Le primizie dello Spirito - I doni carismatici straordinari dello Spirito Santo - Terza Parte (3/3)

 

Le primizie dello Spirito

I doni carismatici straordinari dello Spirito Santo

Terza Parte (3/3)

 Dono di veggenza ed audizione. Santa Bernadette Soubirous

 

I vostri giovani avranno visioni

Gl 3,1

Da notare qui soprattutto le apparizioni mariane e i messaggi della Madonna. Si tratta delle cosiddette «rivelazioni private». La Madonna appare al solo veggente ovviamente non in sé stessa come ella è in cielo, ma in un’immagine creata da Dio per l’occasione o formata dagli angeli o in un’immagine impressa da Dio nell’occhio del veggente. Il suono delle parole della Madonna non è un suono fisico naturale, udibile dal comune udito, ma è un suono prodotto o direttamente da Dio o dall’angelo, tale da riprodurre il normale suono fisico, ma ordinato alla trasmissione del messaggio della Madonna.

Il veggente riceve dalla Madonna messaggi da trasmettere ai fedeli per rafforzare, correggere e migliorare la loro vita. La Madonna ottiene dal cielo segni prodigiosi, che servono a rendere credibile la testimonianza della veggente o del veggente.

Il contenuto dei messaggi non è tanto un insegnamento o chiarimento di ordine dottrinale, quanto piuttosto un’esortazione di carattere pratico e morale ad una migliore osservanza dell’etica cristiana, alla correzione e alla riforma dei costumi di pastori e fedeli, ad un maggior impegno nella evangelizzazione, con espressioni di dolore e di deplorazione per fatti scandalosi o per peccati che vengono commessi, con l’avvertimento o la minaccia di imminenti punizioni divine e, con un rinnovata promessa di intercessione ed assistenza e premi celesti, per coloro che ascoltano il messaggio e si convertono.

Occorre però fare attenzione che il demonio, col permesso divino, può intromettersi per falsificare, illudere, portare fuori strada o incitare alla vanagloria o all’esibizionismo. Può capitare anche che il veggente prenda, senza rendersene conto, per parole della Madonna cose che appartengono in realtà al suo bagaglio di nozioni o immaginazioni personali, anche erronee.

Dono di fondazione. San Domenico di Guzman

 

Ut sapens architectus fundamentum posui

I Cor 3,10

Lo Spirito Santo illumina la mente così da farle concepire un progetto di edificazione di una comunità di fedeli dediti sotto la guida di una Regola di perfezione approvata dalla Chiesa alla ricerca di un dato fine o all’esecuzione di un dato compito utile al progresso della Chiesa o alla sovvenzione dei suoi bisogni o alla sua espansione missionaria.

Dio dona altresì la volontà, la prudenza, il coraggio, la pazienza, la perseveranza e la tenacia di affrontare e risolvere tutte le difficoltà, ottenere gli appoggi necessari, rimuovere o abbattere tutti gli ostacoli e le difficoltà, scegliere i collaboratori giusti, trovare tutte le vie e tutti i mezzi, attirare il consenso delle autorità e ascoltare umilmente le sue direttive, consigli, correzioni ed esortazioni.  

Il carisma è tanto più grande quanto più importante ed utile alla Chiesa è il fine o il compito che propone. Nel caso di Domenico il fine che si prefigge è quello di collaborare con il compito del Vescovo nella predicazione del Vangelo, secondo il voto che era stato espresso dal Concilio Lateranense IV, che si era svolto nel 1215, pochi anni prima la fondazione dell’Ordine nel 1221. L’Ordine fondato da San Domenico è talmente strutturale nella Chiesa, che è destinato a durare ed operare quanto la Chiesa dovrà durare in questo mondo.

