Logica binaria e logica ternaria - Logica aristotelica e logica farisaica - Seconda Parte (2/4)

 

Logica binaria e logica ternaria

Logica aristotelica e logica farisaica

Seconda Parte (2/4)

 

La logica evangelica

Cristo non ha cincischiato, non ha tergiversato, non si è barcamenato, non ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte, non ha fatto il doppio gioco, ma ha detto al Padre un sì assoluto e deciso senza oscillazioni o pentimenti, senza riserve, condizioni o tergiversazioni. Questa è la logica di Cristo.

Quale rapporto può esserci fra il sì e il no? Così quale accordo può esserci fra Cristo e Beliar? Conciliare il sì col no non è spirito di concordia, ma doppiezza e slealtà. Non si può conciliare l’inconciliabile. Cristo concilia ciò che può essere conciliato e non l’inconciliabile.

In Cristo, come dice San Paolo, non c’è il sì e il no, ma soltanto il sì. Egli ci impone la scelta: o sì o no. Ma a Dio – ci dice Cristo - non possiamo dire simultaneamente sì e no. Non possiamo servire due padroni: o serviamo Dio o serviamo il diavolo. Cristo ci dice chiaramente: chi non è con me, è contro di me.

Essere per Cristo o non essere per Cristo non è un optional senza conseguenze, come può essere per qualunque altra scelta di una creatura o di un valore creato. Al contrario, ci sono conseguenze della massima importanza o positive o negative.

Davanti a Lui siamo obbligati a scegliere, a Lui dobbiamo rispondere delle nostre azioni. Non possiamo tenerci fuori. Non possiamo dire: non m’interessa, vivo bene lo stesso. No. Tutti noi infatti, prima o poi, in un modo o nell’altro, esplicitamente o implicitamente, direttamente o indirettamente ci incontriamo con Cristo, come del resto siamo tentati dal demonio.

Dunque ecco l’alternativa inevitabile: o col demonio o con Cristo: non possiamo sfuggire. Non vale dire: io non credo né in Cristo né nel demonio. In realtà tutti li incontriamo e dobbiamo scegliere con chi stare, non possiamo non scegliere: o il paradiso o l’inferno o con Dio o contro Dio.

Nessuno ignora che Dio esiste e nessuno ignora la possibilità di rifiutarLo. Tutti sentiamo l’attrattiva che Dio esercita su di noi e tutti sentiamo una tendenza a disobbedirGli. L’agnosticismo, l’ateismo, il panteismo, il nichilismo sono tutte vane costruzioni mentali, della cui falsità siamo i primi noi a renderci conto, nessuno di noi crede seriamente a queste finzioni, eppure le inventiamo nel tentativo di crearci un alibi e sfuggire alle nostre responsabilità.

Cristo e la nostra coscienza ci avvertono che non possiamo nel contempo servire Dio e il mondo, adorare Dio e il nostro io. Non possiamo simultaneamente essere con Cristo e contro Cristo.

Ciò significa che la logica di Cristo è basata sul principio del terzo escluso: tra il dire che una cosa è così e che una cosa non è così, non c’è una terza possibilità: essa va esclusa. Invece la logica ternaria, che è quella farisaica, la logica dell’ipocrisia, include questa terza possibilità, anzi la verità starebbe proprio in questo terzo termine che dice: la cosa è così e non è così.

Tuttavia già Aristotele confuta chi la pensa a questo modo, quando, sempre nel IV libro della Metafisica dimostra che Protagora si confuta da solo, giacchè anche lui per sostenere la sua tesi è costretto a fare appello al principio di non contraddizione.

La logica del Vangelo è certo una logica divina, sublime, misteriosa, apparentemente paradossale e ripugnante alla nostra ragione, ma essa in realtà, come falsamente credeva Lutero, non è contraria e non è nemica alla nostra logica umana fondata da Aristotele e commentata da San Tommaso d’Aquino. 

