Diritti dell’uomo e diritti di Dio - Sovvertimento e restaurazione nella Rivoluzione Francese - Terza Parte

 

Diritti dell’uomo e diritti di Dio

Sovvertimento e restaurazione nella Rivoluzione Francese

Terza Parte

 Il rapporto dello Stato con la Chiesa

Dalla Dichiarazione del 1789 si ricava che il fine dello Stato e del governo civile è la cura del bene comune temporale così come può essere determinato in base alla ragione e al diritto naturale. Da qui discende la cura delle realtà sociali e delle comunità umane presenti nel territorio dello Stato. Ora la Chiesa si presenta agli occhi dello Stato come comunità coinvolta nella cura del bene comune e nel rispetto dei diritti umani, disposta ad obbedire alle direttive del capo dello Stato e alle leggi dello Stato. 

La Dichiarazione, peraltro, col riconoscere la libertà di opinione e la libertà religiosa, rinuncia a interferire negli affari interni della Chiesa. Pertanto, i difetti della Costituzione civile del clero, giustamente segnalati e condannati da Pio VI, furono  quello di interferire negli affari interni della Chiesa per quanto riguarda la libertà di azione del clero e dei Vescovi, nonché quella degli istituti religiosi, fu quello di violare il diritto di proprietà della Chiesa e quello di impedire la libera formazione e diffusione della cultura cattolica, con la soppressione degli Ordini religiosi.

Un giudizio su Luigi XVI

Luigi XVI era benintenzionato a fare il bene della Francia, ma era legato a un concetto della sua autorità desunto dallo schema padre-figlio, di indubbio aggancio biblico, ma di stampo veterotestamentario, non evangelico, dal quale avrebbe potuto trarre il concetto della democrazia restituendo alla triade libertà-uguaglianza-fraternità il suo originario significato cristiano. Avrebbe potuto prendere spunto dalla monarchia inglese, la quale mostrava come si potesse conciliare il regime monarchico con quello repubblicano.

Invece i Francesi, nonostante la loro tradizione cattolica, di per sé meglio aderente al Vangelo di quella anglicana, a causa del loro gallicanesimo, non furono capaci di capire come democrazia e monarchia, ben lungi dall’escludersi a vicenda, erano fatte l’una per l’altra, come già aveva dimostrato a Aristotele. Non capì che la vera nobiltà di famiglia funzionale al buon governo civile non è necessariamente quella del sangue, ma quella della virtù. Anche il regime repubblicano non può fare a meno di una classe aristocratica, ossia dei più capaci e meritevoli, così come un regime monarchico non può fare a meno di una base popolare.

Così il Re non seppe comprendere le istanze popolari dell’Assemblea nazionale, anche se bisogna dire che in essa operavano elementi di idee massoniche decisi a distruggere il cristianesimo e la Chiesa.  

Luigi XVI ebbe una buona idea a convocare gli Stati generali nel 1789 per risolvere i gravi problemi economici e sociali del paese, onde avere un aiuto e un consiglio sul da farsi. Egli però non previde né approvò il formarsi dell’Assemblea Costituente, che risultò soprattutto dal terzo Stato, da gran parte del basso clero e da una piccola parte della nobiltà alcuni nobili, mentre l’alto clero e la nobiltà in grande maggioranza si opposero mantenendo la fedeltà all’assolutismo regio.

Il Re purtroppo non si rese conto che il costituirsi di questa Assemblea aveva una base giuridica nel diritto del popolo all’autogoverno e che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino poteva essere accettata come base giuridica dello Stato, senza che ciò ledesse necessariamente i diritti della monarchia, della nobiltà e del clero.

Purtroppo anche Pio VI non seppe accorgersi degli elementi recuperabili nella concezione illuministica e massonica dello Stato. Solo col Concilio Vaticano II la Chiesa avrebbe assunto in pieno gli aspetti validi delle concezioni illuministiche settecentesche.

