Felice Ravenna

 Felice Ravenna

3200 anni di età di una città privilegiata

Ricordo che alle elementari a Ravenna la maestra ci insegnò che Ravenna era nata 500 anni prima di Roma. Lascio agli storici un giudizio su questa affermazione. Una cosa è certa: che la comunità cristiana di Ravenna è una delle più antiche del mondo, fondata nel secondo secolo dal Vescovo Martire Sant’Apollinare, di origine greca.

La basilica di San Giovanni Evangelista, tuttora esistente, del sec. V, fondata da un’Imperatrice bizantina per sciogliere un voto per esser stata salvata da un naufragio, è la basilica più antica del mondo cristiano.

Ravenna, come tutti sanno, divenuta nel sec. V capitale dell’Impero d’Occidente, consentì alla Chiesa ravennate di entrare in una relazione estremamente proficua con Bisanzio, per cui iniziò per Ravenna e la sua diocesi uno splendido periodo di fioritura civile, politica, culturale, spirituale ed artistica.

Grande figura di Santo legato alla diocesi ravennate, è quella di Pietro Crisologo, Dottore della Chiesa, originario di Imola, che fu Arcivescovo della città nel sec. V. Il suo successore Neone ricevette da San Leone Magno nel 458 una lettera dedicata al dogma cristologico da poco definito al Concilio di Calcedonia.

Di questo splendido periodo, come tutti sanno, restano a Ravenna meravigliosi monumenti fatti soprattutto di chiese adorne di bellissimi mosaici del sec. V-VII, dei quali i simili si trovano solo nella chiesa di Santa Sofia e Costantinopoli e nel monastero di Santa Caterina del Sinai del sec. V.

Tra queste chiese le più belle, grandi ed importati sono San Vitale e Sant'Apollinare in Classe del sec.VI, sita a pochi chilometri dalla città; mentre in città ci sono altre due chiese dedicate a Sant’Apollinare dello stesso periodo: Sant’Apollinare Nuovo e Sant’Apollinare in Veclo. La chiesa dello Spirito Santo, del sec. VI, già in uso da parte degli ariani, conserva una splenda icona bizantina del sec. XIV della Madonna col Bambino. Il duomo, fatto costruire dal Vescovo Neone nel sec. V, fu rifatto nel 1733 a seguito di un incendio.

Nell’ottavo secolo vi erano ben 24 chiese all’interno della cinta muraria, di modeste dimensioni, dato che copre un’area di poche migliaia di metri quadrati. Nella piccola chiesa di S.Michele in Africisco, oggi trasformata in un esercizio commerciale e della quale resta il campanile, esisteva un bellissimo mosaico, che Carlo Magno asportò per portarlo ad Aquisgrana, dove tuttora si trova.

Pensiamo un momento alla preziosità di questa arte del mosaico. Essa impiega materiali resistentissimi, a simboleggiare l’eternità della Parola di Dio, materiali costosi, che testimoniano la generosità dei ricchi benefattori che hanno finanziato l’impresa grandiosa. L’esecuzione dell’opera richiede tempi lunghissimi, cosa che testimonia evidentemente delle doti di laboriosità, di perseveranza e di dedizione degli artisti.

Da notare inoltre che i mosaici bizantini di questo periodo sono il momento di passaggio dal precedente stile romano, rude e realista, al nuovo stile bizantino, più ieratico e raffinato, che dà il via a quella caratteristica iconografia che nei secoli seguenti avrebbe dato luogo all’arte delle icone greche, slave e russe, fino ai nostri giorni. E a Ravenna tuttora esiste una scuola del mosaico nota a livello internazionale, così come sul Monte Athos da mille anni esiste una scuola dell’icona nota a livello internazionale. Anche il monastero delle Carmelitane è famoso per la produzione delle icone bizantine.

I mosaici ravennati sono scene della Bibbia e simboli cristiani fatti apposta non solo per glorificare Dio, ma anche come vera e propria catechesi popolare, stante il fatto che allora pochissimi sapevano leggere la scrittura.

