Perché i nazisti hanno ucciso Edith Stein? La differenza fra l’ente e l’essere - Seconda Parte (2/3)

 

Perché i nazisti hanno ucciso Edith Stein?

La differenza fra l’ente e l’essere

Seconda Parte (2/3)

 L’impresa di Husserl

L’attività filosofica di Husserl apparve agli inizi del’900, con accurati studi di logica. Inoltre egli era un buon matematico. Aveva pertanto una forma mentis abituata al rigore razionale, che manterrà per tutta la vita, una mente meticolosissima nel ragionare e nel descrivere i fatti interiori di coscienza, cosa che gli attirerà dall’ambiente culturale del suo tempo un immenso rispetto.

Sulla base di questa preparazione scientifica gli venne l’idea di fondare una filosofia veramente radicale, inoppugnabile e rigorosa, considerando anche il basso livello intellettuale del suo tempo dominato dal positivismo, dall’empirismo, dal soggettivismo, dallo scientismo, dal vitalismo, dal materialismo, dallo psicologismo e dall’hegelismo. 

Per rimediare a questa situazione egli lanciò ai filosofi del suo tempo un appello franco e coraggioso all’oggettività, alla visione delle essenze, al ragionare rigoroso, a constatare e sperimentare ciò che ci è dato o si presenta o appare nella coscienza immediatamente, ostensivamente ed indiscutibilmente.

Questo appello ad aver fiducia nella possibilità di istituire un sapere veramente a fondamento di tutte le scienze, Husserl lo giustificava con l’annuncio di aver scoperto una nuova scienza, che egli chiamò «fenomenologia», il cui oggetto era un campo nuovo, vastissimo dell’essere, che finora era rimasto sconosciuto. Qui egli rintracciava questa scienza radicale che fonda tutte le altre.

Il campo della fenomenologia è quello che egli chiama campo della coscienza assoluta o dell’io puro o dell’essere di coscienza. Esso esclude un essere fuori della coscienza. Tutto l’essere è immanente alla coscienza.

Infatti per Husserl l’io è ciò di cui prendo atto quando penso a me stesso o prendo coscienza di me stesso. Allora mi faccio un concetto di me stesso che designo con la parola «io». Secondo Husserl l’io nella sua purezza è l’assoluto, la totalità dell’essere, al di fuori del quale non c’è niente.

Succede invece secondo Husserl che in questa presa di coscienza noi non ci accorgiamo subito di questo io, ma ci fermiamo al nostro io umano, psicologico, nella sua materialità, individualità, nella sua limitatezza e nelle sue miserie, un io che vede un mondo fuori di sé e un Dio che ne sarebbe la causa creatrice, creatrice anche del mio io umano, fatto di corpo e anima.

Il realista ingenuo quindi per Husserl concepisce il proprio io come oltrepassato dall’universo che vede attorno a sé e soprattutto trasceso dalla sua causa, Dio, che concepisce come sommo e primo ente, dal quale tutto dipende, compreso il suo io umano. Questo io umano, per Husserl, è quello che non ha ancora scoperto il suo puro io, al di fuori del quale non c’è nulla, perchè, come si è detto, il puro io è tutto l’essere.

Ciò che all’io umano pare esterno, in realtà è interno e immanente al puro io, che, a differenza dell’io umano, non dipende affatto da una realtà esterna, ma esiste da sé stesso ed è lui il principio di tutto, che costituisce e fonda sé stesso e quello che all’io umano appare come mondo esterno.

L’io puro esiste da sé e in forza di sé stesso, non è affatto creato, ma è l’io umano che formato o costituito dall’io puro. Tutto il problema della verità, della fondazione delle scienze e della morale, sta nella capacità dell’io di spogliarsi della sua umanità empirica sospendendo il giudizio spontaneo ma ingannevole circa l’esistenza di una realtà esterna e di trovare il puro io, nel quale c’è tutto e il principio di tutto. Questo concentrarsi sul puro io prescindendo da tutto il resto Husserl lo chiama «riduzione trascendentale».

Allora per Husserl si tratta di capire che quel mondo che all’io umano pare esterno e trascendente, in realtà è una costruzione ideale del suo io puro che è la coscienza, all’interno della quale e solo all’interno della quale esiste tutto ciò che esiste.  

È allora ingenuità e non è scienza per Husserl credere che il proprio io dipenda nella sua esistenza da una realtà esterna superiore e trascendente, chiamata «Dio». Infatti per lui questo mondo che sembra esistere al di là dell’io e dare esistenza allo stesso io, in realtà è effetto dell’attività interiore ed intenzionale non certo dell’io umano, ma dell’io puro. L’esistenza di Dio non è negata, ma solo come costruzione dell’io puro, all’interno dell’io puro. Non c’è molta differenza dal Dio kantiano come suprema idea della ragione immanente alla ragione.

