Perché i nazisti hanno ucciso Edith Stein?
La differenza fra l’ente e l’essere
Prima Parte (1/3)
Scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani
I Cor 1,23
Perché e che senso ha il martirio di Edith Stein?
La metafisica sembrerebbe un vuoto parlare che non disturba nessuno, sembra un trattare di cose astratte per non dire campate per aria, un fare affermazioni gratuite, incomprensibili e strane, fuori della realtà, prive di interesse e conseguenze pratiche, un giocare con le parole, il lusso che si può permettere chi non ha niente da fare né problemi economici, sembra imbastire discorsi che non toccano i nostri interessi concreti, per cui che un metafisico dica una cosa ed un altro dica l’opposto lascia molti indifferenti, perché a loro sembra che non ci sia in gioco la questione della verità o della realtà, e di una realtà decisiva che possa coinvolgerci tutti, ma che semplicemente si tratti di conflitti di parole e di formule, che lasciano le cose come sono senza toccare i nostri interessi vitali e profondi e senza risolvere i problemi reali della vita.
Ma le cose non stanno affatto così. È vero che la nostra vita si svolge nella concretezza, nella contingenza, nella storicità e nella particolarità, e spesso nelle ombre, nelle apparenze, nel fragile, nel passeggero, nel caduco e nell’ effimero, ma la nostra natura umana, e in ciò sta la sua dignità nel bene come nel male, nella buona come nella cattiva sorte, fa sì che il nostro agire, quando non è totalmente obnubilato dalla passione o dalla demenza o quando ha superato lo stadio dell’infanzia, sia motivato bene o male dalla ragione e dall’intelletto, è motivato dal pensiero, dalle convinzioni, dalle idee e dai giudizi, che per loro natura si muovono nell’orizzonte dell’immaterialità, dell’universale, dell’astrazione dal concreto e dal particolare, benchè proprio così queste forze impalpabili eppur potenti ci guidino e ci influenzino nel bene o nel male nel concreto e nel particolare.
Stando così le cose o quanto meno nell’apparenza che stiano così, chi lo direbbe che questo pensiero nato nel segreto della mente di un singolo individuo, pensiamo a Maometto o a Cartesio o a Lutero, chi potrebbe credere che il disaccordo in campo metafisico tra filosofi possa scatenare l’odio più feroce fino ad indurre all’omicidio? Chi potrebbe credere che possa muovere gli eserciti e causare terribili scontri bellici fra nazioni? Chi potrebbe credere che possa determinare il destino dei popoli?
Eppure le cose stanno proprio così e se non ci rendiamo conto di questo vuol dire che non conosciamo il cuore dell’uomo e di che cosa è capace, come diceva Pascal, questa «canna pensante».
Nell’ambito di queste considerazioni appare allora di estremo interesse capire il significato, i termini e l’esito dello scontro fra la metafisica nazista di Heidegger e la metafisica cristiana di Edith Stein. Edith Stein è il simbolo eroico nel nostro tempo dello scontro apocalittico della Donna contro il Dragone, della Chiesa contro le potenze sataniche.
Come Husserl ed Heidegger vorrebbero persuaderci che l’essere sono io e non è Dio, così Edith Stein con San Tommaso ci mostrano che il senso della nostra vita e della nostra esistenza non sta nel fare del nostro essere l’essere assoluto, ma nel porci umilmente e fiduciosamente al seguito di Colui che è veramente lo stesso Essere sussistente, così come Egli stesso ci dice: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,24-25).
Qual era il bisogno di Edith Stein
e che cosa credeva di aver trovato in Husserl
In interiore homine habitat veritas
Sant’Agostino, De vera religione, c.XXXIX
In una temperie culturale quale quella dei primi ‘900, fortemente segnata negli spiriti dal trionfo del soggettivismo, dello storicismo, del materialismo e del sensualismo, da un diffuso disamore per l’attività teoretica, sfiducia in una verità oggettiva e certa, per la riduzione della scienza ad empirismo e positivismo, per la confusione dello spirituale con lo psichico, per la sfiducia nella ragione e nella logica, Edith Stein, da vera israelita nella quale non c’è inganno, fu colpita dalla fama di Husserl come grande cercatore della verità.
