Il Papa può sbagliare sul piano della dottrina? Osservazioni su di un libro del Padre Lanzetta

 

Il Papa può sbagliare sul piano della dottrina?

Osservazioni su di un libro del Padre Lanzetta[1]

Un teologo pio e dotto, ma bloccato nel passato

Ho un carissimo ricordo del Padre Giuseppe Lanzetta. Lo conobbi quando faceva parte dei Francescani dell’Immacolata. Lo ricordo come organizzatore di tre importanti convegni teologici internazionali negli anni 2007-2009, ai quali egli ebbe la bontà di invitarmi e nei quali vennero formulate ottime critiche alla teologia di Rahner.

Frequentando in quegli anni i Francescani dell’Immacolata, ebbi modo di fare amicizie con teologi di quell’Istituto, come il Padre Siano e il Padre Apollonio e conobbi lo stesso Fondatore, il Padre Manelli, figlio spirituale di San Pio da Pietrelcina, Religioso che mi fece un’ottima impressione. Le cattive notizie diffuse successivamente sul suo conto mi hanno lasciato incredulo e le ho considerate calunnie di modernisti. Notai che tuttavia l’Istituto era troppo legato alla Messa vetus ordo e forse troppo austero.

Ricordo Padre Serafino come prezioso collaboratore nel mio lavoro di vicepostulatore nella Causa di beatificazione del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, grande teologo tomista.

Padre Serafino ebbe molto a soffrire quando il Papa intervenne, forse in modo troppo severo, a correggere il passatismo dei Francescani dell’Immacolata.

Restammo molto amici fino al 2013, quando Padre Serafino, forse disgustato per il mutamento che il suo Istituto aveva subìto a seguito dell’intervento pontificio, cominciò ad irrigidirsi nelle sue posizioni tradizionaliste forse sotto l’influsso di Mons.Brunero Gherardini e ad assumere un indirizzo di resistenza nei confronti della tendenza progressista del pontificato di Papa Francesco. All’Università di Lugano si addottorò in teologia sotto la direzione di Manfred Hauke, con una tesi che per poter criticare le  dottrine del Concilio Vaticano II sostiene che il Concilio è stato solo pastorale.

Siccome viceversa io appoggiavo pienamente il rinnovamento conciliare, senza per questo approvare totalmente l’azione del Papa, diminuì la stima nei miei confronti raffreddando il rapporto con me, cosa che mi addolorò. Negli anni 2007-2010 accolse diversi miei articoli sulla rivista dell’Istituto Fides Catholica. Ma dal 2011 cessò di invitarmi e io mi accorsi che non ero più gradito.

Da allora Padre Serafino si è ancor più consolidato in questa posizione conservatrice, il che ha aumentato il mio dispiacere. Tuttavia io ho mantenuto il mio affetto per lui ed ammiro la nobiltà della sua visione cristiana. E se in questo articolo la mia coscienza mi spinge a disapprovare la sua ostilità a Papa Francesco, lo voglio ricordare ancora così com’era nei primi tempi che ci frequentavamo.

Un difetto dell’area cattolica alla quale appartiene Padre Serafino è un modo di concepire la Tradizione che vede nel Concilio e nei Papi del postconcilio, soprattutto il presente, un indirizzo ecclesiale filomodernista infedele alla tradizione. Voglio allora introdurre il mio discorso ricordando innanzitutto ai lettori che cosa è la Sacra Tradizione secondo la Chiesa cattolica.

La sacra Tradizione è insieme con la Sacra Scrittura, la fonte della Rivelazione cristiana, cioè è la fedele trasmissione orale apostolica, lungo i secoli fino ad oggi, infallibilmente assistita dallo Spirito Santo, delle verità insegnate da Cristo da predicare a tutto il mondo fino alla fine dei secoli, al fine di suscitare la fede in Cristo come Salvatore del mondo.

Il Papa ha il compito di custodire, interpretare, spiegare, trasmettere e difendere i contenuti della Tradizione a tutti gli uomini, in ciò infallibilmente assistito dallo Spirito Santo, affinchè credano in Cristo salvatore. I fedeli imparano dal Papa i contenuti della Tradizione, ma essi a loro volta li conoscono già dal Papa precedente. Succede così che fra Papa e fedeli esiste un duplice rapporto relativamente alla funzione della Tradizione. I suoi contenuti sono ad un tempo oggetto della fede del Papa e della Chiesa.

Così succede che per un verso i fedeli in comunione col Papa devono accogliere la Tradizione nell’interpretazione che ne fa il Papa, ma per un altro verso, entro certi limiti, essi possono dare una valutazione critica riguardo all’insegnamento del Papa alla luce della Tradizione e vedere se è o non è conforme alla Tradizione.

Padre Lanzetta, impressionato dall’attuale diffusione di eresie non denunciate e non confutate dai Vescovi,  fa un quadro anche esagerato della situazione e guarda con apprensione all’ipotesi del Papa eretico, senza impedirci di pensare a Papa Francesco,  lasciandosi influenzare da dottrine medioevali puramente accademiche (pp.55-57), completamente ignorate dal diritto canonico moderno e già dallo stesso San Tommaso, dottrine che non devono essere interpretate come reale possibilità, perché se così fosse ci sarebbe da chiedersi come verrebbe salvata la promessa di Cristo fatta a Pietro di assisterlo nel compimento del suo ufficio.

Sbaglia il Padre Lanzetta quando afferma che:

 

«Un Papa potrebbe cadere in eresia quando non esercita un pienezza la sua autorità, cioè il suo ufficio come pastore e dottore universale, lasciando il suo insegnamento al grado più basso di magistero ordinario autentico (che, dicevamo, può contenere errori)» (p.57).

In questi ultimi anni ho avuto più volte modo di spiegare come il Papa non è infallibile solo al massimo grado della sua autorità dottrinale, quando definisce solennemente un nuovo dogma in forma straordinaria (can.749), ma anche in due gradi inferiori previsti dal diritto canonico, rispettivamente al can.750 e al can.752.

Sulla base di questa opinione il Padre Lanzetta distingue la «fede del Papa» dalla «fede della Chiesa» e sostiene che il Papa deve stare con la fede della Chiesa, che appare essere per lui la regola della fede del Papa, per cui, se il Papa si allontana da questa fede, che sarebbe la «fede oggettiva», e che per lui è la fede tradizionale, cadrebbe in una fede «soggettiva», che Padre Lanzetta identifica con l’eresia.

In realtà la fede del Papa non è regolata dalla fede della Chiesa, ma è l’inverso. È la fede della Chiesa che è regolata dalla fede del Papa. Se invece come crede Padre Lanzetta, la fede della Chiesa è al di sopra di quella del Papa, appare del tutto plausibile la possibilità di un Papa eretico, fino a insinuare, a quanto sembra, che lo stesso Papa Francesco sia eretico, come pare evincersi da queste parole:

 

«Se il Papa è autorevole in ragione del suo ufficio petrino, non è sempre però automaticamente infallibile. Anzi ci sono situazioni che pongono seri dubbi anche sull’autorevolezza delle sue parole, quando ad esempio il suo discorso è più politico che teoalogico, anche se risulta difficile distinguere il politico dal teologico. È la stessa autorevolezza ad essere indebolita quando il Papa improvvisa discorsi o lancia opinioni come qualsiasi opinion maker. Il parlare molto (una tipica svolta del magistero postconciliare?), che non esime dall’errare (cf Pr 10,19). È una caratteristica dell’interloquire dei papi da diversi anni a questa parte. Inizia con interviste televisive, interviste con libri o libri stessi scritti dal Papa e ha un suo momento clou negli incontri ad alta quota con i giornalisti durante i viaggi papali. È proprio necessario che il Papa parli sempre e in situazioni come queste, dove, se si capisce lo scalpore delle breaking news, non si vede però la necessità di esporsi continuamente senza una preparazione adeguata ad essere perfino contraddetto dai fatti? Se poi il Papa non è infallibile ogni volta che parla e se il più delle volte non parla in conformità della fede della Chiesa, non significa per ciò stesso che non è Papa, che la sua elezione non è valida»[2] .

In tal modo Padre Lanzetta sembra alludere a Papa Francesco quando parla di un «Papa obbediente più allo Zeitgeist che a Cristo» osservando che «la Chiesa non può venir meno anche se un Papa remasse contro insegnando dottrine mondane frutto del suo intelletto non illuminato dalla grazia. In quel caso sarebbe la sua fede a vacillare, non la fede di Pietro, dono del Padre», come se nel Papa potessero coesistere simultaneamente una fede vera con una fede falsa.

Occorre esser cauti e prudenti nel parlare di eresia[3]

Una cosa importante, quando si parla di «eresia», è intendersi sul significato del termine. Vi può essere infatti un doppio rischio: o quello di esser troppo facili nell’uso della parola o quello di farne a meno quando sarebbe bene usarlo.

Nel primo caso si dà troppa importanza a quello che può essere un semplice errore filosofico o ad un’opinione errata o a una decisione pratica imprudente o ingiusta. Nel secondo caso si è ostacolati o impediti nel rendersi conto del danno gravissimo che l’anima subisce sottovalutando o addirittura ignorando la falsità dell’eresia prendendo per vero ciò che è falso in materia di fede.

L’eresia nella sua essenza è in fondo una cosa semplice e chiara: è la negazione di una verità di fede. Che tale negazione sia cosciente e voluta oppure inconsapevole e involontaria è un semplice fatto morale accidentale, per cui mentre nel primo caso c’è colpa, nel secondo si resta innocenti.

Per poter giudicare dell’eresia, occorre sapere quali proposizioni sono di fede. Ora è evidente che oggetto della fede sono i misteri divini soprannaturali rivelati da Cristo. Siccome però Cristo ha affidato a Pietro il compito di comunicarci e interpretarci i suoi insegnamenti, ecco che eresia per estensione non sarà solo il rifiuto delle parole del Signore contenute nel Vangelo, ma sarà anche il rifiuto della dottrina ovvero dei dogmi della Chiesa.

A questo proposito dobbiamo fare due osservazioni. La prima.  Una proposizione può essere contro una verità di fede o in modo esplicito, immediato e diretto o in modo indiretto, implicito o per conseguenza. Un conto infatti è l’opposizione alle parole chiare e formali del Signore o il rifiuto di un dogma definito dalla Chiesa – eresia esplicita -  e un conto è una verità proposta dalla Chiesa come verità di ragione o verità storica, negando la quale si esclude una verità di fede – eresia indiretta o implicita.


Negare le parole del Signore o un dogma definito al sommo grado di autorità del Papa[4] in forma straordinaria e solenne è chiaramente eresia in modo esplicito, formale ed immediato, è peccato contro la fede divina e teologale.

Rifiutare una proposizione nei gradi inferiori di autorità, come quelli propri del magistero ordinario o sostenere una proposizione che sia contro la fede in modo indiretto o implicito vuol dire sostenere una proposizione prossima all’eresia e comunque erronea nella dottrina della Chiesa e contraria alla fede nella Chiesa.

La seconda osservazione è che per formare la nota o l’accusa di eresia bisogna esser certi che quella data proposizione che viene negata è di fede o connessa con la fede. Questa certezza può esser data dal fatto che una data proposizione o entra negli insegnamenti di Cristo stesso nel Vangelo o appartiene al deposito della Tradizione o è uno degli articoli di fede del Credo o è un dogma definito o definibile o è insegnamento ordinario della Chiesa di secondo o terzo grado.

Papa Francesco crea problemi, ma essi si risolvono.

Dobbiamo guardare al positivo.

Le preoccupazioni di Padre Lanzetta circa gli insegnamenti del Papa sono comprensibili. Da quando Papa Francesco è stato eletto Successore di Pietro, ho seguito quasi quotidianamente i suoi atti e i suoi insegnamenti, nonchè le frequentissime discussioni che sono sorte su come interpretare molti suoi atteggianti e discorsi. Ho letto su di lui commenti e giudizi espressi dai favorevoli e dai contrari.

