Il dramma degli smemorati. Chi lo direbbe? Ai modernisti manca il senso della storia

 

Il dramma degli smemorati

Chi lo direbbe? Ai modernisti manca il senso della storia

Se c’è una cosa della quale i modernisti si vantano, e che riempie tutto lo spazio dei loro interessi, questa è proprio la storia. Per questo, mi rendo conto che l’accusa che rivolgo loro di non avere il senso della storia contrasta con l’idea che essi hanno di sé stessi e dev’essere provata. È appunto ciò che farò in questo articolo.

Essi infatti sono gli inventori della teologia narrativa, concepiscono Dio come storia, risolvono tutta la realtà nella storia, l’essere nel divenire, la teologia nella storia della salvezza. I loro maestri sono Lutero, Vico, Hegel, Croce, Dilthey, Heidegger, Walter Kasper e Bruno Forte. Tuttavia ha ragione Maritain nel riconoscere ad Hegel il merito di aver fondato la filosofia della storia. Per questo il loro vanto non è del tutto infondato.

Tuttavia essi, per avere un autentico senso della storia, non dovrebbero limitarsi a registrare i mutamenti storici e fare attenzione al progresso storico. Per un vero apprezzamento del valore e dell’importanza della storia non basta prender nota del nuovo e abbandonare il vecchio. Non basta comprendere il senso del presente, vivere nel presente e progettare il futuro. Non basta comprendere i segni dei tempi, che cosa ci dice o ci ordina Dio oggi, sapere quali sono i problemi, i valori e i bisogni di oggi, ma occorre anche la memoria del passato, occorre conservare i valori immutabili e il deposito della fede, occorre recuperare ciò che abbiamo dimenticato e senza di cui non possiamo vivere.

Quando Paolo dice: «dimentico del passato e proteso verso il futuro» (Fil 3,13), non si riferiva al deposito della fede, ma ai propri peccati perdonati. Senso della storia vuol dire saper discernere nel passato ciò che è da abbandonare e ciò che è da conservare ed eventualmente recuperare.

Il difetto dei modernisti è che non riescono a concepire valori stabili, incorruttibili e immutabili, che trascendono il tempo. Per loro muta la natura dell’uomo, muta il significato dei dogmi, muta la norma morale, muta anche Dio. Muta tutto.

Confondono la fermezza con la rigidezza e il conservare col conservatorismo, l’amore alla tradizione con l’attaccamento a ciò che è superato. Considerano superato ciò che va ancora bene e andrà sempre bene. Si dimenticano e trascurano di conservare il deposito della fede per aggrapparsi alle mode del tempo e ai miti del presente. È vero che la Chiesa può mutare usi, idee o comportamenti nel campo del diritto, del governo, della liturgia, della disciplina o della pastorale. Ma è falso credere che essa possa mutare nella sua costituzione e missione essenziali, così come Cristo l’ha voluta e come appare nella Chiesa cattolica.

È interessante constatare che l’argomento forte che i passatisti oppongono ai modernisti e agli stessi cattolici normali, fedeli al rinnovamento conciliare, il dire «da 2000 anni si è sempre fatto e creduto così» sia in fondo viziato dallo stesso storicismo dei modernisti, per il quale la verità non è fondata sull’essere, ma sul tempo. È un voler far dipendere la verità dal tempo, mentre essa è al di sopra del tempo. «Cielo e terra passeranno – dice Cristo -, ma le mie parole non passeranno»

È in fondo lo stesso principio storicista veritas filia temporis, quando invece si dovrebbe dire veritas filia aeternitatis. Il relativismo e storicismo dogmatici e morali dei modernisti e la rigidezza dogmatica e morale dei passatisti hanno in fondo una comune radice metafisica: rispettivamente la temporalizzazione dell’eterno e l’eternizzazione del mutevole.

Nessuno nega che esista una verità temporale ed è certo questa la verità storica e la verità della storia. Ma curiosamente modernisti e passatisti convengono assieme nell’ignorare che cosa è la verità, confondendola rispettivamente con la storia o con l’abitudine. I modernisti confondono il progresso con la sovversione. I passatisti confondono la conservazione con la retrocessione. Entrambi, invece di conciliare tradizione e progresso, li oppongono fra di loro, sia bloccando il progresso, sia mummificando la conservazione.