Decadenza e riforma nel medioevo

 Questo splendore durò fino al sec. VIII, allorchè Ravenna perse il titolo di capitale dell’Impero, e, diventando sede di re barbari di origine tedesca e dipendente dall’impero degli Ottoni, decadde. Tuttavia alla corte del Re goto Teoderico nel sec. V, subito dopo la fine dell’Impero d’Occidente, visse e morì il grande filosofo Severino Boezio.

Ravenna rifiorì nel sec. XI traendo beneficio dalla riforma della Chiesa operata dai grandi riformatori di quel tempo, come San Pier Damiani, San Romualdo, San Bernardo e San Giovanni Gualberto, riforma che fruttificò in lei col sorgere in lei di diversi monasteri, fino a diventare quattro nel sec. XVI: i monasteri di Sant’Evangelista, quello di San Vitale, quello di Classe e quello di Santa Maria in Porto.

I cristiani ravennati nel periodo bizantino furono educati dalla spiritualità orientale improntata ai Padri Greci e ai Padri del deserto, così da acquistare un’alta stima per l’ideale monastico accanto a quella per il lavoro, per la famiglia, per la solidarietà fraterna e per le opere della misericordia. Questo fuoco sacro rimase sotto la cenere durante il tristissimo papato del sec. IX-X, sicchè tale fuoco poté tornare a splendere grazie alla riforma della Chiesa del sec. X, alla quale peraltro contribuirono grandi santi romagnoli, come San Romualdo e San Pier Damiani.

La detta riforma della Chiesa dette luogo ad una fioritura di vita cristiana che portò, oltre alla presenza già dal sec. VIII, dei Benedettini e dei Canonici Regolari, all’arrivo dei nuovi Ordini Religiosi, come i Francescani, che giunsero a Ravenna nel sec. XIII, nonchè gli Agostiniani e i Domenicani, che giunsero nel sec. XIV. Nel sec. XV arrivarono i Carmelitani. A Ravenna restano a tutt’oggi i tre rami dei Francescani, i Conventuali, i Minori e i Cappuccini.

La vivace vita culturale e religiosa della Ravenna del ’300, guidata dalla Famiglia dei Da Polenta, consentì di ospitare addirittura il fuggiasco Dante Alighieri, dando prova di grande coraggio nei confronti della persecutrice Firenze. Il divino Poeta, come tutti sanno, vi morì nel 1321, e fu sepolto nel famoso tempietto denominato Tomba di Dante, posto accanto al convento dei Francescani. A Ravenna visse anche la figlia di Dante, Beatrice, monaca nel monastero domenicano di Santo Stefano degli Ulivi, del quale oggi è rimasta la facciata della chiesetta.

La scuola elementare Filippo Mordani, che frequentai da bambino, ha sede nell’ex-convento domenicano, quasi presagio a ciò che sarei diventato tanti anni dopo. E mia madre ebbe come confessore un pio sacerdote, un certo Mons. Dradi, che era l’assistente della fraternita domenicana di allora.

Dalla spiritualità bizantina alle agitazioni sociali dell’Ottocento

Dei  quattro suddetti monasteri, splendida e commovente testimonianza di fede di coloro che li costruirono e conservarono per secoli, muta testimonianza degli innumerevoli monaci che si sono succeduti per secoli a cantare le lodi del Signore, nella vita ascetica, nella cura delle anime, ad istruire sulle vie di Dio, a consolare gli afflitti, a prendersi cura dei poveri e dei malati nel corpo e nello spirito, a contribuire col lavoro al benessere della città, restano oggi solo gli splendidi e maestosi edifici del ex-monastero di San Vitale, oggi museo, di San Romualdo, oggi Biblioteca Classense, gli altri essendo andati distrutti per le vicende belliche della seconda guerra mondiale, ma già dalle soppressioni napoleoniche erano privi della comunità monastica.

Del monastero di Santa Maria in Porto, contenente lo splendido bassorilievo in marmo del sec. X della cosiddetta Madonna greca, custodito in chiesa, resta la raffinata Loggetta Lombardesca del sec. XV.

