La voce del Tabernacolo
Pensieri sul Venerabile Pio Giocondo Lorgna
Uno scritto di Padre Negrelli
sul carisma di Padre Lorgna
Una grazia concessa a noi cattolici sconosciuta agli altri fratelli cristiani è la possibilità che ci è data sulla base della conoscenza della verità completa del mistero dell’Eucaristia di sostare anche a lungo davanti al tabernacolo in atteggiamento di adorazione e di fiducioso colloquio col Signore presente nel tabernacolo.
Il nostro bisogno di avere davanti a noi l’interlocutore è ampiamente soddisfatto, perchè sappiamo di trovarci davanti a Dio mediante il rapporto spaziale col sacramento dell’eucaristia. Dunque volgendoci al tabernacolo ci volgiamo fisicamente verso Cristo ed Egli è fisicamente davanti a noi nel tabernacolo.
Davanti al tabernacolo apriamo il nostro cuore; a Cristo eucaristico manifestiamo le nostre preoccupazioni, rivolgiamo le nostre richieste, chiediamo perdono dei nostri peccati, Lo consultiamo nei nostri dubbi, Lo contempliamo nei suoi divini attributi, Gli manifestiamo i nostri progetti.
Dal tabernacolo sempre ci si allontana consolati, illuminati, confortati, consigliati, incoraggiati, tranquillizzati, con nuove idee, nuovi progetti, disposti ad accettare prove e sofferenze, carichi di speranza e voglia di agire per Cristo.
Padre Lorgna visse profondamente questo aspetto della pietà eucaristica sulle orme di San Tommaso d’Aquino, che, quando si sentiva smarrito davanti ad un arduo interrogativo teologico, appoggiava la testa al tabernacolo come l’apostolo Giovanni sul petto del Signore.
Il Padre Massimo Negrelli, profondo conoscitore del Venerabile Padre Lorgna, ci parla di lui nel suo libro Amare e far amare Gesù in Sacramento. Il carisma di padre Giocondo Pio Lorgna[1]. A questo santo Confratello[2], la cui Causa di beatificazione fu iniziata nel 1950 di recente è stato conferito dalla Congregazione per le Cause dei Santi il titolo di Venerabile, gradino immediatamente precedente alla proclamazione a Beato, per la quale si attende il riconoscimento del miracolo.
Il Padre Lorgna ebbe nei primi novecento qui al Santuario di Fontanellato dalla Madonna l’ispirazione a fondare un Istituto di Suore Domenicane dedite al culto eucaristico ed all’educazione dei fanciulli, ufficio che allora gli apparve particolarmente consono al timbro eucaristico delle Suore, considerando che in quegli anni San Pio X si faceva promotore della Santa Comunione ai fanciulli. L’Istituto avrebbe poi canonicamente iniziato la sua attività nel 1922.
Padre Giocondo volle mettere le Suore sotto la protezione della Beata Imelda Lambertini, fanciulla bolognese del sec. XIV, morta in un’estasi dopo aver ricevuto miracolosamente la Santa Comunione.
L’abbinamento della pietà eucaristica con l’educazione dei fanciulli è una formula molto felice per esprimere un tratto essenziale della spiritualità domenicana: la sua impostazione incarnazionista che conduce al culto eucaristico. E di fatti San Tommaso massimo Dottore dell’Ordine oltre che Dottore comune della Chiesa è famoso tra l’altro come Dottore dell’Eucaristia, autore dello splendido e sublime Ufficio del Corpus Domini.
Particolarmente edificante era il modo col quale Padre Giocondo celebrava la Messa, la sua intensissima e commossa partecipazione al mistero che celebrava, senza inutili enfasi né tanto meno personali arbitrii, ma con dignitosa sobrietà, lasciando trasparire Cristo al di là del ministro, anche qui simile a San Domenico, il quale sapeva far percepire la presenza del Mistero, mentre giungeva a commuoversi fino alle lacrime.
