La conversione della Russia
Che cosa è successo in Russia nel 1989?
Prima Parte (1/2)
Una rivoluzione costruttiva
Le rivoluzioni politiche sono energiche azioni collettive ben organizzate che mediante l’uso della forza mutano un regime politico alle radici avviandone uno nuovo giudicato migliore. Bisogna dire tuttavia che l’uso della forza spesso è responsabile di azioni criminose e distruttive, che non fanno avanzare ma retrocedere il corso della storia, per cui anche le migliori rivoluzioni non sono prive di macchie, così come si può trovare qualche lato buono anche nelle rivoluzioni più distruttive.
La Rivoluzione russa del 1917 fu una rivoluzione del secondo tipo. Il popolo russo sotto la guida di Lenin pose termine con una insurrezione armata a un regime zarista che aveva tollerato una pratica cristiana infedele al precetto evangelico della liberazione dei poveri dall’oppressone dei ricchi evadendo, col pretesto della ricompensa ultraterrena, il dovere di lottare per la giustizia sociale e promuovere una giusta spartizione dei beni economici.
Fu così che la Russia si convertì adirata al marxismo instaurando il regime sovietico e perseguitando ferocemente coloro che erano rimasti fedeli allo zarismo e alla Chiesa ortodossa. Il regime staliniano conseguì notevoli successi sia in Russia che nei paesi satelliti con l’instaurazione di una certa giustizia sociale e presentandosi davanti ai popoli oppressi dal capitalismo occidentale come rivendicatore dei loro diritti col promuovere la lotta alla religione e l’insurrezione contro i governanti accusati di essere servi dei ricchi.
Senonchè però l’empio progetto di istituire uno Stato ateo che promovesse con la violenza una giustizia sociale senza quella religiosa, ed anzi attuando terribili persecuzioni contro la Chiesa e contro numerosissimi nemici interni, dopo alcuni decenni di dittatura, si rivelò fallimentare per non essere riuscito a realizzare le grandiose riforme economiche che aveva promesso, non solo, ma anche per aver causato una grave crisi economica, che solo un ritorno alla proprietà privata avrebbe potuto risolvere.
Fu così che alla fine degli anni ’80 del secolo scorso sorse in Russia un movimento politico coraggioso e intraprendente, capeggiato da Gorbaciov, fedele alla tradizione ortodossa memore dello zarismo, ossia del cesaropapismo bizantino, movimento che senza ricorrere alla violenza, consapevole del fallimento del regime sovietico, riuscì a persuadere il governo a sciogliere l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche guidata dal Partito Comunista, per sostituirla con uno Stato Federativo, e a persuadere lo stesso Partito Comunista a rinunciare, mediante una riforma della Costituzione e addirittura della concezione dello Stato, a proporsi come struttura costitutiva dello Stato, considerando se stesso come semplice partito politico alla pari di altri legittimante costituiti, sul modello della configurazione pluralistica del regime politico basato sulla democrazia, ossia del governo su base popolare mediante rappresentanze partitiche elette dal popolo. Quindi oggi il partito comunista in Russia esiste ancora, ma non possiede tra gli altri partiti alcuna posizione privilegiata, la quale semmai è adesso occupata dalla professione di fede ortodossa, considerata come fattore essenziale dell’essere russo.
Questa riforma dello Stato portò con sé l’introduzione del diritto alla libertà religiosa, per il quale veniva abolito l’ateismo di Stato, sostituito col diritto alla libertà religiosa, che perciò stesso legalizzava la pluralità delle formazioni religiose esistenti in Russia, compresa la Chiesa cattolica, tanto che oggi a Mosca risiede una Arcivescovo cattolico Mons. Paolo Pezzi[1].
Non so se ci rendiamo conto dell’enormità di questo avvenimento storico, che coinvolge un intero popolo, che democraticamente e pacificamente, mediante semplici provvedimenti legislativi democraticamente approvati, ritrovando la propria tradizione cristiana, è stato preso da un impulso morale di tale vigore e portata, da condurlo a modificare radicalmente la costituzione dello Stato, facendola passare dall’ateismo al teismo, dal despotismo alla democrazia, dalla tirannide alla libertà, dal totalitarismo al rispetto della dignità umana
Come chiamare questo atto gigantesco se non una rivoluzione? Non è forse una metànoia nel senso paolino? E dunque come non vedere in questo impressionante avvenimento storico una delle più belle e caratteristiche qualità della spiritualità russa, la capacità di pentirsi, e quindi il ravvedimento di un intero popolo da settant’anni illuso e frustrato da una «dottrina intrinsecamente perversa», per usare le severe parole di Pio XI nel 1937, mentre Stalin compiva le sue stragi?