Così il Re non comprese che era giunto il momento storico per la Francia di abbandonare il concetto del governante come sovrano assoluto e di accogliere quello democratico di rappresentante del popolo. Egli si sentiva sinceramente al servizio del bene comune e ne aveva dato molte prove, con numerosi atti di governo, ma il suo vizio di fondo era il suo concetto di monarchia ed aristocrazia legati al sangue e meno alla virtù, un concetto in fondo non cristiano, benché egli facesse professione di fede cattolica.

Paradossalmente su questo punto erano più vicini al Vangelo ed alla concezione aristotelica del buon governo i massoni e gli illuministi, che non la stessa gerarchia ecclesiastica francese, troppo legata alla classe nobiliare e ai suoi interessi di potere. Tuttavia è vero che all’interno dell’Assemblea agivano esponenti della massoneria intenzionati, come ho detto, a distruggere il cristianesimo e la Chiesa in nome di un umanesimo materialistico, gnostico ed esoterico.

Il Concilio Vaticano II ha regolato i conti con la storia

L’enorme disagio della Francia che nel ‘700 la condusse alla rivoluzione non fu solo un disagio politico, ma più profondamente fu un travaglio umano, morale, spirituale ed ecclesiale. Anzi, dirò di più: nella Francia, eminente rappresentante della Chiesa cattolica, era la Chiesa stessa che stava subendo una grave crisi, una crisi che sarebbe stata di crescita, che sul momento invece apparve ai cattolici e al Papa stesso, come gravissimo pericolo di vita.

Da qui lo smarrimento, l’angoscia e la sofferenza di tanti cattolici, compreso il Papa, nel vedersi o ritenersi aggrediti da nemici mortali, Quei pochi che tentarono un dialogo con gli illuministi e con i massoni furono giudicati male dai buoni cattolici e non senza ragione, perché finirono per essere strumentalizzati dai nemici della Chiesa o finirono per fare il doppio gioco, come i preti e i Vescovi costituzionali.

Figura famosissima di questa vicenda fu il Vescovo Taillerand, che ebbe tanta abilità nel barcamenarsi in ogni situazione, che con tanta astuzia e fine doppiezza, che riuscì a passare indenne attraverso tutti i momenti del terribile dramma; dall’ancien régime, alla rivoluzione, al Direttorio, a Napoleone, alla Restaurazione.

La Chiesa del ‘700 non si accorse che occorreva fare un esame critico delle nuove idee cartesiane, illuministiche e materialistiche che stavano diffondendosi in Europa e proporre un cristianesimo ad un tempo aperto ai valori della modernità e vigilante contro gli errori. Non si seppe rinnovare la società e il modo di essere cristiani. Ci provò Luigi XVI con la convocazione degli Stati generali. Ma sarebbe stato necessario un Concilio della Chiesa.

Se la Chiesa avesse saputo affrontare lei di petto l’enorme problema, probabilmente non ci sarebbe stata la Rivoluzione francese, perché ne avrebbe tolto il veleno, spuntata la forza critica e accontentato le istanze giuste. Per fare questo lavoro avremmo dovuto aspettare il Concilio Vaticano II. Non del tutto sbagliata fu quindi la frase del Card. Suenens quando disse che il Vaticano II fu il 1789 della Chiesa. Certo, durante i lavori del Concilio ci furono momenti drammatici, nei quali ci fu la sensazione di una bufera rivoluzionaria.

Alcuni avevano consigliato a Pio XII, per il timore che sorgesse qualcosa del genere, di non convocare un Concilio. San Giovanni XXIII invece non temette questo pericolo perché sapeva che lo Spirito Santo protegge il Papato. Così è successo che effettivamente durante il Concilio le forze modernistiche hanno tentato di abbattere il Papato ma non ci sono riuscite.

Anche Luigi XVI convocò il suo concilio, senza immaginarsi quale sorte era segnata per il suo casato, ma poiché la dinastia dei capetingi non aveva  ricevuto da Dio una promessa di indefettibilità, è tragicamente crollata, dopo una durata di otto secoli.  Ma chi ci dice che i santi Re di Francia dal cielo non continuino a proteggere la loro amata patria?