Papa Francesco piace a luterani, atei, massoni, comunisti, musulmani, buddisti, genderisti. Come mai questo fatto? Perché da una parte li sa avvicinare alla verità, ma putroppo a volte si presta ad essere frainteso.  Scandalizza e turba quei cattolici che vogliono rifarsi alla tradizione e non hanno capito il vero valore della riforma del Concilio Vaticano II.

I modernisti lo strumentalizzano interpretandolo a loro uso e consumo. Il Papa esce ogni tanto in espressioni meno felici, improprie, ambigue, imprudenti o a doppio senso. E non sempre chiarisce che cosa voleva dire. Cerchiamo di farlo noi teologi e l’impresa non è sempre facile.

Un Papa eretico? Sì, certe frasi o certe battute stupiscono, lasciano a tutta prima irritati o interdetti, possono sembrare eretiche, ci si domanda se sta scherzando, ma con uno sforzo interpretativo, contestualizzandole, si riesce a interpretarle in senso ortodosso. Una cosa nel Papa è innegabile: la presenza di grandi valori pastorali e dottrinali, di novità storiche inaudite. Ne ho parlato molte volte.

Nessun Papa come lui si era mostrato tanto aperto ai non cristiani, nessuno fino a lui aveva condannato lo gnosticismo, nessuno aveva parlato tanto del demonio, nessuno dell’importanza dell’ecologia, nessuno tanto attento ai problemi dei più poveri e bisognosi, nessuno ha insistito tanto sulla misericordia divina.

Quando il Papa vuol fare sul serio, si nota in lui lo Spirito Santo. Prendiamolo com’è. Ci sono dei temi importanti sui quali tace, senza per questo negarli, come per esempio il tema del primato del cristianesimo rispetto alle altre religioni, quello dei meriti necessari alla salvezza, l’esistenza dei dannati, la distinzione tra fratellanza universale e fratellanza cristiana. Credo che non sarebbe male trattarne, per frenare un certo dilagante buonismo e mostrare che esser cristiani non è un viaggio gratis, ma è una cosa seria.

Approfittiamo comunque del bene che ci fa. Aiutiamolo nel suo difficile compito. Soprassediamo ai suoi difetti, pazientiamo, speriamo, preghiamo per lui e soprattutto vogliamogli bene come a nostro Padre in Cristo.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 12 febbraio 2025


Il Papa ha il compito di custodire, interpretare, spiegare, trasmettere e difendere i contenuti della Tradizione a tutti gli uomini, in ciò infallibilmente assistito dallo Spirito Santo, affinchè credano in Cristo salvatore. I fedeli imparano dal Papa i contenuti della Tradizione, ma essi a loro volta li conoscono già dal Papa precedente. Succede così che fra Papa e fedeli esiste un duplice rapporto relativamente alla funzione della Tradizione. I suoi contenuti sono ad un tempo oggetto della fede del Papa e della Chiesa.

 
Immagine da Internet: Padre Serafino Lanzetta

[1] Super hanc petram.Il Papa e la Chiesa in un’ora drammatica della storia, Edizioni Fiducia,Roma 2022.

[2] Op.cit., p.66.

[3] Mi permetto di segnalare su questo argomento il mio libro La questione dell’eresia oggi, Edizioni Viverein, Monopoli (BA), 2008.

[4] Il CJC nei cann.749-752 presenta tre gradi di autorità dottrinale del Papa, in ognuno dei quali il Papa è infallibile, ma secondo modalità e gradi decrescenti che vanno da un riferimento immediato alla Parola di Dio, ad un riferimento solo implicito e indiretto. Opporsi al primo grado è eresia o peccato contro la fede teologale. Opporsi agli altri due è errore contro la dottrina della Chiesa (II grado) o disobbedienza al magistero (III grado). Le proposizioni di II e III grado, in forza di un chiarimento, possono salire di grado ed essere promosse al primo.

59 commenti:

  1. Mi pare che il Lanzetta però adombri la possibilità del 'papa eretico' ma non la ravvisi nel presente, o meglio non la ritenga esplicitata. Motivo per cui è distante da sedevacantisti, rinunce invalide , difetti di consenso (Viganò) ecc. che imperversano da svariati anni.

    All’Università di Lugano si addottorò in teologia sotto la direzione di Manfred Hauke

    Beh , non credo che ciò possa deporre a sfavore (forse è un demerito per i medjugorjani..) soprattutto tenendo conto che nel frattempo il pontificato si è addottorato al Fernandez

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    1. Caro Angheran,
      come mi pare di avere chiarito nel mio articolo, Padre Lanzetta non accusa formalmente il Papa di eresia, ma se noi leggiamo attentamente quello che dice, si capisce bene che egli lo accusa di questo.
      Per quanto riguarda la sua tesi con Hauke, il suo grave difetto è che Lanzetta in questa tesi sostiene che il Concilio fu solo pastorale. È la solita tesi dei filolefevriani, i quali, per poter criticare le dottrine del Concilio, sostengono che il Concilio, per avallare la sua tesi modernista avrebbe fatto passare per pastorali delle tesi dottrinali.
      Senonché Benedetto XVI ha detto con tutta chiarezza che il Concilio non è stato solo pastorale, ma anche dottrinale, per cui non è consentito respingere come moderniste le sue dottrine.

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  2. Caro Alessandro,
    circa i difetti di Papa Francesco potrei essere d’accordo anch’io. Ma che cosa ci ricaviamo da questo semplice elenco dei suoi limiti umani veri o presunti? Il grave rischio è quello di non tenere conto che Papa Francesco è in fin dei conti la nostra guida verso il regno di Dio.
    Quindi se vogliamo curare gli interessi della nostra anima, è a questa funzione del Papa che dobbiamo guardare. Non dico che si debbano ignorare i suoi difetti, ma non bisogna metterli in primo piano, come fa lei, dimenticando il valore determinante del servizio che egli svolge a favore della nostra salvezza.

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  3. Caro Padre Giovanni,
    desidero sottoporre alla sua attenzione il caso di Papa Liberio (morto nel 366), regnante all’epoca della massima espansione dell’eresia ariana.
    Lo storico bizantino Filostorgio riporta che Papa Liberio potè tornare dall’esilio impostogli dall’imperatore Costanzo II e reinsediarsi a Roma solamente quando, sulla consustanzialità del Padre e del Figlio, acconsentì a sottoscrivere una formula di compromesso, elaborata dopo l'estate del 357 dai vescovi di corte. Ora qualunque possa esser stata tale formula, non essendo la piena accettazione della consustanzialità ma un compromesso, possiamo ritenerla eretica.
    Del resto un dottore della Chiesa come San Girolamo, che pure nei suoi scritti ripete spesso la frase “Dio ha fondato la Chiesa su Pietro” (Ep. 41,2), non esita nella sua Cronaca, ad affermare che Liberio "vinto dalla noia dell'esilio, dopo aver sottoscritto l'eresia rientrò a Roma in trionfo".
    E anche altri due santi dottori della Chiesa affermarono che Liberio era caduto in eresia: sant’Atanasio, che scrisse: "Liberio, dopo essere stato esiliato, tornò dopo due anni, e, per paura della morte con la quale fu minacciato, firmò" (Hist. Ar., XLI); e sant’Ilario di Poitiers, che in un'opera del 360, scrisse: "Io non so quale sia stata l'empietà più grande, se il suo esilio o la sua restaurazione" (Contra Const., II).
    Ora, mi sembra difficile sostenere che ben tre santi dottori della Chiesa, contemporanei a Papa Liberio, si siano lasciati andare ad un accusa così grave nei riguardi del pontefice, se non ne fossero stati certi. Tra l’altro, Papa Liberio sarà il primo papa che, a differenza di tutti i suoi predecessori, non verrà beatificato.
    E poi mi chiedo: affermare che, occasionalmente, ovvero in un singolo specifico pronunciamento (eccetto il massimo grado magisteriale), un papa possa essere caduto in eresia, non significa dire che quel papa sia eretico “in toto”, ovvero ostinatamente eretico, e questa tesi peraltro è stata sostenuta da san Roberto Bellarmino e dal teologo Francisco Suarez.

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    1. Caro Bruno, per quanto riguarda la vicenda di Papa Liberio noi non possediamo il documento, che Papa Liberio firmò. La protesta di San Girolamo, Sant’Atanasio e Sant’Ilario non ci consente di far chiarezza e quand’anche lo avessero accusato di eresia, con tutto il rispetto per questi santi, non siamo giustificati a ritenere con certezza che il Papa sia stato veramente eretico, perché non possediamo il documento in base al quale quei santi lo hanno accusato.
      Per quanto riguarda l’eventualità del Papa eretico, lo so che molti autorevoli canonisti e anche teologi hanno sostenuto questa possibilità, ma la Chiesa non ha mai approvato questa ipotesi. Ed inoltre dobbiamo ricordare il can. 1404 del CIC, che dice che il Sommo Pontefice non può essere giudicato da nessuno.

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    2. Penso che il canone 1404 del CDC “Prima Sedes a nemine iudicatur” proibisca che il Romano Pontefice possa essere convocato in giudizio, ovvero come parte convenuta (giudizio contenzioso ordinario) o come parte accusata (imputato; in un giudizio penale) o come parte resistente (in un giudizio amministrativo), cioé, in ultima analisi, possa essere sottoposto a un qualsivoglia tribunale ecclesiastico o non, pure se tutti i membri del Collegio cardinalizio, all’unanimità, fossero convinti che il Papa avesse errato su un punto dottrinale. E questo è pacifico, dal momento che nostro Signore non ha indicato nessun altra autorità umana che possa sottomettere a giudizio la persona del successore di Pietro.
      Ma questo non significa che il canone 1404 del CDC proibisca di poter formulare un giudizio, nel significato comune del verbo giudicare (quindi non di sottoporre al giudizio di un tribunale) singole affermazioni del Pontefice.
      Del resto, come sarebbe stata possibile la correzione fraterna di san Paolo nei riguardi di san Pietro, se il primo non avesse giudicato certe parole, certe prese di posizione del secondo? Per poter scrivere:
      «... mi opposi a lui [Pietro] a viso aperto perché aveva torto » (Gal 2,11), san Paolo non poteva, su quella specifica questione, limitarsi a sottomettersi all’autorità magisteriale del Papa, altrimenti avrebbe dovuto tacere...
      Invece san Paolo, certamente facendo tesoro della propria personale ispirazione divina nonché del dono della ragione, ha dovuto sottoporre determinate affermazioni / posizioni del Papa a qualcosa che non poteva che essere “superiore” al Papa stesso, ovvero ai Vangeli illuminati dalla Tradizione apostolica, ovvero alla Chiesa.
      E il primo Pontefice ha accettato la correzione, potremmo dire... della Chiesa nella persona di san Paolo. In questo senso penso si possa accogliere l’affermazione di Padre Serafino per cui “la fede del Papa è regolata dalla fede della Chiesa”.

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    3. Caro Bruno,
      il rimprovero fatto da San Paolo a San Pietro non fu di carattere dottrinale, ma di carattere morale, ossia Paolo volle richiamare San Pietro ad un atteggiamento di lealtà e di coraggio, perché considerò ipocrita il suo comportamento in occasione della questione dei cibi proibiti.
      Dal punto di vista dottrinale Paolo ci dà esempio di perfetta soggezione a Pietro.
      Per quanto riguarda invece la posizione di Padre Serafino, essa non può affatto essere paragonata a quel rimprovero fatto da Paolo a Pietro, perché Padre Serafino pretende di poter accusare il Papa di essersi costruito una sua fede soggettiva in disaccordo con la vera fede della Chiesa.
      Ora, l’ipotesi di Padre Serafino dimostra di non capire che è il Papa e non la Chiesa in ultima istanza a stabilire qual è la vera fede.