La Prima Roma e la Terza Roma
Senonchè, come sappiamo tutti, a partire dal 1054, con una presa di posizione sempre più netta e decisa, con arroganza e presunzione, la cristianità scismatica orientale greco-russa ha preteso prima con Costantinopoli e adesso con Mosca di essere lei la vera erede del mandato fatto a Cristo agli apostoli di essere luce del mondo e sale della terra, al posto della Roma cattolica, a suo dire superata e infedele.
Il Papa di Roma, agli occhi di questi fratelli
separati, come sappiamo bene, ha reso servizio all’intera Europa cristiana solo
fino al 1054, dando deludente prova allora di aver esaurito la sua autorità con
l’introduzione ereticale del Filioque
nel Credo e quindi di non essere più affidabile
come guida giurisdizionale della Chiesa.
Gli orientali scismatici da allora si sono ritenuti liberati dalla tirannide apostata papale, della quale sarebbero invece a loro giudizio tuttora schiavi i cattolici romani. Quanto agli anglicani e ai luterani, gli orientali sono d’accordo con noi cattolici nel condannare le loro eresie, per cui gli ortodossi sono notoriamente più vicini a noi cattolici che non i proteranti, parte dei quali hanno progressivamente corrotto quelle verità cristiane che avevano mantenuto, fino a giungere all’empietà del panteismo e dell’ateismo tedesco del sec. XIX.
Certo, qualche spiegazione dell’immane rivolgimento storico non manca. La spiritualità ortodossa ha sempre sofferto per un esagerato disprezzo per il mondo, di un’endemica carenza dal lato dell’apertura e dell’azione sociali collettiva di promozione della giustizia temporale e del bene comune politico, per un’eccessiva, intimistica ed individualistica accentuazione dell’aspetto personale della vita cristiana. L’evangelica fuga dal mondo è diventata spesso evasione dalla realtà e dalle proprie responsabilità sociali. E ciò soprattutto dopo la separazione da Roma.
Si aggiunse poi, agli inizi del ‘900 lo scandalosissimo influsso sulla Corte imperiale esercitato dal falso monaco Gregorio Rasputin, seguace di una setta pseudomistica basata sul piacere sessuale – i cosiddetti chlisty -, influsso che tolse allo zar la credibilità sufficiente per render possibili le necessarie riforme economiche e sociali.
Ma ecco che dopo 70 anni di regime sovietico con tutti gli orrori commessi, il popolo russo, accortosi dell’immane errore commesso, a iniziare dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso[2], non senza l’influsso della grazia e l’intercessione della Madonna di Fatima, avviò una nuova rivoluzione, questa volta pacifica e senza violenza, per mezzo di un rapidissimo succedersi di riforme legislative liberalizzanti, che in brevissimo tempo ha portato la Russia a riscoprire la sua vera identità nazionale donatale da Dio con l’essere cristiana.
Ma, ahimè, il cristianesimo che è risorto non è quello che conduce all’unione con la prima Roma, ma quello arrogante ed imperialista della Terza Roma, per il quale il Russo o è ortodosso o non è russo. Da qui la confusione della religione con l’amor di patria, come se la religione ortodossa fosse un ingrediente essenziale dell’essere russo.
Così si spiegano le recenti scoraggianti parole del ministro Lavrov, il quale, nonostante pochi giorni prima il Patriarca Cirillo avesse auspicato, con gesto consolante, coraggioso e quasi commovente, che le trattative di pace si tenessero a Roma presso il Papa, affermò che non era dignitoso che la Russia ortodossa trattasse dei suoi interessi presso la sede centrale della Chiesa cattolica.
Ciò rivela che attualmente ai vertici della Chiesa ortodossa moscovita esistono due opposte tendenze: una, con sincera volontà di pace, orientata alla comunione con Roma, ossia la linea di Cirillo, e un’altra, ancora ferma allo scisma del 1054, riflesso dell’imperialismo russo, sotto pretesto della religione, tendenza chiaramente decisa a continuare con la violenza e le stragi il tentativo di imporre all’Ucraina il proprio dominio come era ai tempi dell’Unione Sovietica.