Husserl enuncia con chiarezza questa sua convinzione, di marca prettamente idealistica, già nella sua famosa opera Idee per una fenomenologia pura, che certamente la Stein deve aver letto, ma evidentemente senza comprendere subito la portata delle parole di Husserl, che si esprime in questi termini:


«Nessun essere reale tale che si rappresenti e si giustifichi coscienzialmente mediante apparizioni è necessario all’essere della coscienza stessa nel senso amplissimo di corrente di Erlebnisse. L’essere immanente è dunque indubitabilmente essere assoluto nel senso che per principio nulla “re” indiget ad existendum»[1].

Osservo che è vero che i miei concetti li produco io, ma quelle cose reali ed io stesso, che i miei concetti rappresentano, non li produco io! Qui è evidente come Husserl, col pretesto di mettere in luce il valore filosofico della coscienza, sostituisce Dio con l’io, a causa della falsa distinzione che fà tra io umano e io puro. Questo io puro, che non ha bisogno di nulla per esistere, prende chiaramente il posto di Dio, anche se appare distinto dall’io umano. Ma questo io umano non è la mia persona che sta davanti alla persona di Dio. Cioè l’io puro assoluto, autosussistente ed infinito non è Dio, non è un altro Io trascendente e creatore del mio io, ma sono sempre io nello stato di purezza a prescindere dal mio modo umano di essere.

Io in quanto assoluto io non ho bisogno di alcun creatore, perché esisto da me stesso. È chiaro come qui Husserl usurpa il nome divino «Io Sono» di Es 3,14. Sembra incredibile, ma la Stein, nell’immensa speranza che riponeva in Husserl, per alcuni anni non si accorse di questa tremenda impostura.

Occorre dire infatti che per Husserl, come in fondo anche per l’induismo, il mio io non è semplicemente un io umano, ma è sostanzialmente un io divino, del quale però agli inizi, portato a considerare le cose fuori di me, non ho consapevolezza. Ebbene, la fenomenologia, come lo yoga indiano, ci rende consapevoli che il nostro vero io non esiste perché è creato da Dio, ma esiste da sé stesso.

Viceversa, bisogna dire che se si vuol parlare con fondatezza di un io puro che dà senso e costituzione all’uomo e al mondo, questo è Dio, non sono affatto io, per quanto io metta in luce il mio io nella sua purezza. Di ciò a un certo punto si accorse Edith Stein e fu questa decisiva scoperta che la indusse ad abbandonare l’«io puro» di Husserl per abbracciare il vero Dio, il Dio d’Israele e di Gesù Cristo, il Dio di Aristotele e di San Tommaso.

Sta comunque di fatto che anche l’idealismo sembrava falso ad Husserl per la sua identificazione del soggetto con l’oggetto, dell’ideale col reale, del concetto con la cosa (Ding) e del pensiero con l’essere. Egli pertanto volle recuperare la nozione dell’essere intenzionale per spiegare il fatto della conoscenza, che non comporta, egli disse, un’identificazione ontologica del soggetto con l’oggetto, ma il fatto che la coscienza intenziona l’oggetto o intuisce o vede l’essere inteso come essenza (Wesenschau), come «correlato di coscienza», quindi non come ente reale esterno alla coscienza e indipendente dalla coscienza, ma come essere di coscienza, immanente alla coscienza.

Egli non intendeva con ciò invalidare l’atteggiamento naturalmente realistico della mente umana, che concepisce un reale esterno alla mente, ma considerava tale atteggiamento un’«ingenuità» incapace di dar fondamento primo al sapere, come invece a suo giudizio ne era capace quella che egli presentò come una scienza nuova, la fenomenologia, da lui scoperta, per la quale la certezza non si fonda sul contatto con un ente esterno alla coscienza, ma sulla visione o intuizione o esperienza interiori dell’essere di coscienza.

Husserl infatti sapeva che l’atto del conoscere è un atto dello spirito immanente allo spirito, indipendente dallo spazio, ma non capì che nonostante ciò l’intelletto nel conoscere, senza uscire da se stesso nello spazio,  raggiunge e coglie un reale materiale che è fuori dell’intelletto, fuori nello spazio, ma anche un reale spirituale, la persona e Dio stesso, che non sono enti spaziali, ma immateriali e che quindi sono «fuori» nel senso che sono realmente distinti e indipendenti dalla coscienza, tanto che Dio è addirittura il creatore della coscienza.

