Teilhard de Chardin - I pregi e i pericoli - Parte Prima (1/2)

 

Teilhard de Chardin

I pregi e i pericoli

Parte Prima (1/2)

Chi è stato Teilhard de Chardin?

La ben nota figura di Teilhard de Chardin nella sua grande complessità e ricchezza di aspetti ed elementi, desta certamente ammirazione, ma al contempo per certe sue posizioni, segnalate dalla Chiesa[1], non può non suscitare in noi una certa preoccupazione. Lo si vorrebbe per i suoi meriti chiamare un maestro spirituale, un riformatore, un uomo di Dio; c’è chi lo considera addirittura un mistico. Egli esprime aneliti appassionati per la vita cristiana e l’unione con Dio o con Cristo, concepisce geniali visioni, ha momenti ispirati di straordinario fervore e di sincera pietà, prega con parole commoventi, formula ottimi propositi.

Ma se poi guardiamo al contesto, ci accorgiamo che lo slancio verso Dio sta assieme con un’apologetica a favore della materia, del mondo e della corporeità che finisce per oscurare quella trascendenza divina che egli pure vuol affermare con fermezza. Si ha la sensazione di un servizio a due padroni: Dio e il mondo. Del mondo appare solo la sua bontà, ma non l’opposizione a Dio. E anche il primato di Dio appare compromesso, giacchè non appare l’opposizione al mondo in nome dell’amicizia con Dio.

Il fatto è che questo atteggiamento morale ha come presupposto una visione della realtà nella quale è falsata la distinzione tra la materia e lo spirito, per cui, nonostante la dichiarata superiorità dello spirito, la materia prende il posto dello spirito con la pretesa di essere all’origine dello spirito e lo spirito viene incatenato alla materia, o nulla può fare senza il suo permesso, come se lo spirito non potesse astrarre da essa e librarsi da solo nella sua forza e purezza al di sopra dello spaziotempo e del divenire e indipendentemente dalla materia, fino a concepire Dio stesso come inseparabile dalla materia e come anima del mondo. La materia, in Teilhard de Chardin, ficca il naso dappertutto, persino nell’intimità di Dio. Nulla Dio fà senza di lei e senza di lei nulla esiste di ciò che esiste.

Teilhard, a proposito delle cose del mondo, ha un bel parlare di «distacco», ma dopo che ne parla fino a fare della materia una divinità, quale mai distacco dovremmo attuare? Staccarci da Dio?

Ecco infatti che al di là delle effusioni spirituali, se percorriamo estesamente i suoi scritti, appaiono tali gravi fraintendimenti circa la natura dello spirito e della materia, che ci fanno cadere le braccia suscitando in noi sentimenti di disgusto o battute ironiche, come davanti ad uno che recita la parte del mistico, ma al quale in realtà piace immensamente la terra.

Nessuno, d’altra parte, tra i suoi ammiratori lo considera un santo. Nessuna fama di santità. Nessuno ne esalta la purezza della dottrina o la fedeltà al Magistero della Chiesa o al dogma cattolico. Certo Teilhard è stato difeso da importanti teologi, come il De Lubac, ma anche grandi teologi tomisti, come lo Journet, il Maritain, il Gilson, o Philippe de la Trinité lo hanno criticato. Si presta ad essere frainteso e di fatto è stato frainteso come per esempio dal Guérard des Lauriers. Ma bisogna dire che anche lui non brilla sempre per univocità, chiarezza e precisione di linguaggio.

Con Teilhard siamo davanti ad una spiritualità non del tutto sana come la si nota nei Santi, ma una spiritualità sovraeccitata che sfiora l’esaltazione, una spiritualità che non poggia su sicure basi metafisiche, dogmatiche e dottrinali, ma sembra avere un retroterra eracliteo o parmenideo, un’ossessiva volontà di unità a scapito della molteplicità, un’insistenza esagerata sull’evoluzione a danno della stabilità dei gradi dell’essere e dell’immutabilità delle essenze.

