Teilhard de Chardin
I pregi e i pericoli
Parte Seconda (2/2)
Corpi e spiriti
Teilhard, ponendosi in contrasto col dogma del Concilio Lateranense IV del 1215, con la sua distinzione fra i corpi e gli spiriti, (visibilia e invisibilia) come due sostanze o realtà o cose distinte, comportasse un’inaccettabile separazione fra materia e spirito e una svalutazione della materia, comportando l’affermazione dell’esistenza di un puro spirito, mentre per Teilhard lo spirito, fosse Dio stesso, non può esistere senza la materia. Inoltre Teilhard si rifiuta di attribuire al corpo e allo spirito caratteri opposti, ma pretende che lo spirito abbia in sé qualcosa di materiale e la materia sia in qualche misura spirituale.
Tutto il sistema teilhardiano ruota attorno a due nozioni metafisiche fondamentali: la materia e lo spirito. Egli affronta la questione della realtà sulla base di due princìpi: quello dell’unità, riconducibile al monismo parmenideo e quello del divenire o dell’evoluzione, riconducibile ad Eraclito. L’unità è perseguita come superamento della molteplicità, che per Teilhard, è un freno allo spirito proveniente dalla materia. L’evoluzione, teoria che Teilhard ricava dalla paleoantropologia, la estende a tutta la realtà.
Per Teilhard materia e spirito esistono assieme dall’eternità. Lo spirito non esiste senza la materia. Non esiste il puro spirito. Separare la materia dallo spirito per Teilhard è gretto dualismo e segno di disprezzo per la dignità della materia.
Teilhard riconosce che lo spirito è superiore alla materia, e che l’evoluzione sale verso l’alto dalla materia allo spirito; ma crede che lo spirito tragga origine dalla materia. Essa per lui, è il vertice supremo al quale la materia si eleva e si trasforma da sé in spirito in base alla sua naturale energia.
Incapace di concepire uno spirito puro, separato dalla materia, lo stesso concetto teilhardiano di Dio risente di questa impostazione metafisica, per cui, ponendosi la questione dell’origine del mondo e della causa prima, Teilhard non riesce a concepire una materia che non esiste da sempre accanto a Dio. La causa prima allora non è un Dio che dal nulla crea la materia, ma un Dio che insieme con la materia, unifica la molteplicità, la ordina, la rende attiva, avvia l’evoluzione ascendente e la crescita continua dell’universo su per i gradi dell’essere dalle rocce alle piante agli animali fino agli angeli e a Dio, ma senza che mai la materia sia assente, bensì sempre presente ed operante. Per contro lo spirito è immanente alla materia sin dai gradi più bassi in modo latente e sempre più si manifesta ed acquista potenza mano a mano che l’evoluzione procede fino al punto ultimo, che è Cristo stesso, che però è nel contempo, come Cristo cosmico, il vertice del mondo.
L’effetto superiore alla causa
Per Teilhard il fatto dell’evoluzione testimonierebbe che l’effetto è superiore alla causa e che l’inferiore causa il superiore. Dato infatti che lo spirito è superiore alla materia, il processo dell’evoluzione dimostra che lo spirito è effetto della materia.
Osservo che il fenomeno dell’evoluzione è certo scientificamente dimostrabile come successione di fatti empirici che mostra nel passato un passaggio dal meno al più, ma Teilhard confonde il post hoc col propter hoc. Se il più sorge dal meno non significa per nulla che sia causato dal meno, ma da quel più ontologico - la forza vitale – che si cela nel meno fisico.
La scienza, infatti, che è cognitio certa per causas, esige che davanti a un fatto problematico la ragione indaghi sulla causa efficiente proporzionata e necessaria di questo fatto. Se ciò che è avvenuto prima di un dato fatto appartiene a un livello di essere inferiore, vuol dire semplicemente che quel fatto è stato temporalmente preceduto da quell’altro fatto, ma per sapere qual è la causa del fatto, occorre porre un ente sufficientemente esplicativo che, per esser tale, deve appartenere a un livello ontologico superiore. In altre parole, la causa efficiente deve essere superiore all’effetto e non può essere inferiore, sennò non spiega niente.
Ogni ente è per Teilhard composto di materia e forma. Non può esistere una pura forma sussistente da sé senza la materia. Quindi Dio e gli angeli esistono col mondo, l’anima esiste soltanto unita al corpo.
Dio non è preesistito da solo all’esistenza della materia, ma si è limitato a condurre ad unità la sua molteplicità spingendo il mondo materiale ad avanzare, crescere, aumentare, salire, progredire e convergere verso lo spirito, trasformando la materia in spirito.