Per Husserl anche il fuori è dentro, perché non è realmente fuori, ma è pensato come dentro. Ma con ciò stesso mostra di intendere il dentro come fuori, sicchè il suo spiritualismo si volge in materialismo. In tal modo, infatti, come osserva acutamente il Maritain[2], egli scambia l’intelletto per una forma materiale, il cui atto consisterebbe nel riempirsi del contenuto dato dall’oggetto.

Il conoscere viene allora ad avere, come già in Kant, una «forma» e una «materia». La prima, la forma dell’oggetto, è l’intelletto, e la seconda è la materia dell’oggetto od oggetto «materiale». Nell’atto conoscitivo l’intelletto non riceve immaterialmente la forma di un ente esterno, ma riempie la forma col contenuto dell’oggetto che è interno, e che da materiale diventa formale.

Per questo, per Husserl l’attività conoscitiva non comporta un contatto con l’esterno, ma si risolve in un’attività puramente riflessiva nella quale l’oggetto non è presupposto al conoscere ed attinto dall’esterno mediante i sensi, ma si trova già all’interno della coscienza, è già sentito, per cui la coscienza non ha altro da fare che prender atto dell’oggetto.

L’essere per Husserl non è un essere esterno alla coscienza, preesistente alla coscienza e da essa indipendente, ma è essere-per-la-coscienza, l’essere è l’essere che appare alla coscienza, appunto l’essere fenomenico, l’essere della fenomenologia, quell’essere al quale a suo dire nessuno aveva mai pensato e che egli scoperto come sconfinato campo di investigazione assolutamente certo della filosofia.

Così Husserl, al di là del suo spiritualismo, mostra di essere legato alla concezione kantiana del conoscere, per la quale l’intelletto è una forma vuota che viene riempita dalla materia dell’oggetto, per cui non è l’intelletto che è informato dalla forma dell’oggetto, ma è l’oggetto che è formato dalla forma dell’intelletto, trascurando il fatto, come ci avverte Aristotele, che non è la pietra che è nell’anima, ma l’immagine della pietra.

È la pietra reale ad essere composta di materia e forma. Ma l’apparire della pietra nell’anima ovvero l’immagine o concetto o idea della pietra è una pura forma. Quella forma che la pietra ha nella realtà è quella stessa forma che l’intelletto recepisce nel suo intimo immaterialmente. Questo è il vero atto del conoscere.

Quando l’intelletto conosce una pietra, astrae dalla sua materia e conosce solo la forma della pietra, mentre la materia gli resta ignota. Nel conoscere non si tratta di riempire delle forme vuote, ma di assumere intenzionalmente e rappresentativamente nei concetti e nelle idee le forme o essenze o nature della realtà esterna, materiale o spirituale che sia, mentre il loro esistere può esser colto dall’intuizione intellettuale, mediante i sensi.

Fine Seconda Parte (2/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 marzo 2025


L’appello ad aver fiducia nella possibilità di istituire un sapere veramente a fondamento di tutte le scienze, Husserl lo giustificava con l’annuncio di aver scoperto una nuova scienza, che egli chiamò «fenomenologia», il cui oggetto era un campo nuovo, vastissimo dell’essere, che finora era rimasto sconosciuto. Qui egli rintracciava questa scienza radicale che fonda tutte le altre.

Il campo della fenomenologia è quello che egli chiama campo della coscienza assoluta o dell’io puro o dell’essere di coscienza. Esso esclude un essere fuori della coscienza. Tutto l’essere è immanente alla coscienza. Per Husserl si tratta di capire che quel mondo che all’io umano pare esterno e trascendente, in realtà è una costruzione ideale del suo io puro che è la coscienza, all’interno della quale e solo all’interno della quale esiste tutto ciò che esiste.  

Osservo che è vero che i miei concetti li produco io, ma quelle cose reali ed io stesso, che i miei concetti rappresentano, non li produco io!

Ebbene, la fenomenologia, come lo yoga indiano, ci rende consapevoli che il nostro vero io non esiste perché è creato da Dio, ma esiste da sé stesso.

Viceversa, bisogna dire che se si vuol parlare con fondatezza di un io puro che dà senso e costituzione all’uomo e al mondo, questo è Dio, non sono affatto io, per quanto io metta in luce il mio io nella sua purezza. Di ciò a un certo punto si accorse Edith Stein e fu questa decisiva scoperta che la indusse ad abbandonare l’«io puro» di Husserl per abbracciare il vero Dio, il Dio d’Israele e di Gesù Cristo, il Dio di Aristotele e di San Tommaso. 

 

Immagine da Internet

[1] Giulio Einaudi Editore, 1976, p.107.

[2] Les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Bruges 1959, pp.197-198.

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