La giustizia del Padre - Prima Parte (1/3)

 

La giustizia del Padre

Prima Parte (1/3)

Si è manifestata la giustizia di Dio

Rm 3,21

 Dio vuole che l’uomo sia giusto nei suoi confronti

Il concetto biblico di giustizia (zedakà) comporta una virtù per cui l’uomo è giusto (zaddìq), nel senso di essere retto, operare il bene, essere buono, santo e perfetto. Essa di per sé non comporta un rapporto né con la legge (torah) né col prossimo, ma implica e conduce spontaneamente a questo rapporto, per cui è giusto chi pratica la legge e dà a ciascuno il suo.

E qui il concetto biblico viene ad incontrarsi col concetto romano della iustitia e del jus, ossia del tribuere unicuique suum, il rispetto dei diritti altrui e la rivendicazione dei propri. Abbiamo anche il rapporto con la dikaiosyne greca come virtù della socialità o virtù politica.

Dio per la Bibbia è giusto da sé, perché è il fondamento della giustizia e l’autore della legge morale in quanto creatore dell’uomo, legge osservando la quale l’uomo è giusto. Si tratta della legge naturale della quale  parla S.Paolo in Rm 2,14-15, corrispondente alla lex non scripta, della quale parla Cicerone.

Dio inoltre è un giusto giudice, che giudica secondo giustizia, equanime, imparziale, non fa discriminazioni o accezione di persone, non guarda in faccia a nessuno. Conosce l’intimo dei cuori e le più recondite intenzioni di ognuno di noi, meglio di quanto le conosciamo noi stessi. Ecco perché S.Paolo, benché si senta innocente, non per questo vuol giudicare se stesso, ma si rimette al giudizio di Dio.

Quando la Bibbia parla di «giudizio divino», intende generalmente giudizio di condanna. In questo senso Cristo ci comanda di non giudicare. Non vuol dire che non dobbiamo usare la testa. Ci ha dato Lui la facoltà di distinguere il, giusto dall’ingiusto, e di legare e di sciogliere. Intende proibirci invece di giudicare con durezza, rigidità, precipitazione e passionalità, senza la dovuta imparzialità, oggettività e ponderazione. Il confessore partecipa dello stesso potere divino di giudicare lo stato delle anime, anche in foro interno, nel rispetto dei sacri canoni.

Rahner sbaglia quando dice che l’atto del perdonare o dell’assolvere in confessionale «non va pensato come un atto giuridico»[1]. L’amministrazione del sacramento, in nome e col potere di Cristo giudice ha talmente un carattere giuridico, che la confessione amministrata senza giurisdizione concessa dall’autorità competente non solo non è lecita, ma neanche valida. 

Dio è giusto anche nel senso che distribuisce a ciascuno ciò che gli occorre secondo i suoi bisogni, premia e castiga. La giustizia divina per la Bibbia si manifesta anche nell’alleanza o patto (berìth) tra Dio e il suo popolo Israele.  Nell’orizzonte di queste idee la giustizia divina ha anche un aspetto di dolcezza, tenerezza, misericordia (hesed), compassione (rahamìm) e far grazia (hanan). Nel Nuovo Testamento diventa la carità (caris), pur restandole inferiore, in quanto la giustizia richiama l’idea dell’obbligo, del dovere e dell’osservanza della legge, mentre la caris richiama l’idea dell’amore generoso, spontaneo e affettuoso.

La giustizia divina come risulta dalla Scrittura ha due aspetti: Dio giustamente esige che l’uomo sia giusto nei suoi confronti ed Egli a sua volta è giusto nei confronti dell’uomo. Vediamo in questo articolo come Dio è giusto nel senso suddetto e quindi qual è il dovere di giustizia dell’uomo nei confronti di Dio con particolare riferimento alla riparazione del peccato. Dio perdona, ma nel contempo vuole ricevere una riparazione e per mezzo di Cristo ci insegna come fare.

Si sente spesso parlare della misericordia di Dio, ma della giustizia poco si parla, se non per ricondurla alla misericordia, quasi a voler insinuare che essendo la giustizia il contrario della misericordia, è meglio tacerne. Eppure non è possibile negare che Dio sia giusto giudice e rimuneratore dei giusti e degli ingiusti.

