La virtù della divina misericordia a confronto con la giustizia - Seconda Parte (2/3)

 

La virtù della divina misericordia

  a confronto con la giustizia

Seconda Parte (2/3)

Persona ontologica e persona trinitaria

Dalla rivelazione cristiana veniamo a sapere che in Dio c’è una personalità non solo nel senso di una sostanza o natura divina, ma nel senso di relazione sussistente, come ci insegna il Concilio di Firenze del 1439. Prendendo il concetto di persona in questo senso, sappiamo allora per fede che in Dio ci sono tre persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Dio dunque è una persona o una natura nel senso di sostanza in tre persone nel senso di relazioni sussistenti.

La persona trinitaria non ha una volontà propria distinta da quella delle altre due, perché la volontà divina nella Santissima Trinità è solo quella della natura divina, che è una sola. Quindi, quando per esempio Gesù dice che il Padre ama il Figlio non intende dire che il Padre come Padre abbia una volontà per conto proprio distinta da quella del Figlio, giacchè, dato che Padre e Figlio sono un solo Dio, la volontà dell’uno e dell’altro è sempre la stessa volontà del Dio uno.

Così similmente Cristo, non avendo come Dio una volontà distinta dal quella del Padre come Padre, quando parla della sua obbedienza al Padre, non si riferisce alla sua divinità di Figlio, ma alla sua volontà umana. La volontà di Cristo è distinta da quella del Padre come volontà umana, ma dal punto di vista del loro comune essere Dio, la volontà è unica, è quella di Dio, che è un solo.

Padre e Figlio vogliono le stesse cose non perchè il Figlio aderisca alla volontà del Padre con una sua volontà di Figlio, distinta da quella del Padre come Padre, ma perché la volontà del Figlio come Dio è una e identica alla volontà del Padre come Dio. È solo la volontà umana di Cristo che è distinta dalla volontà del Padre come Dio e come Padre.

Così il Padre ha ordinato al Figlio di compiere l’opera della salvezza non in quanto si sia rivolto alla volontà del Figlio come Figlio, il quale invece come Dio ha la stessa e identica volontà di Dio Padre, ma il Padre si è rivolto al Figlio nella sua umanità di Verbo incarnato. Ha comandato alla volontà umana di Cristo, non alla sua volontà divina, che è ontologicamente quella stessa del Padre in quanto Dio.

Quanto allo Spirito Santo, Egli è certamente l’Amore che congiunge Padre e Figlio, ma anche qui bisogna fare attenzione: anche lo Spirito Santo come tale non ha una volontà propria distinta da quella del Padre del Figlio, come potrebbe accadere tra di noi, in un gruppo di tre amici, dove uno dei tre stimola l’amore e l’affetto tra gli altri due, giacchè la volontà dello Spirito Santo come Dio è una e identica, in quanto volontà divina, a quella del Padre e del Figlio come Dio.

I tre gradi di bontà

La virtù morale fondamentale della persona è la bontà, per la quale essa ama e vuole il sommo bene, che è Dio, e in nome ed a causa di questo amore vuole secondo la volontà di Dio, ama e pratica il bene proprio e del prossimo.

La bontà morale della persona divina opera il bene secondo tre gradi di bontà: la giustizia, la misericordia e la generosità. Sia noi che Dio esercitiamo tutti e tre questi gradi. Noi però possiamo esercitare la misericordia verso il prossimo, ma non verso Dio. E questo perché Dio non può essere un misero da soccorrere o un peccatore da perdonare.

La giustizia corrisponde al grado minimo dell’operazione moralmente buona: compensare o rimunerare o dare a ciascuno quello che gli spetta o che merita di diritto, sia che lo gradisca: il premio, l’onore e la gloria, sia che non lo gradisca: il castigo, il disonore e l’infamia.

La giustizia di per sé è verso l’altro. Ma in senso lato può essere anche verso noi stessi e precisamente verso le nostre forze psichiche inferiori volontarie, come le passioni, che possono e devono essere controllate, moderate, dominate e disciplinate dalla retta ragione illuminata dalla buona volontà animata dalla carità. Qui abbiamo le virtù della temperanza e della fortezza.

Secondo grado della bontà è la misericordia, la quale presa dalla pietà e condividendo la sofferenza del misero e bisognoso che non trova aiuto e non è in grado da solo di sollevarsi dalla sua miseria, si piega compassionevole con delicatezza e tenerezza su di lui, lo libera dal male e lo innalza beneficandolo gratuitamente col donargli il possesso di ciò che gli spetta e di cui ha bisogno anche al di sopra del merito.

L’opera della misericordia è l’opera della salvezza che dona la grazia sanante, ovvero l’opera della guarigione della natura umana dalle ferite del peccato originale mediante il battesimo, l’opera della remissione dei peccati e della liberazione da ogni male e dall’inferno.