Lutero riprende la polemica agostiniana contro lo scetticismo, la sofistica e la superbia degli Accademici, chiaro effetto di una ragione corrotta dal peccato originale, ragione schiava delle passioni e apparenze, che sempre cerca e mai trova, e contro i pelagiani, che presumono di ottenere con le loro forze ciò che è solo dono della grazia e della fede.

Agostino non conosceva la logica di Aristotele. Ma il suo buon senso gli faceva aborrire il contradditorio e i trucchi della dialettica degli accademici e considerava bestemmia l’idea che la Parola di Dio potesse essere contradditoria e nemica della ragione. Per questo egli si adopera con somma diligenza nell’uso della ragione per trattare e spiegare tutti i misteri della fede, mostrando la loro credibilità e convenienza con le verità della ragione.

Lutero invece, pur avendo avuto la possibilità di imparare la logica di Aristotele, la intese alla rovescia e preferì quella sofistica di Ockham,  ed accusando di sofistica quella di Aristotele, trova contraddizioni dove non ci sono, per esempio tra la grazia e il merito o fra il sacrificio di Cristo e quello della Messa o fra la verginità e il matrimonio o tra la fede e le opere o tra la Scrittura e il Magistero della Chiesa, mentre non si cura affatto delle assurdità che dice quando pretende negare il libero arbitrio o sostenere la corruzione totale della natura umana o il determinismo universale o la predestinazione all’inferno o la coesistenza del peccato con la grazia o la giustificazione senza il pentimento.

È chiaro che per Agostino la ragione è necessaria per arrivare alla fede. Tutto ciò che le è richiesto è l’umiltà di aprirsi alla verità rinunciando alla superbia dell’amor sui, che conduce al contemptum Dei. Nemica della fede è la superbia, non la ragione come tale, ché anzi la ragione umile del contemptum sui è quella che sola conduce all’amor Dei.

La Parola di Dio certo mette alla prova la nostra ragione, la obbliga ad uno sforzo di comprensione, ma la ragione si accorge che il principio di non-contraddizione è perfettamente rispettato. Quanto  Cristo ci dice non è affatto assurdo, come stoltamente credette Tertulliano, grande ingegno ma presuntuoso, che non a caso ruppe con la Chiesa.

Quanto Cristo ci insegna è misterioso, ma illumina la ragione, si lascia concettualizzare e dire in parole, quelle stesse che ha usato Lui – ecco i dogmi della fede - , se no, non capiremmo nulla,  sarebbe buio totale; Egli invece mette la nostra ragione davanti a un qualcosa di sconfinato e ad un tempo attraente perché ci apre prospettive nuove e inaspettate su Dio e su noi stessi,  ma nel contempo in qualche modo si tratta di qualcosa di ostico per la ragione perchè apparentemente impossibile e ad essa contrario.

Si tratta in realtà di una verità superiore alla nostra ragione, ad un tempo rivelata e nascosta, una verità che ci appare ad un tempo come luce e tenebra, velata e svelata, trasparente oltre il velo e invisibile a causa del velo; una verità che adesso vediamo – secondo le parole di San Paolo - come in uno specchio, con gli occhi della fede, mentre in cielo potremo vedere svelatamente, faccia a faccia.

Pertanto, la ragione retta ed onesta, formata sulla logica binaria della non-contraddizione, dopo attento esame si accorge che quanto Cristo ci insegna è perfettamente possibile, perché non contradditorio, benchè oltrepassi le nostre possibilità e non sappiamo come sia possibile.

Che Dio sia uno e trino, che la persona di Cristo abbia due nature, che Dio infinitamente buono punisca con una pena eterna, che mediante la sofferenza ci liberiamo dalla sofferenza, che per avere la vita eterna dobbiamo mangiare la carne di Cristo, che la salvezza sia ad un tempo gratuita e meritata, che l’astinenza sessuale sia meglio del rapporto sessuale, possono a tutta prima sembrare cose assurde, scandalose, irrazionali, o immorali.