Nel sec. XVI Ravenna passò sotto il potere temporale del Papa e la vita cattolica ebbe comprensibilmente un notevole sviluppo. Nacquero associazioni religiose di beneficenza maschili e femminili. Nel 1567 in ottemperanza ai voleri del Concilio di Trento fu costruito il Seminario, attualmente ancora in funzione.

Il governo pontificio si prese cura anche dei problemi e delle possibilità della città, liberandola per esempio dall’incubo di periodiche alluvioni causate da due fiumi, uno dei quali attraversava la città, mentre l’altro abbracciava la città posta appena due metri sul livello del mare, con l’unire l’uno all’altro i due fiumi e facendo costruire un canale che conduceva al mare onde favorire il commercio navale. Fiorente era la pesca e l’agricoltura.

Al pensiero dell’estinzione di quei secoli di vita cristiana per chi ha una minima consapevolezza e stima non dico della storia cristiana di Europa, ma delle basi stesse della convivenza civile, non ci sono parole per detestare la sciagura che colpì con le soppressioni napoleoniche un’infinità di comunità religiose antiche di secoli e millenni, non solo innocue ma benemerite della civiltà europea.

La vicenda ha dell’incredibile: il fatto che nello spazio di pochi anni con inaudite arroganza e prepotenza e in una perfetta coordinazione di forze le truppe francesi – povera Francia, a che cosa si era ridotta! – siano riuscite ad allontanare dalle loro sedi derubando i loro beni migliaia di miti e tranquille persone dedite ad attività benefiche, la cui colpa era quella di essere votate a Dio e al bene del prossimo, operazione oltre ad essere  da vigliacchi, considerata l’impossibilità di queste persone di difendere i  propri diritti e la propria libertà, estrema ipocrisia della liberté e dei diritti dell’uomo strombazzati dalla Rivoluzione francese.

Tristissimo è stato anche il fatto che i governi e i cittadini dei territori invasi dalle truppe napoleoniche, ingrati per i benefìci ricevuti dai religiosi, perduta l’idea del vivere civile cristiano, non solo non siano riusciti a fermarle, ma in molti casi, popolazioni e governi avvelenati dalla massoneria, videro con favore la barbara operazione dei Francesi.

Dalla fine del Settecento e per tutto il corso dell’Ottocento i romagnoli andarono soggetti ad un profondo rivolgimento del loro animo. In molti la fede cristiana si spense o, se continuavano a credere in Cristo, cominciarono a concepire odio per il clero e per Pio IX, accusati di essere dalla parte dei ricchi e non del popolo. È questo il famoso anticlericalismo romagnolo, che portò a scontri durissimi col governo pontificio di allora.

Molti romagnoli, scontenti del governo pontificio in parte a torto e in parte a ragione, estinsero la loro religiosità che avevano vissuto per tanti secoli con docilità ai preti e fiducia nei monaci, una religiosità di influsso o timbro soprattutto bizantino e cominciarono ad ascoltare messaggi provenienti dall’Europa centro-occidentale: la ribellione all’autorità, l’illuminismo e l’egualitarismo francesi, il protestantesimo, il socialismo e l’ateismo tedeschi.

Grande successo ebbe la predicazione mazziniana filomassonica col motto «Dio, patria e famiglia», tanto che nel secolo scorso il Partito Repubblicano aveva il maggior numero d’iscritti che in qualunque altra città d’Italia.  Il famoso brigante Stefano Pelloni, rubava ai ricchi per dare ai poveri.

In questo periodo di assopimento della religiosità tradizionale si manifesta in maniera esplosiva il carattere impulsivo e focoso del romagnolo, con l’accendersi delle passioni politiche, per cui agli inizi del ‘900, ecco l’apparire in Romagna del socialismo e del comunismo e poi del fascismo fondato da Benito Mussolini. Ma l’apertura del romagnolo alla giustizia sociale aveva già prodotto alla fine dall’800, le cooperative agricole, una novità del mondo del lavoro, che superava gli inconvenienti del latifondo e sarebbe stata destinata ad un grande successo fino ai nostri giorni.

Garibaldi in fuga dalle truppe pontificie insieme con Anita morente trovò asilo nella pineta ravennate grazie all’aiuto di un prete, Don Giovanni Verità. Alla fine del secolo ebbe successo addirittura la predicazione dell’anarchico russo Bakunin.