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  4. Padre Giovanni, lei ha scritto:
    “In realtà la fede del Papa non è regolata dalla fede della Chiesa, ma è l’inverso. È la fede della Chiesa che è regolata dalla fede del Papa”.
    Non si può però non rilevare che nel Symbolum apostolorum, è scritto:
    “Credo in [...] sanctam Ecclesiam Catholicam”,
    e nel Symbolum Nicaenum Costantinopolitanum frutto dei primi due concili ecumenici (325 e 381), si afferma:
    “Credo [... ] Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam.”
    Dunque, sin dalle antiche formulazioni del Credo, della professione di fede cattolica, la Chiesa, ispirata dallo Spirito Santo, non ha ritenuto enfatizzare il ruolo di Pietro “prima”, per così dire... di quello della Chiesa: in definitiva noi preghiamo e professiamo “credo nella Chiesa” e non “credo nel Papa”.

    Il primo capitolo della Lumen Gentium si intitola “Il mistero della Chiesa”. Commenta il cardinale Robert Sarah:
    “è mistero perché il suo Fondatore non è Pietro – un uomo – bensì Gesù Cristo, l’Uomo-Dio. Gesù ha fondato la Chiesa sugli Apostoli, in particolare sulla roccia, su Pietro. Ma il fondatore è Lui, Cristo. La Chiesa, dunque, non appartiene a Pietro. [...] La Chiesa è di Cristo” (R. Sarah, G.L. Muller, Credo la Chiesa, Cantagalli, 2017).

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    1. Caro Bruno, quando nel Credo noi parliamo della Chiesa, ci riferiamo alla Chiesa come mistero di fede. È chiaro che la Chiesa è infallibile nel credere e quindi in tal senso si può e si deve parlare di una fede della Chiesa che si esprime appunto nella dottrina della Chiesa. Senonché però bisogna ricordare che Cristo ha ordinato a Pietro di confermare i fratelli nella fede. In questo senso il Papa è la guida della Chiesa nella fede, per cui la Chiesa è sì infallibile nel credere, ma in quanto guidata dal Papa.
      Gli articoli del Credo non sono tutti gli articoli della fede, ma sono solo i principali. L’autorità del Papa nel Credo è sottintesa quando noi esprimiamo la nostra fede nella Chiesa come guida nella verità e come mistero di fede.
      È chiaro che la Chiesa non è una comunità che appartenga al Papa così come una famiglia appartiene al capofamiglia dal momento che il Papa stesso, come semplice fedele, è membro della Chiesa e sottomesso alla dottrina della Chiesa. Tuttavia il Papa a sua volta ha avuto da Cristo l’incarico di guidare la Chiesa sia nella dottrina come nella disciplina. Ciò non toglie quello cha ha detto il Card. Sarah, anzi diciamo che lo conferma in quanto il Papa è guida della Chiesa appunto in quanto Vicario di Cristo.
      Per questo il Papa non può fare della Chiesa tutto quello che vuole, ma è tenuto a fare solo la volontà di Dio. Invece nel campo della dottrina il Papa gode di una tale assistenza che gli consente di non cadere mai in errore.

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  5. Caro Padre, l’errore di Papa Francesco è quello descritto dal suo confratello Padre Bellon (che mi permetto di tirare in causa inconsapevolmente) che riporto:
    “ Quando viene detto: “Dio perdona tutti, tutti, tutti” è sottinteso che Dio è sempre aperto al perdono. Infatti Dio è amore. Il suo amore divino raggiunge tutti i cuori e li spinge al pentimento e a ricevere il perdono. Ma se il cuore rimane chiuso, il perdono di Dio non vi entra.
    Per questo Gesù ha detto: “Neanche il Padre vostro perdonerà i vostri peccati” (Mt 6,5).
    DIRE SEMPLICEMENTE CHE DIO PERDONA TUTTI, TUTTI, TUTTI È AMBIGUO E PUÒ TRARRE MOLTI IN INGANNO, PENSANDO CHE DIO PERDONA ANCHE SE NON CI SI PENTE E NON CI SI CONVERTE.” (la sottolineatura è la mia).

    E’ questa ambiguità pubblica di Papa Francesco che fa scandalo. Non capisco perché sarebbe sbagliato non mostrarla ugualmente pubblicamente. Gli episodi sono molti. Così, d’accordo, Papa Francesco non è eretico ma induce all’errore lo stesso. Prova ne è che molte coppie omosessuali hanno capito di poter ricevere la benedizione, cioè l’avvallo della Chiesa, per la loro unione senza ravvedimento a cambiare strada.

    Un altro episodio. Papa Francesco dicendo in TV che SPERA l’inferno vuoto, è già fuori strada come pastore del gregge. Non è una frase da poco, scusi. Induce all’errore invece che chiarire come stanno le cose. La piccola Giacinta non sapeva nemmeno cosa fosse l’inferno però l’ha visto ed è stato descritto in seguito da Lucia. Come fa, mi chiedo, Papa Francesco, ad andare a Fatima se vi crede solo a modo suo? Lo fa per “dovere” e basta?

    In conclusione Padre, Lei ha ragione dicendo che un Papa non può essere eretico, ma hanno ragione anche coloro si oppongono contro queste uscite di Papa Francesco che non chiarisce, non conferma nella fede i piccoli. Per un Papa non è una cosa accettabile. Mi scusi anche Papa Francesco per la mia franchezza (non lo dico senza dolore).

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    1. Caro Anonimo,
      ormai questi difetti del Papa li conosciamo tutti. Soltanto i furbi e i lassisti li utilizzano a loro vantaggio per giustificare la loro rilassatezza. Per questo io, se fossi in lei, non mi fermerei più su queste cose, ma è meglio considerare la situazione presente del Santo Padre.
      D’altra parte io ho notato che, in questi poco più di dieci anni di Pontificato, egli su alcuni punti si è corretto; ma, benchè sia Papa, resta pur sempre un uomo peccatore e di ciò egli ha consapevolezza, della quale ha dato chiara testimonianza chiedendoci tante volte di pregare per lui.
      D’altra parte, se noi ci lasciamo turbare da queste cose, rischiamo di diminuire la nostra stima per lui come guida per la nostra salvezza, il che evidentemente sarebbe tutto a danno nostro.
      Aggiungo inoltre una cosa che io ho sempre fatto e che secondo me fa bene e cioè uno sforzo continuo di interpretare in bene certe sue frasi ambigue o a doppio senso, inserendole nel contesto.
      Io credo inoltre che in questo momento la cosa migliore è che egli si prepari bene a presentarsi davanti al tribunale di Cristo. Per quanto riguarda noi, è bene chiudere con questi discorsi e pregare per lui.

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  6. Caro Padre Giovanni,
    sempre sul tema dell’infallibilità, nel suo recente articolo: https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/le-dichiarazioni-del-dicastero-per-la.html
    riscontro il seguente punto problematico.
    Infatti lei prima dice:
    “Qualunque Vescovo o qualunque Chiesa locale possono cadere nell’eresia. Il Vescovo di Roma non può mai sbagliare nel dirci qual è il vero Vangelo e che cosa Cristo ha veramente insegnato.”
    Ma poi conclude:
    “La Chiesa è infallibile nell’interpretazione del dato rivelato, ma l’esegesi biblica è una semplice fallibile scienza umana, dove anche un Papa può sbagliare”.
    Mi perdoni ma verrebbe da obiettare: ma se il Papa può sbagliare nell’esegesi biblica, quindi anche nell’esegesi dei Vangeli, come è possibile che, contemporanemente “non può mai sbagliare nel dirci qual è il vero Vangelo”?

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    1. Caro Bruno,
      bisogna distinguere l’esegesi biblica, che è una semplice scienza umana affidata ai biblisti, dalla interpretazione del dato rivelato fatta dal Magistero della Chiesa. L’esegesi biblica è una interpretazione del testo biblico fatta con gli strumenti ermeneutici che sono propri di un dato periodo storico e che col progresso della scienza sono in continuo miglioramento con la conseguenza che, a causa di questo miglioramento, gli esegeti cambino una interpretazione perché si accorgono di avere sbagliato. Il campo proprio dell’esegesi non sono tanto i dati di fede, quanto piuttosto i modi espressivi con i quali ci vengono comunicati i dati di fede. Invece la competenza del Magistero riguarda gli stessi dati di fede.
      Faccio due esempi. Il primo, del quale ho parlato a lungo, è il famoso sacrificio di Abramo, dove a tutta prima sembra che Dio avesse veramente ordinato ad Abramo di uccidere il figlio. Ma l’esegesi moderna si è accorta che in realtà fu Abramo a credere in buona fede questa cosa, tanto è vero che la vera volontà di Dio si manifesta attraverso l’angelo che gli proibisce di uccidere.
      Secondo esempio può essere il famoso miracolo del sole nel Libro di Giosuè. Fu Galileo ad accorgersi che il sole gira attorno alla terra e non viceversa.
      Ora, per quanto riguarda il pensiero dei Papi dobbiamo tenere presente che anche loro condividono il modo di fare esegesi proprio del loro tempo. Questa attività non li impegna nel loro ministero infallibile, come interpreti del dato rivelato, che è quella materia di fede o prossima alla fede circa la quale il Papa, come Successore di Pietro, ci è Maestro infallibile a tutti i livelli della sua autorità.
      Che cos’è invece l’esegesi? Certamente anch’essa è interpretazione del dato rivelato, non però in quanto tale, ma in quanto è mediato da una certa forma espressiva che occorre ben conoscere per distinguere questa forma espressiva, di per sé mutevole, dalle verità di fede, che essa ci vuole mediare.
      Come ho detto l’esegesi è una scienza umana come tale dove chiunque è fallibile, anche il Papa che faccia esegesi.
      Faccio un nuovo esempio: quello dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo. È una tesi frequente dell’Antico Testamento connessa col castigo conseguente al peccato originale. Fino all’epoca di Pio XII gli esegeti hanno creduto che questa inferiorità fosse un dato naturale. Ma l’approfondimento della dignità della donna, secondo la rivelazione, all’epoca di Pio XII portò gli esegeti alla chiara consapevolezza della pari dignità dell’uomo e della donna.
      Fino a Pio XII la Chiesa non si era mai pronunciata sulla tesi della inferiorità della donna, ma quando intervenne con Pio XII affermò la parità di dignità. Qui abbiamo un chiaro esempio di come l’esegesi sia fallibile, mentre l’interpretazione pontificia del dato rivelato è infallibile.

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  7. Leggendo il capitolo 21 del Vangelo di Giovanni, ci imbattiamo nel comando di nostro Signore a Pietro affinché si occupi dei figli di Dio, confermandoli nella fede. Tale esortazione si avvale della celeberrima metafora del pastore chiamato a pascere le sue pecore:
    « [...] Gli disse “Pasci i miei agnelli”. [...] Gli disse “Pascola le mie pecore”. [...] Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecore” » (Gv 21, 15-17).
    Per tre volte, Gesù ripete lo stesso comando. È lecito chiedersi: perché? Perché tre volte?
    Certamente la triplice investitura di guidare il popolo di Dio, che dà seguito alla triplice domanda e risposta sull’amore di Pietro per Gesù, richiama il triplice rinnegamento di Pietro.
    La Bibbia di Gerusalemme ci dice inoltre che la triplice ripetizione era tipica, in ambiente semitico, per sancire, solennizzare un impegno, un contratto.
    Ma queste interpretazioni sulla triplicità del comando, possiamo considerarle del tutto esaustive?
    O forse è possibile che il Signore, con quella Sua insistenza, abbia voluto comunicarci anche dell’altro?
    Se, in base alla promessa della divina assistenza, che diverrà dogma di infallibilità, Pietro (e i suoi successori) non potranno mai sbagliare nel confermare nella fede il popolo di Dio, che bisogno c’era di ribadire per ben tre volte tale mandato, il cui adempimento non dipende dalla volontà dell’uomo, ma è garantito da Dio stesso?
    E se invece, con quella divina, premurosa triplice ripetizione della medesima esortazione a Pietro, il Signore ci abbia voluto anche comunicare che... non sarà sempre scontato che Pietro riesca ad ottemperarlo? E che siamo chiamati, i vescovi in primis, a vigilare?
    Escludo comunque da questa ipotesi interpretativa, le definizioni solenni del massimo grado magisteriale.