La conversione fondamentale che dobbiamo attuare per poterci salvare è il passaggio dalla superbia all’umiltà, dalla disobbedienza all’obbedienza, dal centraci sul nostro io al centrarci su Dio, dalla pretesa di porre noi la realtà all’accettazione della realtà così com’è, dalla pretesa che Dio sia relativo a noi anziché noi essere relativi a Dio.
In termini filosofici, potremmo dire che è il passaggio dall’idealismo al realismo, dal Dio immanente al Dio trascendente, dalla convinzione che il nostro pensiero sia intrascendibile alla scoperta che esso è trasceso dal pensiero divino, dal credere che non esiste un reale fuori della nostra coscienza alla scoperta che esiste fuori di noi una realtà che non abbiamo fatto noi, tutto ciò rappresenta in termini filosofici ciò che nella vita è il cammino dell’uomo dal peccato alla grazia, dalla perdizione alla salvezza, dal servizio al demonio al servizio di Dio. Solo infatti con questa conversione, con questa metanoia passiamo dalla menzogna e dall’illusione alla verità, dalla malvagità alla bontà, dalla schiavitù alla libertà, della morte alla vita.
Edith, dopo essersi illusa per alcuni anni di trovare in Husserl un maestro e una guida spirituale, si accorse che in realtà, per quanto seriamente si fosse impegnato nella teoresi filosofica, era uno spirito che accentrava tutto su sé stesso.
Edith si accorse anche del pericolo che costituiva la metafisica di Heidegger, derivata da quella di Husserl, con la differenza che mentre Husserl risolveva l’ente nell’essenza e nel pensato, che egli chiamava «essere di coscienza», muovendosi in un orizzonte di pura idealità e di enti logici, Heidegger, più sensibile alla concretezza e al piano dell’esistenza e dell’azione politica, risolveva l’essere nell’essere umano e nella temporalità: da qui la sua definizione dell’uomo come Esser-lì (Dasein), attivamente politico prendendo spunto da Nietzsche e diventando apologeta del nazismo.
Edith comprese da una parte che occorreva contro Husserl ed Heidegger distinguere l’uomo dall’essere, il finito dall’eterno e l’io da Dio, mentre dall’altra che la vera interiorità non sta nel concentrarsi nel proprio io, ma nel dedicarsi a Dio e al prossimo; il valore della vita non sta nell’egoismo ma nell’altruismo, non sta nel relativizzare l’essere alla coscienza, ma nell’adeguare la propria coscienza all’essere.
Comprese che la cosa principale da fare, prima di guardare alle idee, è guardare alle cose esterne, perchè è guardando ad esse che formiamo idee giuste sulle cose, giacchè dobbiamo regolare le idee sulle cose e non viceversa.
Comprese che la dignità della coscienza non sta nel chiudersi in sé stessa, in una orgogliosa autosufficienza, ma al contrario nell’accogliere docilmente il reale che ci appare dal di fuori mediante l’esperienza sensibile, orientando la volontà e l’azione al bene della realtà esterna a cominciare da Dio e dal prossimo.
Si accorse che l’ammissione di una realtà esterna indipendente dalla coscienza non è affatto ingenuità e non va affatto messa fuori gioco con la famosa epochè husserliana, ma è il fondamento della verità della ragione e della fede, senza per questo rinnegare affatto la stima per l’io e per il mondo interiore della coscienza, che però non può affatto primeggiare sull’atteggiamento naturale che ci fa riconoscere fuori di noi quel mondo e quelle persone umane, che ci parlano di Dio.
Edith comprese che la vera vita dello spirito non sta nel rifiuto di guardare al di là del recinto della propria coscienza, ma al contrario nell’aprirsi all’infinito universo cosmico e divino, che al di là si squaderna come nutrimento inesauribile del nostro sapere, materia del nostro fare, regola del nostro agire, oggetto del nostro amore, fine ultimo del nostro operare, sommo bene della nostra vita.