La stessa cosa capita all’attributo dell’ira divina, presente in vari modi in numerosissimi passi della Scrittura. Nell’attuale visione buonista Dio non si adira mai, è sempre e solo misericordia e tenerezza, perdono e compassione. Come mai non capire che in Dio l’ira e la misericordia corrispondono esattamente all’opposizione fra il bene e il male, la giustizia e il peccato, la diversità delle scelte umane di chi sceglie per Dio e chi sceglie contro Dio? Certo, Dio offre la grazia a tutti. Ma a coloro ai quali Dio non interessa, pensate forse che Dio dia la grazia per forza? E senza la grazia l’uomo che cosa può fare?

Succede così che all’apparire delle calamità naturali e di tutte le infinite forme della sofferenza umana, i buonisti non sanno che cosa dire, non potendole sentire espressione della tenerezza divina, quando sarebbe proprio in questi frangenti che la rivelazione cristiana ci dà la luce risolutiva e rasserenante, solo che ci decidiamo ad accogliere con fede il mistero della Croce, con la sua propria tematica dell’espiazione, del sacrificio, della riparazione e della soddisfazione.

Occorre d’altra parte ricordare che se Dio non castigasse il peccato, non sarebbe misericordioso, ma sarebbe ingiusto. La sua misericordia non consiste nel lasciare impunito il peccato, perché ciò sarebbe approvarlo, cosa impossibile alla bontà divina. Indubbiamente però la sua misericordia comporta che Egli tolleri e sia paziente con chi pecca per fragilità.

Se invece permette che l’innocente sia colpito dalla sventura, questa non è ingiustizia, perché costui, per quanto innocente, subisce quanto meno le conseguenze del peccato originale ed è anche misericordia, perché nel contempo Dio dona allo sventurato la grazia sufficiente per unirsi alla passione di Cristo e salvarsi.

Certamente la bontà divina non si limita a premiare chi ha agito bene o a compensare il buon lavoro compiuto, ma dona anche gratuitamente di sua iniziativa e senza misura al di là delle aspettative e dei desideri; la misericordia divina dona al di là del merito e previene la stessa possibilità di meritare, essa dona la grazia che induce il peccatore al pentimento e lo rende capace di meritare il paradiso. Ma ciò significa che la misericordia divina agisce insieme con la giustizia, che rende il peccatore capace di espiare e di soddisfare in Cristo per i propri peccati e pagare i propri debiti.

La misericordia divina rimette i nostri debiti non perchè noi siamo operai fannulloni, ma perché li ha pagati suo Figlio e non per questo siamo esenti dal dovere di portare la nostra croce quotidiana in unione a quella di Cristo.

Del resto, se il Padre ha voluto soddisfazione per l’offesa subìta dal peccato, ha forse qui mancato di misericordia? Poteva essere più buono soprassedendo e facendo finta che nulla fosse successo? Alcuni, che si credono più misericordiosi di Dio, ritengono che Dio invece di esigere riparazione o restituzione o sacrifici espiatori, come fosse stato un agente del fisco o un creditore taccagno o un offeso permaloso, poteva chiudere un occhio e lasciar perdere. Dopotutto che cosa aveva perso col nostro peccato? Di che cosa lo avevamo privato? Che danno mai Gli avevamo fatto? Non ha già forse tutto da se stesso?  Era il caso che si adirasse tanto da punire con la morte? Si tratta di espressioni antropomorfiche per farci capire che in realtà peccando il danno non lo facciamo a Dio, ma a noi stessi.

D’altra parte, la misericordia onnipotente di Dio fa sì che l’uomo sia giusto, cioè lo giustifica (Rm 3,21) e in ciò Dio è nel contempo sommante giusto. In questo caso, ma solo in questo caso la misericordia coincide con la giustizia. Ma da qui non bisogna prender pretesto, come fece Lutero, per trascurare tutte le volte che la Scrittura distingue la giustizia dalla misericordia e cancellare la giustizia in nome della misericordia. Una misericordia che perdona gli oppressori che opprimono i deboli, che misericordia è?

Il piano del Padre

Il Padre per mezzo del Figlio ci ha rivelato che cosa dobbiamo fare per tornare in pace con Lui, per rimediare al male che abbiamo fatto e che ci siamo fatti, per riavere la sua grazia, per ottenere il perdono. Il messaggio del Padre che Cristo a nome del Padre ci comunica non è, come crede Rahner al seguito di Lutero, che il Padre ci perdona e ci dona la sua grazia senza che occorra alcuna soddisfazione, sacrificio, riparazione o espiazione.