Lasciate che i fanciulli vengano a me
Quanto al tema dell’infanzia, esso chiaramente risuona come rappresentazione del carisma della sapienza, ideale eminentemente domenicano, quella sapienza che al dire di Cristo, viene concessa ai piccoli (Mt 11,26). Naturalmente la stima di Gesù e il suo amore preferenziale per i bambini vanno intesi nel senso giusto. Non bisogna confondere l’ideale dell’infanzia evangelica con l’infantilismo o con la fanciullaggine. È chiaro che il fanciullo è un soggetto che ha bisogno di essere educato.
Per capire il senso della stima di Gesù per i bambini, e che cosa Egli intende col termine «bambino», quando propone il bambino come modello di perfezione, bisogna associare il termine a quello di «povero», termine che anche qui va inteso in un certo senso, come quando Gesù dice che il Vangelo è annunciato ai poveri ed esprime il suo amore preferenziale per i poveri.
Gesù nel parlare di bambini e di poveri come prediletti del Signore non esclude affatto il senso immediato di «bambino» come soggetto minore e di «povero» come economicamente indigente o bisognoso. Ma è chiaro che nel contempo quei due termini sono il simbolo dell’umile, cioè di colui che si sente misero, piccolo e povero davanti a Dio. In tal senso nulla impedisce che il povero disponga di grandi ricchezze, se le impiega a favore dei poveri e nulla impedisce che il bambino sia un anziano, se pratica un fiducioso abbandono nelle mani della provvidenza, simile alla fiducia con la quale il bambino si abbandona nelle braccia della madre.
In base a queste considerazioni noi comprendiamo allora il discorso di San Paolo, che sembra andare all’inverso di quello di Cristo, laddove Paolo presenta l’anziano e non il bambino come modello di sapienza e di prudenza. Ricordiamo infatti la sua raccomandazione:
«Non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi» (I Cor 14,20). Paolo infatti ingiunge ai discepoli «di arrivare allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinchè non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore» (Ef 4, 13-14).
In questa visuale Paolo giunge a paragonare il rapporto uomo carnale - uomo spirituale al rapporto fra bambino e adulto:
«Non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come esseri carnali, cime a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne aravate capaci. E neanche ora lo siete, perché siete ancora carnali, dal momento che c’è tra voi invidia e discordia. Non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana?» (I Cor 3, 1-3).
Cristo risolve questa apparente antinomia bambino-adulto, saggio-stolto con la famosa raccomandazione: «semplici come le colombe, prudenti come i serpenti». La perfezione spirituale comporta la congiunzione dell’apertura realistica alla verità e alla realtà con la riflessione critica, che sa in base alle prime evidenze del sapere vegliare sui propri giudizi, e vagliarne il valore alla luce di quelle evidenze. L’infanzia e la semplicità evangelica vengono meno quando sorgono i ragionamenti tortuosi, sofistici o capziosi o sorgono l’astuzia, la doppiezza, la finzione, l’ambiguità e l’ipocrisia.
Modello di sacerdote
Padre Giocondo incarna una splendida figura di sacerdote. Egli avvertì questa vocazione fin da bambino ed ebbe inizialmente l’idea di entrare in seminario. Ma poi, accortosi dell’eminente valorizzazione del sacerdozio propria del carisma domenicano, decise di farsi Domenicano.
Egli aspirava a dedicarsi in pienezza alla predicazione sulla base dello studio della sacra dottrina, ma i Superiori si accorsero, senza che egli ne fosse consapevole, delle sue qualità pastorali di sacerdote e per questo lo fecero parroco a Venezia, cosa che a lui inizialmente costò moltissimo, ma che accettò con piena obbedienza, facendo un’ottima riuscita nei 23 anni che fu parroco a Venezia. Egli stesso, poi, sperimentati i benefìci dell’obbedienza, ebbe a cantare: «vir oboediens loquetur victorias».
