Che cosa intende Gesù quando parla di spirito?
Seconda Parte (2/2)
I simboli dello spirito
Come conoscere le realtà invisibili, se noi siamo portati naturalmente alla conoscenza di quelle visibili? Eppure Dio ha creato il nostro intelletto proprio affinchè, partendo dall’esperienza delle cose sensibili, per induzione e sorretto dalla sua grazia, trovasse la sua beatitudine proprio nella visione immediata di Lui, Spirito assoluto. Per cogliere tuttavia lo spirito abbiamo bisogno di simboli o paragoni o immagini o effetti sensibili dello spirito, come per esempio il gesto, lo sguardo o il linguaggio.
Così Gesù riprende l’immagine veterotestamentaria molto significativa del soffio, dell’alitare, del vento (rùach), realtà impalpabile, eppure sentita, per cui la sua mobilità, il suo andare e venire esprimono bene l’idea della libertà e il mistero della sua origine e del suo fine.
Anche l’immagine del fuoco è significativa. Esprime la luce e il calore, il fervore dello spirito. Molto probabilmente quando Gesù dice di esser venuto a portare il fuoco sulla terra[1], si riferisce al fuoco dello Spirito. Negli Atti degli Apostoli, come è noto, la venuta dello Spirito è rappresentata con la comparsa di lingue di fuoco. È possibile inoltre collegare con lo Spirito Santo anche il fuoco della Geenna. Infatti lo Spirito premia i buoni e castiga i malvagi, similmente al fuoco, che scalda e brucia, dà vita e distrugge.
Altro simbolo importante dello Spirito del Signore è l’unzione e Gesù applica a Se stesso (Lc 4,18) le parole di Isaia (61, 1-2). L’olio nell’antichità mediterranea era simbolo, espressione e mezzo di benessere, di potenza e di letizia.
Anche la nota immagine della colomba è ricca di significato: animale alato, a rappresentare i voli dello Spirito, dal carattere pacifico, semplice e mite, a rappresentare la bontà e la dolcezza dello Spirito, dal candore che fa pensare alla limpidezza della verità e dell’onestà, vivente in una sola coppia, a rappresentare la fedeltà dell’amore.
Gesù corregge i nostri errori riguardo allo spirito
Nella storia dell’umanità si danno due errori fondamentali riguardo alla concezione della natura dello spirito. Essi sono causasti da due vizi spirituali che toccano il problema dello spirito: la superbia e l’accidia.
Nel primo la persona è conscia della propria spiritualità, ma, col pretesto della libertà, non si riconosce dipendente da Dio e soggetta alle sue leggi. Nel secondo vizio, la persona si è abbrutita come un animale, è interessata solo ai piaceri materiali sottratti alla moderazione della ragione e alle norme dell’ascetica.
Qui la persona ha perduto la vista, l’udito, la loquela, il gusto e il tatto spirituali; è divenuta cieca, muta e sorda alla vita dello spirito, o non sente alcuna attrattiva, gusto o interesse per i valori dello spirito, perchè schiava dei piaceri carnali, soprattutto sessuali. Ma possono essere anche i gusti perversi della gola, dell’avarizia, dell’ira o dell’invidia.
C’è invece, e questo è il primo caso, chi è ben conscio della propria spiritualità nel prender coscienza del proprio pensare e volere, consapevole del primato dello spirito sulla materia, ma, preso da una vertigine nel considerare l’infinità e la potenza dello spirito, abbacinato dalla visione dell’assolutezza e libertà dello spirito, e dal fatto che esso è il principio della totalità dell’essere ed anzi esso stesso nella sua assolutezza, è l’essere supremo, dimentica i propri limiti creaturali e materiali, e le proprie miserie, e finisce per confondere il proprio io con lo spirito assoluto, che in realtà è Dio. Ai tempi di Gesù costoro erano i farisei e di dottori della legge. Invece i materialisti erano i sadducei.
Un esempio cospicuo di questa mentalità nei tempi moderni, è Cartesio, dal cui pensiero è nato l’idealismo tedesco: Spinoza, Berkeley, Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Dilthey, fino ad Husserl, Croce, Gentile e Bontadini si compiacciono di esaltare lo spirito, confondendo però lo spirito umano con quello divino.
Gesù è la nostra guida nel difficile lavoro di riconciliazione dello spirito col corpo, fra diletti spirituali e piaceri fisici, rimediando al conflitto interiore che ha fatto seguito al peccato originale. Egli rende beata in cielo l’anima separata della persona morta in grazia, ma le promette la risurrezione del corpo all’ultimo giorno. Ci fa sapere che vedere il Padre in cielo è atto del puro intelletto; eppure rappresenta la gioia del regno futuro con l’immagine di un grande banchetto.