Eppure la teologia scolastica con l’uso della logica binaria del sì,sì, no,no, illuminata dal Magistero della Chiesa, si accorge che in realtà si tratta di stupendi misteri di salvezza, di ordini sapientissimi di un Dio che è solo Amore.

Maria Santissima chiede all’angelo come sia possibile che ella restando vergine possa diventare madre. L’angelo risponde, sì, ma la stessa risposta è misteriosa, certo illumina la ragione, ma lascia intatto il mistero.

La teologia negativa

La logica ternaria con l’abbinamento che fa dell’affermazione con la negazione sembrerebbe avallare un certo metodo teologico dove effettivamente si congiunge l’affermazione con la negazione, che qui però avviene in modo ben diverso, tale da salvare il principio di non-contraddizione.

In più occasioni San Tommaso, ispirandosi all’insegnamento di Dionigi l’Areopagita, indica tre modalità o vie per le quali il nostro intelletto può ascendere a Dio: la mente inizia con l’affermazione dell’esistenza di Dio applicando il principio di causalità. Scoperta l’esistenza di Dio, si occupa di due cose: rimuovere da Lui tutto ciò che non conviene alla sua dignità; e questa è la teologia negativa o apofatica.

In secondo luogo si devono magnificare ed enfatizzare al massimo le eccelse proprietà o attributi dell’essenza divina. È questa la teologia positiva o affermativa, la quale, dopo aver individuato tutte le perfezioni spirituali che possono essere attribuite a Dio, le innalza alla massima eminenza con aggettivi superlativi assoluti, come si conviene all’infinita eccellenza o trascendenza della causa prima rispetto al mondo, per cui si designa Dio come ente perfettissimo, altissimo, santissimo, sapientissimo, clementissimo, bontà, giustizia e misericordia infinite e via discorrendo. Ecco una sintesi fatta da S.Tommaso delle tre modalità di predicazione teologica:

 

«Poiché ascendiamo a Dio partendo dalle creature rimuovendo tutte le cose (in omnium ablatione), oltrepassando (in excessu)  e come causa di tutte le cose (in omnium causa), per questo Dio è conosciuto in tutte le cose, così come è separato da tutte le cose e tutte le supera, poiché tutto ciò che cade nella nostra conoscenza, lo riceviamo come provenuto da Lui; ed ancora è conosciuto per mezzo della nostra ignoranza, in quanto cioè questo stesso è conoscere Dio, che noi sappiamo di ignorare di Dio chi Egli sia» (Comm. Al De div. Nominibus, c. VII, lect. IV, n.731).

Tommaso propone questa triplice via parlando della conoscenza angelica:

 

«La sostanza separata, per mezzo della sua sostanza, conosce di Dio che Egli esiste, che è la causa di tutte le cose; che trascende tutte le cose e che è separato da tutte le cose, non soltanto quelle esistenti, ma anche quelle che possono essere concepite da una mente creata. A questa conoscenza di Dio anche noi in ogni modo possiamo giungere. Tramite gli effetti possiamo infatti sapere che Egli esiste e che è causa delle altre cose, sovrastando alle altre, e separato da tutte.

 

E questo è il vertice e la massima perfezione della nostra conoscenza in questa vita, come dice Dionigi nella sua Teologia mistica, che noi ci congiungiamo a Dio come ad ignoto (quasi ignoto): il che avviene conoscendo di Lui ciò che Egli non è, mentre ciò che è ci rimane del tutto ignoto (penitus ignotum). Per cui per dimostrare tale sublimissima conoscenza per ignoranza di Mosè è detto che entrò nella caligine nella quale era Dio (Es 20, 21)» (Contra Gentes, l. III, c.49).

La preoccupazione di rimuovere da Dio i predicati o gli attributi che non gli si confanno è del tutto doverosa e legittima, perché serve a parlare di Dio il meno indegnamente possibile e a distinguere Dio da ciò che non è Dio, e quindi tiene lontano dall’idolatria e dal panteismo.