Possiamo certamente pensare che sul finire del Settecento nella Legazione romagnola nobiltà, clero e religiosi non siano sempre stati all’altezza del loro ufficio, causando scandalo e malcontento nella gente a volte anche giustificato. Ma difficilmente si può comprendere l’odio di certi strati popolari contro il Beato Pio IX, il quale peraltro, secondo le leggi di allora, ricorreva anche alla pena di morte contro i facinorosi e i sovversivi.

Si potrebbe osservare, come fece il Padre Congar, che Papa Pio IX non si rese conto che ormai il potere temporale dei Papi aveva fatto il suo tempo e che quello che chiedevano i repubblicani, per quanto fossero miscredenti, ossia che il Papa rinunciasse al potere temporale, in fondo era conforme alle parole stesse di Cristo, quando disse a Pilato che il suo regno non è di questo mondo.

 Ad ogni modo sorprende ed amareggia questo rivolgimento che avvenne nel cuore dei ravennati, che fin dai primi secoli avevano amato la Chiesa e consentito l’esistenza di tante istituzioni cattoliche, nonchè l’erezione di quei meravigliosi monasteri mettendo le loro coscienze nelle mani degli uomini di Dio che vi abitavano.

L’aspirazione all’unità d’Italia sul modello dell’antica Roma non presentava di per sè alcun carattere di contrasto con la fede cattolica, ché anzi questa può essere vissuta meglio in una Chiesa nella quale il Papa, libero da preoccupazioni di governo temporale, acquista maggior prestigio morale, ha più agio per dedicarsi alla sua missione squisitamente spirituale libero da legami con qualche potenza terrena, per poterle servire tutte ed essere giudice imparziale fra tutte.

Che per il Papa sia condizione di libertà l’essere sovrano temporale almeno in un piccolissimo territorio è un discorso che non mi ha mai convinto, perchè allora lo stesso principio dovrebbe valere per la sede dell’ONU, mentre a nessuno è mai vento in mente di sostenere che la detta sede dovrebbe trovarsi in un territorio a parte, distinto dal suolo degli Stati Uniti.

Ravenna mi ha generato a Cristo

Essendo io nato a Ravenna, è a Ravenna che ho ricevuto il dono della fede e la prima formazione alla vita cristiana da parte dei miei carissimi genitori, e i primi educatori, come il parroco della mia parrocchia di San Giovanni Battista, il venerato Padre carmelitano Torello Scali, parrocchia nella quale sono stato battezzato e ho ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana. In questa linea ho un caro ricordo anche della mia maestra elementare Maria Fiorentini.

In seguito, nella mia inquieta prima giovinezza,  turbato e provato da una grave crisi esistenziale, provocata al liceo da un maestro infetto di scetticismo e dal contatto con Cartesio, senza tuttavia perdere la fede, fui liberato dall’insensatezza e dal nichilismo, fui tratto dal buio e ricevetti una luce inestinguibile  dal venerato Don Giovanni Buzzoni, mio insegnante di religione al liceo classico, sapiente tomista maritainiano, che gettò in me il primo germe della vocazione domenicana, che sarebbe sbocciata nel 1971.

A ciò, grazie a Dio, s’aggiunse l’amicizia con Giordano Mazzavillani e con l’ambiente di democristiani che ruotava attorno a Benigno Zaccagnini, dove assorbii il loro entusiasmo francescano, ed infine la frequentazione del gruppo fondato dalla carissima e sapiente Mariangela Baroncelli Molducci, dalla quale ricevetti una forte sensibilità per i bisogni del prossimo e desiderio di servirlo nella via del Vangelo nello spirito del Concilio Vaticano II.