Il carisma di Domenico è ben riassunto nelle parole dell’Inno che i frati cantano ogni giorno: «Lumen Ecclesiae, Doctor veritatis, aquam sapientiae propinasti gratis, praedicator gratiae, nos junge beatis»: luce che illumina la Chiesa perché Domenico per primo si è lasciato illuminare dalla luce con la quale la Chiesa illumina il mondo, luce che è la stessa luce di Cristo.

Il dono divino ricevuto da Domenico è il dono del dottorato, ossia il dono di insegnare (docere) gratuitamente, ossia senza chiedere compenso, la dottrina di Cristo e della Chiesa: aquam sapientiae propinasti gratis.  Infatti, quale compenso può esigere uno che insegna una dottrina che non è conquista dell’uomo ma dono di Dio? Un insegnante di storia e geografia può esigere un compenso. Ma uno che insegna la Parola di Dio, che è un tesoro impagabile, quale compenso potrà chiedere? Questo non significa che l’operaio del Vangelo non abbia diritto al suo nutrimento (Mt 10,10).

Bene descrive il carisma di Domenico Santa Caterina da Siena: «Per più proprio suo obietto prese il lume della scienza per stirpare gli errori che a quello tempo erano levati. Egli prese l’officio del Verbo unigenito mio Figliuolo. Drittamente nel mondo pareva un apostolo. Con tanta verità e lume seminava la parola mia, levando le tenebre e donando la luce. Egli fu uno lume che io posi al mondo col mezzo di Maria messo nel corpo mistico della santa Chiesa come stirpatore delle eresie»[1].

Domenico sentiva forte il desiderio di contemplare Dio assieme a quello di guidare le anime a Lui. Per questo, nella spiritualità domenicana si dà un amplissimo spazio a differenti scelte personali, pur tutte nell’orizzonte giuridico dell’Ordine e nella realizzazione del medesimo ideale.

Si va dalle forme di vita mistica più elevata, come può avvenire nelle nostre monache, per esempio in Sant’Agnese di Montepulciano, passando attraverso le vocazioni alla pastoralità, come per esempio un San Pio V, all’impegno più arduo dell’insegnamento teologico, come un San Tommaso d’Aquino, fino alle forme più impegnative della predicazione, come un San Vincenzo Ferreri o alle forme più assorbenti di impegno sociale, come per esempio un San Martino de Porres.

Papa Gregorio IX usò stupito a riguardo di Domenico queste parole: «inexplicabile gaudium concipiens de zelo animarum». Il Domenicano, come ogni cristiano, non si limita alle parole, ma passa alla pratica della carità, passa alle buone opere. Qual è l’operare domenicano? Qual è la carità domenicana? Come il Domenicano opera per la salvezza delle anime? Qual è il suo modo di amare il prossimo? Quali mali nel prossimo si preoccupa di curare il Domenicano?

Il lavoro al quale si dedica il Dominicano, lavoro al quale si prepara con lo studio, la preghiera, il culto divino, la penitenza, le osservanze regolari, la vita comune e la pratica dei consigli evangelici, ce lo dice San Tommaso. Il lavoro domenicano è dedicarsi alla: salvezza le anime conducendole dalle tenebre dell’errore alla luce della verità. Questa, egli precisa, è la più grande delle opere di misericordia.

È chiaro che il Domenicano è nel contempo sensibile e attento ai problemi sociali, nonché ai bisogni fisici del prossimo, soprattutto dei malati e dei poveri, a cominciare dai confratelli e dai familiari. Ma lascia ad altri Istituti o ai laici più capaci di lui la cura specifica e specializzata di questi problemi.

Qual è la testimonianza del Domenicano? Qual è il martirio domenicano? È il martirio della verità, ossia l’accettazione della morte stessa pur di aderire alla dottrina di Cristo e della Chiesa.

