Tu che sei uomo ti fai Dio - Il mistero della divinità di Cristo - Parte Prima (1/3)

 

 

Tu che sei uomo ti fai Dio

Il mistero della divinità di Cristo

Parte Prima (1/3)

 

Alzatevi, porte antiche, ed entri il Re della gloria

Sal 24,7

 

Consustantialem Patri

 

Guai all’uomo che confida nell’uomo

Ger 17,5

 

La peculiarità del cristianesimo rispetto a tutte le altre religioni

La religione cristiana si distingue da tutte le altre religioni per il fatto che pretende di essere monoteistica, ma sostiene che Dio esiste in tre persone e che esiste una persona divina, Gesù Cristo, che in tutta l’umanità è l’unico uomo che possiede due nature, la natura umana e la natura divina tra di loro unite, ma senza confusione.

Tutte le altre religioni o sono monoteistiche, come l’ebraismo e l’islamismo, rifiutando però il Dio cristiano visto come assurdità o bestemmia, oppure sono panteiste, come il bramanesimo e il buddismo o sono politeiste, come il paganesimo greco o romano, o sono idolatriche, come il culto degli astri o di Pachamama. 

Concepire, infatti, un solo Dio, causa di tutte le cose, è cosa ragionevole, sulla quale tutti possono convenire, solo che si domandino il perché dell’esistenza delle cose, e lo avevano fatto già i pagani Platone e Aristotele. Confondere lo spirito umano con quello divino, come fa il panteismo, lo si può capire, dato che nell’uno come nell’altro caso sempre di spirito si tratta.

Ora, poiché lo spirito per sua natura possiede una certa infinità, è comprensibile identificare e confondere lo spirito finito con lo spirito infinito. come fa Hegel, il quale peraltro crede che in ciò consista la religione cristiana. Per lui la religione cristiana è quella religione che rende l’uomo cosciente di essere Dio, perché per lui l’essenziale di ciò che Cristo ha rivelato e vissuto personalmente è proprio questo. E ciò Hegel non lo pone nella luce del sapere, giacchè è troppo chiaro che io non posso eguagliare il sapere di Dio, ma del volere, nel senso che per Hegel il cristianesimo è la religione della libertà. E sotto questo punto di vista l’uomo, per il fatto di potersi regolare come vuole, può effettivamente credere di godere di quella libertà assoluta, che è propria di Dio.

Aggiungi la tendenza dell’uomo alla superbia e all’egocentrismo e comprendiamo come possano esistere uomini che credono di essere Dio. Gesù fu appunto accusato da alcuni suoi contemporanei di essere uno di questi. Oggi, con la diffusione dell’hegelismo[1], magari volgarizzato nel rahnerismo, il fatto che qualcuno si consideri Dio non desta un particolare scalpore, ed anzi  può anche vedersi assegnata una cattedra di teologia. Non così era ai tempi di Gesù. Esistevano severissime pene per chi osava ritenersi Dio. Tuttavia i suoi contemporanei non si accorsero che Gesù aveva pieno diritto di ritenersi Dio, perché lo era veramente.

D’altra parte, coloro che sono sensibili al pluralismo, alla molteplicità e alla diversità, e trovano difficoltà nel pensiero metafisico, faticano a concepire un solo Dio dall’essenza assolutamente semplice, che assommi in sé tutte le perfezioni, sulla base della nozione dell’essere e di un concetto universale ed astratto di divinità, che prescinda da possibili modi diversi di concepire Dio, così come avviene nelle diverse religioni. Non è facile concepire un Dio che contenga tutte le perfezioni e tutti i valori e siamo piuttosto portati a considerare come diversi dèi i diversi valori.

Il concetto di un Dio unico, che sarebbe il proprio, pare ad alcuni una violenza fatta ad altre religioni e al loro Dio, la pretesa di rendere universale un Dio che è solo il proprio Dio. Per questo un’associazione come la massoneria, di orientamento vagamente deistico modellato sul razionalismo kantiano, relativizza tutte le religioni rivelate, credendo con ciò di mostrarsi liberale e di ampie vedute.

Qualcosa del genere avviene nel brahmanesimo, dove però non c’è alcuna difficoltà a identificare l’io umano con quello divino, perché questo è secondo questa religione il proprio io vero, originario e profondo. Il brahmanesimo non vede Dio come un Tu, ma come un Io. Esso quindi vede in Cristo semplicemente una delle diverse apparizioni empiriche di Brahman, come quelle delle altre religioni.