Teilhard, per un bisogno oltranzista di unità che ci fa pensare  a Parmenide, mostra una curiosa insensibilità per il valore della molteplicità degli enti e delle sostanze, che egli si sforza di minimizzare e di togliere, considerandola come qualcosa che non ha senso, proprio lui che pure si vanta di esaltare la dignità della materia, dimenticando che il molteplice e la moltitudine sono  precisamente un pregio e una ricchezza delle realtà diverse fisiche e corporee, oltre che delle sostanze spirituali. Da qui la sua concezione del mondo non come insieme armonioso o come famiglia delle creature grandi e piccole, ma come un unico ente, che poi sarebbe il corpo di Dio, il corpo del quale Dio è l’anima.

Teilhard nei suoi scritti parte spesso di getto per sciogliersi in magniloquenti, grandiose e fantastiche visioni cosmiche dove tutto, esperienza e ragione, sentimento e pensiero, volontà e passione, conscio ed inconscio, scienza e fede, cielo e terra, viventi e non viventi, materia e spirito, Dio e mondo, tutto si fonde, s’intreccia, si mescola passando l’uno nell’altro in una sintesi globale evolutiva e totalizzante, sempre con l’ossessiva preoccupazione di non apparire manicheo o dualista e quindi sempre di tenere il contatto col mondo, con la terra, e con la materia, tanto che alla fine non si vede più la differenza col materialismo.

Desideroso di congiungere materia e spirito Teilhard avrebbe potuto trovare il modo grazie alla nozione metafisica e trascendentale dell’ente, che comporta appunto l’ente materiale e l’ente spirituale, collegati nella comune nozione di ente. Viceversa, stando solo sul piano categoriale dello spirito e della materia, per unire non trova di meglio che confondere, così in lui anche la materia possiede un minimo di spiritualità e lo spirito possiede almeno un minimo di materialità.

Una difficile valutazione

Come è noto, Teilhard de Chardin gode tuttora nella Chiesa di una grande fama e il Papa stesso di recente ne ha fatto l’elogio citando le parole di una sua preghiera, lamentando il fatto che egli sia stato frainteso. Tuttavia nel 1962 il Sant’Uffizio pubblicò un Monitum nel quale si dichiara che le opere di Teilhard «pullulano di tali ambiguità, ed anche anzi di gravi errori, che offendono la dottrina cattolica».

Come mettere d’accordo questi due pronunciamenti? Il Sant’Uffizio si è sbagliato? La cosa non è pensabile perché esso si è pronunciato in materia di fede a nome di San Giovanni XXIII. D’altra parte non è troppo difficile constatare l’aspetto positivo dell’opera di Teilhard.

Evidentemente il Papa ha preferito tacere sui lati negativi di Teilhard: padrone di farlo. Ma non potrà smentire il giudizio del Sant’uffizio. E se qualcuno verrà fuori col solito caso Galileo, per farla breve, basterà ricordare che la decisione del Sant’Uffizio di allora non fu su materia di fede[2], ma fu un giudizio pastorale.

Che cosa infatti ha voluto fare Teilhard de Chardin? Egli è stato mosso da due intenti: primo, elaborare una metafisica che pur ammettendo il primato dello spirito sulla materia, riconoscesse alla materia la sua dignità e desse sapore allo spirito, evitando di presentare materia e spirito come nemici. In secondo luogo, e su questa base, suo intento fu quello di elaborare una concezione cristiana della realtà unitaria e globale, includente ciò che sappiamo dalla scienza e ciò che sappiamo dalla fede, una visione che fa capo al «disegno del Padre di ricapitolare (anakefalàiosthai) tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1.10), una visione per la quale tutto l’universo in divenire ascensivo, progressivo e migliorante, passando dalla condizione materiale a quella spirituale e divina, dal mondo all’uomo, converge verso Cristo come scopo finale, Centro unificatore della totalità della realtà, conformemente alla visione di San Paolo (Ef 1,22-23), per la quale «tutto è sottomesso ai piedi di Cristo, perché il Padre Lo ha costituito su tutte le cose capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza (pléroma) di Colui che si compie (plerùmenos) in tutte le cose».

