L’avventura della metafisica
Seconda parte
L’abuso del termine «metafisica» e i concetti errati di metafisica
Guglielmo di Ockham
Il singolo al posto dell’universale
Dopo San Tommaso, iniziatore di quella sana metafisica, che è raccomandata dalla Chiesa e coltivata dai suoi discepoli, soprattutto domenicani fino ai nostri giorni, la metafisica cominciò a decadere in altri ambienti della Chiesa perdendo la sua perfezione e consentendo il verificarsi di difetti ed antinomie che Tommaso aveva saputo evitare.
Essa continua a definirsi come scienza dell’ente, ma non si tratta più dell’ente analogico del quale tratta Tommaso, bensì dell’ente univoco del Beato Duns Scoto e dell’ente univoco-equivoco di Guglielmo di Ockham. Il concetto dell’ente comincia ad interessare più dell’ente stesso. Si comincia a dare più importanza all’esperienza sensibile che all’intelletto.
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La metafisica decade dalla sua nobiltà e dalla sua fondatezza, diventa incerta e scende al livello della logica, della matematica o della fisica o addirittura, come avviene in Ockham, della grammatica e del linguaggio.
Non si tratta più di vedere l’ordine dell’essere, ma di rispettare le regole della grammatica, dell’analisi logica e della sintassi.
Per parlare di metafisica ci si accontenta di poco: basta entrare nel mondo del metasensibile della matematica, degli enti di ragione, della logica e della sintassi delle proposizioni, non certo nel mondo dello spirito, terreno proprio della metafisica, per credere di aver raggiunto il vertice e il culmine invalicabile della filosofia teoretica.
Ockham, con l’orientare la metafisica verso l’individuo anziché vero l’ente, conferisce alla metafisica una svolta individualistica, che le fa dimenticare l’universale. L’io comincia e ripiegarsi su se stesso. L’impostazione empiristica e l’eccessiva cura utilitaristica per il concreto esistente, lo spinge a restringere e ad abbassare l’orizzonte del pensiero, il quale per la verità può formare una scienza dimostrativa solo basandosi sull’essenza universale, e superando la sensibilità per elevarsi dimostrativamente al grado supremo dell’ente e dell’essenza, che è Dio, singolare sì, ma nel contempo universale e spirituale principio di tutto il reale.
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