I personaggi chiave dell’anima russa
L’anima russa può essere illustrata più che per definizioni concettuali., col presentare personaggi significativi, come una serie di icone. Ecco dunque innanzitutto San Vladimiro, Principe di Kiev e re dei Russi, battezzatore del suo popolo nel sec. IX. Egli è il padre nella fede di tutti i Russi, sia quelli originari dell’Ucraina, sia quelli successivamente espansisi a nord-est nell’attuale Russia e che avrebbero fondato successivamente il ducato di Mosca nel sec. XIII, in dipendenza da Costantinopoli, quando la separazione da Roma era già avvenuta da due secoli.
Il Patriarcato di Mosca però nei secoli seguenti divenne più importante di quello di Kiev e cominciò a dominare su di esso non sempre con moderazione, cosa che sta alle prime origini di quello che oggi è il conflitto fra Kiev e Mosca all’interno dello stesso mondo ortodosso e anche per la gelosia che Mosca cominciò ad avere verso l’Ucraina, la quale nel sec. XVII aprì alla penetrazione della Chiesa cattolica. Vladimiro è un Santo da invocare per ottenere la pace fra Russi ed Ucraini.
Sia per Platone che per Aristotele Dio è l’ente supremo e il sommo bene, ma mentre in Aristotele c’è la possibilità di un Dio creatore per la chiara distinzione dell’essere dal non-essere, in Platone Dio appare piuttosto come un emanatore, sicchè alla fine l’opposizione essere-non-essere, che per Platone è il divenire, si ritrova anche in Dio.
Invece Aristotele, spiegando il divenire col passaggio dalla potenza all’atto, ha la possibilità, che fu poi esplicitata da San Tommaso, di concepire Dio come atto puro, puro spirito che trascende e si distingue dalla materia e dal divenire.
Ne viene che mentre Aristotele riesce a distinguere adeguatamente e a congiungere in unità sostanziale materia e spirito mediante i concetti di materia e forma, per cui mentre il corpo è composto di materia e forma, lo spirito è pura forma, il platonismo in campo antropologico oscilla fra il dualismo e il monismo di anima e corpo. Mentre Aristotele assicura l’unità della persona umana intendendo l’anima come forma sostanziale del corpo, Platone si trova tra due alternative entrambe estremiste: o affermare l’anima abbandonando il corpo o affermare il corpo ma cadendo nel sensualismo e nel materialismo.
In antropologia, da Aristotele deriva San Tommaso e da Platone Origene, certo, grande maestro, questo, di vita cristiana e monastica, ma infetto dal dualismo-monismo platonico del principio del unotutto di origine parmenidea, germe di idealismo e panteismo. E difatti significativa è in Origene la sua teoria dell’apocatastasi, che vorrebbe ignorare il male, in congiunzione con la sua fobia per il sesso, sulle tracce del dualismo platonico.
Sono i due rischi opposti della spiritualità russa. La prima scelta conduce alla spiritualità origenista, isolazionista, atonita e alla mistica palamitica, esicastica ed eremitica; la seconda conduce alla rivoluzione, alla violenza, alla libidine, al comunismo, al nichilismo, all’ateismo, a Rasputin, a Lenin e a Stalin.
Personaggio di prima grandezza della spiritualità russa, che ne fa la sublimità incomparabile è Dionigi l’Areopagita, discepolo di San Paolo, del quale parlano gli Atti degli Apostoli (17, 22-34), membro dell’Areopago, filosofo platonico, secondo Eusebio (sec.III-IV), primo Vescovo di Atene. Dionigi è il più antico e il più grande maestro della mistica cristiana, sia occidentale che orientale.
Lo so che la critica moderna sposta gli scritti areopagitici al sec. V, ma le sue ragioni non mi sembrano decisive, per cui preferisco stare con la testimonianza dell’antichità e del medioevo cristiani. È vero che il suo pensiero assomiglia a quello di Proclo, ma preferisco pensare che sia Proclo che ha preso da Dionigi che non viceversa.
Certamente è strano che nessun autore dei primi secoli lo citi, perché occorrerà per questo aspettare il sec.VI. Ma la cosa si può spiegare con l’insistenza forse eccessiva con la quale raccomanda la segretezza nel trattare temi come i suoi. Possiamo credere che i suoi discepoli abbiano preso troppo alla lettera le sue raccomandazioni.