Documenti

Testo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo

promulgato dall’Assemblea costituente il 26 agosto 1789

«I rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo dal poter essere in ogni istante paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. Di conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Ente Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:

Art. 1 – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.

Art. 2 – Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.

Art. 3 – Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa.

Art. 4 – La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Tali limiti possono essere determinati solo dalla Legge.

Art. 5 – La Legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla Legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.

Art. 6 – La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti.

Art. 7 – Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla Legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che sollecitano, emanano, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della Legge, deve obbedire immediatamente: opponendo resistenza si rende colpevole.

Art. 8 – La Legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una Legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata.

Art. 9 – Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge.

Art. 10 – Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge.

Art. 11 – La libera manifestazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.

Art. 12 – La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata.

Art. 13 – Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese d’amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini in ragione delle loro capacità.

Art. 14 – Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione, la riscossione e la durata.

Art. 15 – La società ha il diritto di chiedere conto della sua amministrazione ad ogni pubblico funzionario.

Art. 16 – Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione.

Art. 17 – La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previo un giusto e preventivo indennizzo».

Il giudizio di Pio VI sulla Costituzione civile del clero 

emanata il 12 luglio 1790 dall’Assemblea costituente

Col Breve Quot aliquantum del 10 marzo 1791 Papa Pio VI respinse la Costituzione civile del clero come contraria ai diritti della Chiesa e alla visione cristiana dell’uomo e della società. Riporto al riguardo questo testo centrale del documento pontificio. Così si esprime il documento:

«Codesta Assemblea Nazionale si è arrogata la potestà della Chiesa, giungendo a stabilire tante e sì strane cose, le quali sono contrarie sia al Dogma, sia alla disciplina ecclesiastica, costringendo i Vescovi e gli Ecclesiastici tutti a giurare di eseguire quanto essa ha decretato. Di ciò peraltro non deve stupirsi chiunque rileva dalla Costituzione stessa dell’Assemblea che questa a null’altro mira né altro cerca se non l’abolizione della Religione Cattolica e, con questa, anche dell’ubbidienza dovuta ai Re. Con tale disegno appunto si stabilisce come un principio di diritto naturale che l’uomo vivente in Società debba essere pienamente libero, vale a dire che in materia di Religione egli non debba essere disturbato da nessuno, e possa liberamente pensare come gli piace, e scrivere e anche pubblicare a mezzo stampa qualsiasi cosa in materia di Religione.

Che queste affermazioni, certamente strane, discendano propriamente e derivino dall’uguaglianza degli uomini fra di loro e dalla libertà naturale, lo ha dichiarato la stessa Assemblea. Ma quale stoltezza maggiore può immaginarsi quanto ritenere tutti gli uomini uguali e liberi in tal modo che nulla venga accordato alla ragione, di cui principalmente l’uomo è stato fornito dalla natura e per la quale si distingue dalle bestie? (In che cosa gli uomini sono uguali, se non per il comune possesso della ragione? E che cosa detta la ragione se non di essere tutti soggetti al Creatore?).

Quando Dio ebbe creato il primo uomo e lo collocò nel Paradiso terrestre, non gli intimò nello stesso tempo la pena di morte se avesse gustato i frutti dell’albero della scienza del bene e del male? Con questo primo precetto non ne pose egli tosto in freno la libertà? E dopo che l’uomo con la sua disubbidienza si era fatto colpevole, non aggiunse Iddio molti altri precetti, che vennero da Mosè promulgati?