L’idea originale e diciamo pure geniale di Teilhard è stata quella di utilizzare l’attuale visione evolutiva del mondo fornitaci dalla scienza per spiegare meglio che cosa sono questa «pienezza» e questo «compimento» e questa «ricapitolazione» operati da Cristo, capo del Corpo mistico e re dell’universo, un Cristo che appare come Mistero non già compiuto, ma in via di compimento o di attuazione, molla e vertice dell’evoluzione del mondo.

Per questo Teilhard parla del «Cristo evolutore». Inoltre egli osserva che se la Chiesa è il Corpo di Cristo e se la Chiesa è costituita dall’umanità nel mondo, ne viene che il  corpo di Cristo in qualche modo, non ontologicamente ma spiritualmente, grazie all’azione dello Spirito Santo, si dilata all’infinito negli spazi cosmici, al di là della Chiesa, per interessare e coinvolgere il mondo nel quale la Chiesa risiede, quasi questa più ampia corporeità di Cristo fosse un prolungamento della sua stessa corporeità naturale di singolo uomo dotato di anima e corpo. Da qui questo stupefacente rapporto simbiotico di Cristo col mondo scoperto da Teilhard, che lo ha portato a parlare di un «Cristo cosmico».

La metafisica di Teilhard

Lascia molto sorpresi come Teilhard parli della metafisica, mostrandone un’abissale ignoranza, degna del più rozzo empirista inglese o di uno scaricatore di porto.

Purtroppo Teilhard è rimasto prigioniero di una visione non ontologica ma fenomenista della realtà. Eppure, quanto, con quale entusiasmo e quanta sapienza egli sa anche parlare, quando vuole, dello spirito! Lo connette con la vita, la verità, la coscienza, il pensiero, la parola, la bellezza, la grazia, la carità, l’unità, la bontà, il sacrificio, la santità, la Chiesa, i sacramenti, la beatitudine.

Come mai non ha capito che è la metafisica che fa capire l’infinita dignità dello spirito? Allora, quando vediamo in lui delle frasi dalle quali si vede che sa che cosa è lo spirito, dobbiamo dedurre che dunque capisce che cosa è la metafisica. Quando invece notiamo parole che sanno di materialismo, traspare la sua incomprensione della metafisica. Chi non sa apprezzare la metafisica, direbbe San Paolo, è l’uomo carnale, non l’uomo spirituale. Diciamolo una volta per tutte: separare la metafisica dalla spiritualità è una pura truffa che falsifica l’una e l’altra e rende cieco l’intelletto alle cose materiali e a quelle spirituali.

C’è inoltre da notare che Teilhard non sa collegare il concetto di spirito con quello della forma. Non sa concepire una pura forma separata, sussistente da sé senza supporto materiale. Ma sente il bisogno di mettere la materia dappertutto, persino in Dio. E qui chiaramente non ci siamo.

Il concetto di «forma» (morfè, eidos) è estremamente illuminante per capire che cosa è lo spirito, che cosa è la vita, che cosa è la materia. Purtroppo Teilhard trascura di fermarsi su questo concetto importantissimo della metafisica, della natura e dell’antropologia. Anche su questo tema abbiamo un importante insegnamento dogmatico laddove il Concilio di Viennes del 1312 ci insegna che l’anima umana spirituale è forma del corpo. La materia è ciò che è formato dalla forma, ciò che ha o possiede una forma, il soggetto della forma attuato dalla forma e perfettibile dalla forma, ciò che acquista o perde la forma.

La forma è ciò che nell’ente dà la sua determinatezza, identità, unità, perfezione, compiutezza, attualità. Può essere vivente o non vivente. Questa è la forma chimica. La forma vivente può essere vegetativa, sensitiva, spirituale. Quest’ultima è quella propria dell’uomo, La forma inoltre può essere naturalmente separata. Ecco allora l’angelo o Dio, il primo, forma creata, Dio forma increata, infinita e assoluta. Che cosa c’è di tutto ciò nella cosmologia, antropologia e teologia di Teilhard?

Così corrispettivamente manca in lui il concetto di materia prima (prote yle) soggetto radicale e basilare della forma sostanziale in ordine alla costituzione della sostanza materiale. La materia prima è la materia nella sua propria specificità in quanto distinta dalla forma e quindi dallo spirito.