Husserl era un ebreo, eppure con la sua fenomenologia ha avuto tutto l’agio nella Germania nazista di divulgare le sue idee, dalle quali Heidegger avrebbe tratto conseguenze gradite al regime. Edith invece, che avrebbe potuto conseguire un successo europeo restando discepola di Husserl, pagò addirittura col martirio l’averlo abbandonato per seguire Cristo nella teologia di San Tommaso e nella mistica di Santa Teresa e di San Giovanni della Croce.
Per la Chiesa cattolica il martirio è l’atto eroico ispirato da un’ardentissima carità col quale il martire offre una testimonianza esemplare e straordinariamente persuasiva della verità della fede, rifiutandosi di tradire la propria fede secondo l’imposizione dell’assassino, odiatore della fede. L’assassino quindi uccide il martire perché odia la sua fede. Se lo facesse per altri motivi, non si avrebbe il martirio canonizzabile dalla Chiesa.
Il martire paga con la sua vita questa testimonianza di fede. Il che implica che chi uccide il martire lo uccide in odio alla sua fede, perché odia quel Cristo per amore del quale il martire accetta di essere ucciso pur di non tradire Cristo.
Ora, se Edith Stein è stata canonizzata come martire, vuol dire che la Chiesa, nell’esame del suo caso, ha potuto appurare che essa è stata uccisa in odio alla fede. Vediamo in questo articolo come e perchè ciò è avvenuto e in che senso ciò è avvenuto.
Ciò ci porterà a concludere che il vero motivo per il quale i nazisti hanno assassinato Edith Stein non è stato perché era di stirpe ebraica, ma perchè era cristiana. Se infatti gli assassini l’avessero uccisa solo perchè ebrea, non sarebbe entrato in gioco l’odio per la fede e quindi la Chiesa non avrebbe proclamato martire Edith Stein.
È chiaro quindi che i veri assassini non sono gli esecutori materiali del delitto, che verosimilmente nulla sapevano delle idee cristiane ed antinaziste di Edith, ma sapevano solo che era ebrea, ma i veri assassini, consci di perseguitare una cristiana nota negli ambienti intellettuali di tutta Europa, sapevano bene che Edith era nemica delle loro idee.
Fine Prima Parte (1/3)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 13 marzo 2025
Venendo a contatto con San Tommaso e con Santa Teresa, Edith, che era stata attratta da Husserl per il suo bisogno di interiorità, si accorse di qual è la vera interiorità e la vera spiritualità, nonché di qual è il vero senso dell’essere e il valore della coscienza.
Edith si accorse anche del pericolo che costituiva la metafisica di Heidegger, derivata da quella di Husserl, con la differenza che mentre Husserl risolveva l’ente nell’essenza e nel pensato, che egli chiamava «essere di coscienza», muovendosi in un orizzonte di pura idealità e di enti logici, Heidegger, più sensibile alla concretezza e al piano dell’esistenza e dell’azione politica, risolveva l’essere nell’essere umano e nella temporalità: da qui la sua definizione dell’uomo come Esser-lì (Dasein), attivamente politico prendendo spunto da Nietzsche e diventando apologeta del nazismo.
Edith comprese da una parte che occorreva contro Husserl ed Heidegger distinguere l’uomo dall’essere, il finito dall’eterno e l’io da Dio, mentre dall’altra che la vera interiorità non sta nel concentrarsi nel proprio io, ma nel dedicarsi a Dio e al prossimo; il valore della vita non sta nell’egoismo ma nell’altruismo, non sta nel relativizzare l’essere alla coscienza, ma nell’adeguare la propria coscienza all’essere.
Comprese che la cosa principale da fare, prima di guardare alle idee, è guardare alle cose esterne, perchè è guardando ad esse che formiamo idee giuste sulle cose, giacchè dobbiamo regolare le idee sulle cose e non viceversa.
La cosa esterna, per me, è un grande problema, perché quasi sempre essa è ciò che noi ci mettiamo, secondo la nostra cultrura ed intelligenza che deternina poi il nostro modo d'intenderla. Che esita un'esternità sembra indibulabile. Però non so se essa sia frutto della sola modalità in cui l'uomo conosce. Però, dopo averla posta, l'esterno è ciò che ciascun uomo vi pone. Infatti l'uomo attuale vede il mondo assai diversamente da come lo intendeva il primitivo.