Benché egli avesse lasciato l’uomo in potere delle proprie decisioni, onde fosse poi capace di meritare premio o pena, nondimeno gli aggiunse leggi e comandamenti, affinché volendoli fedelmente osservare gli valessero per sua salute. Ove è dunque quella libertà di pensare e di operare, che i decreti dell’Assemblea attribuiscono all’uomo vivente in società come un diritto immutabile della natura? Dunque, per ciò che risulta da tali decreti, a tenore di essi converrà contraddire al diritto del Creatore, per mezzo del quale noi esistiamo, e dalla cui liberalità si deve riconoscere tutto ciò che siamo e che abbiamo.

 Oltre ciò, chi non sa che gli uomini sono stati creati non semplicemente per vivere ciascuno come singolo, ma per vivere anche ad utilità e giovamento degli altri? Pertanto, debole come è l’umana natura, è scambievole il bisogno dell’altrui opera per la propria conservazione; ed è per questo che Iddio fornì gli uomini di ragione e di parola, perché sapessero e potessero chiedere aiuto e, richiesti, porgerlo. Pertanto, dalla natura stessa furono indotti ad accomunarsi e ad unirsi in società.

Ora, siccome all’uomo appartiene l’uso della ragione, in modo che egli non solo riconosca il Supremo suo creatore, ma lo rispetti e lo veneri con ammirazione, e riconosca che egli stesso e tutte le sue cose derivano da Lui, ed è necessario che fin dal principio del suo vivere egli stia soggetto ai suoi maggiori, che lo possano regolare e ammaestrare, onde gli sia agevole il conformare il tenore della sua vita ai lumi della ragione, ai principi della natura e alle massime della Religione, deriva che il nascere stesso che fa ciascun uomo al mondo prova ad evidenza essere vana e falsa quella così vantata eguaglianza fra gli uomini, e la libertà. «State soggetti, dice l’Apostolo, ché questo è di necessità».

 Ma perché gli uomini potessero unirsi in civile società, fu inoltre necessario stabilire una forma di governo, per mezzo del quale quei diritti di libertà sono stati vincolati dalle leggi e dalla suprema potestà dei Regnanti; da ciò consegue direttamente ciò che insegna Sant’Agostino dicendo: «È un patto generale della società umana ubbidire ai propri Re». Pertanto, questa potestà non deriva tanto dal contratto sociale, quanto da Dio stesso, autore del retto e del giusto. Ciò pure affermò l’Apostolo nella lettera ai Romani, cap. 13: «Ogni uomo stia soggetto alle Potestà superiori; imperciocché non v’è Potestà che non provenga da Dio, e quelle Potestà che sono qui in terra sono da Dio ordinate. Perciò chi resiste alla Potestà resiste all’ordine di Dio; e coloro che vi resistono si tirano addosso la dannazione».

Stralcio dal Breve di Pio VI

Charitas quae del 13 aprile 1791

 

Affinché le Nostre esortazioni penetrassero più a fondo nell’animo del Re cristianissimo, scrivemmo altre due lettere in forma di Breve, il giorno 10 dello stesso mese, ai Venerabili fratelli arcivescovi di Bordeaux e di Vienne, che erano al fianco del Re, e paternamente li ammonimmo perché unissero il loro intervento ai Nostri; si doveva scongiurare che, se l’autorità regia avesse accettato la predetta «Costituzione», il Regno stesso diventasse scismatico, e scismatici i vescovi che fossero creati secondo la forma fissata dai Decreti; nel qual caso Noi saremmo obbligati a bollarli come intrusi, totalmente privi di giurisdizione ecclesiastica. Perché non si potesse minimamente dubitare che le Nostre ansiose sollecitudini fossero motivate soltanto da preoccupazioni religiose e per chiudere la bocca ai nemici di questa Sede Apostolica, decretammo che fosse sospesa in Francia l’esazione delle tasse, dovute ai Nostri uffici dalle precedenti Convenzioni e dalla ininterrotta consuetudine.