Dionigi parla di cerimonie liturgiche che usavano nel sec. IV? E che sappiamo che non le abbia inventate lui e tenute segrete? Se si presenta come discepolo di San Paolo e racconta di aver assistito al transito della Madonna, dobbiamo pensare che un sant’uomo come lui abbia raccontato una balla? A che pro?
D’altra parte i critici moderni, spesso incapaci di apprezzare la mistica, si sono lambiccati il cervello per formare l’ipotesi di quale possa essere stato l’autore. Sono venuti fuori alcuni nomi, ma nessuno ha ottenuto un consenso comune. Il motivo è semplice: che questo supposto fantomatico autore non esiste. Gli scritti dell’Areopagita sono di una sublimità straordinaria e in perfetto accordo con la mistica paolina. Gli Atti inoltre dicono che era un membro dell’Areopago: che cosa c’è di strano se conosceva Platone?
Sta di fatto comunque che appena Dionigi appare in pubblico, esplode un immediato e largo successo ai vertici massimi della Chiesa. È apprezzato da San Massimo il Confessore. Viene citato dal Sinodo del Laterano del 649, dal Concilio Costantinopolitano del 680, dal Concilio di Nicea del 787. Viene lodato da diversi Papi: S.Gregorio Magno, Martino, Sant’Agatone, Adriano e Paolo I[3].
La sua mistica però ha un duplice aspetto che genera in qualche modo una certa contraddizione, perché da una parte sostiene che Dio si può nominare, per cui scrisse un trattato sui nomi divini, commentato da San Tommaso. Ma dall’altra sostiene al termine della Teologia mistica che Dio non si può nominare perché il suo essere sarebbe al di sopra dell’affermazione e della negazione, il che lascia per la verità piuttosto interdetti. E Tommaso evitò di commentare la Teologia mistica. Invece questo aspetto del pensiero dionisiano è quello preferito dalla mistica russa. Secondo questo aspetto, al vertice della divina contemplazione, tutti i concetti e tutte le parole sfuggono, per cui si deve tacere. Pare allora di restare al buio. Si rischia di dimenticare l’aspetto luminoso del mistero. Se si calca troppo sull’aspetto della trascendenza, si rischia l’effetto opposto, che non resta più niente. Bisogna mantenere, come fa San Tommaso, il concetto dell’essere.
Il silenzio nella spiritualità monastica occidentale ed orientale ha un valore ascetico anche nei rapporti col prossimo, come per esempio durante i pasti comuni. In Occidente è diffusa l’opinione che il parlarsi come che sia, sia un gradevole ed innocuo segno di comunicazione fraterna o di socievolezza. Il tacere è automaticamente interpretato come biasimevole mancanza di dialogo, come taciturnità bisognosa, al limite, di cura psichiatrica o segno di uno spirito imbronciato o turbato. Si confonde la solitudine con l’isolamento. Ora, è vero che questi casi possono darsi, ma l’errore di questa mentalità occidentale è quello di non capire che la chiacchiera, il discorso inutile o il parlare a ruota libera espone al rischio del pettegolezzo o lascia il vuoto nello spirito.
La parola dev’essere sempre utile alla vita spirituale e all’edificazione morale. La battuta e lo scherzo devono essere solo il condimento del cibo della convivenza, non il cibo stesso. Quello che conta non è la quantità di parole, ma la qualità della parola: una parola pensata, utile, meditata e motivata dalla carità.
Continuatore di Dionigi è Gregorio Palamas nel sec. XIV, il quale raccoglie la tesi di Dionigi dell’essenza divina al di là dell’affermazione e della negazione, per cui la visione beatifica non è visione immediata dell’essenza divina come Papa Benedetto XII definì nel 1336, ma è visione delle energie divine, come a dire che la nostra mente si ferma sul piano delle manifestazioni della grazia, delle visioni, delle immagini e dei dogmi, ma l’unione beatifica con Dio è al di là di ogni conoscenza, anzi al di là dell’essere e del non-essere.