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    1. Caro Brano,
      bisogna tenere presente che Dio nella sua bontà e nella sua potenza può muovere la volontà dell’uomo non solo impedendo la libertà dell’atto, ma proprio causando la libertà di questo atto.
      Ora, quando Cristo istituisce Pietro come suo Vicario per confermare i fratelli nella fede ci dimostra di assistere Pietro come Maestro della fede in modo tale che, quando si tratta di una questione di fede, Cristo muove la volontà del Papa a pronunciarsi in favore della verità.
      Questo atto del Papa resta sempre un suo atto libero e meritorio, che tuttavia è mosso dalla volontà divina e per questo la volontà del Papa, se Dio la muove, non può mai disobbedire a Dio, per cui il Papa è infallibile nell’insegnarci la verità di fede. Questo è il carisma proprio del ministero petrino.
      Per cui bisogna dire che non sono i Vescovi a vigilare sul Papa, ma è il Papa che deve vigilare sui Vescovi, per cui un appunto che si può fare a un Papa è quello di non essere pienamente fedele a questo suo dovere.
      Per dire tutto in una parola: il Papa è infallibile nella dottrina a tutti i livelli di autorità e può peccare nella morale o pastorale.

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  8. Caro Padre Giovanni,
    le chiedo cortesemente di commentare le seguenti affermazioni tratte da “Credo. Compendio della fede cattolica” (2023, Fede & Cultura), scritto dal vescovo Athanasius Schneider:
    « I, 659. Quali insegnamenti del magistero esigono solamente di conformarvisi con ossequio religioso (obsequium religiosum)?
    Tutti gli atti del cosiddetto magistero autentico o, semplicemente, ordinario, quotidiano del Papa, nonché tutti gli insegnamenti non definitivi o pastorali dei concili ecclesiastici. Quand’anche insegnamenti di questo livello abbiano una dimensione universale, essi rimangono non definitivi e riformabili, quando manchi l’intenzione esplicita di definire qualcosa in modo infallibile o proporlo come insegnamento definitivo.
    I, 660. Insegnamenti o comandi non infallibili e non definitivi di un Papa o di un concilio possono essere successivamente riformulati per maggiore chiarezza, o addirittura corretti?
    Sì. Tali insegnamenti possono essere riformati in seguito da un atto infallibile del magistero. Comandi emessi su base prudenziale, come la raccomandazione di una crociata emessa dal IV Concilio Laterano o il comando per gli ebrei in territori cattolici di indossare un abbigliamento distintivo, possono essere corretti con un cambiamento delle leggi o dal rifiuto di attuare tali misure. [...]
    I, 672. Il Papa è infallibile, ossia non suscettibile di insegnare errori?
    Il Papa, nell’ambito del suo ministero quotidiano, che normalmente non è infallibile è assistito da molteplici grazie nella sua opera di insegnamento della verità di Cristo. Quando invece insegna ex cathedra (dal trono), egli esercita il carisma dell’infallibilità della Chiesa ed è preservato immune dall’errore in quell’insegnamento (Cfr. Concilio Vaticano I, Dei Filius e Pastor Aeternus).

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    1. Caro Bruno,
      in riferimento al testo di Schneider I,659, faccio presente secondo la Nota esplicativa della CDF all’Ad Tuendam Fidem*, il Papa esprime la sua intenzione di definire in materia di fede solo al massimo grado della sua autorità, cioè quando il Papa solennemente definisce un nuovo dogma, ma la Nota elenca altri due gradi inferiori di autorità, nei quali, sebbene il Papa non dica di voler definire o di insegnare qualcosa di definitivo, tuttavia trattandosi di materia di fede insegna la verità e non può sbagliare.
      Questa dottrina è confermata dai Cann. 749 – 752 del CIC.

      * https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html

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    2. Riguardo al testo I,660, bisogna sempre distinguere la dottrina dalla pastorale. In campo dottrinale la dichiarazione Donum Veritatis della CDF del 1990* dice che il Magistero può emettere documenti riformabili o rivedibili in materia contingente.
      Invece, quando si tratta di materia di fede o prossima alla fede la Nota della CDF del 1998** insegna che a tutti e tre gradi di autorità, trattandosi sempre di materia di fede, il Papa non può sbagliare, anche se non dichiara di voler definire o di dire qualcosa di definitivo.
      Viceversa, quando un Papa o un Concilio entrano in materia canonica o pastorale o liturgica o disciplinare, non sono garantiti dall’infallibilità come Mons. Schneider giustamente rileva e come del resto la storia del Papato ce lo dimostra con molti esempi.

      * https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19900524_theologian-vocation_it.html
      ** https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html

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    3. Riguardo al testo I,672, ho già più volte detto nei miei scritti* che il cosiddetto insegnamento ex cathedra significa semplicemente “dalla cattedra di Pietro” ossia il Papa in quanto Successore di Pietro.
      Ora il Concilio Vaticano I, quando parla di questo insegnamento ex cathedra si riferisce solamente al I Grado di autorità dottrinale del Papa, cioè quando intende esplicitamente definire in materia di fede.
      Infatti l’Ad Tuendam Fidem e la Nota della CDF ci insegnano che esistono tre gradi di autorità dottrinale del Papa, il che è come dire che il Papa può insegnare ex cathedra secondo tre gradi, in ognuno dei quali, trattandosi di materia di fede, ci insegna sempre la verità.

      * Per quanto riguarda il concetto di “ex cathedra” rimando a questo mio articolo: https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/i-gradi-di-autorita-del-magistero.html

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  9. Proseguo dal testo di S.E. Mons. Schneider:
    I, 678. Che cosa dire di quei Papi che in passato hanno insegnato errori?
    Nessun Papa ha mai insegnato, né potrà mai insegnare, un errore con pronunciamento ex cathedra. Tuttavia, come ogni vescovo, un Papa può opporre resistenza alla Grazia del suo ufficio e insegnare errori dottrinali nelle sue asserzioni quotidiane, ordinarie e non definitive, ossia al di fuori di pronunciamenti ex cathedra.
    I, 679. Vi sono stati casi nella storia di Papi che hanno insegnato o promosso errori dottrinali?
    Sì. Benché tali casi siano stati molto rari, essi includono Onorio I, che ha scritto lettere contenenti affermazioni erronee riguardo alle due volontà di Gesù Cristo e che, dopo la sua morte, è stato condannato come eretico dal III Concilio di Costantinopoli. Inoltre Papa Giovanni XXII ha insegnato che la Visione beatifica di Dio è assicurata ai santi solo dopo il Giudizio finale, venendo ampiamente condannato da teologi al di fuori della corte papale prima di ricusare il proprio errore in punto di morte; la sua posizione è stata corretta postuma dal suo successore, Benedetto XII. Ai nostri giorni, Papa Francesco ha firmato pubblicamente un documento che afferma: “Il pluralismo e la diversità di religione, di colore, di sesso , di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani” (Doc. sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, 4/02/2019). Egli ha inoltre insegnato che la pena di morte “è di per sé contraria al Vangelo” (Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (11/10/2017)).
    I, 684. Perché Cristo, invece di rendere un Papa sempre infallibile, lo ha reso infallibile solo in circostanze chiaramente determinate?
    Per evitare che i cristiani divinizzassero il Papa e gli tributassero la medesima fede e obbedienza che si deve solo all’Uomo-Dio Gesù Cristo, che è “capo su tutte le cose” (Ef 1,22) ».

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    1. Riguardo al testo I,678, sembra che Mons. Schneider con il cosiddetto insegnamento “ex cathedra” intenda riferirsi solo al I grado dell’autorità dottrinale del Papa, ma, come ho già detto e ripetuto, “ex cathedra” vuol dire semplicemente il Papa come Maestro della Fede a tutti e tre i gradi della sua autorità dottrinale.
      Sembra invece che Mons. Schneider ammetta che il Papa possa sbagliarsi quando tratta di materia di fede in via ordinaria e senza voler definire, cioè nei due gradi inferiori della sua autorità, il che contrasta con quanto è spiegato nella Nota dottrinale della CDF alla Ad Tuendam Fidem del 1998.

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    2. Riguardo al testo I,679.
      Come si sa Papa San Leone II nel 682 risolse la questione su Papa Onorio dicendo che “non spense la fiamma del dogma eretico sul nascere come conviene all’autorità apostolica, ma con la sua negligenza la aumentò” (Denz. 560).
      Per quanto riguarda Papa Giovanni XXII, egli si espresse come dottore privato e poi in punto di morte si pentì, mostrando in quel momento la sua vera autorità pontificia. La questione era così seria che il Papa successivo, Benedetto XII, ritenne suo dovere definire dogmaticamente la dottrina della visione beatifica che avviene subito dopo la morte.
      Per quanto riguarda il giudizio favorevole di Papa Francesco nei confronti della pluralità delle religioni, esso non entra nel merito dell’opposizione tra il vero e il falso, perché da questo punto di vista è chiaro che l’unica religione totalmente vera è quella cristiana.
      Invece il Papa si riferisce a quella diversità di aspetti, che si pone sul piano del bene e del vero e che tocca diversi valori, come il modo di pregare, di fare i sacrifici, la spiritualità, la letteratura e l’arte sacra. Qui noi siamo davanti ad una grande ricchezza di valori e alla possibilità di scambi culturali reciproci.

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    3. Riguardo al testo I,684.
      Nell’insieme del discorso sono d’accordo. La cosa che vorrei evidenziare è che il Papa non è sempre infallibile quando non esercita la sua autorità dottrinale e parla o come dottore privato o come semplice pastore.
      Però vorrei ribadire, come ho già detto più volte, che egli non sbaglia mai non solo al I grado, ma anche al II e al III grado di autorità, secondo quanto è detto nella Nota della CDF alla Ad Tuendam Fidem.

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    4. Mi scusi Padre Giovanni,
      dai suoi commenti, in particolare da quelli alle affermazioni del vescovo Schneider, mi sembra che l’argomento fondamentale che l’ha indotto ad estendere l’infallibilità papale, in materia dottrinale, a tutti i gradi del magistero anche ordinario, risieda nella “Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professione di Fede”, emessa dalla CDF il 29 giugno 1998.
      Ora la Lettera Apostolica in forma di Motu proprio di san Giovanni Paolo II «Ad tuendam fidem»,
      si conclude sollennemente con le seguenti parole:
      “Ordiniamo che sia valido e ratificato tutto ciò che Noi con la presente Lettera Apostolica data Motu Proprio abbiamo decretato e prescriviamo che sia inserito nella legislazione universale della Chiesa Cattolica, rispettivamente nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali così come è stato sopra dimostrato, nonostante qualunque cosa in contrario.
      Roma, presso san Pietro, 18 maggio 1998, anno ventesimo del Nostro Pontificato”.
      Non vi può dunque esser alcun dubbio che san Giovanni Paolo II abbia invocato l’infallibilità per questo pronunciamento magisteriale, ovvero per la Lettera Apostolica «Ad tuendam fidem».
      Viceversa, la Nota emessa dalla CDF circa un mese dopo, si conclude con le firme del prefetto cardinale Ratzinger, e dell’arcivescovo Bertone, ma è priva dell’approvazione del Pontefice. Dunque, per quanta stima possiamo avere dell’allora cardinal Ratzinger, non possiamo considerare la Nota un documento infallibile o definitivo. Ne consegue che resta lecita, quantomeno a livello di ipotesi teologica, un’interpretazione più restrittiva dell’infallibilità pontificia, quale quella di Mons. Schneider, di Padre Serafino e di altri.