4. Il Re cristianissimo si sarebbe certamente astenuto dal confermare la Costituzione, ma l’incalzante, impellente comportamento dell’Assemblea nazionale lo indusse a subire e a sottoscrivere la Costituzione, come dimostrano le lettere che Ci ha inviato il 28 luglio, il 6 settembre ed il 16 dicembre; in esse chiedeva che Noi approvassimo, almeno per precauzione, prima cinque e poi sette articoli, i quali, poco dissimili l’uno dall’altro, costituivano quasi un sunto della nuova Costituzione.

5. Ben presto ci rendemmo conto che nessuno di quegli articoli poteva essere da Noi approvato o tollerato, in quanto contrario alle regole canoniche. Non volendo tuttavia che da ciò i nemici cogliessero l’occasione di ingannare il popolo, come se Noi fossimo contrari a qualunque forma di conciliazione, e volendo continuare sulla stessa strada di mansuetudine, annunciammo al Re, con lettera del 17 agosto a lui stesso indirizzata, che gli articoli sarebbero stati da Noi attentamente soppesati e che i Cardinali di Santa Romana Chiesa sarebbero stati chiamati a consiglio e, riuniti, avrebbero esattamente ponderato. Essi dunque si riunirono due volte, il 24 settembre ed il 16 dicembre, per esaminare i primi ed i secondi articoli; svolto un diligentissimo esame, ritennero all’unanimità che sugli articoli in questione si dovesse sentire il parere dei Vescovi francesi, perché indicassero essi stessi, se era possibile, qualche fondamento canonico che da lontano non si riusciva ad individuare, come già Noi avevamo scritto in precedenza con altra Nostra lettera al Re cristianissimo.

6. Una non lieve consolazione al dolore che fortemente Ci affliggeva derivò dal fatto che la maggior parte dei Vescovi francesi, spontaneamente spinta dai doveri dell’impegno pastorale e mossa dall’amore per la verità, si mostrava costantemente contraria a questa Costituzione e la combatteva in tutti i modi che sono propri del regime della Chiesa. Questa Nostra consolazione fu ulteriormente aumentata allorché il Nostro diletto figlio il Cardinale Rochefoucauld e i Venerabili Fratelli l’Arcivescovo di Aix ed altri Arcivescovi e Vescovi in numero di trenta, per prevenire tanti e tanto grandi mali, si rivolsero a Noi; con lettera del 10 ottobre mandarono una «Esposizione sopra i principi della Costituzione del Clero», firmata da ognuno col proprio nome, chiedendo il Nostro consiglio ed il Nostro aiuto; implorarono da Noi, come da un comune Maestro e Genitore, la corretta norma di comportamento, alla quale affidarsi con tranquillità. Ciò che soprattutto accrebbe la Nostra consolazione fu che molti altri Vescovi si unirono ai primi, sottoscrivendo la predetta «Esposizione», di modo che dei 131 Vescovi di codesto Regno soltanto quattro si mantennero di diverso avviso; ed insieme a questo così grande numero di Vescovi anche la moltitudine dei Capitoli e la maggior parte dei Parroci e dei Pastori di second’ordine conveniva che questa «Esposizione», fatta propria col consenso degli animi, dovesse far parte della Dottrina di tutta la Chiesa Francese.

