Il punto di contatto fra cristianesimo e idealismo
Prima Parte (1/3)
Conoscerete la verità
Gv 8,32
La concezione cristiana della conoscenza
Il concetto di verità (gr.alétheia, eb.emet) è fondamentale nel cristianesimo. E ognuno sa che il concetto di verità è legato a quello di conoscenza (gr.gnosis, eb.daat, iadà). La vera conoscenza è la conoscenza della verità. E per questo anche il conoscere o il sapere è una nozione fondamentale del cristianesimo. Ma qual è l’oggetto principale del conoscere, quello al quale il cristianesimo aspira? È Dio. E qual è la facoltà umana che fa da soggetto all’atto del conoscere? L’intelletto (gr.nus, eb.binà).
Purtroppo è oggi diffuso in campo cattolico un gravissimo errore proveniente dall’esegesi luterana, il quale, col pretesto della «mentalità semitica», sostiene che il concetto biblico di conoscenza non sarebbe un semplice atto dell’intelletto, un semplice vedere, ma sarebbe un atto pratico, confondendo così intelletto e volontà, pensiero e azione, sapere e fare, cosa in realtà alienissima dalla Bibbia, perché porterebbe al panteismo.
Se nell’ebraico biblico la parola «conoscere» significa in certi casi l’esperienza sessuale, ciò non vuol dire assolutamente confondere il conoscere col fare, ma è un semplice modo di dire, giacchè è evidente che se uno ha un rapporto sessuale con un altro, ciò presuppone che l’ha conosciuto.
Così per esempio con le parole «non conosco uomo». la Madonna intende semplicemente dire che non intende avere rapporti sessuali. Ma perché si esprime in quel modo? Perché è evidente che mediante il contatto sessuale si conosce l’altro sesso, ma si tratta semplicemente un modo di dire, che non implica nessuna confusione tra conoscenza ed azione. Infatti Maria conosceva benissimo San Giuseppe senza per questo avere con lui intimità sessuale.
Quello che semmai si può e si deve dire è che soprattutto nella teologia giovannea esiste un intimo rapporto fra conoscere ed amare, sicchè l’amore favorisce la conoscenza e non si dà piena conoscenza senza l’amore. Per questo la fede viva non è il semplice sapere, ma la fede operante nella carità. Ma ciò non si significa affatto che non ci sia distinzione tra fede e carità, perché resta pur sempre la possibilità di sapere e non mettere in pratica. Né la prassi è produttrice di verità. Cristo non dice la libertà vi renderà veraci, ma la verità vi farà liberi. E del resto San Giovanni è chiaro nel prospettare la beatitudine come atto del vedere.
Il fenomenismo del quale parla la Pascendi è l’idealismo
Intanto possiamo dire che una definizione con relativa condanna dell’idealismo esiste già nell’enciclica Pascendi di San Pio X, dove il Papa condanna il «fenomenismo». Così infatti il Papa lo descrive:
«la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, cioè di quel che apparisce e nel modo che apparisce; non diritto, non facoltà le concedono di passare più oltre. Per questo essa non può innalzarsi a Dio, né conoscerne l’esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili» (n.7).
Che cosa intende qui il Papa per «fenomeno»? Evidentemente ciò che appare alla coscienza, cosicchè noi conosciamo solo ciò che appare in essa, conosciamo solo le nostre idee, i nostri concetti, i nostri pensieri. Di un al di là della coscienza non sappiamo nulla ed anzi non c’è nulla da sapere, perché l’essere è solo il saputo, il sapere ha per oggetto solo ciò di cui siamo coscienti o, come spiega più avanti il Papa, ciò che emerge dal «subconscio» (n.10), che sarebbe la radice dell’io, «occulta e incomprensibile».
Il fenomeno è ciò che appare, che si rivela, che si mostra, il non-nascosto. Ora l’apparire non è un assoluto come l’essere, ma è sempre apparire di qualcosa a qualcuno. L’apparire è relativo a qualcuno al quale qualcosa appare. Se non c’è il qualcuno, non c’è neppure l’apparire. L’apparire non è il semplice sembrare, che può essere ingannevole. L’apparenza inganna, dice il proverbio. Può essere l’apparire della verità, della realtà, dell’essere. Ma l’essere può apparire diversamente da come è. Può ingannare.
È vero che l’apparire del quale parla l’idealista non è l’apparire all’io empirico o individuale, ma all’io universale, cioè all’uomo come tale. Ma anche quando tutti, come pensa Kant, pensassimo allo stesso modo, quando tutti concordassimo fra noi su di una stessa tesi, ma tutti avessero davanti un semplice apparire soggettivo senza poter avere una conoscenza puramente oggettiva, ma ci mettessimo del nostro, che ne sarebbe della verità del conoscere? A tutti sembra che sia il sole che si muove, mentre in realtà è la terra che si muove attorno al sole. Un apparire a tutti non fa ancora necessariamente la verità.
