San Paolo VI e Rahner - Un duello a distanza per la guida della Chiesa - Terza Parte (3/3)

 

San Paolo VI e Rahner

Un duello a distanza per la guida della Chiesa

Terza Parte (3/3)

 Le nuove dottrine del Concilio sono da accogliere,

ma la sua pastorale può essere discussa.

Benedetto XVI ha avuto il merito di chiarire che il Concilio, anche se non ha definito nuovi dogmi, non è stato solo pastorale, ma anche dottrinale,  facendo presente ai lefevriani l’obbligo di assumere le nuove dottrine e non considerarle moderniste o rahneriane. Tuttavia riconobbe che la parte pastorale può essere discussa, senza precisare in che senso.

Ma dall’esame complessivo del pontificato di Benedetto si ricava la motivata convinzione che egli, nel campo della liturgia come in quello della morale e della teologia, abbia voluto inserire la novità e l’innegabile progresso attuato dal Concolio Vaticano II nel quadro della sostanziale continuità e quindi immutabilità del dogma cattolico, secondo un orientamento agostiniano e patristico piuttosto che tomista.

È stato dunque questo grande Pontefice a darci questa importantissima indicazione su come valutare il Concilio. Infatti i Papi precedenti non avevano fatto altro che tesserne le lodi come se i suoi decreti fossero tutti privi di difetti. Ma in realtà, col passare dei decenni dopo la fine del Concilio apparve sempre di più il suo difetto pastorale: un eccessivo ottimismo nei confronti del mondo moderno e per conseguenza una tendenza buonista e misericordista che finisce per avallare le ingiustizie e favorire totalitarismi, i prepotenti e gli oppressori nonchè la rilassatezza e corruzione dei costumi col pretesto della «fragilità» e dell’obbligo della compassione e della comprensione.

In ogni caso è evidente in Benedetto la volontà di un recupero della teologia sistematica e quindi della metafisica, sempre basata sulla moderna esegesi storico-critica a rimedio del modernismo del postconcilio e, benché egli indubbiamente avesse strettamente collaborato con Rahner nei lavori del Concilio, appena si accorse  della svolta filohegeliana di Rahner mascherata da tomismo, prese nettamente le distanze da Rahner accusandolo di idealismo panteista[1].

Se c’è stato un teologo al Concilio che sia stato progressista, collaboratore di Rahner, questi è proprio Ratzinger. Tanto più credibile ed autorevole è stato quindi il richiamo che egli ci ha fatto da Papa alla continuità e alla tradizione, senza per questo sottovalutare le conquiste innovatrici del Concilio. Nel contempo è interessantissimo il suo rifiuto della visione rahneriana del progresso, per niente conforme alla concezione cattolica e tomista ed invece influenzata da quella hegeliana, basata sulla rottura e la contraddizione.

Valendomi del permesso che ci ha dato Benedetto XVI di mettere in discussione certi aspetti della pastorale conciliare, offro adesso ai lettori alcune proposte che ritengo atte a correggere la tendenza buonista e permissivista, chiari riflessi del liberismo e relativismo morale di Rahner, precisando naturalmente che non si tratta affatto di ritornare alla situazione precedente al Concilio, come alcuni passatisti vorrebbero, perché infatti le conquiste fatte dal Concilio vanno assolutamente mantenute ed anzi migliorate e rafforzate, ma si tratta di recuperare  alcuni valori cristiani che nel fervore dell’azione innovatrice i  Padri del Concilio hanno tralasciato. Ne faccio un elenco:

1.Occorre ritrovare una liturgia che recuperi il senso e il rispetto per il sacro. Occorre ritrovare il vero senso e la vera pratica del culto divino, i gesti, i segni e i simboli propri di ciò che riguarda la  religione, che non è una prassi creativa o improvvisata come il poetare; religione che è sì rito codificato, ufficiale e pubblico, ma non nel senso di una semplice pratica giuridica abitudinaria e non è nemmeno un’assemblea del popolo in attività sociopolitica o una festa comunitaria; non è  la commemorazione di un evento passato, ma è elevazione dello spirito, apertura della mente, contrizione di cuore, riconciliazione fraterna e con Dio, silenzio orante davanti alla Parola di  Dio, offerta di sé a Dio, ringraziamento per il suo perdono, gioia comune per la grazia ricevuta.

