Colui che mangia la mia carne. Che cosa ha inteso dire Gesù?

Colui che mangia la mia carne

Che cosa ha inteso dire Gesù?

In occasione della memoria liturgica che ricorre oggi della Beata Imelda Lambertini, Vergine Domenicana, vissuta nel secolo XIV a Bologna, mi è caro pubblicare questa piccola meditazione sulla Santa Comunione a ricordo del miracoloso evento per il quale la giovane Imelda morì in un’estasi d’amore all’atto di ricevere l’Ostia Santa.

Il nostro spirito ha bisogno

di un nutrimento, similmente al corpo

Il nostro corpo ha bisogno di alimentarsi, se vuol restare in vita.  In maniera analogica o metaforica noi parliamo di nutrimento spirituale. Parliamo di fame di conoscenza, di sete di sapere. Diciamo di aver digerito quel dato concetto, di aver assimilato quella data nozione. Diciamo di aver divorato un certo libro. Diciamo di masticare alcune nozioni. Diciamo di bere qualcosa che ci viene raccontato.

C’è una differenza però fra l’alimentazione del corpo e quella dello spirito. L’alimentazione del corpo serve a conservare efficiente e sano il corpo, dopo averlo fatto crescere nel periodo dello sviluppo. Un’alimentazione eccessiva toglie al corpo la sua bellezza e armonia naturali, provocando l’obesità, che mette in difficoltà la salute e l’agibilità del corpo.

L’attività nutritiva compie un’opera di discernimento e di selezione in relazione ai propri bisogni accogliendo i materiali nutrienti, che si integrano con l’organismo del soggetto, ed espellendo i materiali inutili o nocivi. Quando con la vecchiaia le forze declinano e si dà un minor dispendio di energie, la quantità di cibo diminuisce gradualmente ed occorrono precauzioni circa la qualità, fino a che l’attività alimentare cessa con la morte del soggetto.

Lo spirito invece è una sostanza immortale. Non ha bisogno, pertanto, di essere mantenuto in vita con un’alimentazione. Essa gli è necessaria, ma solo per il buon funzionamento della sua attività. Lo spirito ha bisogno di apprendere e quindi in tal senso, di nutrirsi, per potersi condurre saggiamente nei casi della vita, per correggersi dagli errori e soddisfare alla tendenza e al desiderio di migliorare la sua condotta, di produrre artefatti ed aumentare le sue conoscenze.

Lo spirito, a differenza del corpo, il cui vivere comporta un dinamismo preciso e fisso stabilito dalla sua natura, di tipo ripetitivo, lo spirito, una volta assunto il suo alimento, lo collega con il precedente nutrimento immagazzinato e conservato nella memoria, lo rielabora, lo analizza, fa un lavoro critico simile all’opera di discernimento dell’attività nutritiva fisica, ne esplicita  e sviluppa le potenzialità e virtualità, trae conseguenze, ricava effetti, in modo tale che la sua vita non resta sempre allo stesso livello e non mantiene sempre la stessa strutturazione come quella fisica, ma si arricchisce e complessifica indefinitamente a causa di questa produzione interiore, che si riassume nell’attività della riflessione, della meditazione e del ragionamento.

Che cosa succede nell’alimentazione fisica? Che il cibo si trasforma nella sostanza del soggetto. Questi, del cibo prende quello che gli serve per reintegrare, finchè può, le sue forze. La quantità del cibo ha una misura fissa e una data qualità. A un certo punto, nella vecchiaia, l’attività nutritiva sarà così indebolita e il corpo diventerà così incapace di assimilare qualunque cibo, che l’attività nutritiva cessa e il soggetto muore.

Non così avviene nella nutrizione dello spirito. Per essa lo spirito diventa capace di assumere un cibo di miglior qualità, per cui diventa sempre più intelligente, sapiente, virtuoso, robusto, vivace, attivo, intraprendente, potente, ricco di sostanza e aperto a una vita immortale.

Mangiare fisico e mangiare spirituale

Gesù offre un cibo per lo spirito che non assicura solo una vita naturale, come potrebbe essere l’alimentarsi della filosofia di Platone o di Aristotele, ma offre un cibo che «scende dal cielo», dono del Padre, e questo cibo è Egli stesso o più precisamente, come Gesù dice e ripete per sei volte nel c.6 di Giovanni, la sua carne.