Il terzo grado è la generosità o liberalità, espressione della magnanimità e della massima carità, per la quale la persona dona al di là di quanto il beneficato, già contento, desideri e a cui abbia diritto. Qui Dio Padre dona la figliolanza divina in Cristo mediante la grazia elevante e noi possiamo render partecipe il prossimo alla nostra stessa vita in Cristo mediante l’evangelizzazione e il suo accoglierlo nella Chiesa.

Qui la persona, infiammata di carità, mossa dallo Spirito Santo, compie gli atti eroici del dono di sé stessa, anche a prezzo della vita, per il bene del prossimo e l’onore di Dio. Abbiamo qui il dono del martirio e l’amore che Cristo ha avuto per noi, in quanto, benché innocente, per volere del Padre ha pagato per noi peccatori al Padre il debito per i nostri peccati, compiendo un’opera di somma giustizia nei confronti del Padre, al quale ha dato soddisfazione in nostra vece e a nostro vantaggio, dando per misericordia a noi la grazia di poter collaborare alla sua opera redentrice col portare la nostra croce quotidiana.

La virtù della giustizia

La giustizia è quella virtù per la quale la persona rimunera o ricompensa per dovere od obbligo di legge in proporzione al merito un’altra o altre persone secondo una data misura o in relazione a un diritto o merito di questa persona per un’opera da essa compiuta.

La giustizia è la virtù sociale per eccellenza che spinge o dispone a compiere i propri doveri verso il prossimo, al rispetto della legge naturale e divina, civile ed ecclesiale, al rispetto dei diritti altrui. Essa opera al servizio del bene comune, nel rispetto delle legittime diversità, nella cura dei propri legittimi interessi, nell’esercizio di una libertà responsabile, basata su di una coscienza morale ben formata, sincera ed onesta. Essa è legale se è affare della magistratura, è amministrativa o distributiva, se è affare del governante; è politica se è affare del cittadino; è commutativa, se è affare dell’economista.

La giustizia comporta una moderazione delle passioni, in special modo, presentandosi l’occasione, della passione dell’ira. Essa può richiedere, per l’allontanamento dell’ingiustizia, il giusto uso della forza e della coercizione, ma esclude la violenza e la crudeltà. Essa richiede l’amore per il nemico nei suoi lati buoni, ma la vittoria sul nemico nelle sue azioni cattive.

La giustizia premia la bontà e castiga la malizia. Il premio è un bene ottenuto dalla buona azione. Il castigo o punizione è un male di pena o come conseguenza necessaria ed intrinseca dell’atto cattivo, per cui il soggetto viene affetto dal dolore o privato della libertà o punito con la morte: per esempio bere un veleno, oppure è un male di colpa, ossia la volontà priva se stessa della rettitudine e diventa cattiva amando un falso bene.

Il principio biblico «occhio per occhio» (Es 2,24; Lv 24.20) va inteso come legge di giustizia. Gesù vi si oppone per una superiore giustizia; non perché rifiuti il principio in sé stesso, ma una sua applicazione crudele, soprattutto se il debitore non è in grado di pagare o soddisfare a sufficienza.

La giustizia mira a stabilire l’uguaglianza o equivalenza o corrispondenza fra due termini, che vengono scambiati in base ad un’unità di misura che fa da regola dell’azione giusta. Per esempio uno scambio di merci in base a un prezzo convenuto.

Mancare alla regola morale o giuridica vuol dire cadere nell’ingiustizia. Se voglio comprare il giornale, devo pagare quel dato prezzo al giornalaio, benchè egli, se è mio amico, me lo possa anche regalare. Se me lo regala non commette un’ingiustizia. Compie invece un atto migliore, benché facoltativo, che nasce dal far del bene gratuitamente. Questa è propriamente la generosità.

All’operaio che ha compiuto un buon lavoro convenuto giustizia vuole che il dirigente dia la paga convenuta. Il Vangelo presenta in questi termini il premio della vita eterna per coloro che si sono adoperati a trafficare i talenti ricevuti. Il che non toglie affatto il ruolo della grazia e della misericordia divine espresso in altri passi del Vangelo. Occorre saper comprendere come queste due cose stiano assieme.

Diciamo che la gratuità, che è misericordia, dipende da Dio, mentre l’opera di giustizia per la quale il regno di Dio è oggetto di conquista, è opera dell’uomo Gesù,  in quanto Figlio di Dio, in modo tale che anche noi in Cristo, se da una parte siamo oggetto della grazia, dall’altra collaboriamo con le opere alla nostra salvezza.

La giustizia suppone una unità di misura alla quale il debitore e il creditore, l’acquirente e il venditore, il giudice e l’imputato devono adeguarsi di comune accordo alla comune unità di misura e criterio di giudizio.