Quali sono le opere del Domenicano? Che cosa fa per il bene del prossimo?  Mostrare la bellezza ed amabilità della verità soprattutto su Dio e svelare la menzogna, l’ipocrisia, i sofismi, l’errore e l’inganno, celebrare la Santa Messa e confessare, insegnare le vie di Dio, mostrare il falso sotto l’apparenza del vero, persuadere gli infedeli e i non-credenti con segni di credibilità a mettersi alla sequela di Cristo, conciliare le opposte fazioni evidenziando ragioni e torti in entrambe, persuadere eretici e scismatici a riconciliarsi con la Chiesa, correggere i devianti, ammonire i peccatori, consigliare i dubbiosi, consolare gli afflitti,  giudicare con giustizia e imparzialità tra opposte fazioni, assicurare alla giustizia i criminali, mettere in luce i valori comuni e ciò che crea l’unità, stimolare a mettere in pratica il proprio dovere, promuovere il progresso della conoscenza, suscitare  l’interesse per le cose dello spirito, insegnare l’onestà, la prudenza, la correttezza, la coerenza, l’efficacia, la franchezza e la sincerità del pensare e del parlare, insegnare le norme e l’arte del ragionare, della comunicazione e del dialogo, il modo giusto di esprimere quello che si pensa, l’amabilità della conversazione e la moderazione nella discussione e nella controversia, insegnare ciò di cui si deve tacere e ciò di cui si deve parlare, insegnare come dobbiamo dar prove di quello che affermiamo, il metodo per l’aderenza del nostro pensiero alla realtà, l’acquisto della verità e del sapere, l’umiltà nel riconoscere i propri errori, l’ascolto dell’altro, l’analisi critica di una dottrina, l’interpretazione dei discorsi degli altri e dei testi letterari, il modo di mettere in pratica la verità che abbiamo imparato.

Dono di comunione fra uomo e donna. Jacques e Raissa Maritain

Facciamogli un aiuto simile a lui

Gen 2,18

Grande mistero della creazione è quello della creazione dell’uomo e della donna, dove la bisessualità della vita animale si congiunge misteriosamente con la vita dello spirito, di per sé asessuato perché immateriale; eppure nel caso dell’uomo, a differenza dell’angelo, puro spirito, nella specie umana lo spirito non è monadico, ma  binario, ossia sussiste in due soggetti distinti, uguali e identici nella specificità umana, di pari dignità umana e personale, ma diversi o differenti e reciprocamente complementari sul piano fisico e su quello spirituale[2].

La nostra logica umana, che fa uso delle categorie di genere, specie, differenza e individuo, non riesce a catalogare questa realtà meravigliosa e tanto coinvolgente, dove appare evidentemente quella capacità che solo Dio possiede di unire spirito e materia a formare una sola persona.

Ebbene, nell’orizzonte di questa realtà Dio si compiace in rarissimi casi, più unici che rari, di unire un uomo e una donna non solo in questa vita nel matrimonio, ma anche nella futura resurrezione, dove non si darà più procreazione. Come? Non lo sappiamo. Certamente queste unioni ultraterrene non avranno nulla da spartire con le unioni sessuali extramatrimoniali di questa terra, che evidentemente sono peccaminose.

Dono specialissimo in questo senso lo ricevettero Jacques et Raissa Maritain, un matrimonio vergine ad imitazione di quello fra San Giuseppe e la Madonna. Queste unioni sono straordinarie primizie dello Spirito, restaurazione dell’unione edenica fra uomo e donna, recupero del piano originario divino, pur nelle condizioni della presente natura decaduta, pregustazione dell’unione escatologica, unione fecondissima di frutti spirituali prodotti da una cinquantennale convivenza e collaborazione, nel percorso di una comune esperienza di Dio, nella messa a disposizione l’un l’altra dei doni ricevuti, nella comune partecipazione alla vita ecclesiale e civile, nel produrre assieme un notevole patrimonio dottrinale alla scuola di San Tommaso, intrisi entrambi di spiritualità domenicana, al servizio assieme dei poveri, in un comune cammino di santificazione e di edificazione reciproca della propria eterna felicità.

Dono di comunione con Dio. Santa Teresa di Gesù.