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    5. Caro Bruno,
      la Nota dottrinale della CDF, che fa seguito alla Ad Tuendam Fidem, partecipa evidentemente dell’infallibilità del Documento Pontificio in quanto rappresenta l’autorità del Papa, anche se si tratta di un documento redatto da un organismo, che di per sé non è infallibile, ma lo diventa nel momento in cui col consenso del Papa spiega quello che il Papa ha inteso dire nel suo Documento precedente alla Nota della CDF.
      Per quanto riguarda i Documenti del Sant’Uffizio, della CDF e del DDF, essi non riportano mai una dichiarazione esplicita del Papa, con la quale il Papa dichiari di approvare il Documento. Nella Chiesa non esiste questa prassi e non è neppure necessaria, perché tutti sanno che quegli organismi non fanno altro che spiegare quello che ha detto il Papa e non avrebbe senso ipotizzare il caso che abbiano dato una spiegazione falsa, perché questi Documenti, prima di essere pubblicati sono rivisti dal Papa, il quale nel caso che il suo pensiero non sia stato bene interpretato li corregge in modo che spieghino veramente che cosa aveva inteso dire.
      Effettivamente esistono circostanze nelle quali il Papa in calce al Documento dichiara di conoscerlo e di approvarlo, ma allora si tratta soltanto dei Documenti dei Concili Ecumenici, come per esempio gli stessi Atti degli Apostoli narrano di quanto avvenne al Concilio di Gerusalemme, dove per confermare le decisioni prese dal Concilio troviamo la dichiarazione degli Apostoli, che approvano il Documenti e citano anche lo Spirito Santo.
      Aggiungo che i tre gradi di autorità furono già implicitamente stabiliti in questa Dichiarazione del Concilio Vaticano I: “Si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio, scritta o trasmessa per tradizione, e che vengono proposte dalla Chiesa, o con solenne definizione, o con il magistero ordinario e universale, come divinamente ispirate, e pertanto da credersi.” (Dei Filius, Concilio Vaticano I).
      Faccio presente infine che la dottrina dei tre gradi di autorità, nei quali il Papa è sempre verace e non può sbagliare, è la dottrina tradizionale che si può trovare anche nel libro del Padre Sisto Cartechini S.J. “Dall’opinione al dogma. Valore delle Note teologiche”, ed. La Civiltà Cattolica, Roma, 1953.
      Pertanto è conforme alla Tradizione della Chiesa la suddetta distinzione tra Magistero solenne e Magistero semplice, nonché tra Magistero straordinario e Magistero ordinario.
      Che i gradi di autorità siano tre, lo sappiamo con certezza dal Magistero della Chiesa soltanto a partire dall’Ad Tuendam Fidem. In questo senso possiamo dire che la Nota della CDF sia una novità, ma come ho già detto e spiegato si tratta solo di una illustrazione, autorizzata dal Papa, di quanto il Papa stesso ha detto nell’Ad Tuendam Fidem.
      Per quanto riguarda il numero dei gradi, a parte ciò che la Chiesa ha definito nei Documenti citati, esiste tra i teologi una discussione che li porta ad ipotizzare un numero maggiore di gradi. E qui abbiamo una varietà di opinioni che è rimessa alla libera discussione.

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    6. Caro Padre Giovanni,
      la ringrazio gli approfondimenti che ha voluto riservare ai miei commenti.
      Ancora una perplessità, rispetto a questa sua affermazione:
      “Per quanto riguarda i Documenti del Sant’Uffizio, della CDF e del DDF, essi non riportano mai una dichiarazione esplicita del Papa, con la quale il Papa dichiari di approvare il Documento”.

      Faccio due esempi:
      1) Il Responsum della CDF ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/03/15/0157/00330.html#ita), emesso il 22 febbraio 2021, poco prima delle firme dell’allora prefetto cardinale Ladaria e dell’arcivescovo Morandi, riporta questa frase:
      “Il Sommo Pontefice Francesco, nel corso di un’Udienza concessa al sottoscritto Segretario di questa Congregazione, è stato informato e ha dato il suo assenso alla pubblicazione del suddetto Responsum ad dubium, con annessa Nota esplicativa”.

      2) La Dichiarazione “Fiducia supplicans” sul senso pastorale delle benedizioni (https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_ddf_doc_20231218_fiducia-supplicans_it.html), emessa dal DDF il 18 dicembre 2023, riporta sin dall’introduzione:
      “La Dichiarazione è stata, infine, sottoposta all’esame del Santo Padre, che l’ha approvata con la sua firma.”, e dopo le firme del prefetto cardinale Fernandez e di mons. Matteo, la dicitura:
      "Ex Audientia Die 18 dicembre 2023
      Francesco"

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    7. Caro Bruno,
      gli esempi che lei mi riporta non si riferiscono alla dottrina, ma alla pastorale e in particolare alla disciplina dei Sacramenti.
      Bisogna distinguere la struttura letteraria dei Documenti che toccano la dottrina della fede da quelli che sono responsi o interventi del Papa che contengono direttive di carattere disciplinare o pastorale.
      Lei mi ha portato due esempi di questo secondo tipo. La apposizione finale del consenso ottenuto dal Papa, con il conseguente permesso della pubblicazione, normalmente viene fatta dalla Curia Romana soltanto a questo secondo genere di Documenti, mentre di norma, per quanto mi risulta, il Papa non controfirma i Documenti che, seppur pubblicati dal DDF, trattano di materia di fede o prossima alla fede, quindi relativi ai tre gradi di autorità dottrinale.
      Per quanto riguarda la preparazione dei Documenti dottrinali del DDF, come ho già detto, essi nascono da uno scambio di pareri tra il Papa e il Dicastero, scambio che rimane documentato nell’archivio del Dicastero.
      Il risultato finale quindi non è una decisione autonoma del Dicastero, ma è evidentemente un Documento, approvato dal Papa, anche se in calce non è segnalata la sua approvazione.

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    8. Non vorrei sembrare pedante, ma mi chiedo: la modifica del Catechismo nel numero 2267, per cui si dichiara che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona», impatta sulla Dottrina o no?

      La “LETTERA AI VESCOVI CIRCA LA NUOVA REDAZIONE DEL N. 2267 DEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA SULLA PENA DI MORTE”, emessa dalla CDF il 1 agosto 2018, riporta prima delle firme:
      “Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienza concessa al sottoscritto Segretario in data 28 giugno 2018, ha approvato la presente Lettera, decisa dalla Sessione Ordinaria di questa Congregazione il 13 giugno 2018, e ne ha ordinato la pubblicazione.”

      E la Lettera “Placuit Deo ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della salvezza cristiana”, emessa dalla CDF il 22 febbraio 2018, toccando il tema della salvezza, come può non avere carattere dottrinale?
      Eppure anche questa riporta in fondo:
      “Il Sommo Pontefice Francesco, in data 16 febbraio 2018, ha approvato questa Lettera, decisa nella Sessione Plenaria di questa Congregazione il 24 gennaio 2018, e ne ha ordinato la pubblicazione”.

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    9. Caro Bruno,
      la questione della pena di morte non è una questione dottrinale, ma eminentemente pratica, perché il problema è se oggi come oggi è bene o male mantenere la pena di morte e il Papa ritiene che in linea di massima sia doveroso abolirla.
      Certamente in questa questione c’è un riferimento alla dignità della persona umana. E questo è certamente un tema di carattere dottrinale. Ora l’abolizione della pena di morte nasce da una più approfondita conoscenza della dignità della persona in rapporto al bene comune, ossia la Chiesa soprattutto con il recente Concilio ha capito meglio l’importanza non solo della vita spirituale della persona, ma anche della sua vita fisica, ed inoltre ha compreso meglio la grandezza della misericordia divina, la quale converte i cuori e può dare modo al criminale di pentirsi e di espiare la sua colpa, mentre è chiaro che con la pena di morte il reo non ha questa possibilità.
      Per quanto riguarda la Lettera della CDF da lei citata, certamente ha un carattere dottrinale dal momento che ci richiama ad alcuni aspetti della cristologia. Al riguardo prendo atto senz’altro della presenza del riferimento al Papa in calce al Documento.
      Infatti quando ho detto che il Papa non controfirma i Documenti della CDF, mi riferivo ad una prassi tradizionale, che lascia sempre libero il Papa di controfirmare a sua discrezione, quando lo ritiene opportuno. Tuttavia tenga presente che ci sia o non ci sia la controfirma, se un documento del DDF è di carattere dottrinale, partecipa sempre, come le ho detto, dell’infallibilità del Magistero pontificio.
      Inoltre il fatto che il Documento sia diretto ai Vescovi, dimostra chiaramente come qui la dottrina abbia uno sbocco pastorale. Invece quando il Papa o il DDF trattano di argomenti esclusivamente dottrinali, che interessano la Chiesa intera, allora il Documento è indirizzato a tutti i fedeli. San Giovanni XXIII adottò anche l’uso di rivolgersi a tutti gli uomini di buona volontà e quindi anche a non credenti in buona fede.

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    10. Caro Padre Giovanni,
      visto che siamo giunti a parlare della pena di morte mi consenta qualche riflessione in proposito.
      Lei dice è una questione eminentemente pratica che non impatta sulla Dottrina.
      Epperò la pena di morte significa, di fatto, che un uomo viene ucciso da altri uomini in nome di una Giustizia (umana), mentre il Quinto Comandamento recita “Non ucciderai” (Es 20,13; Dt 5,17). Dunque la liceità della pena capitale, fintantoché è rimasta nel CCC, ha costituito un’eccezione rispetto al Quinto Comandamento, anche perché non poteva essere assimilata né a una legittima difesa, in quanto i carnefici (gli Stati, i giusdici, gli esecutori) non sono in pericolo di vita, né trattasi del contesto di una guerra difensiva. Rispetto al Comandamento divino del non uccidere, possiamo dire che la liceità o meno della pena di morte non abbia alcuna conseguenza sulla Dottrina, oltre che sull’Etica?
      Nell’Antico Testamento, più di un versetto, supporta la liceità della pena di morte:
      « Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché a immagine di Dio è stato fatto l’uomo » (Gen 9,6);
      « Ma se uno colpisce un altro con uno strumento di ferro e quello muore, quel tale è omicida; l'omicida dovrà essere messo a morte. Se lo colpisce con una pietra che aveva in mano, atta a causare la morte, e il colpito muore, quel tale è un omicida; l'omicida dovrà essere messo a morte. O se lo colpisce con uno strumento di legno che aveva in mano, atto a causare la morte, e il colpito muore, quel tale è un omicida; l'omicida dovrà essere messo a morte. Sarà il vendicatore del sangue quello che metterà a morte l'omicida; quando lo incontrerà, lo ucciderà.
      Se uno dà a un altro una spinta per odio o gli getta contro qualcosa con premeditazione, e quello muore, o lo colpisce per inimicizia con la mano, e quello muore, chi ha colpito dovrà essere messo a morte; egli è un omicida e il vendicatore del sangue ucciderà l'omicida quando lo incontrerà » (Nm 35,16-21).

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    11. Nel Nuovo Testamento, vorrei soffermarmi su un particolare forse non molto valutato.
      Il Vangelo di Luca dà voce ad ambedue i malfattori crocifissi ai lati di nostro Signore. Quello passato alla memoria storica popolare come il “ladrone buono” si rivolge all’altro dicendo:
      « Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male » (Lc 23,40-41).
      Questo malfattore, dunque, dichiara a Gesù Cristo, che lui e il suo compare sono stati “giustamente” condannati al supplizio della croce. E Gesù su quel “giustamente” non obietta nulla.
      Ora se la pena capitale, oggi, è divenuta “inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona” (CCC 2267), se, nelle parole di Francesco, “è una misura disumana [...] in sé stessa contraria al Vangelo” (https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/october/documents/papa-francesco_20171011_convegno-nuova-evangelizzazione.html), perché Gesù non ha corretto l’affermazione del malfattore sulla giustezza della pena di morte? Perché, tacendo su quella frase, ha lasciato che si credesse che aveva acconsentito all’assunto di tale dichiarazione del ladrone?
      E perché per duemila anni migliaia di vescovi, di santi, teologi nonché centinaia di papi avrebbero resistito allo Spirito Santo che, alla luce della modifica del CCC, li avrebbe ispirati a capire che la pena di morte come contraria al Vangelo? La Chiesa così ha continuato a ritenerla lecita, e i vari boia, compresi quelli dello Stato Pontificio, hanno continuato per secoli ad eseguire il loro “lavoro”... finché, solo sotto il pontificato di Francesco, la Chiesa avrebbe finalmente capito questo tradimento del Vangelo? Dunque, tanto sangue, a questo punto “innocente”, doveva essere sparso, perché, nei disegni divini, la condanna della pena di morte doveva realizzarsi come lentissima conquista da parte degli uomini e non poteva essere rivelata sin da Gesù stesso, peraltro stimolato da una frase precisa a Lui rivolta?
      Non viene fuori così l’immagine blasfema di un dio crudele?
      Sinceramente, dobbiamo riconoscere che questa modifica del CCC lascia aperti non trascurabili problemi...