Egli infatti si accorse poi di quanto i Superori erano stati saggi in quella decisione, perché gli dettero modo di esplicitare e valorizzare le sue qualità di pastore e di guida di anime fino al punto che egli sentì fiorire nella sua mente e nel suo cuore addirittura il carisma del Fondatore. Egli fu certamente in ciò un’immagine straordinaria dello stesso Santo Padre Domenico.
Ma le cose non finiscono qui. Padre Giocondo beneficò in modo straordinario di un’altra dote della personalità del Santo Patriarca Fondatore dell’Ordine domenicano: la stima per la donna come compagna dell’uomo voluta da Dio nella propagazione della vita di grazia e della Parola di Dio, nonché per la crescita e la diffusione della Chiesa in reciproca complementarità spirituale su di un piano di pari dignità di persona e di natura.
Ben lungi da quell’atteggiamento di superiorità, dalla tendenza a sottovalutare se non proprio a disprezzare la donna, a deriderla o a ironizzare sulla sua condotta, a mostrare diffidenza e sfiducia, al giudizio sarcastico ed amaro, col tono smaliziato di chi non si lascia ingannare e sa difendersi da soggetti infidi e pericolosi, miserie che ancor oggi purtroppo si trovano in certe persone dalla mentalità arretrata, Padre Giocondo, anticipando i tempi attuali di affermazione nella Chiesa della dignità della donna, anche qui stupendo imitatore di San Domenico, nella luce della Madonna, sapeva vedere nella donna soprattutto in quella consacrata colei che riempie la solitudine dell’uomo e con la quale Dio vuol che l’uomo sia una cosa sola. In tal modo tanto più fiorivano nell’animo di Padre Giocondo le amicizie femminili quanto più la sua condotta illibata e austera ma calda di santi affetti irradiava gioie sublimi e risplendeva di una limpidissima purezza di costumi conformemente al suo stato di Religioso.
E Padre Giocondo era largamente ripagato in questo atteggiamento con l’attirare a sé anime elette di sesso femminile, entusiasmate dalle sue proposte spirituali, educative e pastorali. Ciò gli consentì di rendersi conto a un certo punto di essere chiamato da Dio a fondare quella che sarebbe stata la Congregazione delle Suore Domenicane della Beata Imelda, le cosiddette Imeldine, oggi attive in vari paesi del mondo, oltre che in Italia, in Albania, Camerun, Filippine, Indonesia, Vietnam, Bolivia, Messico, Brasile[3] con molteplici attività educative, scolastiche ed assistenziali a favore dei fanciulli poveri e bisognosi.
Nell’attuale situazione ecclesiale, nella quale il ministero del sacerdote appare innaturalmente sdoppiato in due ruoli parziali tra loro contrapposti, da una parte una sacralità senza socialità e dall’altra una socialità senza sacralità, è urgente che il sacerdote da una parte torni a mostrarsi l’uomo del Sacro, che eleva il nostro spirito a Dio, il Sacrum-dans, e dall’altra sia il nostro servitore secondo le parole del Signore: «io sono tra voi come colui che serve», cioè mostri che Dio è con noi per servirci in ciò che conta di più: le necessità della nostra eterna salvezza.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 11 febbraio 2025
Immagine da Internet
Ho trovato una sintesi molto efficace quella espressa nell' ultimo paragrafo dove si evidenzia che ci deve essere un equilibrio e la contemporanea presenza del ruolo sacrale e sociale nel ministero del sacerdote.
RispondiEliminaCaro Anonimo,
Eliminala ringrazio per questo apprezzamento, che mi fa piacere e mi conferma nella mia opinione.
Approfitto del suo intervento per esprimere la mia opinione o impressione che la Causa di Padre Giocondo sembri stentare a procedere, nonostante il titolo di Venerabile, probabilmente per l’opposizione che comprensibilmente può venire dai modernisti, i quali notoriamente hanno un concetto del sacerdozio che certamente contrasta con quel sacerdozio esemplare del quale P. Giocondo ci ha dato una splendida testimonianza.