Non è vero, come dice Rahner[2] che «Dio ama in maniera originaria e senza motivo il peccatore». Dio ama il peccatore a patto che si penta e quindi c’è un motivo ben preciso per il quale Dio ami il peccatore o lo salvi. Dio ama il peccatore pentito, non quello che non si pente, anche se continua ad amarlo come sua creatura. Dio ama il peccatore col renderlo giusto e questa è giustizia divina. Ma giustizia divina è anche la punizione del peccatore ostinato. 

Certo, Dio ama il peccatore originariamente ed incondizionatamente in quanto è creatore e il peccatore è sua creatura. Così Egli ama anche i dannati dell’inferno; ma non li ama in quanto peccano, perché Dio non ama l’ingiustizia. Dio, in quanto giusto, ama i giusti e per questo Dio giustifica il peccatore; ma conseguentemente non ama il peccatore che ha peccato e non si pente, ossia il peccatore in quanto tale, in stato o in atto di peccato; anzi è con lui adirato; ma ama, perdonandolo e giustificandolo, solo il peccatore che pur restando nella condizione di peccatore, è pentito, infondendo nel suo cuore la grazia del pentimento.

Dio quindi ama tutti, beati e dannati in quanto sono sue creature ed è giusto con tutti giustificando chi si pente e castigando chi non si pente. Infatti non tutti si pentono, perché c’è qualcuno che non ama Dio, qualcuno al quale il perdono divino non interessa e ritiene di non aver bisogno di alcun perdono, e quindi non ogni uomo accoglie la grazia del perdono.         

Dio dunque offre a tutti il perdono. Tuttavia salva solo alcuni, ossia coloro che accolgono la grazia del perdono e Lo amano. Egli infatti ci ha costituiti liberi e quindi lascia che ognuno di noi abbia la facoltà di amarlo o non amarlo. Per questo dà la grazia a chi lo ama e non costringe ad amarlo chi non lo ama.

Se quindi Dio predestina e sceglie coloro che lo amano e si salvano, non fa torto agli altri, anzi li accontenta nella loro volontà di rifiutarlo, senza peraltro dover rispondere delle logiche conseguenze penali del loro gesto, delle quali sono loro i soli responsabili. Se infatti la gioia eterna sta per ogni uomo nell’amare Dio, come non può non essere pena eterna l’odiarlo? Se tuttavia alcuni sono contenti così, sono liberi di scegliere.

Stando così le cose e tenendo conto del piano di salvezza del Padre,  per ottenere la grazia del Padre, dobbiamo portare la croce con Cristo, accettare le pene di questa vita in sconto dei nostri peccati; le sofferenze che possono essere allontanate, vanno allontanate, ma quelle che non riusciamo a togliere o che sono il prezzo della virtù o la prova dell’amore, vanno cercate, amate ed accolte col  fare opere di penitenza, amare ed adorare Gesù crocifisso, imitare la sua passione, vivere la sofferenza come l’ha vissuta lui, morire con i suoi stessi sentimenti e le sue intenzioni, dare alla sofferenza il significato che le ha dato Lui, offrire la nostra vita come sacrificio di amore al Padre per la nostra e l’altrui salvezza, rendere culto al Padre con l’offerta del sacrificio della Messa. Questo vuol dire essere cristiani.

Se non c’è giustizia, non c’è neanche misericordia

Quelli che ragionano a questo modo e credono di poter dire a Dio che avrebbe potuto essere più buono, dovrebbero rendersi conto che, se giungono a tale conclusione, nel loro ragionamento c’è qualcosa che non va. Ed è il fatto che non sanno apprezzare la giustizia divina, che va assieme alla misericordia, per cui se non ci fosse la giustizia, non ci sarebbe neanche la misericordia, la quale solleva il misero dandogli giustamente ciò che gli spetta ed anche di più.

Ma perché c’è il misero? Perché ci sono le conseguenze del peccato originale, anche se il misero personalmente non ha peccato, come Giobbe. Ma il peccato non merita il castigo? Il peccato originale è restato impunito? Non castigare il peccato non è misericordia, ma ingiustizia. Se noi otteniamo misericordia è perché c’è stato Qualcuno che ha pagato per noi e questi è Cristo.