2. Bisogna che la Chiesa recuperi in materia morale o disciplinare il linguaggio preciso, univoco e normativo o precettivo, senza pedanteria e legalismo farisaico, e riprendere l’uso di avvertire che chi non accoglie la dottrina, l’insegnamento, la norma o il precetto della Chiesa, si esclude dall’appartenenza alla Chiesa, non può più dirsi cattolico: è ciò che i Concili del passato chiamavano «anatèma»

3. Bisogna tornare a condannare le eresie. C’è oggi un’irragionevole e inopportuna reticenza nell’uso del termine «eresia». Occorre certo ponderare bene prima di usarlo; ma una volta che la cosa è certa e chiara, bisogna chiamare la cosa col suo nome, con giustizia, carità e franchezza, al fine di curare la malattia da buoni medici. Bisogna non solo segnalare gli errori, ma correggerli.

4. Bisogna tornare a valorizzare la teologia speculativa. Il Concilio ci pone su questa linea raccomandando San Tommaso come modello di teologo ed elogiando l’importanza della contemplazione laddove, trattando della vita religiosa, parla della vita contemplativa e monastica. Il ridurre tutta la teologia a teologia pastorale è un grave errore e dichiarare cessata o estinta la teologia scolastica come fa Rahner, è una enorme sciocchezza, per nulla voluta dal Concilio, anche se avrebbe potuto richiamarne l’importanza della teologia speculativa.

5. Per questo occorre ridare importanza alla preoccupazione o alla cura per la verità speculativa e non solo a quella pratica, per la rettitudine delle proposizioni di fede e non solo per quella delle azioni esterne e dell’impegno sociale.

L’antipatia per le idee astratte non è cosa buona. Gli articoli del Credo non sono idee astratte? L’astrazione è il clima normale del pensiero e dello spirito. Il concreto è legato alla materia, benchè possa parlarsi di concretezza della persona e della sua azione. Indubbiamente bisogna evitare il rischio di reificare l’astratto come fa Platone o di rendere astratto il concreto come fanno gli idealisti. Ma prendersela con l’astratto come tale vuol dire prendersela col pensiero e con l’intelligenza e abbassare il conoscere al livello dell’animalità. Certo l’azione è qualcosa di concreto, ma essa non è giusta o retta se non è l’applicazione della legge che noi concepiamo in modo astratto ed universale.

6. È sciocco prendersela con la teologia scolastica. Teologia scolastica significa semplicemente la teologia che si insegna e si impara mediante la scuola. Il problema non è quello di abolire la scuola, ma quello di saper insegnare e saper imparare. Si tratta allora di edificare una teologia scolastica all’altezza dei tempi. Il Concilio non chiede affatto l’abolizione della teologia scolastica, se è vero che raccomanda San Tommaso d’Aquino.

Il Concilio ha giustamente superato e corretto un certo scolasticismo chiuso, troppo polemico, sordo ai problemi del proprio tempo, sospettoso nei confronti delle novità, ripetitivo se senza spirito di ricerca. Ma si guarda bene dal disprezzare l’importanza della scuola di teologia, dove si impara a far teologia e si insegna come si diventa teologi.

7. Occorre inoltre ricordare che Dio perdona e salva a condizione che l’uomo si penta e osservi i comandamenti. Occorre ricordare che Dio punisce con l’inferno coloro che non si pentono. Occorre ricordare che nell’inferno ci sono i dannati.

8. Occorre ricordare che col perdono divino il peccato è cancellato e non è vero che rimane e Dio lo copre e fa finta di non vedere. Bisogna recuperare il concetto di merito soprannaturale e chiarire che se la grazia è gratuita, altrimenti non sarebbe grazia, ciò non significa che non occorrano le opere buone e non abbiamo il dovere di espiare per i nostri peccati e dar soddisfazione al Padre in Cristo mediante sacrificio della Messa. Dio ci rimette in Cristo i nostri debiti, ma noi dobbiamo in Cristo corrispondere con le buone opere. La visione beatifica è certamente gratuita in quanto dono di Dio, ma occorre nel contempo acquistarla  grazie alle buone opere compiute in Cristo.

9. Occorre recuperare il concetto di Chiesa militante. Essa è la Donna dell’Apocalisse, che combatte contro il Drago. Occorre recuperare l’aspetto agonistico, combattivo della vita cristiana. Il che non significa assolutamente essere dei guerrafondai, ma saper respingere la forza nemica, con coraggio e fortezza.

Ciò non contrasta affatto col precetto evangelico dell’amore del nemico, che vuol dire semplicemente saper apprezzare i lati buoni dei nemici. Il cristiano è chiamato a vincere la carne, il mondo e Satana. Occorre recuperare questa famosa triade dell’ascetismo cristiano. «Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11,12).