7. Noi stessi, senza frapporre indugio, mettemmo mano all’opera e sottoponemmo ad esame tutti gli articoli di detta Costituzione. Ma l’Assemblea Nazionale Francese, nonostante udisse la voce concorde di codesta Chiesa, non pensò minimamente di desistere dalla propria impresa, anzi fu maggiormente irritata dalla coerenza dei Vescovi. Rendendosi perfettamente conto che fra i Metropolitani e fra i Vescovi più anziani non se ne sarebbe trovato nessuno disponibile a legittimare i nuovi Vescovi, eletti nei Distretti municipali col voto dei laici, degli eretici, degli infedeli e degli ebrei, secondo quanto disponevano i nuovi Decreti; consapevole inoltre che questa assurda forma di regime non avrebbe potuto sussistere da nessuna parte, dal momento che senza Vescovi scompare qualunque forma di Chiesa, l’Assemblea pensò di pubblicare altri Decreti ancora più assurdi; cosa che fece il 15 e il 27 novembre e poi ancora il 3, 4 e 26 gennaio 1791. Con questi ulteriori Decreti, ai quali aggiunse forza l’autorità regia, venne stabilito che – qualora il Metropolitano oppure il Vescovo più vecchio si fosse rifiutato di consacrare i nuovi eletti – qualunque Vescovo di un altro Distretto avrebbe potuto farlo. Inoltre, per far sì che con un’unica azione ed in un solo momento venissero tolti di mezzo tutti i Vescovi onesti e tutti i Parroci animati dalla religione cattolica, fu disposto anche che tutti i Pastori, sia del primo sia del secondo ordine, giurassero tutti, senza alcuna aggiunta, di osservare la Costituzione: sia quella già promulgata, sia le norme che fossero approvate in seguito. Coloro che si fossero rifiutati di prestare giuramento, sarebbero addirittura stati rimossi dal loro grado e le loro sedi e le loro parrocchie considerate vacanti del pastore. Espulsi dunque, anche con la violenza, i legittimi Pastori e Ministri, sarebbe stato lecito procedere all’elezione di nuovi Vescovi e Parroci nei Distretti municipali; messi in disparte i Metropolitani ed i Vescovi più vecchi, che non si fossero piegati al giuramento, questi eletti avrebbero dovuto presentarsi al Direttorio (cui competerebbe la designazione di qualunque Vescovo) per essere confermati ed istituiti.

8. Decreti di questo tenore, successivamente pubblicati, gravarono il Nostro animo di un dolore smisurato ed aumentarono la Nostra pena, perché Ci toccò occuparci anche di questi temi nella risposta ai Vescovi che stavamo preparando. I decreti Ci sollecitarono di nuovo ad indire pubbliche preghiere e ad implorare il Padre di ogni misericordia. Essi furono anche la causa per cui i Vescovi francesi, che già con egregie, meditate pubblicazioni si erano opposti alla Costituzione del Clero, diedero alle stampe nuove Lettere Pastorali al popolo, e si diedero da fare con il massimo impegno a contrastare le disposizioni relative alla deposizione dei Vescovi, alle vacanze delle sedi episcopali, alle elezioni e ratifiche dei nuovi Pastori. Da ciò è derivato che – per espresso accordo di tutta la Chiesa francese – i giuramenti civici vennero considerati come spergiuri e sacrileghi, totalmente indegni non solo degli ecclesiastici ma di qualunque persona cattolica; tutti gli atti conseguenti, considerati scismatici, furono tenuti in nessuna considerazione e fatti oggetto delle più gravi censure.

Dal Discorso di Pio VI al Concistoro

del 17 giugno 1793

 

Abolita la più prestigiosa forma di governo, quella monarchica, essa aveva trasmesso ogni pubblico potere al popolo, il quale non si lascia guidare né dalla ragione, né dal consiglio; non fa distinzione fra il giusto e l’ingiusto; apprezza e stima poche cose secondo verità, molte invece secondo l’opinione corrente; è incostante, facile ad essere ingannato e condotto a tutti gli eccessi; è ingrato, arrogante, crudele. Gode nel vedere il sangue umano, la strage, i lutti e lo strazio dei morenti, come si vedeva negli antichi anfiteatri, e se ne pasce voluttuosamente. La parte più feroce di questo popolo, non contenta di aver degradato la maestà del suo Re, volendogli togliere anche la vita, comandò che fungessero da giudici i suoi stessi accusatori che gli si erano dichiarati nemici.