Seguendo Dionigi, Tommaso sostiene che mentre le negazioni riguardo all’essenza di Dio sono senz’altro vere, le affermazioni non sono false e tuttavia sono «incompactae», incompatte, non compatte, ossia tali per cui il soggetto non è saldamente unito al predicato della proposizione. Dice l’Aquinate:

 

«Dionigi dice che le negazioni di questi nomi sono vere quando sono riferite a Dio; tuttavia non dice che le affermazioni sono false, ma che sono incompatte (incompactas): per quanto riguarda infatti la realtà significata, si attribuiscono con verità a Dio, perché in qualche modo sono in Lui; … ma quanto al modo che esse significano, rapportate a Dio, si possono negare. Infatti, uno qualunque di questi nomi significa una forma definita, e così a Dio non vengono attribuiti.

 

E così da un punto di vita assoluto si possono negare di Dio, perché non convengono a Dio nel modo significato. Infatti il modo significato si riferisce al modo col quale quei contenuti sono nel nostro intelletto. … ma a Dio convengono in un modo più sublime, per cui l’affermazione si dice incompatta a causa del diverso modo di significazione» (De pot., q.7, a.5, 2m).

Quando attribuiamo a Dio qualche qualità o proprietà, dobbiamo negare che essa gli convenga nel modo col quale noi affermiamo quella qualità o proprietà nelle creature. Riprendendo il pensiero di Proclo, Tommaso afferma:

 

«“La causa prima è al di sopra della narrazione”. Per “narrazione” bisogna intendere l’affermazione, perché tutto ciò che noi affermiamo di Dio non Gli conviene secondo ciò che è da noi significato. Infatti i nomi da noi imposti significano secondo il modo col quale noi intendiamo, modo che l’essere divino trascende» (Comm. al De causis di Proclo, Prop. VI, lect.VI, n.161).

Fine Seconda Parte (2/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 28 febbraio 2025

Ecco una sintesi fatta da San Tommaso delle tre modalità di predicazione teologica:

«Poiché ascendiamo a Dio partendo dalle creature rimuovendo tutte le cose (in omnium ablatione), oltrepassando (in excessu)  e come causa di tutte le cose (in omnium causa), per questo Dio è conosciuto in tutte le cose, così come è separato da tutte le cose e tutte le supera, poiché tutto ciò che cade nella nostra conoscenza, lo riceviamo come provenuto da Lui; ed ancora è conosciuto per mezzo della nostra ignoranza, in quanto cioè questo stesso è conoscere Dio, che noi sappiamo di ignorare di Dio chi Egli sia» (Comm. Al De div. Nominibus, c. VII, lect. IV, n.731).

Tommaso propone questa triplice via parlando della conoscenza angelica:

«La sostanza separata, per mezzo della sua sostanza, conosce di Dio che Egli esiste, che è la causa di tutte le cose; che trascende tutte le cose e che è separato da tutte le cose, non soltanto quelle esistenti, ma anche quelle che possono essere concepite da una mente creata. A questa conoscenza di Dio anche noi in ogni modo possiamo giungere. Tramite gli effetti possiamo infatti sapere che Egli esiste e che è causa delle altre cose, sovrastando alle altre, e separato da tutte.


E questo è il vertice e la massima perfezione della nostra conoscenza in questa vita, come dice Dionigi nella sua Teologia mistica, che noi ci congiungiamo a Dio come ad ignoto (quasi ignoto): il che avviene conoscendo di Lui ciò che Egli non è, mentre ciò che è ci rimane del tutto ignoto (penitus ignotum). Per cui per dimostrare tale sublimissima conoscenza per ignoranza di Mosè è detto che entrò nella caligine nella quale era Dio (Es 20, 21)» (Contra Gentes, l. III, c.49).


Immagine da Internet:
- San Paolo all’Areòpago, Arazzo, Pietro Lefebvre, XVII sec. su cartone di Raffaello Sanzio.
- Mosè e il roveto ardente, Sébastien Bourdon

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