Ora, si può ammettere in Dio una distinzione tra essenza ed energie, non reale, però, ma solo di ragione, giacchè l’essenza di Dio non è composta, non ha aggiunte o accidenti, ma è assolutamente semplice. L’azione divina è Dio stesso. Dio è un’essenza come essere per essenza, per cui in Dio l’essere coincide con la sua essenza. A meno che per energia non s’intenda la grazia, la quale allora è certamente realmente distinta da Dio, in quanto esistente nell’anima, come suo accidente contingente, anche se abituale. C’è però un’azione divina che fuoriesce da Dio (ad extra): è l’atto causativo, motivo o creativo del dono della grazia. In tal senso essa è allora certamente creata. Chi afferma che fuori di Dio non c’è nulla, e mette tutto in Dio, cade nel panteismo.
Possiamo così parlare di un’energia o potenza o forza o attività creatrice divina del mondo dal nulla, come causa prima e di energia emanativa che è la produzione o emissione della grazia, che nella sua essenza non è creata, perchè è partecipazione della natura divina, e quindi è di essenza divina. La causalità divina è creatrice e motrice del mondo, degli angeli e degli uomini; l’energia divina è la forza vivificante, risanante, purificante e santificante della grazia.
Tuttavia la grazia è creata in quanto dono di Dio e accidente contingente dell’anima, dono che può essere perduto o annullato col peccato. È chiaro che se la grazia non avesse questo aspetto di dono, ma fosse una semplice autocomunicazione di Dio, se coincidesse con Dio, chi è in grazia sarebbe Dio. Nella grazia Dio non comunica Sé stesso, come crede Rahner, cosa, questa, impossibile, ma comunica la sua energia, che è appunto grazia. Ma un conto è essere in grazia e un conto è vedere Dio. Per vedere Dio non c’è bisogno di essere Dio; basta precisare dicendo che Lo vediamo finitamente, non in modo infinito ed esaustivo come Egli vede Sé stesso. E per ottenere questo, basta possedere la grazia della gloria celeste.
In quanto siamo in grazia, partecipiamo alla natura divina, possediamo un’energia divina, siamo deificati. Ma la visione beatifica non è vedere un’energia divina, ma, come dice San Giovanni, è vedere Dio in cielo così come Egli È. Vedere Dio o vedere l’essenza divina è la stessa cosa, perchè Dio non ha un’essenza, ma è la sua stessa essenza. Se San Giovanni dice che Dio non Lo ha mai visto nessuno, limita questa affermazione al solo passato, allorchè il Verbo non si era ancora incarnato.
La concezione agnostica palamita della mistica, per la quale l’essenza divina ci è nascosta anche in cielo presenta il pericolo di un’impostazione oscurantista, volontaristica ed emotivistica, che indebolisce l’energia e l’acume speculativo dell’intelletto e l’attività concettualizzatrice, benché abbia di buono che esprime la preoccupazione di salvaguardare con umiltà l’infinita trascendenza divina e il suo incomprensibile ed ineffabile mistero.
Palamas elaborò questa dottrina dogmatizzata poi dalla Chiesa ortodossa nel 1351, in chiara risposta polemica alla definizione dogmatica di Benedetto XII proclamata appena quindici anni prima. La guerra fra Occidente ed Oriente avveniva allora a colpi di dogmi, oggi avviene con i droni, le bombe e i carri armati, ma il baratro spirituale tra i due mondi è sempre lo stesso. È stupefacente come all’interno di una cristianità divisa possono esistere abissi e incomprensioni reciproche, che testimoniano come il Divisore, il Menzognero e l’Omicida riesca ad insinuarsi anche tra i discepoli di Cristo.
Palamas elaborò la sua dottrina a sostegno e difesa dello stile di vita dei monaci del Monte Athos, dove egli stesso dimorò per alcuni anni. Fondamentale, per capire la spiritualità russa, è la realtà monastica del Monte Athos, cuore spirituale dell’ortodossia. La Grecia è nell’Unione Europea la voce dell’Oriente. L’universalità della cultura greca fornisce un aggancio importantissimo per il dialogo Oriente-Occidente.
Di ispirazione origenista, i monasteri dell’Athos, come è noto, per un’antichissima consuetudine, rifiutano la presenza delle donne. È vero che La Madonna è veneratissima con splendide e numerosissime icone, una continua preghiera e una sublime liturgia, ma dopotutto Maria è l’ideale della donna; e come può la Madre di Dio non addolorarsi nel vedersi così disprezzata nelle sue e nostre sorelle? È vero che la donna può tentare l’uomo al male; ma non è altrettanto vero il contrario? Nel piano divino originario la donna dev’essere un aiuto all’uomo nella via di Dio. Il compito comune è comunque quello di aiutarsi scambievolmente su questa via.