Chi si unisce al Signore è con Lui un solo spirito

                                                                                                       I Cor 6,17

La mistica cristiana è una mistica dell’Incarnazione. Non è quindi semplice visione intellettuale dello spirituale, come in Platone, né esperienza sensibile come nella mistica dionisiaca, ma è frutto del senso e dell’intelletto sfocianti nell’amore e mossi dall’amore. Infatti non è una semplice visione di Dio, per la quale bastano l’intelletto e la volontà, ma coinvolge anche il senso e l’affetto perché riguarda anche il prossimo. Quindi mentre la verginità riguarda il rapporto con Dio Spirito, l’unione sessuale nel matrimonio riguarda l’amore del prossimo.

Ora già Platone ed Aristotele avevano capito che nella vita presente la nostra comunione con Dio avviene mediante un processo astrattivo che è il culmine dell’astrazione dell’universale dal particolare, della quale parla Aristotele, in quanto il soggetto non soltanto trascende il sensibile per attingere all’intellegibile, ma il coinvolgimento emotivo nell’intellegibile è talmente forte, attraente ed assorbente, che il soggetto astrae dalla stessa sensibilità, ossia perde la percezione della realtà esterna. È quella che San Tommaso chiama abstractio a sensibus.

In questa esperienza la mente si illumina e la volontà si rafforza di una energia straordinaria, sicchè il soggetto acquista un grado e uno slancio superiore di carità verso Dio e verso il prossimo, che lo inducono a compiere opere straordinarie e ad acquistare un potere straordinario sul prossimo nell’indurlo alla ricerca di Dio. Col loro esempio e la loro parola questi mistici diventano guide entusiaste, sapientissime, affidabilissime, trascinatrici ed estremamente persuasive ed riescono ad esercitare sul prossimo un influsso straordinario in ordine all’amore di Dio e alla ricerca della perfezione.

Occorre altresì notare che la comunione mistica con Dio quaggiù può avere due forme: esiste una comunione o esperienza mistica escatologica, che comporta una partecipazione della sensibilità, ed è una pregustazione della futura risurrezione, più unica che rara, ed esiste una comunione provvisoria, che è quella legata alla condizione di fragilità della nostra natura nella vita presente.

La prima esperienza la troviamo in San Giovanni Evangelista e in San Paolo. Giovanni ce ne parla, laddove dice di aver «toccato con le mani il Verbo della Vita» (I Gv 1,1). Qui non c’è abstractio a sensibus, ma la sensibilità è in funzione perché – per una specialissima grazia divina - è superato il conflitto dello spirito con la carne proprio della vita presente mortale. Invece il vertice dell’esperienza mistica proprio della vita presente fu già prefigurato da Platone quando concepì la filosofia come desiderio di morire e preparazione alla morte per andare a contemplare le Idee.  

Qui abbiamo l’abstractio a sensibus. Il difetto di Platone è stato quello di credere che, siccome adesso il corpo ci è di ostacolo alla comunione con Dio, allora il corpo non può condurre a Dio. Ma ciò è falso, perché anche il corpo è stato creato da Dio e fa parte della natura umana, per cui l’ideale della comunione con Dio non sta nell’anima che si libera dal corpo, ma nell’anima che si libera nel corpo. La mistica teresiana non è escatologica, ma tuttavia è un caso straordinario della mistica della vita presente.

Teresa infatti appare un esempio straordinario nel campo dell’esperienza mistica provvisoria, tipica della vita presente, diciamo provvisoria, perché in cielo noi contempleremo certamente Dio con un puro atto dell’intelletto, ma nella comunione col prossimo faremo uso dei sensi.

Teresa infatti ci racconta di come fosse presa da un amore talmente forte, coinvolgente, entusiasmante e trascinante per Cristo, da perdere i sensi e desiderare la morte, pur di essere con lui.: «muoio perché non muoio». Cristo l’attrae talmente che pare desiderare solo lui: «Dios basta».