Il giudizio giusto comporta la determinazione di un equilibrio o un punto medio, una equidistanza tra due parti o termini opposti ed estremi, onde evitare la faziosità e la parzialità e ottenere la conciliazione o restituzione. Per questo la giustizia viene rappresentata con l’immagine di una bilancia.

La legge è la regola della giustizia. Essa dev’essere uguale per tutti: non può ammettere favoritismi ed accezioni di persona. Anche il privilegio, di per sè legittimo, dev’essere però giustificato. L’uguaglianza dev’essere proporzionale. Al neonato si dà il latte; all’adulto, il cibo solido. Questa non è discriminazione ma giustizia.

Stretto nesso con il tema della giustizia ha il concetto del merito, che è quella condizione morale della persona conseguente ad una data azione, per la quale la persona diventa adatta a ricevere da chi di dovere un premio o un castigo a seconda che l’azione sia stata rispettivamente buona o cattiva.

Il castigo può essere intrinseco all’atto cattivo in quanto connesso con la stessa natura dell’atto. Per esempio il suicidio. Oppure può essere estrinseco e successivo, e quindi dilazionabile o anche annullato con decreto di grazia dall’autorità che lo ha inflitto, in quanto è stabilito per convenzione ad arbitrio del legislatore o del giudice: per esempio la carcerazione per un delitto o l’inferno per un peccato.

Senza che sia proibita la legittima difesa personale, la giustizia vuole che spetti alla pubblica autorità, rappresentante dell’autorità divina, sanzionare con una pena fissata dal codice penale il precetto della legge e vendicare l’infrazione della legge. Secondo la Scrittura Dio, giusto giudice, è il vindice di coloro che non hanno ricevuto soddisfazione dalla giustizia umana per un torto subìto, cosa che non toglie affatto il dovere di pregare per i persecutori e di essere pronti a perdonarli.

La giustizia permette l’azione bellica per ordine della pubblica autorità, per una giusta causa, quando non vi siano possibilità di soluzione negoziata della vertenza, nel rispetto della persona del nemico, condotta con lealtà e mezzi leciti ed efficaci e nella prospettiva realistica della vittoria.

Sono permessi i sotterfugi per ingannare il nemico: «con il perverso tu sei astuto» (Sal 18,27). Depistare o nascondere la verità a chi vuol servirsene per fare il male non è peccato, ma è legittima difesa ed opera di giustizia. Consideriamo l’esempio biblico di Raab (Gs 6,22-25). Essa viene lodata per aver mentito agli inseguitori dei messi di Israele (Gc 2,25).

La giustizia divina

La giustizia divina si può prendere come somma delle virtù divine ossia come equivalente della santità. E allora coincide con la misericordia (cf Rm 3,21); oppure come distinta dalla misericordia. E allora è il potere divino di premiare i buoni e punire i malvagi.

Dio riserva a Sé il compito di giudice in ultima istanza delle azioni umane, soprattutto in foro interno, come per esempio quello di riparare con la sua giustizia ai difetti della giustizia umana: «mia è la vendetta e il castigo» (Dt 32,25), così come spetta all’autorità pubblica, per giusti e gravissimi motivi, muover guerra con le armi convenzionali (escludendo quelle atomiche) contro un altro Stato o difendere con le armi la patria aggredita da un ingiusto aggressore.

San Tommaso ammette in casi estremi anche la vendetta privata[1]. Certo non si tratta di vendetta rancorosa come la intendiamo comunemente noi oggi, ma possiamo paragonarla alla cosiddetta rivendicazione del diritto dei lavoratori, che avviene, per esempio, per mezzo dello a sciopero.

L’opera di Cristo per la nostra salvezza è stata un’opera di giustizia.  Il termi

ne ebraico goèl, che noi rendiamo con redentore, vuol dire «vendicatore».  Sacrificandosi per noi, Cristo ha compiuto un’opera di giustizia; ha dato al nostro posto soddisfazione al Padre per l’offesa a Lui da noi fatta col peccato.

Applicazione per antonomasia della giustizia è la giustizia commutativa, che ha un suo paradigma nello scambio o nel commercio. Su questa metafora si basa la terminologia biblica che esprime l’opera compiuta da Cristo a favore dell’uomo. Da qui il peccato come «debito da pagare», che può essere «rimesso», termini come «redenzione», da re-d-emptio, comprare di nuovo, «prezzo del sangue», «riscatto», usato da Cristo stesso (Mt 20,28).

Esiste anche una giustizia verso Dio, seppur in senso analogico. Come fa notare San Tommaso, essa non è altro che la virtù di religione, per la quale l’uomo sente il dovere di offrire a Dio sacrifici di espiazione e sacrifici pacifici per restituirgli ciò che Egli dona a noi e per placare la sua ira conseguente al nostro peccato contro di Lui, al fine di riconciliarci con Lui, chiedendoGli grazia e misericordia.