L’evoluzione dell’universo è un’ascesa o autotrascendenza o autosuperamento della materia al livello dello spirito non in forza del fatto che il passaggio dalla potenza all’atto avviene in forza dell’atto, ma perchè la potenza passa da se stessa o si eleva da se stessa all’atto. All’inizio e alle origini della realtà non occorre quindi porre un atto puro senza potenza, ma bisogna porre la potenza insieme con l’atto.
Secondo Teilhard non bisogna distinguere enti viventi e coscienti da enti non viventi e non coscienti, ma ogni ente è vivente e cosciente.
Il peccato e la salvezza
La concezione evoluzionista porta Teilhard a vedere l’umanità presente più progredita di quella ancestrale, per cui perde di vista il dato di fede secondo cui adesso l’umanità si trova in uno stato di natura decaduta rispetto alle condizioni edeniche originarie.
Per Teilhard il mondo di oggi è progredito ed esemplare rispetto a quello del passato. Da qui il suo rifiuto di concepire la creazione del mondo delle origini come creazione di un mondo perfetto ed esemplare, dal quale siamo decaduti.
Tuttavia Teilhard ha ragione quando ci fa notare che l’escatologia cristiana ci pone davanti un modello di umanità superiore a quella presente e ben più avanzata di quella edenica.
Teilhard ipotizza che la crescita del cervello potrà ulteriormente continuare così come esso è aumentato di volume dall’uomo primitivo ad oggi, ma ci lascia perplessi la sua prospettiva di una futura umanità che appare superiore alla presente non solo per livello di civiltà e di virtù, ma per un aumento di materia e di spiritualità, cioè, a quanto sembra, l’acquisto di un’essenza umana superiore, come se la specie umana non fosse un’entità precisa, circoscritta, limitata, univoca e fissata da Dio una volta per sempre nei suoi limiti materiali quantitativi e spirituali qualitativi.
La natura umana non è un qualcosa che possa aumentare o crescere come la colonnina di mercurio nel termometro. Dagli ominidi e dall’uomo primitivo ad oggi certo c’è stato uno sviluppo – e questo è certamente documentato dalla paleoantropologia – ma adesso l’uomo progredisce solo nel senso che deve migliorare sempre più le potenzialità che Dio gli ha dato di attuare i fini della propria natura, non quello di aumentare indefinitamente i confini della natura umana, così come il sapere e il potere umani aumentano senza fine.
Sarebbe in realtà ridicolo pensare che l’aumento del volume del cervello non abbia limiti ed immaginarsi, come nei film americani di fantascienza, degli individui umani con un cervello simile a un pallone da calcio.
Parimenti la confusione che Teilhard fà tra viventi e non viventi cadendo in un universale panpsichismo, favorisce il sogno attuale e di sempre, di origine kabbalistica e magica di poter costruire una macchina pensante, un’intelligenza artificiale dotata di vera sapienza e coscienza, così da poter esser di guida morale all’azione umana.
Dobbiamo pertanto avvertire con fermezza che, se Teilhard intendesse prospettare un miglioramento dell’essenza umana nel senso suddetto, il suo discorso sarebbe molto pericoloso per il venir meno dell’uguaglianza umana e la reintroduzione di un nuovo razzismo questa volta giustificato dall’escatologia cristiana. Da questa visione errata della specie umana nascono anche le attuali fantasie sulla possibilità degli extraterrestri.
Nonostante gli enormi progressi attuati dall’umanità in questi ultimi millenni, dobbiamo pur sempre riconoscere con umiltà che l’uomo si trova presentemente in uno stato deficitario di decadenza rispetto allo stato originario voluto e creato da Dio nell’Eden.
Anche la presenza operante della grazia, se ci assicura una pregustazione della vita futura, non toglie affatto del tutto in questa vita la nostra tendenza al peccato e la fragilità della nostra natura, sì da rendere sempre necessari la rinuncia e il sacrificio per assicurare allo spirito il dominio sulla carne.
Se adesso l’umanità è progredita partendo da un’originaria vita animale, ciò non smentisce il fatto storico dell’esperienza edenica, ma rappresenta la risalita, grazie all’aiuto della grazia divina, che l’umanità ha compiuto dalla cacciata dal paradiso terrestre ad oggi.
Inoltre Teilhard, per il suo voler sempre associare lo spirito alla materia, non riesce a raggiungere il vero concetto del peccato nella sua effettiva importanza, malizia e gravità, come puro atto dello spirito, come opposizione a Dio e scelta del diavolo, così come la fede ce lo rivela nel peccato dell’angelo.
Certamente in noi il peccare è sempre unito all’attività fisica, la quale introduce nell’atto morale un elemento di oscurità ed incertezza provenienti dalla materia, sicchè il peccato in noi raramente è di pura crudeltà o malizia o malvagità come il peccato del demonio e spesso invece è un peccato di fragilità.