Eppure essa si dichiara pronta a dare la propria vita anche per una sola anima. E come è possibile questo? Per la sua straordinaria capacità di subordinare l’amore del prossimo all’amore di Dio e di far scaturire quello da questo. Da qui la sua vita eccezionalmente contemplativa e straordinariamente attiva. Infatti il carisma carmelitano è contemplationem aliis tradere: insegnare agli altri la via della contemplazione[3].

Per questo Teresa, narrandoci la sua straordinaria esperienza mistica, che essa chiama «orazione di quiete», ci dice che quando essa arriva, «le potenze interne ed esterne sono lì come intontite e l’uomo esteriore o, per meglio dire, il corpo se ne rimane immobile. … Le sue potenze sono nel riposo e non possono muoversi, sembrando loro di vedere in tutto un impedimento a meglio amare»[4].

Solo l’intelletto e la volontà sono in atto. Le potenze inferiori sono inerti o sospese, salvo però ad entrare in funzione prepotentemente, sensi e passioni, al momento di realizzare a favore del prossimo quanto l’intelletto ha visto nell’esperienza mistica. Da qui la straordinaria fecondità delle opere.

Infatti da questa esperienza sorge in Teresa la sua intimità con Cristo, la certezza che raggiungeva nel conoscere la sua volontà e la prontezza e decisione nell’eseguirla nella piena obbedienza all’autorità civile ed ecclesiale e tuttavia priva di rispetto umano per l’importanza della sua dottrina ispirata, benché essa fosse priva di studi accademici, dottrina concernente il cammino per giungere alla perfezione, all’intimità, unione e confidenza con Cristo, per la straordinarietà  delle sue estasi, e dei suoi rapimenti e conoscenze infuse, che fanno da contrappunto e soste di riposo, di esultanza e di pregustazione del cielo, ad una condotta cristiana perfettamente normale ed equilibrata, piena di buon senso, prudente, ragionevole, persuasiva, operosa, paziente, intraprendente, infaticabile, sacrificata, acetica, coraggiosa, umile, gioiosa e generosa, avvincente e trascinatrice.

Un’altra osservazione. Su questo tema delicato dobbiamo osservare che la mistica moderna, per quanto riguarda la mistica femminile, consiglia di abbandonare l’immagine della «sposa» e dello «sposo», anche se ha alle sue spalle una lunga tradizione che ha le sue origini nello stesso linguaggio biblico.

Ma ci sismo accorti che tale immagine suppone l’idea di una inferiorità della donna rispetto all’uomo, che non corrisponde al vero piano divino della creazione.  Infatti è evidente che Cristo è superiore alla donna. Ora, è vero che c’è un’analogia fra le delizie spirituali e quelle sessuali, perché entrambe create da Dio ed esprimenti l’amore.

D’altra parte, se non vogliamo svuotare di senso l’immagine dello sposo e della sposa, come non mantenere l’immagine del piacere sessuale?  Ora, nel passato non si faceva caso a questa anomalia o incongruenza semantica (uno sposalizio senza piacere sessuale), considerando solo l’aspetto dell’amore spirituale fra sposo e sposa, e nel contempo era normale paragonare il rapporto uomo-donna al rapporto superiore-inferiore e quindi al rapporto Creatore-creatura.

Ma in una cultura come quella contemporanea, che ha scoperto la pari dignità dell’uomo e della donna, non è più possibile rappresentare l’unione mistica della donna con Cristo con l’immagine o paragone dell’amore della sposa per lo sposo, legata alla vecchia cultura della superiorità del maschio.