RispondiEliminaCaro Anonimo, rispondo dicendo che le cose esterne le troviamo davanti a noi già date e già fatte, come oggetti del nostro conoscerle. Sono dati oggettivi indipendenti dal nostro conoscerle e presupposti ad esso. Ci accorgiamo che esisterebbero anche se noi non le conoscessimo. Esse quindi non sono frutto del nostro modo di conoscerle. Esso consiste solo nel formarcene un'immagine, una rappresentazione, un concetto, un giudizio coi quali il nostro intelletto le coglie e deve coglierle in se stesse così come sono e le immanentizza nel nostro pensiero. "Non è la pietra che è nell'anima - diceva Aristotele - ma l'immagine della pietra".
EliminaAddirittura, pur essendo la cosa esterna realmente distinta dall'intelletto, l'intelletto in atto di conoscere s'identifica con l'atto stesso della cosa pensata. Se procediamo così, successivamente nella nostra coscienza, ci accorgiamo d'aver colto la verità ossia le cose come sono.
È questa l'esperienza della verità del conoscere. Certo succede che noi ci accostiamo alla realtà con degli schemi prefabbricati a nostro gusto soggettivo. Allora no. c'è da stupirsi se nascono i disaccordi e se oggi c'è chi vede le cose diversamente da come erano viste ieri. Ma le cose sono sempre quelle: non le produciamo noi col nostro modo di conoscerle, ma le crea Dio produttore del loro essere.
Il problema della conoscenza non è quello di dar forma alle cose, ma di adeguare il nostro intelletto alla forma delle cose e rappresentarle così come sono, senza modificarle secondo i nostri gusti. La cosa è quella che è: se tutti adeguiamo onestamente il nostro intelletto ad essa senza interessi privati e senza capricci personali, allora ci accorgiamo di essere tutti d'accordo nel riconoscere la stessa cosa.
Se io voglio la verità delle cose non devo porre in esse qualcosa che piace a me, ma devo lasciarmi istruire e formare dalla cosa stessa. Quello che io produco nel conoscere o nel pensare immaginare non è la forma della cosa, che essa ha già per conto suo, ma è il concetto o rappresentazione della cosa. È qui che può capitare che io ci metta arbitrariamente del mio, che non corrisponde a ciò che la cosa veramente è. E quando mi accorgo, se mi accorgo, di questo, mi accorgo di sbagliare e sono spinto a correggermi, a meno che io non preferisca immaginare che la cosa sia come piace a me. Ma posso accorgermi di sbagliare proprio perchè raggiungo l'esperienza di come è veramente la cosa in sé stessa. Certo io conosco la cosa come appare a me, ma se faccio attenzione a come essa è senza pregiudizi, essa mi apparirà come veramente è.
Se io non potessi coglier questo, se io come tutti non cogliessi il reale ma solo le mie idee, nessuno avrebbe più il criterio per distinguere il vero dal falso e allora tutto sarebbe vero e falso ad un tempo, tutti avrebbero ragione e tutti avrebbero torto, tutto sarebbe vero per me, falso per te. Verrebbe meno la comunicazione umana e la vita sociale e tutti saremmo da ricoverare come soggetti autistici.
Riguardo al principio di non contraddizione, applicata a Dio, io sinceramente non riesco neppure ad immaginare, anche usando la più fervida fantasia, come possa essere l'intelletto divino. E già chiamarlo intelletto, è un usare termini propriamente umani, del tutto fuori posto per indicare quella divina. Dio ci ha dato una scintilla per farci arrivare a Lui, ma ogni nostro tentativo è vano. Solo Dio può rivelarsi a noi e poi noi perfino malcomprendiamo il suo vero messaggio. Chi ci si avvicina di più a questa comprensione, sono solo "gli eletti".
RispondiEliminaIn un'occasione, non molto tempo fa, dialogando con un giovane sacerdote, professore di seminario, quando gli ho voluto far capire la necessità della metafisica (di cui lei inizia a parlare in questo articolo), mi ha risposto (con parole che mi sono sembrate affettuosamente criptiche) che per noi cristiani, la conoscenza di Dio ci è stata data da Gesù Cristo, e nient'altro che da Gesù Cristo... Non mi ha detto nient'altro, ma ho avuto l'impressione che volesse dirmi che per lui la metafisica era inutile. Io avevo voluto dirgli che nessuno può essere teologo cattolico senza la base di una buona metafisica...