La Chiesa ci istruisce su questo concetto cristiano di giustizia religiosa. Come insegna il Concilio di Trento, «Adamo, avendo trasgredito in paradiso il comando divino, a causa dell’offesa per tale prevaricazione, incorse nell’ira e nell’indignazione divine» (Denz.1511). 

Così per la Scrittura Adamo subì un castigo che da sé non poteva togliere, arrecò a sé un danno che da solo non riusciva a riparare, perse una grazia ed un’immortalità che da solo non poteva riottenere, cadde in una colpa che da sé non poteva espiare, perse una libertà che da solo non poteva recuperare, contrasse con Dio un debito che da solo non poteva pagare, decadde in una fragilità e una tendenza a peccare che da solo non riusciva a correggere.

Ecco allora l’intervento della misericordia del Padre col donarci suo Figlio Gesù Cristo, che chiamiamo «redentore» in forza di una metafora presa dal linguaggio dell’economia o delle transazioni mercantili[2], come lo stesso linguaggio della Scrittura ci autorizza a fare. Così iI sangue di Cristo è il prezzo del nostro riscatto. Gesù stesso usa la parola «riscatto» per significare il sacrificio della croce. D’altra parte re-d-emptio, significa il comprare di nuovo: il Figlio Dio ha acquistato o comprato creandola una prima volta l’umanità e donandola al Padre.  

Col suo sacrificio espiatorio e soddisfatto sulla croce il Figlio ha di nuovo acquistato e fatto suo l’uomo salvato e lo ha restituito al Padre, legittimo proprietario, strappando l’uomo dalla schiavitù di Satana, sotto il potere del quale era caduto a seguito del peccato originale.

Osserviamo al riguardo che il fatto che l’ingresso nel regno di Dio sia gratuito ma nel contempo occorra pagare - la perla preziosa dev’essere comprata -, sembra un paradosso. Ma esso si scioglie, se consideriamo che gratuita è la grazia da parte di Dio, mentre doverosa e necessaria è l’opera espiatrice e riparatrice da parte nostra sostenuti dalla grazia di Cristo.

Così la salvezza è incondizionata da parte della grazia preveniente, ma è condizionata da parte nostra dal fatto che osserviamo i comandamenti in grazia producendo la grazia conseguente che ci merita la vita eterna.

Fine Seconda Parte (2/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 6 aprile 2025

Il terzo grado è la generosità o liberalità, espressione della magnanimità e della massima carità, per la quale la persona dona al di là di quanto il beneficato, già contento, desideri e a cui abbia diritto. Qui Dio Padre dona la figliolanza divina in Cristo mediante la grazia elevante e noi possiamo render partecipe il prossimo alla nostra stessa vita in Cristo mediante l’evangelizzazione e il suo accoglierlo nella Chiesa.

Qui la persona, infiammata di carità, mossa dallo Spirito Santo, compie gli atti eroici del dono di sé stessa, anche a prezzo della vita, per il bene del prossimo e l’onore di Dio. Abbiamo qui il dono del martirio e l’amore che Cristo ha avuto per noi, in quanto, benché innocente, per volere del Padre ha pagato per noi peccatori al Padre il debito per i nostri peccati, compiendo un’opera di somma giustizia nei confronti del Padre, al quale ha dato soddisfazione in nostra vece e a nostro vantaggio, dando per misericordia a noi la grazia di poter collaborare alla sua opera redentrice col portare la nostra croce quotidiana.

Dio riserva a Sé il compito di giudice in ultima istanza delle azioni umane, soprattutto in foro interno, come per esempio quello di riparare con la sua giustizia ai difetti della giustizia umana: «mia è la vendetta e il castigo» (Dt 32,25),

Col suo sacrificio espiatorio e soddisfatto sulla croce il Figlio ha di nuovo acquistato e fatto suo l’uomo salvato e lo ha restituito al Padre, legittimo proprietario, strappando l’uomo dalla schiavitù di Satana, sotto il potere del quale era caduto a seguito del peccato originale.

Osserviamo al riguardo che il fatto che l’ingresso nel regno di Dio sia gratuito ma nel contempo occorra pagare - la perla preziosa dev’essere comprata -, sembra un paradosso. Ma esso si scioglie, se consideriamo che gratuita è la grazia da parte di Dio, mentre doverosa e necessaria è l’opera espiatrice e riparatrice da parte nostra sostenuti dalla grazia di Cristo.



Immagini da Internet:
- Il Crocifisso, Schizzo del dipinto di Vladimir, Cathedral a Kiev
- Il Crocifisso, Rubens



[1] Sum. Theol., II-II, q.108, a.2, 1m.

[2] A questo riguardo è significativa la bellissima antifona gregoriana Mirabile commercium.

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