Infatti oggi le conseguenze di simile rappresentazione sono due: o continuare a ritenere l’uomo superiore alla donna, il che non è più consentito; oppure abbassare Cristo sposo al livello della donna, il che è ancora peggio. Se dunque l’immagine sposo-sposa funzionava quando si credeva che l’uomo-marito fosse superiore alla donna, e quindi potesse rappresentare Cristo per la donna, oggi questo paragone diventa evidentemente segno di antifemminismo o addirittura blasfemo per abbassare Cristo al livello della creatura. Bisogna trovare altre immagini o paragoni o simboli per la condizione della Religiosa e per la mistica femminile, come per esempio quella di serva di Dio, ministra di Dio, donna di Dio, veggente di Dio, amica di Dio, confidente di Dio, figlia, apostola o inviata di Dio, innamorata di Dio e simili.

Conclusione

I privilegiati di Dio devono pagare un prezzo altissimo per evitare di cadere nella vanagloria. Sono destinati ad una gloria eccelsa, ma quaggiù Dio li prepara con sofferenze ed umiliazioni straordinarie, come è accaduto a Gesù Cristo. Noi fedeli comuni, da parte nostra, dobbiamo stare attenti a non nutrire invidia nei loro confronti, perché Dio ci chiederebbe: «perché invidiate, o monti dalle alte cime, il monte che Dio ha scelto a sua dimora?» (Sal 68,17).

Qual è sostanzialmente l’odio che gli uomini hanno nei confronti di Cristo? È l’invidia. Si accorgono della grandezza di Cristo, vorrebbero essere alla pari di lui, avere la sua stessa gloria e, constatando che non ci riescono, lo osteggiano e lo denigrano. La sorte dei grandi santi, è la stessa.

Ma che importa avere doni eccezionali? Non è sempre una meraviglia ciò che Dio ci ha dato? Dobbiamo lodarlo e glorificarlo quando veniamo a conoscere un’opera maggiore della sua misericordia!

E quindi allora, piuttosto che lasciarci rodere dall’invidia, godiamo di ciò che Dio fa nei suoi santi, studiamoci per quanto ci è possibile, di imitarne le virtù, mettiamoci alla loro scuola, invochiamoli, approfittiamo della ricchezza che Dio ha dato a questi nostri fratelli straordinari, umilissimi e generosi, perché loro stessi desiderano renderci partecipi della loro perfezione.  

Non dobbiamo desiderare di essere ammirati e seguiti da molti, ma di servire molti e, sull’esempio di Cristo, di dare la vita per molti. Questa è la vera gloria. Questo è corrispondere ai doni di Dio. Questa è la pregustazione delle primizie dello Spirito. 

Certo, anche i doni eccezionali, sono primizie dello Spirito. Ma anche il riceverli, e poi insuperbircene come accadde al demonio, a che ci servirebbe? Meglio stare bassi e lasciare che sia Dio stesso ad innalzarci. Solo così potremo ricevere già da adesso e in pienezza in futuro molto di più di quanto di meglio potremmo immaginare e desiderare.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 9 dicembre 2024

Qual è sostanzialmente l’odio che gli uomini hanno nei confronti di Cristo? È l’invidia. Si accorgono della grandezza di Cristo, vorrebbero essere alla pari di lui, avere la sua stessa gloria e, constatando che non ci riescono, lo osteggiano e lo denigrano. La sorte dei grandi santi, è la stessa.


Ma che importa avere doni eccezionali? Non è sempre una meraviglia ciò che Dio ci ha dato? Dobbiamo lodarlo e glorificarlo quando veniamo a conoscere un’opera maggiore della sua misericordia!

Non dobbiamo desiderare di essere ammirati e seguiti da molti, ma di servire molti e, sull’esempio di Cristo, di dare la vita per molti. Questa è la vera gloria. Questo è corrispondere ai doni di Dio. Questa è la pregustazione delle primizie dello Spirito. 

Certo, anche i doni eccezionali, sono primizie dello Spirito. Ma anche il riceverli, e poi insuperbircene come accadde al demonio, a che ci servirebbe? Meglio stare bassi e lasciare che sia Dio stesso ad innalzarci. Solo così potremo ricevere già da adesso e in pienezza in futuro molto di più di quanto di meglio potremmo immaginare e desiderare.