Il misericordismo tuttavia non è sempre una cura sufficiente, ma quando c’è malizia, occorre un’azione energica contro il peccato, altrimenti esso rimane, soprattutto se è radicato da una lunga abitudine. Certamente è vero che una correzione violenta del peccato ottiene un effetto controproducente. Tuttavia bisogna notare che l’etica teilhardiana scusa eccessivamente il peccato e quindi non è capace di scuotere la coscienza così che essa provi un vero orrore per il peccato e lo combatta con totale decisione e coerenza.
Inoltre Teilhard non tiene conto che Dio ha creato agli inizi l’uomo e l’angelo in grazia ed innocenti. Viceversa sembra che per lui il peccato sia un atto che inevitabilmente e normalmente appare nel corso della creazione, sicchè vien la domanda se allora non bisogni considerare Dio creatore come causa prima del peccato e del male. Il che evidentemente è una bestemmia.
Per Teilhard il peccato non è quindi un rubare a Dio o sottrarre al dominio di Dio ciò che Gli appartiene o Gli spetta, sì che Dio abbia il diritto di reclamarne la restituzione, non è un debito che l’uomo ha nei confronti di Dio senza essere in grado di pagarlo, non è un danno che l’uomo fa a se stesso senza esser capace di ripararlo, non è un male o una schiavitù dai quali l’uomo da sé non riesce a liberarsi, ma è semplicemente un’azione fallita, un’azione non riuscita, un intoppo nella catena di produzione della grande fabbrica dell’universo, un prodotto di scarto, un inevitabile incidente di percorso nel mezzo dell’immensa e meravigliosa opera creatrice ed organizzatrice divine dell’umanità e dell’universo, è uno sbaglio che dà occasione di imparare, è un ostacolo, che, suscitando una reazione di difesa, dà modo di rafforzare ed aumentare le energie vitali.
Peccando, l’uomo non ha bisogno di riottenere la benevolenza di un Dio adirato per l’offesa ricevuta; non occorre che Gli si offrano sacrifici, perchè Egli stesso nella guida del creato, ha già messo in conto gli incidenti di percorso. Col peccato l’uomo non ha bisogno di essere «ricomprato» (red-emptio) o riscattato da Cristo, strappato dalla schiavitù del demonio e restituito col prezzo del riscatto, che è il sangue di Cristo, al Padre suo legittimo proprietario.
Così il peccato non è una colpa che necessiti di essere cancellata dal sacrificio di Cristo, per cui non occorre neppure che sia perdonata, perché essa si estingue nel momento in cui si pone, essendo, il peccato, un’azione fallita che si distrugge da sé e fallisce nel suo stesso intento. Questa idea si trova anche in Rahner.
Questa sottovalutazione o minimizzazione del male del peccato fa sì che Teilhard venga a sottovalutare le sue conseguenze nel corso della storia, per cui non pare che egli abbia chiaro il concetto di natura umana decaduta, con la sua caratteristica soggezione dello spirito alla carne, con la difficoltà a riconciliare la carne con lo spirito e la conseguente necessità di astenersi dai piaceri della carne per dar spazio all’azione dello Spirito.
La sua esagerata insistenza sull’unione della materia con lo spirito lo conduce ad un illusorio minimismo dove non si capisce più il discorso di San Paolo circa il contrasto della carne con lo spirito e la necessità di quelle pratiche austere e severe che consentono allo spirito il recupero del dominio sulla carne.
Il metodo di Teilhard de Chardin
Teilhard è convinto dell’esistenza del reale esterno percepibile dai sensi. Ma siccome per lui il reale è materia-spirito, non solo il senso ma anche il pensiero secondo lui colgono lo spirito-materia assoluto sin dall’inizio della loro attività, sicchè se da una parte egli appare realista nel sapere fisico, si mostra idealista circa la conoscenza dello spirito, sempre per il fatto che il dato materiale per lui nasconde quanto meno una coscienza latente, mentre la più elevata spiritualità, come quella divina stessa, resta l’anima del mondo.
Occorre invece ricordare che in realtà il sapere umano inizia sì con l’uso del senso che attinge al fenomeno sensibile materiale, ma che successivamente l’esperienza sensibile provoca l’intervento della ragione, la quale, alla conoscenza dell’effetto, si muove alla ricerca della causa. La ragione scopre allora le leggi del mondo fisico, ed abbiamo la fisica sperimentale e successivamente scopre l’aspetto ontologico della natura e sorge la filosofia della natura.
La fisica non apre a Teilhard de Chardin l’ingresso nella metafisica. Ha per essa una riprovevole ripugnanza credendo che essa tratti di astrazioni. Il disprezzo per la metafisica non è segno di spiritualità, ma di materialismo.