Come potremmo dire di esserci adeguati al reale e di non far dire al reale quello che vogliamo noi? Siamo forse noi i creatori della realtà con le nostre idee o le nostre idee hanno il compito di rispecchiare la realtà? L’oggetto immediato del sapere è l’idea e in base a questo dimostriamo l’esistenza del reale esterno o è il reale esterno dal quale ricaviamo l’idea? Il conflitto fra realismo ed idealismo è tutto qui.
Sta qui l’importantissima distinzione fra l’idealismo platonico e quello cartesiano. Il primo, accolto da Sant’Agostino, ci dà la verità insieme con il realismo aristotelico-tomista ed è conforme al concetto biblico della conoscenza. Il secondo, che trova il suo pieno sviluppo nell’idealismo tedesco fino a Gentile e a Bontadini, è precisamente quel fenomenismo modernista che è condannato dalla Pascendi.
Si dà infatti sempre il fatto che l’idealista risolve l’essere nell’apparire al soggetto. Certo, se l’essere appare, lo si può cogliere così com’è, e si ha la verità: e anche il fatto che noi abbiamo un certo modo di cogliere il reale non c’impedisce di conoscere la verità, ma anzi è proprio il mezzo per conoscere. Ma se secondo Kant noi diamo forma all’oggetto del conoscere, dove va a finire l’oggettività della conoscenza? Come possiamo dire di cogliere la cosa, l’ente o il reale così com’è senza interferenze da parte nostra?
Per l’idealista, vedi per esempio Husserl, l’essere è essere per la coscienza. Allora la regola della verità non è più un reale esterno, una res extra animam, come dice San Tommaso, ma ciò che è nella mia coscienza o nel mio subconscio o preconscio, nella mia Vorverständnis, per dirla con Heidegger o nel mio Vorgriff, per dirla con Rahner.
In questo inconscio-preconscio, dal quale hanno origine i nostri concetti e le nostre idee, continua a spiegare il Papa, giace un «sentimento o bisogno del divino». Ma non si tratta di un divino trascendente, appartenente a una realtà esterna, da noi scoperto oltre i confini della coscienza partendo dall’esperienza delle cose. Si tratta invece di un sentimento o bisogno divino giacente nel subconscio ed immanente alla coscienza, dall’esperienza o sentimento del quale noi traiamo i nostri concetti teologici.
In tal modo l’idealista ammette che Dio si riveli in noi, ma questo Dio non è un Dio trascendente il nostro io, ma immanente nel nostro subconscio, sicchè la rivelazione divina per l’idealista, come spiega il Papa al n.12, è l’apparire del Dio immanente alla coscienza sperimentato, prima della concettualizzazione, dal sentimento preconscio del divino.
La concettualizzazione teologica, quindi, non è ricavata dalla scoperta di un Dio creatore, causa delle cose e di me stesso, ma è un Dio del quale io ho un sentimento originario o esperienza diretta subconscia, in quanto io ho coscienza del mio io pensante, prima che quel sentimento emerga alla coscienza e venga espresso nei mutevoli, inadeguati e antropomorfici concetti teologici.
Per l’idealismo il pensiero è relativo all’essere, ma anche l’essere è relativo al pensiero. Vi è tra i due una reciprocità alla pari per cui l’uno non può essere senza l’altro. L’idealismo non ammette un essere assoluto indipendente dal pensiero, ma l’essere è per il pensiero (Husserl). L’idealismo è delineato da Hegel nella famosa formula «ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale».
Invece il realismo con San Tommaso distingue l’intellectus dalla res e li mette in armonia fra di loro con la famosa formula che esprime l’essenza della verità: «adaequatio intellectus et rei». Tommaso tuttavia precisa che se la res può essere adeguata all’intelletto, cioè all’idea, ciò avviene solo per l’intelletto pratico umano o divino. Ma resta sempre che prendendo pensiero (intelletto) e realtà in senso assoluto, il pensiero è ordinato all’essere e non necessariamente viceversa.
Nell’idealismo tutto è pensiero, anche il divenire, la materia, la natura, la vita. l’agire, il fare, la storia, Dio. Ma nel contempo tutto è essere, anche l’ente di ragione, il logico, il razionale, il non-essere. Il nulla quindi non esiste. Oppure è esso stesso essere. Il male in quanto ente di ragione non esiste. Oppure bisogna dire, con Hegel che è essere e quindi bene.