Gli antichi Romani furono politeisti,

ma alla ricerca di un Dio universale per tutti

Gli antichi Romani, che avevano un’esigenza di universalità e di abbracciare tutti i popoli («tu regere populos, Romane, memento», diceva Virgilio), percepivano questa esigenza come un preciso dovere di rispetto verso tutti i popoli, la sentivano come apertura mentale e larghezza di vedute, per meritare di governare tutti i popoli.

Per questo istituirono il famoso Pantheon, che radunasse non solo gli dèi di Roma, ma anche quelli dei popoli conquistati. Roma non pretendeva di imporre i propri dèi agli altri popoli, però esigeva che accettassero il compito che essa si era assegnato per ispirazione dei suoi dèi, di organizzare una convivenza pacifica e giusta di diversi popoli con i loro dèi sotto il suo impero.

Ma come si rivelò il vizio nascosto sotto questa impresa. che aveva indubbi aspetti di generosità e di giustizia? Che quando i Romani s’imbatterono nel Dio degli Ebrei, che questi concepivano come l’unico vero Dio, che doveva dominare anche su Roma ed escludeva tutti gli altri dèi, i Romani non accettarono questa pretesa, perché ai loro occhi sembrava intollerabile che un popolo insignificante come l’ebraico pretendesse di imporre a tutto l’Impero Romano il suo Dio, un Dio unico Dio, estraneo al pluralismo e alla diversità, un Dio invisibile, puramente spirituale, concepibile con la sola mente («sola mente»), come osservò Tacito, senza essere percepibile dai sensi o rappresentabile plasticamente.

Gli Ebrei e in seguito i cristiani, col loro Dio unico, che escludeva ogni altro dio. disprezzando lo zelo dal quale Roma era animata di provvedere a tutti i popoli insieme con i loro dèi, diventarono odiosi agli occhi dei Romani. Da qui le persecuzioni. Fu solo Costantino che capì che il Dio degli Ebrei non era un Dio particolare fra gli altri, che poteva stare alla pari degli altri, ma era quel Dio che in fondo Roma, col suo jus gentiium, aveva sempre cercato confondendolo col potere assoluto dell’Imperatore, ossia l’idea di un potere dispotico, che non proveniva dall’idea della Repubblica Romana, ma dal dispotismo orientale.

I termini del problema

Gesù parla di sé in tante occasioni e in tanti modi che si capisce benissimo che Egli si mette alla pari di Dio o si considera Dio, anche se non dice mai espressamente «Io sono Dio». I farisei e i dottori della legge, che conoscevano bene la Scrittura e con quanta cura essa distingue la natura umana dalla natura divina, rimangono scandalizzati e lo considerano un bestemmiatore, un esaltato e un folle presuntuoso corruttore d’Israele.

Temevano che il moto suscitato da Gesù, giudicato dai Romani una pericolosa superstizione, avrebbe aggravato il dominio di Roma su Israele. Altro che Messia liberatore annunciato dai profeti! È per questo motivo che lo condannano a morte. Ed ancor oggi quegli Ebrei che condividono il giudizio di coloro che decretarono la morte di Cristo, mantengono il medesimo giudizio su di Lui e si rifiutano di credere in Lui come Messia e Salvatore d’Israele e dell’umanità.

Ma la difficoltà nel capire chi era Gesù sta nel fatto che Egli presenta se stesso sì come Dio e compie opere che solo Dio può fare, ma nel contempo dà testimonianza chiarissima di essere un individuo umano perfettamente normale e sano di mente, logico, onesto e persuasivo nel suo ragionare, pieno di buona volontà, prudente e saggio nei suoi giudizi e nei suoi insegnamenti morali, tutto dedito al culto di Dio e al bene degli altri, rispettoso delle autorità civili e religiose, osservante della Legge, pieno di tutte le virtù,  con le necessità fisiche proprie di ogni uomo, limitato nelle sue forze e nelle conoscenze come ogni altro essere umano, tanto da chiedere aiuto agli altri o da far domande a volte agli altri per informarsi su certe cose.

Il problema che però sorge nel capire chi era Gesù nasce dal fatto che da una parte Egli si presenta come Dio, ma dall’altra intrattiene con Dio Padre un rapporto come se egli non fosse Dio, ma un semplice uomo.