Lo spirito e la carne
Gesù assume il termine «carne» nel significato proprio già dell’Antico Testamento. È un termine dai molteplici significati: significa immediatamente la parte materiale e sensibile dell’animale e quindi anche il corpo umano; significa la creatura nella sua limitatezza a confronto del creatore; qui allora Gesù usa la coppia di termini «carne e sangue»; significa la creatura umana nella sua fragilità e tendenza al peccato; significa la sessualità umana, l’esser maschio e femmina, chiamati ad essere «una sola carne».
Così si spiegano certe espressioni di Gesù, che sembrano in contraddizione fra di loro, come per esempio quando da una parte dice che la carne è debole e non giova a nulla, mentre dall’altra avverte che chi non mangia la sua carne non può avere la vita eterna. Da una parte parla della corruttibilità della carne, ma dall’altra prospetta la risurrezione della carne.
L’apparente contraddizione si scioglie considerando il fatto che bisogna distinguere fra due atteggiamenti opposti nel confronti della carne, ossia della parte materiale psicofisica dell’uomo: o il confidare nella carne, quasi che essa sia Dio e allora ciò porta alla dannazione eterna, o il far uso o fruire della carne maschile o femminile soggetta allo spirito, aperta allo spirito, unita allo spirito, espressione della vita dello spirito e allora la carne è principio di felicità e via di salvezza. Da qui abbiamo la densa frase di Sant’Agostino: «caro te excaecaverat? Caro te sanat».
In sostanza, per Gesù la carne in se stessa è buona in quanto creata da Dio come parte essenziale della natura umana, è il nutrimento del corpo, è la forma dell’esser uomo o donna, e quindi dev’essere amata come tale. Ma diventa pericolosa e dannosa, diventa una maledizione, se cercata senza misura per se stessa e in modo assoluto, magari trascurando i doveri spirituali, come e fosse Dio.
Così Gesù ci indirizza al gusto dell’esperienza mistica, dono dello Spirito e pregustazione del cielo, nutrendoci con la carne del suo corpo eucaristico. Ci ricorda che uomo e donna sono chiamati nell’amore ad essere una sola carne, sebbene alla risurrezione futura saranno come angeli. Ci esorta ad esser pronti a lasciare la nostra stessa vita fisica, pur di esserGli fedeli. Ma con tanti suoi gesti mostra una cura attentissima per la nostra buona salute e per la cura delle malattie. Ci proibisce di negoziare sui valori supremi dello spirito, ma di essere pronti, per non perder quelli, a negoziare su quelli del corpo.
Spirito Santo e spirito impuro
Per Gesù la pura e semplice spiritualità, il puro spirito, similmente all’«io puro» degli idealisti, è un dato semplicemente ontologico, ma non una categoria morale. Gesù, in linea con la visione veterotestamentaria, ammette un puro spirito, ossia uno spirito come sostanza o natura completa sussistente, uno spirito che non sia forma di un corpo, e questo spirito è l’angelo o Dio.
Mentre nel monismo hegeliano esiste un solo Spirito, che lo Spirito assoluto, e gli spiriti non sono sostanze, ma momenti dialettici inferiori del divenire dello Spirito, Gesù distingue Dio come Spirito assoluto dagli spiriti sue creature, che sono le anime umane e gli angeli, ciascuno con una propria personalità e non gradini e determinazioni inferiori dello Spirito assoluto.
Inoltre, dal punto di vista etico, ben diversa è la considerazione dello spirito in Gesù e nell’idealismo tedesco. Qui il bene non respinge il male, ma anzi lo richiede perché il bene in sé e per sé è la sintesi del bene in sé e del male in sè, per cui non ha senso distinguere fra spirito buono e spirito cattivo: lo Spirito è necessariamente buono, ma solo in quanto include il male e non si separa dal male.
Lo spirito, quindi, per Gesù, in se stesso realtà nobilissima, è al vertice dell’essere, ben al di sopra della materia, quindi in se stesso amabilissimo e preferibile alla corporeità, che ad esso è ordinata e da lui dev’essere governata.
Tuttavia per Gesù lo spirito non coincide con l’essere, come credono gli idealisti, ma Gesù ammette anche l’essere materiale, poiché Dio, l’Essere sussistente, è il creatore di ogni essere e di tutti gli esseri, delle cose visibili e di quelle invisibili, delle materiali e delle spirituali.
Tuttavia Gesù precisa che lo spirito, in quanto creatura intelligente e libera, ha la facoltà di obbedire o disobbedire a Dio. Da qui la possibilità di un uno spirito buono e santo, benefico e favorevole all’uomo e di uno spirito malvagio e impuro, dannoso e istigante al peccato. Interessante è la figura dello «spirito muto», che, nei Vangeli, rappresenta il demonio negli ossessi, i quali sono muti nel senso che non sanno parlare secondo le parole della fede.