D’altra parte Teilhard si accorge che c’è una realtà superiore a quella del mondo fisico, ma il suo attaccamento ai sensi e alla materia gli impediscono di salire nel cielo puro della metafisica. E allora trova una soluzione che si proietta nell’al di là senza rinunciare all’al di qua: inventa l’«iperfisica», che sarebbe un superamento della fisica senza per questo salire alla metafisica.
Diciamo viceversa che nella natura umana la ragione scopre le sue manifestazioni spirituali. Essa allora scopre l’esistenza e l’attività dello spirito come realtà superiore alla materia e alla corporeità. La ragione si accorge allora che la realtà non è solo materiale, ma esiste anche una realtà spirituale, come l’anima umana con le sue potenze, intelletto, volontà e coscienza, nonchè gli atti e i prodotti immateriali e incorruttibili di tali potenze.
A questo punto la ragione si accorge che la materia è causata dallo spirito e scopre l’esistenza di Dio purissimo spirito come causa prima efficiente creatrice ed ordinatrice del mondo dei corpi e degli spiriti, delle anime e degli angeli. E con ciò la ragione fonda la metafisica.
Successivamente la ragione, illuminata ed istruita dalla rivelazione cristiana, passa dalla scienza alla fede, che le consente di sapere sul mondo, sull’uomo e su Dio cose che da sola non sarebbe mai stata in grado di sapere.
Teilhard ha ragione nel rilevare che le cose si presentano innanzitutto a noi come fenomeni che cadono sotto i sensi. Ma poi per lui tutto il salire, e il procedere del conoscere, è sempre un fronteggiare il fenomeno, fenomeno che vien sempre conosciuto meglio, da sensibile a intellegibile a umano a spirituale e divino, ma sempre fenomeno. La mente non passa dalla considerazione di un effetto a quella della causa, ma progredisce nel sapere sempre nella esperienza del fenomeno.
Non si vede più allora dov’è il passaggio dal senso all’intelletto, alla ragione. Tutto è già all’inizio come fenomeno e tutto è alla fine, Dio, come esplicitazione del fenomeno. In tal modo la mente non passa dalla scienza alla fede mediante l’esercizio della ragione che passa dall’effetto alla causa, ma il contenuto della fede è lo stesso della scienza con la semplice differenza che con la fede il fenomeno è visto al massimo, per cui è totalmente appagante perchè è Dio stesso. A questo punto parlare di spirito sono fantasie.
Ma Dio per Teilhard è tutto ed è già celato sin dall’iniziale esperienza sensibile del fenomeno delle cose. In essa infatti si cela Dio stesso, così come lo spirito si cela nella materia. In altre parole per arrivare alla fede e alla conoscenza di Dio non ci sono ragionamenti da fare, non occorre scoprire niente dietro il fenomeno: basta guardarlo meglio fino al vertice delle nostre forze intellettuali soccorse dalla fede; basta progredire nella considerazione del fenomeno sensibile, quale dato immediato ed iniziale dell’esperienza e alla fine quel fenomeno che all’inizio appariva sensibile, precario e limitato, si rivela come infinito e divino.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 10 febbraio 2025
Per Teilhard il peccato non appare come una disobbedienza alla volontà di Dio, un’infrazione al comando divino, un’offesa a Lui fatta, punita con la morte, offesa che viene riparata con l’offerta espiatrice che Cristo fa di Sé stesso al Padre al nostro posto. La morte non sembra in lui una contraddizione alla vita e all’evoluzione, ma un fattore di vita e uno stimolo all’evoluzione. Egli parla sì della morte di Cristo, ma sembra che per lui la morte sia via alla vita in quanto morte e non in quanto morte di Cristo. La stessa cosa si trova nella cristologia di Rahner.
Infatti per Teilhard l’uomo peccando resta sempre, benché suo malgrado, nel dinamismo produttivo ed ascendente dell’evoluzione finalizzato a Dio, affinchè Dio sia tutto in tutti. Quindi Cristo in Teilhard non svolge un’opera redentiva, ma solo perfettiva dell’intera creazione.
Così il peccato non è una colpa che necessiti di essere cancellata dal sacrificio di Cristo, per cui non occorre neppure che sia perdonata, perché essa si estingue nel momento in cui si pone, essendo, il peccato, un’azione fallita che si distrugge da sé e fallisce nel suo stesso intento. Questa idea si trova anche in Rahner.
De Lubac qualifica Teilhard come «mistico». Un autentico conoscitore della mistica come Maritain si guarda bene dal qualificare in tal modo Teilhard. Certo è un entusiasta, è un poeta, un creatore di miti, è geniale. Ha capito molto bene la cristologia paolina della ricapitolazione e di Cristo re dell’universo.
Immagine da Internet:
- Homo erectus
- Cristo Pantocratore, Sophia, Istanbul, Turchia
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.