Della stessa sostanza del Padre - Riflessioni sul dogma cristologico di Nicea per una nuova evangelizzazione - Quarta Parte (4/4)

 

Della stessa sostanza del Padre

Riflessioni sul dogma cristologico di Nicea

per una nuova evangelizzazione

 Quarta Parte (4/4)

Verso l’evangelizzazione

Secondo la fede cristiana Gesù di Nazaret è un uomo del tutto straordinario che possiede la stessa natura di Dio o è della stessa sostanza o natura di Dio. È questo il nucleo del messaggio cristiano al mondo. Occorre poi subito spiegare che Gesù è Dio non in quanto uomo, il che sarebbe empietà, ma in quanto Figlio di Dio.

Da qui deriva tutto il resto: Gesù è il Messia, il Figlio del Dio vivente, il Salvatore del mondo, il Signore dell’universo. Questa è la prima verità di fede cristiana che la Chiesa ha sentito il bisogno di capire, chiarire, esprimere e proclamare, per poterla annunciare al mondo. Tutte le altre partono da questa e sono uno sviluppo di questa. Chi non capisce questa, non capisce nulla di tutte le altre.

Questo dogma conferisce credibilità ed autorevolezza a tutti gli insegnamenti di Cristo, che Egli ha comandato di trasmettere al mondo: se Gesù è Dio, allora bisogna credergli, quando dice di essere stato mandato dal Padre. Certo, previamente occorre sapere e dimostrare che Gesù è Dio partendo dalla considerazione che Egli ha fatto opere che solo Dio può fare. Per cui la divinità di Cristo, scoperta dal ragionamento induttivo, diventa anche oggetto di fede grazie al magistero della Chiesa.

Chi sa chi è Cristo, annuncia Cristo, adempie al mandato di Cristo di insegnare a tutte le genti la dottrina di Cristo, di annunciare che il regno di Dio è vicino e quindi di esortare tutti alla conversione e a ricevere il battesimo.  

I primi destinatari dell’annuncio

Coloro che maggiormente sono vicini a comprendere queste cose sono gli ebrei e i musulmani, che condividono con noi cristiani il monoteismo e la discendenza da Abramo. Eppure, nel corso della storia, quanta opposizione. quante resistenze, quante incomprensioni, quanta sordità nei destinatari e quanta fatica, quanti limiti, difetti, debolezze, trascuratezze, inadempienze, reticenze, incapacità, impreparazione, voglia di dominio, rispetto umano, interferenze politiche, opportunismo, pigrizia negli evangelizzatori!

Il sapere che Gesù è della stessa sostanza del Padre suppone che si sappia già che Dio è Padre. Ebrei e musulmani questo lo sanno già dall’Antico Testamento, i primi direttamente, i secondi per la mediazione del Corano.

Ma come Dio è Padre? Questo lo troviamo anche nel famoso Inno a Giove del pagano Cleante. Questo la sapevano già Platone e Aristotele. Questo lo sanno anche l’India e ogni religione.  Tutti sanno che Dio è persona, ma non tutti sanno in che senso Dio è persona quando ne parla Cristo.

Gesù parla di un Dio Padre che genera un Figlio, che sarebbe lui stesso, per cui da qui viene che Gesù, Figlio del Padre così inteso, è Dio come il Padre, uguale a Lui. Quando Gesù parla di generazione, figliolanza e paternità non intende questi attributi in un senso metaforico o come attributi della natura divina, come gli ebrei e i musulmani, e neanche in senso sessuale, come i pagani, ma in un senso ovviamente spirituale, degno di Dio.

Cristo distingue Dio come Dio unico, persona nel senso ontologico, compreso dalla religione naturale e dall’Antico Testamento, da Dio come Persona trinitaria, ossia distingue Dio Padre in senso metaforico da Dio Padre in senso proprio. È questo Dio Padre genitore in senso proprio, reale ed ontologico che costituisce l’originalità inaudita del messaggio di Gesù, la cosa veramente difficile da capire, perché sembra introdurre un diteismo o addirittura un triteismo come i pagani, cosa scandalosa, oltre alla pretesa blasfema di un uomo, Gesù, che si fà Dio, pretesa che appare giustificabile solo dai panteisti sostenitori che la perfezione dell’uomo è diventare Dio.