In tal modo, come già troviamo nell’Antico Testamento ed anche in altre religioni, Gesù ammette l’esistenza di spiriti buoni, gli angeli santi, e di spiriti cattivi o maligni, i demòni o diavoli. Gesù chiama il demonio anche spirito «impuro», non che questo non sia ontologicamente un puro spirito, ma qui impuro è detto in senso morale secondo la metafora biblica del peccato o del fallo o male morale paragonato a una macchia o a una forma di immondezza o di sporcizia. Potremmo parlare di purezza morale, usando la metafora biblica della purezza come pulizia, mentre la malignità è rappresentata con l’immagine della sporcizia. Quindi, invece di spirito impuro, potremmo dire spirito sozzo.
Per quanto riguarda invece lo Spirito Santo, è evidente che Gesù ne parla come di una vera e propria Persona divina, da Lui distinta, mandata dal Padre e dal Figlio a presiedere ad uffici ben precisi: la celebrazione dell’eucaristia, il potere di governare la Chiesa, il conferimento agli apostoli del potere di rimettere i peccati, il completamento dell’opera del Figlio nel senso di condurre la Chiesa alla piena comprensione della dottrina del Figlio, la consolazione nelle prove e nella sofferenza, la forza sufficiente per essere testimoni del Vangelo, la forza purificatrice e santificatrice del sacramento del battesimo.
L’indagine teologica sul mistero trinitario in Spagna nel sec.VI, interrogandosi sull’origine dello Spirito Santo, s’imbatté nel problema di come distinguere il Figlio dallo Spirito Santo in quanto entrambi originati, secondo la fede fino ad allora professata, dal Padre.
È vero che Gesù distingue in vari modi nel Vangelo l’opera sua da quella futura dello Spirito: sostanzialmente lo Spirito porta a compimento e perfezione l’opera del Figlio, il Quale lo invia proprio a questo scopo, come Egli stesso dichiara; e ciò era sufficiente per distinguere le due Persone. Inoltre San Paolo chiarisce ulteriormente l’opera dello Spirito in quanto distinta da quanto aveva fatto Cristo. Secondo gli Orientali questi dati erano sufficienti perché essi si accontentavano di quanto era narrato nel Vangelo e nel Nuovo Testamento.
Senonchè invece i teologi spagnoli nel sec.VI furono più esigenti. Si accorsero che le differenti attività del Figlio e dello Spirito non erano altro che diverse accentuazioni o modalità di attributi della medesima natura divina che non costituisce principio della distinzione delle Persone, quasi siano tre dèi, ma costituisce il principio dell’unità, perchè le tre Persone sono un solo Dio. Dunque la distinzione fra Figlio e Spirito andava presa da un altro principio.
Quale poteva essere questo principio? Si accorsero che tale principio era l’origine: il Figlio è distinto dal Padre perché origina dal Padre; lo Spirito è distinto dal Padre perchè origina dal Padre. Ma allora, se Figlio e Spirito procedono entrambi dal Padre, come si distinguono fra di loro se non per l’origine? E origine di chi da chi? Non poteva il Figlio aver origine dallo Spirito. Infatti Gesù dice che manderà lo Spirito.
È vero che Gesù parla dello Spirito del Padre; ma i teologi conclusero che, se Gesù manda anche Lui lo Spirito, vuol dire che procede anche da Lui. E fu così che nacque il Filioque. La monarchia del Padre resta salva, perchè il principio della Trinità resta Lui. Ma il fatto che lo Spirito venisse da due princìpi paritari non offendeva la monarchia, perchè il Padre resta sempre al di sopra delle altre due Persone non come Persona, ma come Principio.
Così avvenne in Spagna che i Concili Toledani, a partire dal III del 589 (Denz.470) cominciarono a proclamare nel Credo il Filioque in chiave antiariana. Infatti, se lo Spirito procede dal Figlio, vuol dire evidentemente che il Figlio è Dio. Tuttavia è chiaro che occorreva trovare un fondamento a questa nuova dottrina.
Questo fondamento fu trovato nello scoprire il principio della vera distinzione tra il Figlio e lo Spirito, entrambi procedenti dal Padre. Infatti i teologi e di conseguenza la Chiesa locale spagnola che li approvò, si accorsero che le differenze di uffici e mansioni che il Nuovo Testamento assegna al Figlio e allo Spirito non sono sufficienti, perché, come ho detto sopra, si tratta di operazioni divine, che dipendono da Dio che è uno per entrambe le Persone.
Indagando meglio sulle parole di Cristo, i teologi si accorsero allora che il vero principio della distinzione è dato dalla differente origine di una Persona dall’altra. Per distinguere allora il Figlio dallo Spirito, dato che non si poteva ammettere che il Figlio procedesse dallo Spirito, non c’era altra strada che ammettere che lo Spirito procede non solo dal Padre ma anche dal Figlio.