A Ravenna al monastero delle Carmelitane ricevetti l’ultimo tocco spirituale che mi preparò ad entrare nel convento domenicano di Bologna. E fu l’incontro con persone di Dio, amici carissimi, come la venerata Priora Madre Agnese, nonché con Marco Jablczinsky, ravennate figlio di un polacco e con Francesco Marzocchi, il primo fattosi monaco trappista nel 1971 a Roma e l’altro, bolognese, ormai defunto, ordinato sacerdote a Ravenna alla fine degli anni ’70, la cui memoria è in benedizione. Era discepolo di Don Dossetti, per cui ebbi modo di prendere contatti con la comunità monastica da lui fondata, impregnata di spiritualità bizantina.

Attualmente sono in contatto epistolare con una monaca del suddetto monastero, le cui notizie grazie ad una corrispondenza epistolare iniziata nel 1971, mi consentono di tastare il polso della spiritualità attualmente presente a Ravenna, la quale, come diversi ambienti ecclesiali di oggi, tra iniziative che denotano un cattolicesimo rinnovato dal Concilio, registra purtroppo anche un regresso spirituale dovuto all’influsso del modernismo.

Ravenna è oggi una città fiorente e benestante, enormemente ampliatasi dalla metà del secolo scorso, risorta dai gravissimi danni subìti dalla guerra grazie agli aiuti degli Alleati e ad una buona amministrazione, ad una forte iniziativa economica ed industriale, allo sviluppo dell’agricoltura, del commercio, dell’artigianato e del turismo, ricca di manifestazioni artistiche e culturali, apprezzata anche per la sua vicinanza al mare dove si trovano numerose stazioni balneari.

Importante realtà ravennate è l’Opera Santa Teresa di Gesù Bambino, fondata nei primi decenni del secolo scorso dal Servo di Dio Don Angelo Lolli, dedicata alla cura e all’assistenza di anziani, di infermi e di soggetti affetti da gravi e rare disabilità. Abbiamo qui nelle Religiose che assistono questi nostri fratelli, la testimonianza più calda e persuasiva,  il meglio del cuore del romagnolo, il quale, se oggi non è più quello della splendida e mistica Ravenna bizantina, non per questo non continua a splendere, magari in forme implicite ed inapparenti, della luce della fede e della carità di Cristo.

In ogni caso, la grande chance di Ravenna oggi nella Chiesa e nella società è il suo quasi bimillenario rapporto col cristianesimo bizantino, che la pone in una condizione privilegiata e favorevole per dare un contributo importante alla soluzione del gravissimo problema della conciliazione fra Occidente ed Oriente, conciliazione che o avverrà nel nome di Cristo o non avverrà, con la conseguente minaccia incombente della guerra atomica.

Oggi più che mai, mentre per i cristiani resta la speranza della vita eterna, le conseguenze per chi non si converte a Cristo, oltre alla dannazione eterna dopo la morte, si presentano in modo immediato sin da adesso come minaccia della distruzione dell’umanità.

Una grande figura di romagnolo che occorre ricordare qui è quella di Mons.Salvatore Baldassarri, Arcivescovo di Ravenna del 1956 al 1975, profondamente sensibile, anche come storico della Chiesa, all’importanza dell’ecumenismo con i fratelli ortodossi e quindi alla vocazione ecumenica di Ravenna. Egli ha avuto il merito di riaccendere nei ravennati l’antico fuoco bizantino quasi sepolto sotto gli ultimi secoli di sordità nei confronti dei grandi valori presenti nella spiritualità di questi fratelli separati.

Viceversa Mons. Baldassarri, che partecipò molto attivamente ai lavori del Concilio, sentì moltissimo l’urgenza della riconciliazione con loro, indicando così a Ravenna, memore delle sue passate glorie, la via per essere efficace operatrice di pace nell’attuale gravissima emergenza storica che vede nella drammatica situazione dell’Ucraina l’appello  ai cristiani cattolici ed ortodossi ad un impegno comune serio e decisivo, sotto l’impulso dello Spirito Santo e con l’intercessione di Maria Regina della Pace, per una piena riconciliazione in un unico gregge sotto un solo Pastore.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 29 marzo 2025 


 

 

Del monastero di Santa Maria in Porto, contenente lo splendido bassorilievo in marmo del sec. X della cosiddetta Madonna greca, custodito in chiesa, resta la raffinata Loggetta Lombardesca del sec. XV.

 

 

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