L’abolizione della pena di morte si sta rivelando una cosa sempre più possibile: ma è utopistico credere che nella vita presente tutti i contrasti possano risolversi pacificamente. Noi possiamo essere pacifici; ma non possiamo pensare che non esistano dei violenti. Un uso moderato della forza è a volte l’unico mezzo per far valere il diritto e la giustizia e per difendere gli oppressi dagli oppressori. È solo nella vita futura beata che tutte le guerre saranno scomparse e vi sarà la pace universale.

10. Stupisce, inoltre, e dispiace che in un Concilio che si è voluto pastorale la figura del Vescovo, pastore per eccellenza, sia presentata in modo che sembra non possedere tutta quella energia e quella fortezza che da lui ci attenderemmo, e della quale parlano soprattutto le Lettere pastorali di San Paolo.

Mi riferisco al decreto Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei Vescovi, un tema al quale, secondo me si sarebbe dovuta dare molta più importanza ed estensione di quelle che si sono date. Avrebbe dovuto essere un tema centrale del Concilio, perché quando si dice pastorale episcopale, è chiaro che si dice anche, mutatis mutandis, Papa, Cardinali, presbiteri, diaconi e, per partecipazione, religiosi e laici, genitori ed educatori, tutti coinvolti in quella in quella pastoralità sinodale, circa la quale oggi il Papa insiste nei suoi insegnamenti.

Il pregio maggiore del documento è la messa in luce nel Vescovo della virtù del servizio e della misericordia del buon pastore che dà la vita per le pecore, con tutto il corredo di virtù che vi fà da contorno o da presupposto: umiltà, disponibilità, dedizione, spirito di sacrificio, delicatezza, dolcezza, tenerezza, mitezza, pazienza, tolleranza, comprensione, ascolto, attitudine al dialogo, accettazione delle differenze. È carente invece per quanto riguarda la giustizia, il suo ufficio giudiziario e il suo potere coercitivo e disciplinare.

Si vede che i Padri sono stati troppo impressionati dal richiamo alla misericordia e alla mitigazione della severità fatto da Papa Giovanni nel Discorso inaugurale del Concilio. Ma così è successo che per correggere un eccesso del passato, si è caduti in un eccesso contrario.

Adesso il rischio è quello che venga fuori una figura di Vescovo che non caccia il lupo per difendere il gregge e magari neppure si accorge della sua presenza, un Vescovo che  non è capace di «confutare coloro che contraddicono» (Tt 1,9), un Vescovo che non interviene o fa finta di non vedere per non avere noie e passare per tiranno, un Vescovo né caldo né freddo che il Signore, come dice l’Apocalisse, vomita dalla sua bocca.

Sarebbe bene inoltre che i pastori tornassero a istillare nell’animo del fedele quel santo timor di Dio, che non è paura o terrore di un Dio adirato, ma che è anche dono dello Spirito Santo, ossia sacro rispetto e somma considerazione e riverenza per la divina maestà, per i quali, spinto dall’amor di Dio, il fedele, ricordandosi della giustizia divina, si astiene dal peccare conoscendo intimorito le conseguenze del peccato, e così lo evita ed ottiene misericordia.

Sono talmente diffuse oggi le eresie, in buona o cattiva fede, che l’intervento disciplinare o punitivo dell’autorità in ogni caso è diventato materialmente impossibile. La Chiesa oggi si imita ad insegnare la sana dottrina, sopporta, offre sacrifici, prega per gli eretici e invoca lo Spirito Santo che muta i cuori.

Essa sceglie oggi solo alcuni casi, non necessariamente i più gravi e pericolosi, perchè purtroppo a volte hanno forti protezioni all’interno stesso della Chiesa, come per esempio i rahneriani, tuttavia evidenti e significativi e interviene per lo più o con la scomunica o con la riduzione allo stato laicale o con trasferimento in caso di chierici o con l’espulsione dall’istituto in caso di religiosi o con dimissioni dall’insegnamento o proibizione di pubblicare in caso di docenti.

La Chiesa lascia allo Stato il compito di punire le conseguenze sociali delle eresie sul piano dei rapporti interpersonali o sociali in quanto crimini contro il bene comune e comportano infrazione alle leggi civili.

Osservo infine che un Concilio che si è voluto pastorale, alla fine dimostra di non tenere sufficiente conto del supremo modello di pastore, che è Cristo, il quale si piega sì con compassione sulle sofferenze dei malati, libera certo gli ossessi dal diavolo, piange per la sorte di Gerusalemme e per la morte di Lazzaro, perdona il buon ladrone e la prostituta pentiti, racconta la parabola del figliol prodigo, mostra certo tenerezza per i bambini, prova certo misericordia per le miserie umane, comprende certo e scusa la fragilità dei deboli, perdona certo l’ignoranza invincibile, si dona certo in riscatto per molti, ma sa anche al momento giusto lanciare invettive e minacce di eterna dannazione ai farisei, agli ipocriti, agli oppressori, ai bugiardi, agli empi, ai ladri, agli assassini, agli increduli.