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    12. In contrasto con la modifica del CCC sulla pena di morte, il testo “Credo. Compendio della fede cattolica” scritto dal vescovo Athanasius Schneider:
      « II, 519. È mai possibile uccidere in modo legittimo, senza cioé macchiarsi del peccato di omicidio?
      Sì. Attraverso le proprie azioni volontarie, un individuo può rinunciare al diritto alla vita quando: 1) il bene comune dell’ordine sociale è attuato in modo giusto dalle autorità legittime, come nel caso dell’esecuzione dei criminali; 2) è esercitata la legittima difesa, come nel caso della guerra dell aguerra giust o dell’autodifesa.
      II, 520. In quali situazioni una società ha il diritto di infliggere la pena di morte?
      Le autorità pubbliche legalmente costituite possono mettere a morte criminali accertati per i crimini più gravi qundo ciò è necessario per mantenere l’ordine sociale nel riparare all’ingiustizia, proteggere gli innocenti, creare un deterrente contro la commissione di ulteriori crimini e richiamare il criminale a un autentico pentimento e alla riparazione.
      II, 521. Da chi traggono le autorità pubbliche il potere di giustiziare i criminali?
      Da Dio stesso, unico padrone della vita e della morte, la cui giustizia le autorità pubbliche rappresentano nella società: “Non invano essa [l’autorità] porta la spada” (Rm 13,4) ».
      Secondo san Tommaso d’Aquino:
      « Il bene comune è superiore al bene particolare di un individuo. Quindi è giusto eliminre un bene particolare di un individuo. Quindi è giusto eliminare un bene particolare per conservare il bene comune. Ma la vita di certi uomini malvagi ompedisce il bene comune , che è la concordia dell società umana [...] È proibita l’uccisione proveniente dall’ira, non già quella che proviene dallo zelo della giustizia [...] Anche di fronte alla morte i malvagi hanno la possibilità di convertirsi a Dio con il pentimento » (“Summa contra gentiles”, III, n. 146, 4-5).
      Secondo il venerabile Pio XII:
      « Anche quando si tratta dell’esecuzione capitale di un condannato a morte lo Stato non dispone del diritto dell’individuo alla vita. È riservato allora al pubblico potere di privare il condannato del bene della vita, in espiazione del suo fallo, dopo che col suo crimine, egli si è già spogliato del suo diritto alla vita » (“Discorso al I Congresso di Istopatologia del Sistema nervoso, 13 settembre 1952, n.28).

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    13. Caro Bruno,
      è chiaro che qualunque direttiva pratica suppone una data dottrina. Tuttavia bisogna tenere ben distinte le due cose, perché mentre una dottrina può essere immutabile o anche approfondibile, la direttiva pratica che da essa si ricava può mutare secondo le circostanze. E questo è proprio il caso della pena di morte, perché la Chiesa ha motivato la pena di morte nel passato e oggi la disapprova nel presente sempre in base alla stessa dottrina che concerne il rapporto della persona con il bene comune.
      Come ho già detto il mutamento in campo pratico è stato dovuto ad un approfondimento del valore della dignità umana e anche della misericordia divina nel campo della stessa amministrazione della giustizia.
      Per quanto riguarda il Comandamento Non uccidere, non è questione di fare eccezioni, ma di capire bene che cosa vuol dire. Esso non significa in generale non uccidere, ma vuol dire non uccidere l’innocente. E questo proprio perché il V Comandamento rappresenta la promozione della vita e in quanto tale comanda di difendere la vita. Per questo implicitamente comanda di sopprimere quella vita che uccide la vita.
      Come ho già detto, la questione della pena di morte è un problema pratico, che suppone la dottrina del rapporto della persona con il bene comune. E quindi qui ribadisco quello che ho già detto e cioè che, mentre la dottrina è quello che è e non può essere mutata dalla prassi, al contrario è la dottrina ad essere il fondamento della prassi, la quale può mutare a seconda delle circostanze.

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    14. Caro Bruno,
      riguardo alla pena di morte per l’omicida, sappiamo bene come sia sempre esistita e quindi la troviamo anche nell’Antico Testamento.
      Tuttavia anche qui siamo daccapo. In queste leggi non si va contro il V Comandamento, ma al contrario, come ho spiegato sopra, lo scopo della pena di morte è quello di togliere di mezzo chi sopprime la vita.
      Oggi la Chiesa proibisce la pena di morte per l’omicida perché distingue meglio di un tempo il peccato dal peccatore. Oggi cioè comprendiamo meglio che, se è vero che bisogna evitare o sopprimere un atto che procura la morte, bisogna fare un discorso diverso per l’autore di questo atto, che è una persona umana, capace di pentirsi di quello che ha fatto, per cui è bene lasciarla in vita in modo che abbia questa possibilità, possa scontare una adeguata pena e avere modo così di reinserirsi dignitosamente nella società.

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    15. Caro Bruno,
      riguardo II,519. Il ragionamento di Mons. Schneider è quello che troviamo nei moralisti del preconcilio. Qui il criminale è paragonato ad un semplice membro putrido di un corpo, che è meglio asportare, perché non si infetti tutto il corpo. Ma l’approfondimento della dignità umana, che ha fatto seguito al Concilio Vaticano II, ci ha condotti a capire come questa dignità sia inviolabile, anche quando la persona si macchia dei più gravi delitti.
      Tutto ciò non comporta un mutamento del concetto di persona, ma semplicemente un chiarimento della sua dignità. È questo chiarimento che ha condotto la Chiesa ad abbandonare la prassi della pena di morte.
      Riguardo a II,520. Riguardo a questa questione io credo che sia bene distinguere il n. 2267 del CCC dai discorsi che il Papa ha fatto ai governanti circa la necessità di abolire la pena di morte. Per quanto riguarda il Catechismo è chiaro che il suo dettato vale per noi cattolici, anche nel caso che abbiamo delle responsabilità politiche. Mentre per quanto riguarda i discorsi ai governanti in generale, è chiaro che il Papa, non avendo più quel prestigio sui sovrani temporali che avevano i Papi del Medioevo, non può più esigere giuridicamente di essere obbedito.
      Ciò non toglie che Papa Francesco, senza speciali poteri giuridici sugli Stati, costituisca una voce alla quale tutti fanno attenzione, soprattutto in questo momento nel quale la pace nel mondo è in pericolo.
      Riguardo a II, 521. Non c’è dubbio che Dio è il supremo giudice dei giusti e dei malvagi e sappiamo bene come premi i primi e castighi i secondi. Sappiamo anche come Dio sia la suprema autorità e come da essa tragga fondamento qualunque autorità umana. Con tutto il rispetto degli insegnamenti citati di San Tommaso e di Pio XII, dobbiamo però dire, come ho già detto, che la Chiesa su questo punto, proprio come rappresentante dell’autorità divina, col Concilio Vaticano II, spiegatoci da Papa Francesco, oggi comprende meglio la divina autorità che si esprime nella giustizia e nella misericordia.

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    16. Caro Padre Giovanni,
      lei scrive: “Per quanto riguarda il Comandamento Non uccidere, non è questione di fare eccezioni, ma di capire bene che cosa vuol dire. Esso non significa in generale non uccidere, ma vuol dire non uccidere l’innocente”.
      Questa sua sottolineatura, certamente condivisibile, per cui il comandamento divino richiede che solo l’innocente non sia lecito mettere a morte, in un certo senso, rende ancor di più problematica la condanna della pena di morte nel CCC modificato, in quanto la corretta esegesi del Quinto Comandamento lascia dunque capire, per esclusione, che il colpevole invece può (in determinate condizioni) essere ucciso, e la pena capitale è evidentemente rivolta solo ai gravemente conclamati colpevoli.
      In altre parole se, in base al Comandamento divino non si può uccidere nessuno che sia innocente e, contemporaneamente, in base al CCC non si può uccidere nessuno tramite la pena di morte, ne segue che anche gli autori dei crimini più efferati diventano in qualche modo “innocenti”... il che sembra contraddittorio.
      Poi lei dice che la dottrina “è quello che è e non può essere mutata dalla prassi”, anzi la dottrina è “il fondamento della prassi”, però la prassi “può mutare a seconda delle circostanze”.
      Ma se la prassi, per tener conto delle circostanze, finisce per contraddire la dottrina, significa che la dottrina non fa più da fondamento vincolante per la prassi, ma si riduce a un insieme di affermazioni puramente teoriche, al massimo a ideali verso cui tendere, mentre sono poi “altre” considerazioni, che esulano dalla dottrina come le varie circostanze della vita, a farci da “vera guida” per il nostro agire nel mondo, e non la Parola di Dio e la Tradizione apostolica come insegnate da sempre dalla Chiesa, ed espresse nella dottrina.
      Se la dottrina è ciò che la Chiesa ha compreso della Rivelazione su ispirazione dello Spirito Santo... certamente Dio non si è rivelato, sino ad incarnarsi e morire per noi, per donarci delle linee guida puramente teoriche... e nel contempo farci capire che possiamo decidere come vivere in base ad “altro” tipo di nostre considerazioni.
      La dottrina che, dall’antico Testamento, al silenzio di Cristo riguardo l’affermazione del buon ladrone sull’esser stato “giustamente” punito, a san Tommaso, all’epistola Eius exemplo (1208) di Papa Innocenzo III (Denz. 795), al Catechismo del Concilio di Trento (Parte terza, n. 328), al Catechismo maggiore di san Pio X (Parte terza, n. 413), al nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica sino a Benedetto XVI... la dottrina dicevo, per duemila anni, ha insegnato, per coloro dei quali sia accertato esser colpevoli di gravissimi crimini, la liceità di punirli con la pena capitale e, conseguentemente, che essa non è di persé in contrasto col Vangelo. Se oggi il Papa ci dice, sia pur in ambito pastorale, che la pena capitale è contraria al Vangelo, significa che la sua affermazione, Padre Giovanni, che “la dottrina è quella che è e non può essere mutata”, certifica che ormai la dottrina tende a divenire, non dico come le “grida manzoniane” sistematicamente disattese, quanto come un dato teorico in sé formalmente immutabile, ma che la prassi pastorale può superare.