Certamente la materia prima non è può esser oggetto di esperienza se non mediante le qualità sensibili del corpo. E tuttavia è necessario porne l’esistenza per spiegare il permanere del soggetto nelle mutazioni sostanziali e nello stesso svolgersi dell’evoluzione.

È chiaro che tutte le volte che Teilhard parla di «materia», intende la materia seconda, la materia formata, il composto di materia e forma, che cade sotto i sensi ed è oggetto della fisica.

La materia prima è il soggetto della trasformazione e dell’evoluzione. Quando Teilhard dice che la «materia si trasforma un spirito», dà qui prova di non sapere né che cosa è la materia né che cosa è lo spirito. La materia prima è il soggetto della forma, è il poter essere quella cosa, è ciò di cui qualcosa è fatta, ciò da cui proviene, ciò circa cui l’agente opera, ciò in cui si risolve l’anima dei viventi inferiori, è il soggetto che permane nelle trasformazioni sostanziali, per le quali una cosa perde la sua forma e la sua materia e ne assume un'altra, così che si genera una nuova cosa. Di tutto ciò Teilhard sembra non aver capito nulla.

La materia della quale egli parla è la sostanza materiale che cade sotto i sensi. Qui indubbiamente, se si tratta della persona umana, materia e spirito fanno uno, restando tuttavia distinti, ma non possono non stare assieme, benché sia possibile l’esistenza dell’anima separata, ossia l’anima dei defunti. Ma nella visione di Teilhard, che non vuol concepire un puro spirito, ci si può chiedere che ne è dell’immortalità dell’anima? Che dire poi degli angeli, che sono puri spiriti? Infatti Teilhard non ne parla mai: un argomento per lui imbarazzante.

Se poi pensiamo a Dio bisogna dire con forza contro Teilhard che neppure ci è lecito come fa lui negare che Dio crei la materia dal nulla limitandosi ad unificare una molteplicità esistente indipendentemente da Lui. Che Dio è questo? Non ci è lecito associarlo alla materia. Evidentemente Teilhard non tiene conto del dogma del Concilio Vaticano I, che definisce Dio come «una unica singolare del tutto semplice e immutabile sostanza spirituale» (Denz.3001).

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 10 febbraio 2025

Come è noto, Teilhard de Chardin gode tuttora nella Chiesa di una grande fama e il Papa stesso di recente ne ha fatto l’elogio citando le parole di una sua preghiera, lamentando il fatto che egli sia stato frainteso. Tuttavia nel 1962 il Sant’Uffizio pubblicò un Monitum nel quale si dichiara che le opere di Teilhard «pullulano di tali ambiguità, ed anche anzi di gravi errori, che offendono la dottrina cattolica».

Come mettere d’accordo questi due pronunciamenti? Il Sant’Uffizio si è sbagliato? La cosa non è pensabile perché esso si è pronunciato in materia di fede a nome di San Giovanni XXIII. D’altra parte non è troppo difficile constatare l’aspetto positivo dell’opera di Teilhard.

Che cosa infatti ha voluto fare Teilhard de Chardin? Egli è stato mosso da due intenti: primo, elaborare una metafisica che pur ammettendo il primato dello spirito sulla materia, riconoscesse alla materia la sua dignità e desse sapore allo spirito, evitando di presentare materia e spirito come nemici. In secondo luogo, e su questa base, suo intento fu quello di elaborare una concezione cristiana della realtà unitaria e globale, includente ciò che sappiamo dalla scienza e ciò che sappiamo dalla fede, una visione che fa capo al «disegno del Padre di ricapitolare (anakefalàiosthai) tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1.10.

L’idea originale e diciamo pure geniale di Teilhard è stata quella di utilizzare l’attuale visione evolutiva del mondo fornitaci dalla scienza per spiegare meglio che cosa sono questa «pienezza» e questo «compimento» e questa «ricapitolazione» operati da Cristo, capo del Corpo mistico e re dell’universo, un Cristo che appare come Mistero non già compiuto, ma in via di compimento o di attuazione, molla e vertice dell’evoluzione del mondo.

 Immagine da Internet: Teilhard De Chardin


[2] Che sia il sole a girare o sia la terra non ha niente a che vedere con la divina rivelazione.

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