Questa grandiosa scoperta, frutto di uno stringente ragionamento teologico basato sulla rivelazione neotestamentaria, del rapporto Figlio-Spirito, gettava una nuova splendida luce sul dinamismo trinitario e portò per conseguenza ad una migliore comprensione e fondazione trinitaria del carisma petrino, che apparve ancor più dipendente dallo Spirito in quanto Spirito del Figlio procedente dal Figlio.
E non è privo di significato né senza motivo che i Bizantini, incapaci questa volta, nel 1054, di capire quel progresso dogmatico, che pur fino ad allora avevano sempre accettato nei precedenti Concili, si siano irrigiditi in un miope conservatorismo, ed abbiano rigettato ad un tempo il Filioque e il primato del Romano Pontefice, un tragico ed irragionevole intoppo, che ancora a tutt’oggi non sono riusciti a superare.
Gli ortodossi non hanno tratto alcun vantaggio dal separarsi dal Papa, perché per mantenere l’unità e la comunione sono stati costretti a ricorrere alle Chiese nazionali e a chiedere protezione e appoggio presso i sovrani temporali, i quali inevitabilmente non hanno che potuto tenere bassa la vitalità della Chiesa assoggettandola al potere del sovrano.
L’attuale guerra in Ucraina non è solo guerra all’Occidente cattolico, ma anche guerra intestina tra Mosca e Costantinopoli, tragedia dalle immani proporzioni mai prima accaduta nel mondo ortodosso, che mostra in modo palmare le conseguenze della sciagurata separazione da Roma.
La Chiesa occidentale sperava che quella orientale accettasse il Filioque. Invece purtroppo incontrò la ben nota ostinata resistenza, falsa fedeltà alla Tradizione, tuttora esistente, e fu così che una metà dell’Europa cristiana abbandonò l’altra metà, che però costituisce quella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, dalla quale i Bizantini si sono separati. È stupefacente che ancora dopo 1000 anni la Chiesa ortodossa non abbia ancora potuto comprendere le ragionevoli spiegazioni addotte dai Latini ed approvate dalla Chiesa universale.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 3 maggio 2025
Questo fondamento fu trovato nello scoprire il principio della vera distinzione tra il Figlio e lo Spirito, entrambi procedenti dal Padre. Infatti i teologi e di conseguenza la Chiesa locale spagnola che li approvò, si accorsero che le differenze di uffici e mansioni che il Nuovo Testamento assegna al Figlio e allo Spirito non sono sufficienti, perché, come ho detto sopra, si tratta di operazioni divine, che dipendono da Dio che è uno per entrambe le Persone.
Indagando meglio sulle parole di Cristo, i teologi si accorsero allora che il vero principio della distinzione è dato dalla differente origine di una Persona dall’altra. Per distinguere allora il Figlio dallo Spirito, dato che non si poteva ammettere che il Figlio procedesse dallo Spirito, non c’era altra strada che ammettere che lo Spirito procede non solo dal Padre ma anche dal Figlio.
Questa grandiosa scoperta, frutto di uno stringente ragionamento teologico basato sulla rivelazione neotestamentaria, del rapporto Figlio-Spirito, gettava una nuova splendida luce sul dinamismo trinitario e portò per conseguenza ad una migliore comprensione e fondazione trinitaria del carisma petrino, che apparve ancor più dipendente dallo Spirito in quanto Spirito del Figlio procedente dal Figlio.
Immagine da Internet: Pentecoste, Tiziano
[1] Vedi il mio libretto Il fuoco sulla terra. L’aspetto comunitario dell’agone cristiano, Edizioni Chorabooks, Hong Kong 2018.
Buongiorno, volevo chiederle una spiegazione su questa frase della Bibbia:
RispondiElimina«Fratelli, la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.»
Cosa vuol dire "fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito"?
Grazie
(Icaro)
Caro Icaro,
EliminaSan Paolo si riferisce alla distinzione nella nostra anima tra le potenze spirituali e quelle sensitive, che abbiamo in comune con gli animali, mentre quelle spirituali le abbiamo in comune con gli angeli e con Dio, i quali le posseggono ad un livello superiore.
I due termini pneuma e psyche si riferiscono a questi due livelli dell’anima. Il primo è oggetto della psicologia razionale e filosofica, che riguarda l’opera educativa e la direzione spirituale. Il secondo è oggetto della psicologia sperimentale e della psicoterapia, le quali studiano e curano i disturbi psicologici.
Faccio un esempio. In comune con gli animali abbiamo l’esercizio dei sensi esterni, cioè i cinque sensi, ed interni, cioè la fantasia, l’immaginazione, la memoria, il senso pratico e il mondo degli istinti.
Le potenze spirituali sono l’intelletto, la ragione, la coscienza e la volontà.