È stato scritto nella Vita dell’infame Voltaire che il genere umano gli doveva essere eternamente grato per essere stato il primo sostenitore della rivoluzione generale, avendo eccitato i popoli a riconoscere le proprie rivendicazioni di libertà e ad usare le proprie forze per abbattere il formidabile bastione del dispotismo, cioè il potere religioso e sacerdotale, sopravvivendo il quale – dicevano – il giogo della tirannide non sarebbe mai stato sconfitto poiché l’una e l’altra autorità sono talmente legate fra loro, che una volta abbattuto l’uno, l’altro doveva necessariamente cadere. E costoro, cantando già vittoria per la fine del regno e per l’abbattimento della Religione, esaltano il nome glorioso di questi empi scrittori, come se fossero i comandanti di schiere vittoriose. E così è accaduto che, con queste arti, hanno attirato dalla loro parte una grande moltitudine di popolo, allettandola sempre più, o meglio illudendola con grandi promesse; hanno percorso tutte le regioni della Francia, servendosi del nome specioso di libertà onde chiamare tutti a raccogliersi sotto queste spiegate insegne e queste bandiere. Questa dunque è quella libertà filosofica che mira al risultato di corrompere gli animi, depravare i costumi, sovvertire l’ordine delle leggi e di tutte le istituzioni. Tale falsa libertà fu condannata dall’Assemblea del Clero Francese quando già serpeggiava fra il popolo con queste fallaci opinioni; Noi stessi nella già ricordata lettera enciclica [Inscrutabile divinae del 25 dicembre 1775] l’abbiamo caratterizzata e definita con queste parole: «Questi perversi filosofi cercano oltretutto di far sì che gli uomini sciolgano tutti quei legami dai quali sono uniti fra di loro e ai loro sovrani con il vincolo del loro dovere; essi proclamano fino alla nausea che l’uomo nasce libero e non è soggetto a nessuno. Quindi la società è una folla di uomini inetti, la stupidità dei quali si prosterna davanti ai sacerdoti (dai quali sono ingannati) e davanti ai re (dai quali sono oppressi), tanto è vero che l’accordo fra il sacerdozio e l’impero non è altro che un’immane congiura contro la natural

8. I suddetti agitati difensori del genere umano hanno aggiunto a questo falso e bugiardo nome di libertà l’altro nome parimenti falso di uguaglianza: cioè uguaglianza fra uomini che si costituiscono in società civile, quantunque siano di opinioni diverse, procedano verso direzioni diverse, ciascuno spinto dal proprio arbitrio, e non ci debba essere nessuno che prevalga per autorità e forza, comandi, moderi e richiami dall’agire perverso sulla strada dei doveri, affinché la società stessa, sotto la spinta contrastante di tante fazioni, non cada nell’anarchia e si dissolva, come qualsiasi armonia che si compone dell’accordo di tanti suoni, e se non ottiene un idoneo equilibrio fra strumenti e suoni degenera in rumori confusi e del tutto stonati. Essendosi poi proclamati riformatori degli stessi comandamenti, anzi arbitri della Religione, mentre, secondo l’espressione di Sant’Ilario di Poitiers, la Religione esige il dovere dell’obbedienza, cominciarono essi stessi ad emanare norme e inauditi statuti sulla Chiesa stessa. Da questo laboratorio è uscita quella sacrilega Costituzione che Noi abbiamo rifiutato nella Nostra risposta del 10 marzo 1791 sottoscritta da trenta Vescovi. E qui si può giustamente adattare al caso ciò che scrisse San Cipriano: «Come è possibile che siano gli eretici a giudicare i cristiani, gli ammalati ad occuparsi dei sani, i feriti di chi è rimasto incolume, i peccatori del santo, i rei dei giudici e i sacrileghi del sacerdote?». Che resta ormai alla Chiesa, se non cedere a un insensato?

Dalla Costituzione della Repubblica francese

Preambolo

Il Popolo francese proclama solennemente la sua fedeltà ai diritti dell’uomo e ai principi della sovranità nazionale definiti dalla Dichiarazione del 1789, confermata ed integrata dal preambolo  della Costituzione del 1946, e ai diritti e doveri definiti nella Carta dell’ambiente del 2004.

Sulla base di questi principi e di quello della libera determinazione dei popoli, la Repubblica offre ai territori d’oltremare che manifestano la volontà di aderirvi nuove istituzioni fondate sull’ideale comune di libertà, di eguaglianza e di fraternità e concepite ai fini della loro evoluzione democratica.