Si capisce lo stupore e lo sconcerto degli astanti: «come può costui darci da mangiare la sua carne?». È chiaro che essi intendono un mangiare fisico. Gesù allora spiega che ciò che dice va inteso spiritualmente: «le parole che vi dico sono spirito e vita». Ha poi parole enfatiche sulla carne: «la carne non giova a nulla». Esse non vanno prese alla lettera, se no risulterebbe che Gesù si contraddice, dato che ha appena detto che il mangiare la sua carne procura la vita eterna. Gesù intende riferirsi alla carne assunta da sola, indipendentemente dallo spirito, come se essa bastasse a far felice l’uomo.

All’Ultima Cena Gesù chiarirà che cosa aveva inteso dire in quell’episodio seguente alla moltiplicazione dei pani.  Ordina di mangiare il pane consacrato, indicandolo come suo corpo e quindi la sua carne. C’è un mangiare fisico. Ma qual è l’oggetto di questo mangiare? Gli accidenti del pane, le specie eucaristiche, non la sostanza del pane, perché essa, come dice il Concilio di Trento, si è convertita nella sostanza del corpo di Cristo. Chi si comunica mangia, certo, fisicamente, ma non mangia del pane e non mangia fisicamente neppure il corpo di Cristo. Eppure mangia il corpo di Cristo.

Che significa tutto ciò?  Come e in che senso mangia il corpo di Cristo? Mangia la sostanza e non gli accidenti, che sono nel corpo glorioso in cielo. Con quale bocca? Con quali fauci? Con quali denti? Con quale mezzo? Con quale organo? Con la bocca e con i denti della mente e del cuore; col nostro spirito, similmente a quando diciamo che leggendo Platone ed Aristotele, ci nutriamo di loro.

Senonchè però qui c’è anche una differenza abissale: che mentre per Platone ed Aristotele noi non facciamo altro che far nostri loro concetti, mentre la vita di Platone e quella di Aristotele resta distinta dalla nostra, nel caso della Santa Comunione Gesù nella sua realtà ontologica mediata dalla grazia è nostro vero cibo e bevanda di vita eterna, che rende la sua carne carne della nostra carne, rendendoci così vivi di vita eterna.

In tal modo, come dice Sant’Agostino, il cibo eucaristico non è come il cibo terreno che diventa il nostro corpo, ma siamo noi che, assumendo il corpo eucaristico di Cristo, diventiamo questo stesso Cibo, del quale ci siamo nutriti.

È chiaro che Cristo resta Cristo e noi restiamo ben distinti da Cristo come la creatura è distinta dal creatore, per quanto si possa parlare di trasformarci in Cristo noi non diventiamo Cristo, altrimenti cadremmo in un panteismo cristologico come quello di Meister Eckhart.

Con la Santa Comunione noi riceviamo nella nostra anima una vita divina, la quale si aggiunge all’immortalità naturale della nostra anima in quanto spirituale e le conferisce una vita divina che la rende immortale della stessa immoralità di Dio. Coloro che muoiono alimentati da questo cibo divino, posseggono una forza divina che consentirà a loro di ricevere da Cristo al giorno del Giudizio universale quella vita che farà risorgere il corpo da morte per una eterna vita celeste e gloriosa nella Casa del Padre.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 maggio 2025

 

 

Con la Santa Comunione noi riceviamo nella nostra anima una vita divina, la quale si aggiunge all’immortalità naturale della nostra anima in quanto spirituale e le conferisce una vita divina che la rende immortale della stessa immoralità di Dio. Coloro che muoiono alimentati da questo cibo divino, posseggono una forza divina che consentirà a loro di ricevere da Cristo al giorno del Giudizio universale quella vita che farà risorgere il corpo da morte per una eterna vita celeste e gloriosa nella Casa del Padre.


 

 

Immagini da Internet:

- Beata Imelda Lambertini, Basilica San Domenico, Bologna

- Beata Imelda Lambertini, Chiesa di San Sigismondo, Bologna

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