Tradizione e la Scrittura, e non possiamo essere noi a giudicare il Papa in base alla Scrittura o alla Tradizione.
      Questo non vuol dire che la parola di Cristo sia controllata dal Papa. È chiaro che noi, in nome di Cristo, in alcune circostanze, dove il Papa non parla come Maestro della Fede, possiamo fare anche un richiamo al Papa in cose dove il Papa esprime solamente pareri personali o dove non parla come Maestro della Fede, ma come Dottore privato.

      Elimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.