 Titolo I

Della sovranità


ARTICOLO 1. La Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. Essa assicura l’eguaglianza dinanzi alla legge a tutti i cittadini senza distinzione di origine, di razza o di religione. Essa rispetta tutte le convinzioni religiose e filosofiche. La sua organizzazione è decentrata.
La legge promuove l’uguaglianza di accesso delle donne e degli uomini ai mandati elettorali e alle funzioni elettive, nonché alle responsabilità professionali e sociali.

ARTICOLO 2. Lingua ufficiale della Repubblica è il francese.
L’emblema nazionale è la bandiera tricolore, blu, bianca e rossa.
L’inno nazionale è “La Marseillaise”. Il motto della Repubblica è “Libertà, Eguaglianza, Fraternità”.Il suo principio è: governo del popolo, dal popolo e per il popolo.

ARTICOLO 3. La sovranità nazionale appartiene al popolo che la esercita per mezzo dei suoi rappresentanti e mediante referendum. Nessuna frazione del popolo né alcun individuo può attribuirsene l’esercizio. Il suffragio può essere diretto o indiretto nei modi previsti dalla Costituzione. Esso è sempre universale, uguale e segreto. Sono elettori, nelle condizioni stabilite dalla legge, tutti i cittadini francesi maggiorenni di ambo isessi che godono dei diritti civili e politici.

ARTICOLO 4. I partiti e i gruppi politici concorrono all’espressione del voto. Essi si formano ed esercitano la loro attività liberamente. Devono rispettare i principi della sovranità nazionale e della democrazia. Essi contribuiscono all’attuazione del principio enunciato al secondo comma dell’articolo 1, alle condizioni stabilite dalla legge. La legge garantisce l’espressione pluralista delle opinioni e l’equa partecipazione dei partiti e dei gruppi politici alla vita democratica della Nazione.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 gennaio 2025


Luigi XVI ebbe una buona idea a convocare gli Stati generali nel 1789 per risolvere i gravi problemi economici e sociali del paese, onde avere un aiuto e un consiglio sul da farsi.

Il Re purtroppo non si rese conto che il costituirsi di questa Assemblea aveva una base giuridica nel diritto del popolo all’autogoverno e che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino poteva essere accettata come base giuridica dello Stato, senza che ciò ledesse necessariamente i diritti della monarchia, della nobiltà e del clero.

Purtroppo anche Pio VI non seppe accorgersi degli elementi recuperabili nella concezione illuministica e massonica dello Stato. Solo col Concilio Vaticano II la Chiesa avrebbe assunto in pieno gli aspetti validi delle concezioni illuministiche settecentesche.


L’enorme disagio della Francia che nel ‘700 la condusse alla rivoluzione non fu solo un disagio politico, ma più profondamente fu un travaglio umano, morale, spirituale ed ecclesiale. Anzi, dirò di più: nella Francia, eminente rappresentante della Chiesa cattolica, era la Chiesa stessa che stava subendo una grave crisi, una crisi che sarebbe stata di crescita, che sul momento invece apparve ai cattolici e al Papa stesso, come gravissimo pericolo di vita.

Se la Chiesa avesse saputo affrontare lei di petto l’enorme problema, probabilmente non ci sarebbe stata la Rivoluzione francese, perché ne avrebbe tolto il veleno, spuntata la forza critica e accontentato le istanze giuste. Per fare questo lavoro avremmo dovuto aspettare il Concilio Vaticano II. Non del tutto sbagliata fu quindi la frase del Card. Suenens quando disse che il Vaticano II fu il 1789 della Chiesa. Certo, durante i lavori del Concilio ci furono momenti drammatici, nei quali ci fu la sensazione di una bufera rivoluzionaria.

Immagini da Internet:
- Stati Gemerali 1789, Auguste Couder
- Concilio Vaticano II

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