 
Immagine da Internet: Allegoria dell'invidia, Scuola emiliana XVIII sec.

[1] Il Dialogo, a cura di Giuliana Cavallini, Edizioni Cateriniane, Roma 1968, c.158, p.460.

[2] Individualmente o specificamente? Su questo argomento feci una comunicazione ad un Congresso teologico del 1986 a Roma, i cui atti furono pubblicati dall’Editrice Massimo di Milano nel 1987, dal titolo «L’anima nell’antropologia di San Tommaso d’Aquino, titolo della mia comunicazione «Sulla differenza fra l’anima dell’uomo e quella della donna», pp.227-234.

[3] Sarebbe interessante chiedersi che cosa trovò Edith Stein nella lettura di Santa Teresa, alla fine della quale disse: «questa è la verità», quasi a dire: non quella che mi prometteva Husserl. E fu così che abbandonò Husserl, del quale scoprì e denunciò la pericolosità, per farsi monaca carmelitana. Verità su che cosa? La verità si noi stessi in quanto fatti per Dio e non la “soggettività” chiusa su sé stessa di Husserl.

[4] Da Santa Teresa, Opere, Edizioni della Postulazione generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1963, p.682.

2 commenti:

  1. Caro padre Giovanni, mi permetta di farle una domanda riguardo a questa meravigliosa riflessione che ci ha offerto sui doni straordinari che talvolta Dio concede a noi, sue povere creature.
    Mi sembra di notare un'incoerenza nel suo pensiero sul matrimonio. Da un lato, trovo che apprezzi il matrimonio verginale tra Jacques e Raissa Maritain. Ma d'altra parte, spiegando la spiritualità di santa Teresa di Gesù e toccando il tema della mistica antica basata sul tema del "sposo" e della "sposa", dice che non sembra possibile separare la sessualità dal matrimonio.

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    1. Caro Dino,
      a proposito di Santa Teresa, io mi riferivo alla antica abitudine di origine biblica e di altre religioni di considerare la vergine come sposa di Dio, e mettevo in luce il fatto che questo schema supponeva l’inferiorità della donna rispetto all’uomo, appunto per rappresentare l’inferiorità della creatura rispetto al Creatore. Ma oggi, che abbiamo chiara la parità sposo-sposa, si vede come questo schema sia superato.
      Per quanto riguarda Santa Teresa, non è che io separi il matrimonio dalla sessualità. Dico solo che l’immagine sposo-sposa non può non far pensare al diletto fisico proprio del matrimonio. Per questo usare questo schema per rappresentare un rapporto puramente spirituale ci mette davanti a due alternative: o togliamo dallo schema il riferimento al piacere fisico, e allora lo schema si svuota di significato. Infatti che senso ha un matrimonio senza piacere? Si può immaginare un matrimonio privo di amore e di piacere? Se d’altra parte si vuol parlare di verginità, tanto vale non usare lo schema del matrimonio.
      A questo proposito la Sacra Scrittura fornisce per la donna consacrata tanti titoli molto validi, che tradizionalmente sono stati usati solo per il maschio, come per esempio “amica di Dio”, “serva di Dio, “ministra di Dio”, profetessa di Dio”, “confidente di Dio”, “apostola di Dio”, “missionaria di Dio”, “strumento di Dio”, “combattente di Dio”, “donna di Dio”, “angelo di Dio”.

      Discorso molto diverso è quello che bisogna fare sul matrimonio tra Jacques e Raissa Maritain. A differenza dell’immagine del matrimonio usato per la vergine consacrata, nei due Maritain abbiamo un matrimonio vero e proprio, il quale, benchè verginale, c’è da supporre che sia stato vissuto in un normale contesto di emotività sessuale, naturalmente tenuta sotto controllo, così da osservare l’astinenza sessuale, e nello stesso tempo ricco di collaborazione sul piano spirituale e culturale con grande abbondanza di frutti nel campo dell’apostolato e della salvezza delle anime.

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