Il dogma niceno che Gesù Figlio di Dio è della stessa sostanza del Padre non è altro che la chiarificazione, l’esplicitazione e la spiegazione, con l’uso della nozione metafisica di sostanza – parola che non è si trova mai sulla bocca di Gesù, ma non importa – di ciò che Egli intende dire quando ci parla della sua identità, della sua missione e del suo rapporto con Dio. La Chiesa a Nicea ci assicura che la nozione metafisica di sostanza è necessaria per capire in che senso Gesù è Figlio del Padre.

Così la filosofia si sposa col Vangelo. Ed è questo il motivo per il quale la Chiesa prescrive che nella formazione sacerdotale il seminarista affronti la teologia e la Parola di Dio sulla base di una preparazione filosofica, non necessaria a tutti coloro che evangelizzerà, ma necessaria per lui, che dev’essere maestro e sostegno nella fede e difensore e propagatore della fede.

Lo scopo dell’evangelizzazione

Che senso ha annunciare all’ebreo e al musulmano che Gesù è Figlio di Dio della stessa sostanza del Padre? Vuol dire condurlo a quella pienezza di comunione con Dio, della quale già sente il bisogno, condurlo al termine di un cammino che già sta percorrendo.

Che cosa è che spinge interiormente l’ebreo e il musulmano a sentirsi interessato all’annuncio che Gesù è della stessa sostanza del Padre e quindi spinto a credere in Cristo?

È l’azione dello Spirito Santo nel suo cuore, congiuntamente alle prove di credibilità che dobbiamo fornirgli di ciò che annunciamo, prove date da un argomentare persuasivo e da una sincera testimonianza di carità fraterna.

Qual è l’ostacolo che impedisce all’ebreo e al musulmano di credere in Cristo? Per l’ebreo è il rabbinismo farisaico, per il quale la giustizia non viene dalla grazia, ma dall’obbedienza alla legge, cosa indubbiamente necessaria, ma insufficiente senza la grazia di Cristo. L’avvertimento di San Paolo agli ebrei è tutto qui. Per il musulmano è la stolta idea che Dio non può generare un figlio, perché, per generarlo, dovrebbe avere una moglie.

Qual è il motivo per il quale l’ebreo e il musulmano chiedono di far parte della Chiesa cattolica? È il fatto di trovare nella divinità di Cristo capo della Chiesa la supersoddisfazione del bisogno che già sente di unirsi a Dio e di obbedire a Lui.

Naturalmente occorre non la semplice accettazione meccanica e convenzionale della formula dogmatica, come faremmo quando volendo metterci a contatto con qualche ente pubblico, quando sentiamo al telefono una voce che ci dice: digiti 1, digiti 2.

Appartenere alla Chiesa, al di là delle formule e senza rinunciare alle formule, è effetto dell’intelligenza e della volontà, che vuole capire il significato e il valore della formula. Come per essere accolti in qualunque società occorre capire il senso dei concetti espressi dalle norme statutarie, così è impossibile appartenere alla Chiesa se ci si limita a recitare meccanicamente e quasi magicamente senza capirli gli articoli del Credo alla Messa domenicale.

Ebrei e musulmani davanti a Cristo

Come ognuno di noi fa delle scelte di vita nelle quali solitamente persevera, qualcosa di simile avviene per i popoli. Noi possediamo un libero arbitrio col quale mutiamo continuamente le nostre piccole scelte quotidiane, ma esiste anche una scelta di fondo, che resta fissa ed è molto difficile cambiare. E questa è la scelta che riguarda il senso della vita e qui quindi la religione. E come le scelte delle persone hanno ovviamente la durata della loro vita, così le scelte dei popoli, che sfidano i secoli, durano nei secoli. Così si spiega che l’influsso delle scelte del popolo ebraico per i rabbini e i farisei contro Cristo nel secolo primo duri a tutt’oggi e la scelta dei musulmani per Maometto duri a tutt’oggi.

L’opposizione secolare degli ebrei a Cristo è un grande mistero. Un mistero di ingratitudine a Dio. E proprio da parte di quel popolo, il suo popolo, che Dio ha prediletto e prescelto per essere luce del mondo.

Che cosa è che mantiene in essere l’opposizione così pervicace e irragionevole di una folla sterminata di nostri fratelli nel corso di quasi 2000 anni, con la presunzione di offrire una sapienza superiore a quella cristiana? Che cosa è che ostacola ad essi l’aprirsi a Cristo? Come ha potuto un popolo privilegiato da Dio rifiutare quel compimento messianico sublime dell’Antico Testamento col Nuovo Testamento? Nuovo Testamento compilato da membri eletti dello stesso popolo? Come possono perseverare nell’opposizione a Cristo i capi del popolo, che sono i successori di coloro che hanno fatto crocifiggere il Signore? Come mai non ha capito che il Nuovo adempie alle promesse fatte nell’Antico? E ciò da quasi 2000 anni? Come è possibile che essi da tanti secoli preferiscano la Mishnà, il Targum, il Talmud e la Kabbalà al Vangelo? Che cosa mai è capitato a questo popolo a partire dall’inizio del cristianesimo?