Papa Francesco delinea in una breve formula l’essenza dell’idealismo in opposizione al realismo, quando dice che mentre nell’idealismo si dà il primato dell’idea sulla realtà, nel realismo c’è il primato della realtà sull’idea[1].
Così si spiega come Locke abbia potuto credere alla possibilità di una materia pensante. E si spiega anche come Berkeley abbia potuto negare l’esistenza dell’essere materiale, riducendo l’essere all’essere percepito. Ma anche da Berkeley si ricava il materialismo, rovesciando il suo assioma: se l’essere materiale è l’essere percepito, allora il percepire è un fatto materiale.
L’essere non pensato per l’idealista non esiste, perché, egli dice, nel momento in cui lo pensa diventa pensato. Sì, diventa pensato come pensiero interno alla mente, ma l’idealista non si accorge che egli pensa il non-pensato. Per cui confonde l’atto del pensare, per il quale il pensato è nel pensante, con l’oggetto, che è fuori del pensiero, ossia l’essere. Se il non-pensato nella coscienza è pensato, in sé stesso è fuori e resta non pensato. Entra nella mente ed è rappresentato in quanto pensato, ma resta fuori in quanto essere non-pensato.
Dunque l’essere non si risolve nel pensato. Prima di conoscere l’essere è pensabile, non è pensato. L’idealista riduce quindi la conoscenza alla coscienza. In realtà è questa che ha per oggetto l’essere pensato. Invece la conoscenza ha per oggetto l’ente in sé stesso esterno all’anima.
La coscienza non potrebbe avere come oggetto il pensato o ente di ragione o l’idea, se prima il soggetto non avesse contattato il reale esterno materiale mediante i sensi. Infatti ciò che la coscienza ha al suo interno è la rappresentazione o concetto o idea della realtà materiale esterna. Per questo Aristotele dice che non è la pietra che è nell’anima, ma l’immagine della pietra.
L’idealismo è un pensare spaccato in due che distrugge e frustra se stesso; si pone e si toglie ad un tempo, perché da una parte anche l’idealista nel momento in cui pensa, non può non esercitare il realismo, ossia indirizzare il pensiero al reale esterno, salvo poi ad usare questa inclinazione naturale del pensiero per frustrarla chiudendo il pensiero dentro se stesso col suo idealismo: una prigione nella quale l’idealista si pone da se stesso e dalla quale non riesce più ad uscire, un pensare che lo separa ed isola dalla realtà del mondo, degli uomini, di Dio e di se stesso, un chiudersi in una torre d’avorio che ignora le proprie fragilità e dalla quale si ritiene in dovere e potere di giudicare tutto e tutti e di pareggiare il sapere divino. Ha ragione quindi San Pio X quando accusa i modernisti cioè gli idealisti, di superbia.
Fine Prima Parte (1/3)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 22 marzo 2025
La Chiesa tiene a che nel definire la natura della fede si faccia uso di un giusto concetto di conoscenza, ispirato al realismo tomista. Per questo Pio XII nell’Humani generis condanna in ben tre luoghi dell’enciclica l’uso del concetto idealistico di conoscenza.
Per l’idealista, vedi per esempio Husserl, l’essere è essere per la coscienza. Allora la regola della verità non è più un reale esterno, una res extra animam, come dice San Tommaso, ma ciò che è nella mia coscienza o nel mio subconscio o preconscio, nella mia Vorverständnis, per dirla con Heidegger, o nel mio Vorgriff, per dirla con Rahner.
Nell’idealismo tutto è pensiero, anche il divenire, la materia, la natura, la vita. l’agire, il fare, la storia, Dio. Ma nel contempo tutto è essere, anche l’ente di ragione, il logico, il razionale, il non-essere. Il nulla quindi non esiste. Oppure è esso stesso essere. Il male in quanto ente di ragione non esiste. Oppure bisogna dire, con Hegel, che è essere e quindi bene.
Papa Francesco delinea in una breve formula l’essenza dell’idealismo in opposizione al realismo, quando dice che mentre nell’idealismo si dà il primato dell’idea sulla realtà, nel realismo c’è il primato della realtà sull’idea.
Apparentemente l’idealismo riduce tutto l’essere a spirito, e sembra un’alta forma di spiritualismo. Così si spiega come Locke abbia potuto credere alla possibilità di una materia pensante. E si spiega anche come Berkeley abbia potuto negare l’esistenza dell’essere materiale, riducendo l’essere all’essere percepito. Ma anche da Berkeley si ricava il materialismo, rovesciando il suo assioma: se l’essere materiale è l’essere percepito, allora il percepire è un fatto materiale.
Immagini da Internet:- Papa Francesco
- John Locke
[1] Vedi il mio articolo La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’Evangelii gaudium di papa Francesco, in PATH, 2014/2, pp.287-316.
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