RispondiEliminaPurtroppo non ho avuto il coraggio di contraddirlo in quella occasione, e non ho avuto altre occasioni per parlargli di questo...
Suppongo che continuerà ad insegnare la sua teologia senza metafisica...
Caro Don Silvano,
Eliminaper poter credere nella divinità di Cristo, è chiaro che bisogna già sapere che Dio esiste. Ciò vuol dire, come insegna il Concilio Vaticano I, che la ragione naturale, se correttamente usata, può sapere che Dio esiste ancor prima dell’incontro con Cristo, il quale ci parla di Dio in una forma ben più alta di quella che possiamo concepire noi con la nostra sola ragione; la conoscenza più alta che tocca il mistero trinitario e che quindi non può essere che frutto della fede.
Per quanto riguarda la metafisica, a parte il fatto che esiste una metafisica naturale dell’intelligenza come tale, la metafisica è necessaria per il fatto che essa, avendo come oggetto l’ente, introduce alla nozione di Dio come ente, primo, supremo, sommo, infinito, necessario ed assoluto. Questa sensibilità metafisica, per la quale tutti scopriamo Dio, anche se non conosciamo Cristo, è la base indispensabile del dialogo interreligioso e col mondo della cultura e delle scienze.
Uccisa per odio alla fede, anche se in modo indiretto. L'episcopato olandese pubblicò una durissima e -secondo il padre Renaudiere de Paulis-, imprudente lettera pastorale contro l'occupazione nazista, e in vendetta si dedicò a deportare i religiosi ebrei convertiti. Non è stato un problema personale con Edith Stein, ma c'è stato odium fidei. Anche sua sorella è stata uccisa e dubito che abbia scritto qualcosa su Heidegger. In quell'epoca inoltre Heidegger era di capo caduto nel Reich, Hitler mai lo consideri, per lui la metafisica era perdere il tempo.
RispondiEliminaIl ripudio della tecnica e del volontarismo in Heidegger faceva i denti ai nazisti.
Caro Davide,
Eliminaimmagino che la sorella di Edith sia stata uccisa semplicemente perché ebrea, anche se si era convertita al cristianesimo, ma chiaramente i nazisti nulla sapevano di lei, mentre i nazisti conoscevano bene le convinzioni cristiane di Edith, anche se effettivamente essa non ebbe il permesso di pubblicare la sua critica ad Heidegger.
Per questo la Chiesa ha decretato che Edith fu uccisa in odium fidei, ossia di quella fede della quale essa precedentemente aveva dato testimonianza con le sue pubblicazioni conosciute in Germania e anche all’estero.
Per quanto riguarda Heidegger era un filosofo assai stimato e conosciuto, che faceva aperta professione di nazismo, con parole di ammirazione nei confronti dello stesso Hitler. È molto probabile quindi che Hitler avesse sentito parlare di lui, anche se egli non ne parla, e ad ogni modo avrà certamente apprezzato il suo pensiero.
Posso essere d’accordo che il pensiero di Heidegger non coincide esattamente con la dottrina del nazismo. Se Hitler disprezzava la metafisica è chiaro che intendeva quella aristotelica-tomista, ma non certo quella concezione dell’essere, che risulta dalle opere di Nietzsche e che Heidegger aveva messo molto bene in luce.
Per questo tenga presente che l’esaltazione che Heidegger fa di Nietzsche coincide esattamente con l’ammirazione che lo stesso Hitler aveva di Nietzsche. Anzi Heidegger a un certo punto rimase in un certo senso deluso dal nazismo, perché secondo lui non era abbastanza radicale nell’esaltazione della volontà di potenza.
Tenga inoltre presente che Heidegger non si pentì mai del suo passato nazista e conservò la tessera fino al 1945, ma anche dopo non ha mai criticato il nazismo. Si è limitato nel 1947 ad invocare un umanesimo che fosse rispettoso dell’essere in senso esistenzialista, come allora andava di moda.