Che cosa è successo a questo popolo con la venuta di Cristo? Questo popolo che con i suoi profeti ne aveva preparato l’avvento? Come mai si è accecato, come mai si è allontanato da Dio? Come mai non ha saputo capire ed apprezzare quel Messia, la cui venuta aveva preparato?

In questi quasi 2000 anni gli apologeti del cristianesimo, sia ebrei che i pagani convertiti, si sono sforzati con ogni mezzo di far capire la verità agli ebrei che si erano opposti a Cristo. In questo tempo si sono convertiti popoli lontanissimi dalle conoscenze profetiche di Israele, e questi fa ancora resistenza? Ma che cosa gli è successo? Come spiegare questo fenomeno? Come porvi rimedio?

Il Nuovo Testamento, scritto da ebrei, ce lo racconta. In particolare, ce lo dice Gesù: Gerusalemme non era preparata alla venuta del Messia e per questo non ha riconosciuto il momento in cui è stata visitata» (cf Lc 19,44). Ma come mai questa ostinazione ferrea che dura a tutt’oggi? Con un po’ di umiltà, i capi successivi nei secoli non avrebbero potuto riconoscere di essersi sbagliati a condannare a morte Gesù, dopo tutte le prove di credibilità che la sua Chiesa ha poi mostrato nei secoli seguenti? Il fatto, tuttavia, che la condotta dei cristiani non è stata sempre edificante, ma ha segnato numerosi momenti di disprezzo del popolo ebraico.

E che dire dei musulmani? Qualcosa di simile è avvenuto anche per loro , anche se è chiaro che la Bibbia appartiene agli ebrei e non ai musulmani. Ma qui la cosa sconvolgente e incomprensibile è, per la sua gigantesca grandezza che attira da 14 secoli miliardi di persone, la figura di Maometto, che in parte prende dalla Bibbia e in parte si oppone, credendo anche lui di essere più sapiente e più salvatore ii Gesù Cristo. Come può Maometto a tutt’oggi avere tanto ascendente su tanti popoli? E come è possibile preferire Maometto a Cristo?

Si direbbe che qui l’evangelizzazione si trova davanti ad ostacoli insuperabili. E di fatti quanti sono quelli che si convertono dall’ebraismo o dall’islamismo al cristianesimo?

I metodi dell’evangelizzazione

Dopo la prodigiosa espansione della Chiesa nei primi secoli sotto l’azione straordinaria dello Spirito Santo, la Chiesa nel Medioevo si è valsa dell’aiuto dei sovrani temporali per la diffusione del Vangelo in Europa. L’evangelizzazione nel sec. X terminò di cristianizzare l’Europa.

Ma possiamo chiederci: quanto il cristianesimo era una convinzione interiore nei popoli e quanto un atteggiamento di convenienza per non entrare in disaccordo col potere politico-religioso? Roma e i sovrani si erano sempre messi al servizio dei popoli o, col presto dell’evangelizzazione, si erano a volte lasciati vincere dal desiderio di dominarli?

La ribellione di Lutero nasce da qui. Lutero si era accorto della tendenza imperialistica del Papato alleato con l’Impero a danno del popolo tedesco. Aggiungiamo lo scandalo del Papato rinascimentale mondanizzato e la emergente problematica interioristica del peccato e della salvezza, l’appello evangelico alla conversione e alla penitenza, nonché la fiducia altrettanto evangelica nel perdono divino, eredi del riformismo medioevale, la cosiddetta devotio moderna, e avremo il quadro completo dei motivi e temi che dettero origine all’opera di Lutero. Il quale, però, purtroppo, esagerando col suo carattere intemperante la sua opposizione al Papato e l’autonomia della coscienza personale, finì per dare il via a una nuova evangelizzazione soggettivista ispirata ad un falso paolinismo non soggetto a Pietro, ma in alternativa con esso.

La Chiesa, come è noto, interviene a correggere questa impostazione col Concilio di Trento , che organizzò un poderoso rilancio dell’evangelizzazione stagnante ai tempi di Lutero, lanciata alla conquista dell’estremo Oriente e dell’estremo Occidente.