Siamo qui davanti ad un evidente eccesso, che ha ricevuto una nota di biasimo dalla stessa UE. C’è purtroppo dietro a questo atteggiamento la tradizione origenista, che vorrebbe rifarsi agli infelici passi dell’Antico Testamento – impronta dell’agiografo e non parola di Dio - contro le donne, al peccato di Eva e all’antifemminismo di San Paolo, per esempio là dove egli proibisce alle donne di parlare nelle comunità ecclesiali (en tais ekklesiais) (I Cor 24,34).
Qui notiamo un netto contrasto con la mistica occidentale, dove la donna, per esempio una Santa Teresa di Gesù o a una Santa Caterina da Siena, Dottori della Chiesa, sono assurte addirittura al ruolo di maestre per tutta la Chiesa della vita mistica e monastica.
Palamas è inoltre un grande oppositore del Filioque, perché crede che esso neghi la monarchia del Padre ponendo due princìpi dello Spirito Santo. Invece la processione dello Spirito dal Figlio non disturba affatto il primato del Padre, che resta sempre il principio delle altre due Persone. Se infatti lo Spirito esce dal Figlio, il Figlio esce dal Padre.
D’altra parte, perché mai il Figlio che è Dio non potrebbe emanare da Sé lo Spirito? Non è Dio come il Padre? Le processioni divine non sono un Dio da Dio? Palamas, piuttosto, con l’esagerare il primato del Padre, rischia l’arianesimo, che fu precisamente il pericolo che i teologi spagnoli del sec. VII vollero evitare affermando il Filioque, successivamente entrato nel Credo.
Manca, come è noto, nella spiritualità russa scismatica, la guida che viene da Pietro, anche se esiste l’episcopato e la fede nello Spirito Santo. La mancanza di soggezione a Pietro è ad un tempo premessa e conseguenza del rifiuto del Filioque, perchè rifiutare Pietro vuol dire non dar credito al mandato che Cristo, Emanatore dello Spirito, ha affidato a Pietro. Da qui viene che il Vescovo esercita giurisdizione sui fedeli, ma egli non si sottomette, dando il buon esempio, alla giurisdizione del Papa.
Inoltre, dato che manca nel gruppo di Vescovi ortodossi separati dal Papa, quel normale principio di unità organizzativa comune a tutte le normali società umane, voluto da Cristo, appunto Pietro, invano i Vescovi si appellano allo Spirito o a Cristo come princìpi di unità, se non accettano neanche quel principio umano di unità, dettato dallo stesso buon senso (a parte il comando di Cristo), che è la guida di Pietro, considerando peraltro il fatto che compito della Chiesa non è soltanto quello di proporsi come latrice di un messaggio di semplice promozione umana, ma di un messaggio divino, per cui, se la guida della Chiesa non fosse stata espressamente istituita da Cristo, non si vede proprio come una semplice pur necessaria autorità umana avrebbe potuto essere in grado di guidare una società soprannaturale come la Chiesa.
I Vescovi scismatici orientali fino ad adesso, bene o male, sono riusciti ad andare avanti con le loro Chiese nazionali e o il cesaropapismo. Ma oggi i nodi si stanno riducendo al pettine. Oggi come non mai il mondo ortodosso sta mostrando in una maniera tragica la sua mancanza di un principio efficiente di unità. Dare da parte loro a noi cattolici lezioni di collegialità o di sinodalità (sobornost) è semplicemente ridicolo.
La soggezione al Papa della Chiesa orientale prima dello scisma era motivata non solo dal desiderio di avere una risposta definitiva alle questioni dottrinali, ma anche dalla fiducia che essa aveva nel Papa come arbitro, mediatore e fautore di pace e riconciliazione. Costantinopoli si ribellò davanti ad un atteggiamento di Roma duro e arrogante e da allora, nel suo orgoglio ferito, non è più riuscita a risollevarsi da quell’umiliazione e riconoscere umilmente di essere nell’errore.
Oggi però, in una situazione nella quale l’umanità rischia da un momento all’altro di essere distrutta dallo scontro Occidente-Oriente, probabilmente si sta avvicinando il momento: i Papi del postconcilio, senza per questo mutare dottrina, hanno avuto sempre un tono di modestia verso i fratelli separati ed hanno sempre mostrato ammirazione per la spiritualità orientale. Il gesto del Patriarca Cirillo di proporre Roma come sede dei negoziati di pace per la cessazione della guerra in Ucraina è stato coraggioso ed estremamente significativo, se non fosse che purtroppo il vecchio orgoglio ortodosso in certi ambienti influenti si fa ancora sentire.