Benchè si parli di «offesa» a Dio, teniamo anche presente che il disobbedire a Dio non reca alcun danno a Dio, ma solo a noi, perché comporta intrinsecamente come conseguenza necessaria la morte, perché i suoi comandamenti sono comandamenti di vita ed è quindi logico che chi non li osserva muoia. E d’altra parte è logico Che Dio, fondatore della legge morale, sia giudice del nostro operato e quindi assolva gli innocenti e condanni i colpevoli, ed essendo il padrone della vigna, paghi i vignaioli alla fine della giornata.

La metafora del Dio adirato non significa propriamente che Dio ce l’abbia con noi, perché anche quando pecchiamo Egli continua ad amarci, perchè Egli è per essenza Amore. Siamo noi che ci siamo adirati con Lui, che non lo amiamo e lo odiamo. Siamo sinceri; i cattivi siamo noi non è Lui.

Quindi, anche quando diciamo che col sacrificio della Messa plachiamo la sua ira o ce Lo propiziamo, è un modo di dire antropomorfico per dire che Egli ci ridona la sua grazia e siamo noi a riconciliarci con Lui e non è Lui a riconciliarsi con noi. Egli è sempre benevolo con noi, anche quando ci castiga. Naturalmente il mutamento non avviene in Dio ma in noi, anche se la Bibbia si compiace di usare il suddetto linguaggio antropomorfico.

È questo che bisogna comprendere. Anche la giustizia punitrice è bontà e amore. E può essere anche misericordia perché Egli è clemente e non ci punisce tanto quanto meriteremmo. Se la giustizia dipende da una buona volontà e l’amore è atto della buona volontà, è chiaro che la giustizia è amore e bontà, E se la giustizia comporta anche il castigo, è chiaro allora che anche il giusto castigo è amore. È questo quello che i buonisti dovrebbero capire.

Chiariamo che la giustizia divina che oggi fa difficoltà a molti non è quella che ci rende giusti, onora i diritti umani, retribuisce i buoni, soddisfa ai bisogni, premia i virtuosi, mette ordine nelle cose umane e nella società, toglie le ingiustizie e crea l’uguaglianza, drizza ciò che è storto, ripara ciò che è stato distrutto, guida la giustizia umana e i governanti, ma è  la giustizia vendicatrice o punitiva, che castiga e condanna i peccatori,  che sconfigge i nemici, quella rivendicativa che esige riparazione e quella coercitiva, che sanziona l’infrazione della legge, dà soddisfazione all’offeso per il torto ricevuto.

Dio è giusto anche nel senso che vuole che l’uomo sia giusto verso di Lui. Per questo il Padre ha voluto che il Figlio espiasse sulla croce la colpa che l’uomo aveva commesso nei suoi confronti. È vero che la giustizia comporta un rapporto con l’altro. Ma è giustizia anche volere che gli altri siano giusti con noi.

Fine Prima Parte (1/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 7 gennaio 2025


Si sente spesso parlare della misericordia di Dio, ma della giustizia poco si parla, se non per ricondurla alla misericordia, quasi a voler insinuare che essendo la giustizia il contrario della misericordia, è meglio tacerne. Eppure non è possibile negare che Dio sia giusto giudice e rimuneratore dei giusti e degli ingiusti.

Non è vero, come dice Rahner che «Dio ama in maniera originaria e senza motivo il peccatore». Dio ama il peccatore a patto che si penta e quindi c’è un motivo ben preciso per il quale Dio ami il peccatore o lo salvi. Dio ama il peccatore pentito, non quello che non si pente, anche se continua ad amarlo come sua creatura. Dio ama il peccatore col renderlo giusto e questa è giustizia divina. Ma giustizia divina è anche la punizione del peccatore ostinato.

Certo, Dio ama il peccatore originariamente ed incondizionatamente in quanto è creatore e il peccatore è sua creatura. Così Egli ama anche i dannati dell’inferno; ma non li ama in quanto peccano, perché Dio non ama l’ingiustizia. Dio, in quanto giusto, ama i giusti e per questo Dio giustifica il peccatore; ma conseguentemente non ama il peccatore che ha peccato e non si pente, ossia il peccatore in quanto tale, in stato o in atto di peccato; anzi è con lui adirato; ma ama, perdonandolo e giustificandolo, solo il peccatore che pur restando nella condizione di peccatore, è pentito, infondendo nel suo cuore la grazia del pentimento.

 
Immagine da Internet: Conversione dell'innominato, Gonin (1840)

[1] Vedi Scienza e fede cristiana. Nuovi saggi IX, Edizioni Paoline, Alba 1984, p.361.

[2] Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, Roma 1978, p.365.

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