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    17. Ha scritto la filosofa e oblata benedettina Luisella Scrosati (https://lanuovabq.it/it/pena-di-morte-la-contraddizione-spacciata-per-sviluppo):
      « “Una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi” (n. 1). Questo l'incipit della nuova Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF), Dignitas infinita. Un sostantivo e un aggettivo che, accostati, possono riferirsi solo alle tre Persone divine, ma che invece incautamente nella Dichiarazione vengono a caratterizzare la persona umana.
      Creatura e finitezza si richiamano ontologicamente: una dignità sublime, fatta per l'Infinito, come quella umana, è pur sempre una dignità creata, che ha avuto un inizio e che si esplica in un'essenza, che indica appunto, sempre delimitazione. Invece, la Dichiarazione ci racconta, senza troppa pena di argomentazione, che l'infinita dignità dell'uomo sarebbe addirittura «pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione» e confermata dalla Chiesa. Dove, come e quando non è dato saperlo [...]
      al n. 34 [...]: “Bisognerà pure qui menzionare il tema della pena di morte: anche quest’ultima, infatti, viola la dignità inalienabile di ogni persona umana al di là di ogni circostanza” [...] Il paragrafo motiva la relazione tra rafforzamento della tutela della dignità umana, oggetto di Dignitas infinita, e condanna della pena di morte, richiamando il n. 268 dell'enciclica Fratelli tutti: “il fermo rifiuto della pena di morte mostra fino a che punto è possibile riconoscere l’inalienabile dignità di ogni essere umano e ammettere che abbia un suo posto in questo mondo. Poiché, se non lo nego al peggiore dei criminali, non lo negherò a nessuno, darò a tutti la possibilità di condividere con me questo pianeta malgrado ciò che possa separarci”.
      Il ragionamento è più o meno questo: la pena di morte offende la dignità della persona umana; dunque, negare che si possa ledere la dignità umana di un criminale mediante la pena capitale, avrà come conseguenza che la dignità dei non criminali sarà ancora più al sicuro. Basta però un rapido sguardo alla situazione generale per capire che, purtroppo, le cose non sono affatto così: la Francia repubblicana, rigorosamente death penalty-free, ha inserito l'aborto come diritto costituzionale [...]
      papa Innocenzo III nell'epistola Eius exemplo [...] esigeva che i valdesi che si convertivano alla fede cattolica, professassero: «Per quanto riguarda il potere secolare dichiariamo che può esercitare il giudizio di sangue senza peccato mortale, purché nel portare la vendetta proceda non per odio ma per atto di giustizia, non in modo incauto, ma con riflessione» (Denz. 795) [...]
      L'insegnamento cattolico non ha mai considerato in modo assolutistico il diritto alla vita, come invece hanno fatto valdesi, quaccheri, mennoniti, hussiti, e pacifisti, mentre ha sempre difeso l'inviolabilità della vita innocente. Che è un'altra cosa ».

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    18. Ha scritto il prof. Corrado Gnerre (Il Cammino dei Tre Sentieri):
      « Bisogna [...] distinguere tra dignità essenziale (ontologica) e dignità seconda (legata alle operazioni, cioè agli atti). Il criminale conserva la dignità essenziale, ma non la dignità seconda. La vera bontà dell’uomo non è data solo dalla dignità essenziale, ma anche dalla dignità seconda, ovvero le sue azioni devono perseguire il giusto fine: il bene [...]
      Prima obiezione: la pena di morte può essere irreparabile quando poi si dovesse dimostrare che il reo è stato ingiustamente incolpato. Risposta: la possibilità di errare non inficia la necessità del principio. Esempio: l’eventualità che il chirurgo potrebbe sbagliare operando, non nega il principio secondo cui le operazioni chirurgiche, quando sono necessarie, vadano fatte.
      Seconda obiezione: la pena di morte lede la dignità della persona umana. Risposta: [...] san Tommaso dice che con il peccato l’uomo “abbandona l’ordine della ragione”. Egli pertanto decade dalla piena dignità umana. In tal contesto la pena di morte non figura come un omicidio, bensì come soppressione di un individuo che ha perso la pienezza della sua dignità. Ovviamente, proprio questo discorso fa capire che la pena di morte possa essere giustificata solo dalla estrema gravità del delitto.
      Terza obiezione: uccidere un criminale vuol dire togliergli la possibilità di eventualmente pentirsi. Risposta: è più facile pentirsi con la pena di morte (l’imminenza della morte) che non rimanendo in galera …men che meno –come accade oggi- senza certezza della pena. Inoltre, l’accettazione della pena di morte può redimere.
      La critica nei confronti della pena di morte è partita dall’Illuminismo. Né poteva essere diversamente, visto che fu in quel periodo che si affacciò un falso concetto di dignità dell’uomo, che prescinde dal suo essere creatura e quindi dal dovere, attraverso le azioni, di perseguire il bene. Sarà poi il liberalismo e anche il relativismo postmoderno ad acuire la negazione. In campo cattolico, un ruolo importante lo svolge l’influenza della filosofia personalista, che riduce l’uomo alla sua dignità essenziale dimenticando la dignità seconda.
      Le conseguenze della negazione [della pena di morte]
      Prima conseguenza: se la pena di morte fosse inammissibile in quanto contraria alla dignità della persona umana, allora anche l’ergastolo sarebbe inammissibile; ma non solo: perfino una pena temporale, perché ogni privazione della libertà non sarebbe mai conforme alla dignità umana».

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    19. Caro Bruno,
      premetto che, come ho già detto, il Papa non può su questa materia della pena di morte dare ordini ai poteri civili. Il Catechismo non va interpretato in questo modo. Esso esprime solamente la posizione pastorale attuale della Chiesa in forma di auspicio certamente in riferimento ai poteri civili, ma considerando la laicità dello Stato è chiaro che il dettato del Catechismo non potrebbe essere tradotto in termini di leggi civile se non in base a una regolare decisione democratica. Detto questo io non escludo, come dice lei, che il V Comandamento possa ancora dar spazio alla pena di morte nei termini suddetti. Tenendo conto di ciò possiamo capire la posizione del Papa. Il suo, in sostanza, è un discorso profetico, che tiene conto dell’escatologia ossia del mondo dei risorti dove nessuno più ucciderà il fratello e tutti vivranno nella pace.
      Quando dico che la nuova prassi che vieta la pena di morte non muta la dottrina, mi riferisco alla dottrina del V Comandamento, la quale resta immutata ed anzi confermata appunto per il fatto che la nuova prassi proibisce di uccidere in ogni caso. Tuttavia secondo me questo nuovo canone del Catechismo dev’essere interpretato in una visuale escatologica, così come ho detto a proposito della posizione del Papa. Voglio dire che comunque il Catechismo non ha l’autorità di imporsi sui poteri civili, per cui resta sempre ad essi la facoltà di mantenere in casi particolarmente gravi la pena di morte.
      Io non sto dicendo che l’etica cattolica esposta dal Catechismo sia pura teoria, che lascia libertà al singolo di comportarsi diversamente. Come le ho già detto, il can. 2267 conferma il Comandamento Non uccidere in una visuale escatologica, senza per questo interferire sulla legittima autorità del potere civile.

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    20. Caro Bruno,
      È chiaro che il Vangelo ieri oggi e sempre è sempre lo stesso ed è altrettanto chiaro che, come fino al can. 2267 del Catechismo era secondo il Vangelo la pena di morte, a partire da quel canone, come ha detto Papa Francesco, la pena di morte appare contro il Vangelo. Certamente esponendo le cose in maniera così secca, senza precisazioni, ci sembra di trovarci davanti ad una contraddizione, perché la prima cosa che ci viene in mente è la domanda: “Ma allora, il Vangelo cambia o non cambia?”. La contraddizione si scioglie distinguendo la dottrina dalla pastorale. La dottrina esposta nel V Comandamento non muta nel modo nel quale le ho spiegato più volte.
      Se la Chiesa oggi respinge la pena di morte, non vuol dire che essa tradisca il Vangelo, ma si riferisce ad una prassi di per sé mutabile e che di fatto è mutata. Le faccio un esempio. Il fatto che oggi non esista più la pena di morte per gli eretici non è il segno che la Chiesa, abolendo questa pena, ha tradito il Vangelo o a disobbedito al V Comandamento, ma è segno della saggezza pastorale della Chiesa, la quale, proprio per custodire la parola di Cristo che non passa, sa realizzare questa parola sempre meglio, superando gradatamente nella storia la situazione della natura decaduta e annunciando le primizie della resurrezione futura.
      Quindi in conclusione, per capire il senso del can. 2267 bisogna porsi in una prospettiva escatologica, così come ho già spiegato, salva restando la legittima autonomia dei poteri civili.

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    21. Il ragionamento di Papa Innocenzo III ha sempre avuto valore fino alle disposizioni attuali della Chiesa. Infatti in precedenza i moralisti davano alla vita fisica un’importanza inferiore a quella che oggi viene data dal Catechismo, cioè si considerava la vita fisica della persona come se si trattasse dell’organo fisico di un soggetto vivente, in questo caso la società. Per cui se in un organismo un membro necrotico mette in pericolo l’intero organismo, il membro dev’essere soppresso.
      Inoltre si aveva presente la vita fisica nella mortalità della condizione presente, mentre la prospettiva della resurrezione non era considerata con quella chiarezza che appare oggi alla luce della rivelazione. Per questo, per salvare il bene comune e anche considerando lo stesso bene spirituale del criminale, la stessa soppressione della vita fisica si riteneva utile al criminale in quanto, supponendo che si pentisse, egli aveva la possibilità di andare subito in paradiso e quindi di non peccare più.
      Oggi invece che la Chiesa ha approfondito non solo la dignità spirituale della persona, ma anche la dignità della corporeità, essa ragiona in modo diverso propugnando che il criminale venga risparmiato anche nella sua vita fisica, nella persuasione che dandogli un congruo tempo di penitenza, anziché sopprimerlo immediatamente, abbia modo di pentirsi e quindi di ritornare dignitosamente nella normale vita sociale.
      È vero che qui notiamo un cambiamento nella prassi della Chiesa, ma ciò non deve meravigliare, perché la Chiesa dal punto di vista dottrinale resta sempre fedele a sé stessa in quanto essa ha approfondito la dignità della persona quale che sia, sia dal punto di vista ontologico che da quello morale.

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    22. Caro Bruno,
      riguardo al discorso di Gnerre, rispondo solo dove ritengo che la cosa possa servire.
      Per quanto riguarda il pensiero di San Tommaso, secondo il quale il criminale, decadendo dalla retta ragione perde il diritto all’esistenza, siamo qui davanti alla posizione giuridica tipicamente medievale che tende a mettere in ombra la dignità ontologica della persona e in primo piano il crimine da essa commesso. In tal modo spieghiamo la pena di morte per gli eretici, giustificata anche da San Tommaso.
      Riguardo alla terza obiezione, la Chiesa su questo punto ha mutato l’atteggiamento pastorale. Infatti la considerazione che cita Gnerre è caratteristica della prassi medievale. Bisogna tener presente che a quei tempi molto facilmente il criminale era un credente cristiano, per cui in fin dei conti egli stesso accettava volentieri questa prassi nella speranza della salvezza.
      Ma oggi, in una società nella quale facilmente il criminale non è un cattolico, la Chiesa preferisce far fare al detenuto un cammino rieducativo in modo tale che egli stesso espii la propria colpa, si redima e possa tornare onorevolmente in società.
      Per quanto riguarda l’ultima obiezione, non possiamo mettere sullo stesso piano la privazione della vita con la privazione della libertà. La pena di morte comporta la privazione della vita; la carcerazione comporta la limitazione della libertà.
      Teniamo presente il detto popolare: “finchè c’è vita, c’è speranza”. È chiaro che se il criminale viene soppresso, è soppressa anche la sua libertà. Ma se resta in vita, il suo crimine può essere sempre sanzionato da una limitazione della libertà. Nello stesso tempo il soggetto, entro i limiti di quella libertà che egli conserva, può esercitare questa libertà a suo vantaggio morale, riscattandosi dalla colpa e reinserendosi in società, cosa evidentemente impossibile nel caso della pena di morte.

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    23. Le sono molto grato, Padre Giovanni, per l'attenzione che ha voluto riservare ai miei commenti

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  10. Caro Ross,
    quando Benedetto XVI ampliò il permesso della celebrazione del VO, la cosa mi parve positiva nel senso che mostrava nel Papa sia il rispetto per questo antico Rito, che per le esigenze spirituali dei tradizionalisti.
    Ma il mio non fu un giudizio positivo senza riserve, perché in più di una occasione ebbi modo di esprimere la mia opinione che fosse una liberalizzazione eccessiva, dettata da una eccessiva fiducia nei filolefevriani, i quali purtroppo ne hanno approfittato in modo sleale e hanno strumentalizzato il permesso del Papa per insistere nella loro opposizione alla riforma conciliare.
    A questo punto Papa Francesco, accortosi della manovra disonesta, è intervenuto con severità, a mio giudizio forse anche eccessiva.
    Ad ogni modo ha fatto bene il Papa a convocare tutti i cattolici attorno all’attuale Rito Romano, che è segno eminente di unità spirituale e di comunione ecclesiale.