San Basilio, tra i Padri della Chiesa Orientale occupa un posto eminente nel cuore del popolo russo per l’ideale russo della sintesi tra contemplazione e comunione, unione con Dio e solidarietà fraterna, preghiera e misericordia. Basti pensare che nella Piazza Rossa a Mosca c’è una chiesa dedicata a San Basilio.
Grande, splendida figura di monaco e di pastore, che se i Russi seguissero fino in fondo, li condurrebbe – pensiamo ai rapporti avuti con Papa Damaso – ad avvicinarsi al Vicario di Cristo. La rivoluzione bolscevica altro non è stata che una volontà infernale, disperata ed infuriata di realizzare la comunione fraterna e la comunanza dei beni in mezzo alle bestemmie anziché tra i canti sublimi della divina liturgia.
Fine Prima Parte (1/2)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 30 maggio 2025
Oggi il partito comunista in Russia esiste ancora, ma non possiede tra gli altri partiti alcuna posizione privilegiata, la quale semmai è adesso occupata dalla professione di fede ortodossa, considerata come fattore essenziale dell’essere russo.
La riforma dello Stato portò con sé l’introduzione del diritto
alla libertà religiosa, per il quale veniva abolito l’ateismo di Stato,
sostituito col diritto alla libertà religiosa, che perciò stesso legalizzava la
pluralità delle formazioni religiose esistenti in Russia, compresa la Chiesa
cattolica, tanto che oggi a Mosca risiede una Arcivescovo cattolico Mons. Paolo
Pezzi.
Ma, ahimè, il cristianesimo che è risorto non è quello che conduce all’unione con la prima Roma, ma quello arrogante ed imperialista della Terza Roma, per il quale il Russo o è ortodosso o non è russo. Da qui la confusione della religione con l’amor di patria, come se la religione ortodossa fosse un ingrediente essenziale dell’essere russo.
Alle radici greche della spiritualità russa non c’è Aristotele, ma Platone. Aristotele caratterizza l’Occidente. La categoria metafisica fondamentale, in Russia, quindi, non è quella dell’analogia dell’essere, ma della partecipazione.
Immagine da Internet: Solenne Liturgia a Mosca, 2015
[1] Si può dire che la Russia ha qui messo in pratica gli insegnamenti del Concilio Vaticano II! Gli ortodossi russi hanno accettato il Concilio meglio dei lefevriani.
[2] Vedi l’interessante e riccamente documentato resoconto dei fatti accaduti nel libro di Giovanni Codevilla, Da Lenin a Putin. Politica e religione, Jaca Book, Milano 2024, pp.327-359.
[3] Notizie prese da Tutte le opere a cura di Enzo Bellini, Rusconi Editore, Milano 1981, pp.10-11.
Caro Padre, mi sorprende che lei parli di Dionigi l'Areopagita e non lo chiami piuttosto "pseudo-Dionigi l'Areopagita". O ci sono stati progressi nelle indagini sulla sua identità di cui io non sono a conoscenza?
RispondiEliminaCaro Don Silvano,
Eliminanel mio articolo ho spiegato i motivi per il quale preferisco ritenere che il corpus dyonisianum sia da attribuire a quel Dionigi di cui parlano gli Atti deli Apostoli. Ribadisco la mia convinzione che non è stato Dionigi a copiare da Proclo, ma è stato Proclo a copiare da Dionigi.
Con tutto ciò non pretendo la totale sicurezza, anche perché si tratta di un campo, quale è quello dell’indagine storica, che non è il mio. D’altra parte credo che nessuno mi possa negare la libertà di avere questa opinione, anche se essa è in contrasto con l’attuale posizione degli studiosi, dei quali a loro volta bisogna dire che anche loro non possono considerarsi assolutamente sicuri di quello che dicono.
Qui infatti non c’è in gioco né la verità di ragione né quella di fede, ma la considerazione del più grande maestro della mistica cristiana, che non può essere considerato come un impostore. Secondo me questa tesi dello pseudo-Dionigi nasconde una sottile e inconfessata antipatia per la mistica e del resto essa ha avuto il suo grande impulso da parte protestante.