E non è questa sempre carità? Possiamo pensare che quando Cristo si adira o alza la voce, è perché ha perso il controllo e si lascia prendere dalla collera? L’eccessiva delicatezza e gli eccessivi riguardi nei confronti degli avversari non sono segni di carità e di rispetto per le loro persone, ma sono segni di timidezza, di opportunismo, di scarsa premura e di incertezza circa le nostre convinzioni. Che cosa ci dice il profeta Isaia?

«Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba, alza la voce; dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati» (Is 58, 1). Se il Concilio avesse alzato un po’ più la voce, forse che qualche sordo in più non avrebbe udito?

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 gennaio 2025

 

È evidente in Benedetto la volontà di un recupero della teologia sistematica e quindi della metafisica, sempre basata sulla moderna esegesi storico-critica a rimedio del modernismo del postconcilio e, benché egli indubbiamente avesse strettamente collaborato con Rahner nei lavori del Concilio, appena si accorse della svolta filohegeliana di Rahner mascherata da tomismo, prese nettamente le distanze da Rahner accusandolo di idealismo panteista.


Se c’è stato un teologo al Concilio che sia stato progressista, collaboratore di Rahner, questi è proprio Ratzinger. Tanto più credibile ed autorevole è stato quindi il richiamo che egli ci ha fatto da Papa alla continuità e alla tradizione, senza per questo sottovalutare le conquiste innovatrici del Concilio. Nel contempo è interessantissimo il suo rifiuto della visione rahneriana del progresso, per niente conforme alla concezione cattolica e tomista ed invece influenzata da quella hegeliana, basata sulla rottura e la contraddizione.

 Valendomi del permesso che ci ha dato Benedetto XVI di mettere in discussione certi aspetti della pastorale conciliare, offro adesso ai lettori alcune proposte che ritengo atte a correggere la tendenza buonista e permissivista, chiari riflessi del liberismo e relativismo morale di Rahner, precisando naturalmente che non si tratta affatto di ritornare alla situazione precedente al Concilio, come alcuni passatisti vorrebbero, perché infatti le conquiste fatte dal Concilio vanno assolutamente mantenute ed anzi migliorate e rafforzate, ma si tratta di recuperare  alcuni valori cristiani che nel fervore dell’azione innovatrice i  Padri del Concilio hanno tralasciato. Ne faccio un elenco.

Immagini da Internet: San Paolo VI e Papa Benedetto XVI

[1] Come troviamo nelle importantissime pagine di critica a Rahner che Ratzinger pubblicò ne Les principes de théologie catholique, Téqui, Pars 1982, pp.178-190.

4 commenti:

  1. Carissimo p. Giovanni, grazie come sempre per le sue chiare e motivate riflessioni, frutto di studi approfonditi e decennali su un argomento così delicato e allo stesso tempo importante quale la situazione della Chiesa oggi alla luce del Concilio Vaticano II evidenziando i meriti ma anche le posizioni ambigue di tanti teologi presenti nelle diverse commissioni di studio che hanno contribuito alla stesura dei decreti e delle costituzioni conciliari. Mi hanno interessato particolarmente le sue osservazioni sul ruolo svolto dal teologo gesuita Karl Rahner che ha influito notevolmente sulla teologia contemporanea introducendo concetti filosofici incompatibili con la teologia cattolica. Tra l’altro letto e studiato durante la mia formazione teologica presso la Facoltà Teologica dell’Università Lateranense ed il pensiero teologico di San Tommaso d’Aquino molto marginale se non addirittura ignorato durante le lezioni nei diversi corsi.
    Personalmente osservo che un Concilio che si è voluto pastorale, alla fine dimostra di non tenere sufficiente conto del supremo modello di pastore, che è Cristo.
    Oggi si vorrebbe una Chiesa che si occupasse, come aggregazione religiosa, di aiutare i governi e le nazioni a risolvere i problemi socio-economici dell’umanità, legati alla globalizzazione, mettendosi al servizio del potere temporale nelle sue forme attuali. Si vorrebbe una Chiesa Cattolica che finalmente mettesse a disposizione della società le sue competenze organizzative, le sue finanze e il suo prestigio morale perché in fondo il mondo si salva da sé, unicamente con le sue forze, per mezzo di un’illusoria auto-redenzione. La Chiesa Cattolica dovrebbe finalmente abbandonare una volta per sempre la pretesa di possedere la Verità sul senso della vita e sul destino del mondo, di occuparsi dell'aldilà e occuparsi unicamente di risolvere i problemi materiali della gente. Si vorrebbe una Chiesa Cattolica che presentasse un cristianesimo in dialogo e aperto alle altre religioni, perché in fondo, tutte le religioni, per i loro seguaci, sono vie ugualmente valide di salvezza.
    Ma le cose per noi cristiani cattolici, non stanno così, per noi l’unica Verità che veramente conta è la Verità di Cristo salvatore e redentore, come ci ricorda San Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis Splendor al n2:
    “Così la Chiesa, Popolo di Dio in mezzo alle nazioni, mentre è attenta alle nuove sfide della storia e agli sforzi che gli uomini compiono nella ricerca del senso della vita, offre a tutti la risposta che viene dalla verità di Gesù Cristo e del suo Vangelo. È sempre viva nella Chiesa la coscienza del suo «dovere permanente di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto».
    In conclusione, la prassi pastorale deve essere fondata e radicata sulla dottrina e sul magistero della Chiesa che ci trasmette le verità della nostra fede, altrimenti, nella nostra azione pastorale rischiamo il disorientamento, e l’arbitrio.