Ci potremmo infatti domandare: se Gesù è Dio, come può rivolgersi a Dio come se fosse un altro da Lui? Quando Gesù si comporta in questo modo, evidentemente mette in azione la sua umanità e non la sua divinità. non perché egli avesse necessità di ciò appunto perché in quanto Dio avrebbe potuto fare a meno di questo atteggiamento umano, ma per insegnare a noi come dobbiamo rapportarci a Dio e in particolare come figli di Dio a Dio Padre.

Non solo, ma nel contempo Gesù si presenta come «Figlio di Dio», nato dal Padre «prima che il mondo fosse», dunque ab aeterno. Ma chi può esistere ab aeterno se non Dio? Il fatto che Gesù si presenti come Figlio del Padre mette in gioco la nozione di persona divina e di relazione padre-figlio. Infatti padre e figlio sono due persone.

Gesù si presenta come Figlio di Dio incaricato da Dio Padre, che Egli considera come suo Padre, per realizzare un piano di salvezza per Israele e per tutta l’umanità in compimento delle profezie messianiche dell’Antico Testamento. Egli propone a tutti gli uomini di diventare figli di Dio in un legame nuovo, una nuova alleanza con Dio, di vera amicizia e non di semplice servitù. Israele mantiene il suo primato, ma il nuovo popolo di Dio, che raccoglie tutti i popoli, è la Chiesa.

Tuttavia Gesù ci fa capire che la relazione del Padre celeste col Figlio divino non è, come presso di noi, un accidente che si aggiunge alla persona una volta che abbiamo generato. Infatti, prima di generare noi eravamo già persone. Non così per il Padre celeste, il cui generare non è un atto che sia stato preceduto dalla sua divinità non ancora paterna. Al contrario, Dio è Padre dall’eternità. Il suo generare coincide col suo stesso essere Dio.

Il Padre è per essenza relazione di paternità. La persona del Padre non ha la sua essenza in una sostanzialità precedente il generare, ma sta tutta nel suo generare. Il sostanziale in Dio non è il personale, ma la natura divina. Il personale è la relazione di paternità, di figliolanza e di ispirazione ed esser spirato (lo Spirito Santo).

Essendo Dio una singola sostanza spirituale, è naturale pensarlo come persona, ossia come soggetto intelligente e volente. Ma Cristo ci rivela un altro modo divino di essere persona, non sospettato dalla ragione e oggetto della rivelazione divina, giacchè se la ragione richiede l’affermazione di un Dio personale creatore, essa non ha il motivo di porre l’esistenza di un Dio personale trinitario, della quale pertanto sappiamo solo in base alla rivelazione cristiana.

Ma qui nasce l’obiezione di Maometto: come può Dio avere un figlio? Ha forse una moglie? E come può, questo Figlio, a sua volta essere Dio? Allora ci sono due Dèi? Un Dio Padre e un altro Dio Figlio? Dove va a finire il monoteismo? Un Dio che nasce da Dio? Ma padre e figlio non sono distinti?

Certo tra noi esseri umani si può dire che il figlio è della stessa natura del padre, ma facendo riferimento alla natura umana specifica. È chiaro che qui abbiamo due diverse nature umane individuali, quella del figlio e quella del padre.

Come mai San Giovanni chiama Logos, Verbum, Verbo il Figlio? Appunto per prevenire la grossolana e ridicola obiezione di Maometto. Le espressioni usate da Cristo del padre che genera un figlio vanno interpretate in senso spirituale, per cui, per capire che cosa Cristo ha inteso dire, bisogna allontanare dalla nostra mente qualunque immagine che faccia riferimento al sesso maschile e alla generazione biologica. Dio è purissimo Spirito, che nulla ha a che vedere col sesso, benché certamente sia il creatore del sesso e della felicità sessuale. Ma ogni cosa al suo posto. Non confondiamo il cielo con la terra.

Giovanni allora ci spiega che per capire che cosa vuol dire che il Padre genera un Figlio, dobbiamo fare il paragone con l’atto del pensiero, che concepisce un concetto. Cristo è il progetto del Padre, è il Pensiero del Padre che dev’essere realizzato nel mondo per la salvezza del mondo.

In questo modo appare più chiara la spiritualità divina, in qualche modo oscurata dall’immagine corposa della generazione di un figlio, che richiama in qualche modo alla necessità di una moglie, alla quale Dio si dovrebbe unire per avere un figlio, come del resto era già previsto nel politeismo pagano.