Conosciamo il successo di questa evangelizzazione, dovuta alla dedizione spesso eroica di tanti missionari. Essa però ebbe il difetto di un’eccessiva fretta di ottenere risultati, col rischio di far correre troppo le anime senza dare ad esse il tempo per una maturazione pensata e quindi realmente convinta. Ci fu più una preoccupazione per i risultati esteriori che per la persuasione libera e interiore delle anime.

A questo difetto ha voluto rimediare l’evangelizzazione voluta dal Concilio Vaticano II, il quale sembra esser caduto nel difetto opposto. Se a Trento il missionario spingeva troppo al conseguimento della meta, adesso tale conseguimento sembra esser dilazionato per fermarsi anche troppo nei preparativi e nei fattori introduttivi, che sembrano diventare fini a se stessi, come il dialogo, l’inculturazione e la promozione dei valori umani.

Oggi siamo caduti nel difetto opposto. Col pretesto che la Chiesa è una realtà spirituale, non ci preoccupa la dilagante apostasia e lo sconfortante calo dei dati statistici, in nome di un interiorismo e libertà di coscienza, i quali, però, senza riscontri in segni e fatti esterni, mostrano di essere fasulli o pure astrazioni idealistiche.

Se prima l’annuncio del Vangelo avveniva troppo presto, adesso esistono metodi di evangelizzazione nei quali si dice che è sufficiente la promozione dei valori umani e che è bene lasciare la gente nella sua religione, l’importante è che la segua in buona fede in quanto ha di buono, quando non si propongono visioni sincretistiche che mescolano la religione con la superstizione e l’idolatria col Vangelo. Si dà troppa importanza al valore delle diversità a scapito del rispetto del primato del cristianesimo e della confutazione dell’errore.

Occorre allora, offrendosi l’occasione adatta e facendo in modo che si realizzi, recuperare la parresia e il coraggio dell’annuncio esplicito del Vangelo, utilizzando una buona inculturazione, sulla base e sulle premesse assicurate dall’evangelizzazione postconciliare, così che il dialogo non diventi un girare a vuoto e fine a sé stesso, col rischio di cadere nel relativismo e nell’indifferentismo.  

I buoni rapporti che la Chiesa oggi ha conseguito, anche per l’indefessa opera di Papa Francesco, col mondo islamico e l’ebraismo, sono una meta che finora non era mai stata raggiunta, ma che invita a guardare oltre, a quella pacificazione e riconciliazione universale promessa dal Signore, per la quale, vinte definitivamente le forze avverse, come ci fa sperare l’Apocalisse, si farà un solo gregge e un solo pastore.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 11 aprile 2025

 

Il dogma niceno che Gesù Figlio di Dio è della stessa sostanza del Padre non è altro che la chiarificazione, l’esplicitazione e la spiegazione, con l’uso della nozione metafisica di sostanza – parola che non è si trova mai sulla bocca di Gesù, ma non importa – di ciò che Egli intende dire quando ci parla della sua identità, della sua missione e del suo rapporto con Dio. La Chiesa a Nicea ci assicura che la nozione metafisica di sostanza è necessaria per capire in che senso Gesù è Figlio del Padre.

Così la filosofia si sposa col Vangelo. Ed è questo il motivo per il quale la Chiesa prescrive che nella formazione sacerdotale il seminarista affronti la teologia e la Parola di Dio sulla base di una preparazione filosofica, non necessaria a tutti coloro che evangelizzerà, ma necessaria per lui, che dev’essere maestro e sostegno nella fede e difensore e propagatore della fede.

Occorre allora, offrendosi l’occasione adatta e facendo in modo che si realizzi, recuperare la parresia e il coraggio dell’annuncio esplicito del Vangelo, utilizzando una buona inculturazione, sulla base e sulle premesse assicurate dall’evangelizzazione postconciliare, così che il dialogo non diventi un girare a vuoto e fine a sé stesso, col rischio di cadere nel relativismo e nell’indifferentismo.  

I buoni rapporti che la Chiesa oggi ha conseguito, anche per l’indefessa opera di Papa Francesco, col mondo islamico e l’ebraismo, sono una meta che finora non era mai stata raggiunta, ma che invita a guardare oltre, a quella pacificazione e riconciliazione universale promessa dal Signore, per la quale, vinte definitivamente le forze avverse, come ci fa sperare l’Apocalisse, si farà un solo gregge e un solo pastore.

Immagini da Internet: Volto di Cristo, Marcello Provenzale

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