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    1. Caro Don Vincenzo, concordo pienamente in tutto quello che lei dice. Dobbiamo ammirare lo sforzo di Papa Francesco di presentare al mondo una Chiesa profondamente preoccupata del rispetto della dignità umana, dei grandi problemi della giustizia sociale e di volgere uno sguardo di misericordia soprattutto verso quelle vaste zone di umanità che maggiormente soffrono spesso per la mancanza di quei beni, che viceversa sono arraffati da piccole minoranze egoistiche, che badano solo ai propri godimenti personali.
      Certamente Papa Francesco con questa predicazione tocca il piano della politica, ma chiaramente lo fa per rendere la Chiesa credibile come comunità fraterna di misericordia, la quale, con tale testimonianza, attira le coscienze a quel Cristo Salvatore il cui Vangelo essa diffonde nel mondo per la salvezza dell’umanità.
      Certamente Papa Francesco, con la sua apertura alle altre religioni, può dare l’impressione di un certo indifferentismo, che potrebbe sembrare avvicinarlo alla concezione massonica delle religioni. Ma in realtà il Papa riprendendo l’insegnamento del Concilio sul dialogo interreligioso non vuole fare altro che valorizzare i lati positivi presenti in ogni religione nella ovvia ed implicita supposizione che, come insegna il Concilio, tutti questi valori conducono a Cristo, provengono da Cristo e sono salvati da Cristo.
      Per capire quindi cosa vuole veramente il Papa bisogna congiungere la sua insistente esortazione all’opera evangelizzatrice con il suo invito a collaborare con i fedeli delle altre religioni per l’edificazione della pace e della giustizia nel mondo.

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  2. Tanta saggezza nelle sue parole semplici ma profonde che tutti capiscono, Padre! Sarebbe anche bastato ricordare a Rahner che Nostro Signore parla allo stesso modo, facendosi capire dai dotti come dai semplici, dagli illetterati. Speriamo che il prossimo Pontefice raccolga e applichi queste sue raccomandazioni completamente, in modo più chiaro anche quando parla a braccio sull'aereo...

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    1. Caro Alessandro,
      non è facile pensare a che cosa dovrebbe fare il prossimo Papa. Io credo che dovrebbe recuperare alcuni temi tradizionali che, dopo il rinnovamento conciliare, sono rimasti in qualche modo in sordina, perché nell’intento giusto di rimediare a una severità esagerata in molti casi i pastori sono caduti in una forma di falsa misericordia, che finisce col favorire il lassismo e la dissolutezza morale, secondo quanto mia madre diceva che il medico pietoso incancrenisce la piaga.
      Occorre quindi un Papa che, senza tornare indietro rispetto alle conquiste del Concilio, sappia congiungere queste conquiste, che meglio ci fanno capire la grandezza della misericordia divina, con una sapiente rivalutazione dell’aspetto ascetico e disciplinare della morale cattolica, ricordando che il potere coercitivo della Chiesa non significa volontà di dominio, ma è un servizio di carità, ha un valore educativo e serve ai fedeli devianti ad aiutarli nella penitenza e nella conversione, affinchè essi dovutamente purificati possano essere pienamente reintegrati nella comunione ecclesiale.

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