Questa è rimasta la difficoltà per la quale i musulmani tuttora si rifiutano di accettare la divinità di Cristo. Ci fu bensì in passato il tentativo di sostituire Verbo a Figlio nell’enunciato trinitario, cosicchè si aveva: Padre, Verbo e Spirito. Ma veniva fuori una terminologia incongruente, perché a questo punto, per coerenza, si sarebbe dovuto mettere «mente», al posto di Padre, termine del tutto assente nel vocabolario di Cristo, come del resto Gesù non dice mai di essere il Verbo di Dio, se non forse accennando a ciò quando dice di essere la verità. La Chiesa, dal canto suo, per rispetto al termine «figlio», usato dal Signore, non accettò la proposta di sostituire Figlio con Verbo.

Una cosa che bisogna precisare è che, come dice Giovanni, non è Dio in quanto natura divina ma il Verbo in quanto persona divina, che si è incarnato. Quindi la divinità di Cristo è la divinità del Figlio o Verbo. L’Incarnazione non è l’effetto di una necessità dialettica, come credeva Hegel, ma di una libera volontà del Padre, il quale, se avesse voluto, avrebbe potuto incarnare se stesso o lo Spirito Santo o avrebbe addirittura potuto salvare l’umanità anche senza l’Incarnazione, come credono i musulmani e gli Ebrei.

Tuttavia, come pensava San Tommaso, l’Incarnazione del Figlio è stata cosa conveniente per il fatto che il Figlio, progetto del Padre ed obbediente al Padre appare conveniente come realizzatore del progetto del Padre, mentre lo Spirito Santo, Spirito della Sapienza, della Vita, dell’Amore e della Santità, procedente dal Padre e dal Figlio, appare conveniente come perfezionatore dell’opera del Figlio e forza divina che, scendendo nell’intimo dei cuori, li accende col fuoco della carità e il desiderio della verità.

Fine Prima Parte (1/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 26 novembre2024


Gesù ci fa capire che la relazione del Padre celeste col Figlio divino non è, come presso di noi, un accidente che si aggiunge alla persona una volta che abbiamo generato. Infatti, prima di generare noi eravamo già persone. Non così per il Padre celeste, il cui generare non è un atto che sia stato preceduto dalla sua divinità non ancora paterna. Al contrario, Dio è Padre dall’eternità. Il suo generare coincide col suo stesso essere Dio.

Il Padre è per essenza relazione di paternità. La persona del Padre non ha la sua essenza in una sostanzialità precedente il generare, ma sta tutta nel suo generare. Il sostanziale in Dio non è il personale, ma la natura divina. Il personale è la relazione di paternità, di figliolanza e di ispirazione ed esser spirato (lo Spirito Santo).

Essendo Dio una singola sostanza spirituale, è naturale pensarlo come persona, ossia come soggetto intelligente e volente. Ma Cristo ci rivela un altro modo divino di essere persona, non sospettato dalla ragione e oggetto della rivelazione divina, giacchè se la ragione richiede l’affermazione di un Dio personale creatore, essa non ha il motivo di porre l’esistenza di un Dio personale trinitario, della quale pertanto sappiamo solo in base alla rivelazione cristiana.

 Immagini da Internet: Dio Padre tra gli Angeli, Filippo Quattrocchi, Cattedrale di Palermo



[1] Il procedimento per prender coscienza di essere Dio, per alcuni di questi hegeliani, non è così complicato come l’iniziazione dello yoga, ma è molto semplice: basta accantonare il «punto di vista umano» - vedi la famosa epoché di Husserl -, per il quale io vedo Dio al di fuori e al di sopra di me, per adottare il «punto di vista di Dio», o lo «sguardo di Dio», per il quale io scopro di essere Dio. Devo cioè vedere il mio io un po’ come, per vedere meglio la luna, io prendo il canocchiale e cesso dal di guardare ad occhio nudo.

2 commenti:


  1. ¡Grazie Padre, per pubblicare questo tipo di articoli! Per coloro che non possono accedere al loro libro di Cristologia, questo tipo di articoli sono una benedizione! Si prega di non smettere di pubblicare su questi argomenti in futuro.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Dino,
      la ringrazio per le sue buone parole, che mi incoraggiano a proseguire il mio lavoro di Domenicano al servizio delle anime e per il progresso della Chiesa.

      Elimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.