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  11. Caro padre Cavalcoli: per quanto riguarda ciò che la Chiesa (il Papa alla sua testa) insegna come materia di fede e costumi, e che il popolo fedele deve accettare come di valore dogmatico, io trovo però che non sono pochi quelli che in scritti o videi di attualità parlano solo di circa quaranta o quarantaquattro dogmi della Chiesa. Ma ho l'impressione che, attraverso quello che lei dice in questo articolo e nelle sue risposte ai commenti di altri lettori, i dogmi non sono solo quarantaquattro. È così? O il caso è che la parola "dogma della Chiesa cattolica" può avere diversi significati?

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    1. Caro Alberto,
      io, nella mia lunga attività di teologo, non ho mai sentito parlare di 44 dogmi. Lei da dove ha preso questa notizia?

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    2. Caro padre Cavalcoli,
      ci sono molti siti internet:

      https://cautivoestrella.org/it/dogmi-della-chiesa-cattolica/

      https://www.youtube.com/watch?v=kxT827tFuuE&t=4s

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    3. Caro Alberto,
      conoscere quanti sono i dogmi non è possibile, perché per alcune proposizioni, che toccano la fede, la cosa non è chiara, tanto è vero che anche noi teologi discutiamo tra di noi se una data proposizione è o non è un dogma.
      Volendo definire in senso stretto che cos’è un dogma, dovremmo dire che è l’insegnamento pontificio od ecclesiale di I grado, nel quale un Papa o un Concilio dichiarano essere di fede o dato rivelato o da credersi una data proposizione in materia di fede, che viene proposta a tutta la Chiesa come oggetto di fede divina.
      Se noi prendiamo la parola dogma in questo senso, i dogmi sono pochissimi e li può trovare nel libro che io ho scritto “Le verità di fede”, ed. Fede&Cultura, Verona, 2021.
      Se invece con la parola dogma ci riferiamo agli insegnamenti dottrinali di II e III grado o anche ad insegnamenti circa i quali non è chiaro se entrino o non entrino in questa graduatoria, allora le discussioni tra teologi a questo proposito possono essere utili in quanto chiariscono a quale livello di autorità può appartenere un qualche insegnamento della Chiesa.

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  12. Il Papa non è scelto dallo Spirito Santo, ma dai cardinali. Il Paraclito vedrà più tardi come riesce a illuminare colui che gli è stato posto sotto, ma ciò che è certo è che non lo sceglie.

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    1. Caro Anonimo,
      dobbiamo dire che il Papa è scelto sia dallo Spirito Santo che dai Cardinali, nel senso che lo Spirito Santo muove la volontà dei Cardinali a scegliere quella data persona come Papa, la quale, sempre sotto l'impulso dello Spirito Santo, accetta l'elezione e acconsente a svolgere il ministero petrino.
      Aggiungo che, perché si possa realizzare la successione apostolica, che è implicita nell’incarico dato da Cristo a Pietro di confermare i fratelli nella fede, bisogna ammettere che, quando viene eletto validamente un Papa, questa elezione sia ispirata e confermata dallo Spirito Santo.
      Quindi non possiamo affermare che la validità dell’elezione dipende soltanto dalla decisione dei Cardinali. Non è come, per esempio come quando si elegge il Presidente della Repubblica Italiana o degli Stati Uniti, ma occorre che l’uomo scelto sia investito dal carisma petrino.
      E perché ciò possa avvenire bisogna ammettere che lo Spirito Santo scenda sul Papa nel momento in cui acconsente di fare il Papa ossia accetta l’elezione.
      Per quanto poi riguarda il comportamento del Papa a seguito della sua elezione, certamente lo Spirito Santo continua ad agire. Ma qui dobbiamo distinguere due diversi interventi dello Spirito Santo: in materia dottrinale lo Spirito Santo illumina sempre il Papa in modo che egli non sbaglia mai a tutti e tre i gradi della sua autorità.
      Per quanto invece riguarda la condotta morale o la pastorale, lo Spirito Santo suggerisce sempre al Papa ciò che deve fare, ma essendo anche lui un figlio di Adamo peccatore, può capitare che la sua volontà non obbedisca allo Spirito Santo, ma cada in peccato.

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  13. Caro padre Cavalcoli,
    seguo sempre le sue pubblicazioni, in particolare quelle che fanno riferimento al trattato De Ecclesia e soprattutto al Magistero del Papa.
    Ho seguito lei nella sua interpretazione di Ad tuendam fidem e della portata dell'infallibilità pontificia nel dottrinale.
    Tuttavia, da un po' di tempo, e dato il rispetto che lei ha dimostrato per padre Ignazio Andereggen, mi sono preoccupato di conoscere alcuni dei suoi studi.
    Ebbene, nel 2017 ha tenuto una conferenza (in lingua spagnola) sul tema: "Matrimonio, Eucaristia e Sensus Fidei", come potete immaginare, nel contesto dei dibattiti generati dall'esortazione Amoris Laetitia.
    Ebbene, nell'ultima parte della sua relazione, Andereggen, spiegando il sensus fidei del Popolo di Dio, spiega che solo il Magistero della Chiesa è infallibile, ma (sorprendentemente per me) Andereggen limita l'infallibilità magisteriale ai dogmi definiti, e... forse nemmeno questo, perché parla di "certe condizioni".
    Vi informo semplicemente di questo dato, perché so che è di vostro interesse.
    Le traduco in italiano, il piccolo parago nel quale lo dice, quasi all'ora e mezza di inizio della sua conferenza:
    "È chiaro che solo il Magistero autentico è assolutamente esente da errore quando definisce una verità, sottolineando definisce, e anche questo a certe condizioni. I fedeli singolari, così come i pastori e il Papa stesso, quando non definiscono, possono commettere l'errore e fare affermazioni o negazioni contrarie all'unità della fede della Chiesa che deriva dalla conoscenza uno del capo."
    So che lei apprezzerete questo piccolo dato di cui vi informo.

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    1. Ho dimenticato di indicare il link al video della conferenza di padre Andereggen su Youtube:
      https://www.youtube.com/watch?v=zDr_hV3euvY&list=PLylENo26tr-fiOUgte1PK-1dg1hBaRPi5&index=10

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    2. Caro Ross,
      ammettendo che la traduzione di questo brano sia esatta, io farei la seguente osservazione: la definizione è una proprietà della autorità pontificia al I° Grado.
      Però bisogna tenere presente che il Papa insegna la verità anche al II° e al III° grado e cioè anche se non definisce, ma insegna alla Chiesa come Successore di Pietro in materia di fede o prossima alla fede.

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    3. Caro padre Giovanni,
      Io non ho alcun dubbio che il Papa insegna la verità anche nel II e III grado, secondo Ad tuendam Fidem. Per questo io gli dicevo che mi ha sorpreso la posizione di Andereggen di considerare infallibile solo il I grado, cioè quello delle definizioni.
      Ho tutta la conferenza di Andereggen trascritta in spagnolo. L'ho trascritta io stesso. Se è di suo interesse posso mandargliela, oppure mandarle solo l'ultima parte, dove si riferisce al documento della Commissione Teologica Internazionale del 2014 sul sensus fidei fidelis, e lì ritorna con il ritornello che il Papa può anche sbagliarsi dottrinalmente.

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    4. Caro Ross,
      l’espressione “magistero autentico”, si riferisce al III° Grado. Per questo dobbiamo dire che se il Papa è infallibile al III° Grado vuol dire che è infallibile a tutti i tre Gradi.
      Quanto al termine “definire”, probabilmente Andereggen usa il termine in un senso largo, nel senso di insegnare. Se dice dunque che può sbagliare, probabilmente si riferisce a quando un Papa parla come dottore privato.

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    5. Caro padre Giovanni,
      Vorrei che Andereggen volesse dire quello che lei spiega, ma temo che non sia così.
      Le trascrivo gli ultimi passi della sua conferenza. E le trascrivo in spagnolo perché lei aveva dei dubbi sulla mia traduzione italiana (ed è bene che li abbia, perché sa che io non parlo italiano).
      Questa trascrizione in spagnolo potete confermarla che è esattamente quello che ha detto Andereggen, nel link di Youtube che già gli ho passato (naturalmente, se questo che le trasmetto è del suo interesse). Ecco a voi:

      "Es claro que solamente el Magisterio auténtico está exento absolutamente de error cuando define una verdad, subrayando define, y aún esto en ciertas condiciones.
      Los fieles singulares, así como los pastores y el mismo Papa, cuando no definen, pueden incurrir en el error y realizar afirmaciones o negaciones contrarias a la unidad de la fe de la Iglesia que deriva del conocimiento uno de la Cabeza. [...]
      Es por este motivo que el sensus fidei que en primer lugar es comunitario, porque la Iglesia es una comunidad, como teniendo a la Iglesia por sujeto y después es personal, es fundamental respecto de las definiciones del Magisterio que nunca podrán ir contra él, sino que siempre estarán en subordinación ministerial, así como lo está el magisterio que deriva del orden sagrado, de los presbíteros y obispos, teniendo estos últimos autoridad y responsabilidad universal junto con el Sumo Pontífice, respecto de las definiciones obligatorias, que gozan incluso en las condiciones correspondientes de la prerrogativa de la infalibilidad. Esto es claro, no significa que el Papa o los obispos no puedan errar, sobre todo en la predicación que el magisterio y más todavía en los actos prudenciales de gobierno, por naturaleza particulares, no pueden errar cuando definen algo en ciertas condiciones, el Papa desde la cátedra de Pedro, los obispos en unión con el Papa, respecto de cosas de fe y costumbre."

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    6. Caro Ross,
      Ho letto attentamente questo brano. Quando Andereggen dice che il magistero autentico non sbaglia, ha già detto tutto, perché il magistero autentico è il III° grado, ciò il più basso, per cui se non sbaglia qui a maggior ragione non sbaglierà nei gradi superiori.
      Quanto all’uso del verbo definire, Andereggen lo usa in un senso largo, equivalente ad insegnare e non nel senso tecnico usato dal Concilio Vaticano I, quando parla della definizione solenne di un nuovo dogma.
      L’espressione che fa più difficoltà è la seguente: “pueden incurrir en el error y realizar afirmaciones o negaciones contrarias a la unidad de la fe de la Iglesia que deriva del conocimiento uno de la Cabeza”. Secondo me quel contrarias va interpretato nel senso di estranee alla fede. Si tratta secondo me del Papa come dottore privato. Che cosa significa questa qualifica?
      Consiste nel fatto che il Papa si esprime su materie che possono riguardare la fede più o meno da lontano ed esprime un parere personale; non insegna come Maestro della Fede con l’intento di insegnare in materia di fede.
      Andereggen ha ragione quando dice che l’infallibilità è limitata a certe condizioni. Esse sono precisate dal Concilio Vaticano I. Deve:
      1) Parlare come Successore di Pietro
      2) Parlare alla Chiesa
      3) Trattare materia di fede o prossima alla fede.
      Tenga presente che queste condizioni si realizzano a tutti e tre i gradi di autorità e che in questo senso insegna sempre la verità. Andereggen, parlando di certe condizioni, si riferisce a queste.

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    7. Veramente padre Giovanni, mi ha dato un'estrema tranquillità.
      Apprezzo davvero Andereggen, e mi causava difficoltà il fatto che egli potesse avere una concezione dell'infallibilità pontificia preconciliare e contraria a quanto esposto in Ad tuendam fidem
      Come in numerose occasioni nei suoi articoli, lei mi è stato di grande utilità.
      I vostri servizi sono per me inestimabili, ma cercherò in qualche modo di compensare e ringraziare questo con i miei costanti ricordi per lei nelle mie preghiere.

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    8. Caro Ross,
      mi fa molto piacere quello che lei mi dice. La ringrazio molto per le sue preghiere e le assicuro le mie, affinché lei possa vivere la sua vita cristiana portando abbondanti frutti di vita eterna. La benedico.

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