Per i modernisti l’immutabile è ripugnante, perché per loro è il morto, il sasso che non si muove. Eppure perché Cristo sottolinea l’importanza della roccia? Forse che Cristo non capisce che cosa è la vita? Al contrario, col riferimento alla roccia Cristo ci fa presente quella che è la vita al più alto grado, la vita, il moto dello spirito, che non è quello delle canne sbattute dal vento, ma è solidità, stabilità e certezza, roccia sulla cui base possiamo costruire la nostra casa. Su quale base costruiscono i modernisti? Essi non riescono a capire una vita immutabile. E invece è proprio questa la vita nel più alto grado, quella spirituale e quella divina, la vita eterna!

La vita certo è automovimento. Eppure la vita dello spirito è paragonata da Cristo alla roccia, che sfida e resiste immobile all’infuriare delle tempeste. Quanto dunque è importante la roccia, per non costruire sulla sabbia! Perché la vita fiorisca e si slanci, occorre che il fondamento fermo, saldo e robusto. Certo non bisogna confondere la fermezza con la sclerosi. a non bisogna neppure confondere sic et simpliciter la vita col movimento. Anche nel cadavere c’è un brulicare di vermi. Ma chi potrebbe mai apprezzare i moti disgregativi di un cadavere in dissoluzione?

Gesù paragonerebbe i modernisti a canne sbattute dal vento. Essi invece, per il loro storicismo ed evoluzionismo non capiscono il valore della stabilità e dell’immortalità del vivente e si aggrappano affannosamente a ciò che a loro sempre sfugge, mentre da uomini carnali sono immersi nelle cose materiali.

Confondono il progresso del sapere con un supposto mutare del dogma e della parola di Dio, che invece non passa. Credono che sia passato ciò che vale ancora e varrà sempre. Viceversa, assolutizzano l’effimero, il caduco, il contingente, il corruttibile, il temporale, il passeggero. Non si tratta di cambiare ciò che dobbiamo sapere, ma di conoscere meglio ciò che non cambia. Certo, non bisogna conservare ciò che non serve più. Ma ciò che serve ancora e sempre servirà dev’essere conservato.

Il vero senso della storia lo possiedono e lo capiscono coloro che sanno che la storia è messa in moto da una mente, che possiede l’intenzione del fine e dalla visione dell’ideale, coloro che si sono accorti con Platone e San Paolo che al di là del mutevole colto dai sensi c’è l’eterno colto dall’intelletto e che quindi la storia non è fine a se stessa, non è l’assoluto, ma ci indica una realtà più importante, che la supera e la colma, Dio, verso la quale è indirizzata e dal quale trae il suo senso.

È vero che la storia sta all’inizio del sapere e conduce al sapere. Il termine «storia» viene dal greco istorìa che significa ricerca. La vita dello spirito inizia con una ricerca, ha una storia, avanza e si arricchisce nel tempo. Ma l’oggetto di questa ricerca è l’approfondimento e il chiarimento di ciò che spontaneamente ha trovato sin dall’inizio.

Dio è il creatore della storia. Essa è il cammino dell’umanità nel tempo. Un cammino ha un inizio e una fine. C’è un punto di partenza e un punto di arrivo. La Sacra Scrittura è la narrazione di questo cammino.  La fine di questo cammino è la fruizione di Dio nella Gerusalemme celeste. Essa verrà inaugurata alla Parusia di Cristo alla fine del mondo, dopo la battaglia finale sui suoi nemici, con la risurrezione dei morti e il giudizio universale.

Una volta che la storia avrà raggiunto questa meta, si fermerà. L’azione non avrà più bisogno di migliorare, di correggersi, di progredire, di avanzare. L’umanità dei beati fruirà del sommo ed infinito bene raggiunto e posseduto, cioè Dio, bene finale e fine ultimo della storia, che la Scrittura rappresenta come il Signore della futura Gerusalemme celeste. Qui inizierà una nuova storia, che non sarà più la ricerca di qualcosa che manca, ma sarà la fruizione sempre più piena della perfezione che si possiede.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 4 luglio 2025

Non basta comprendere i segni dei tempi, che cosa ci dice o ci ordina Dio oggi, sapere quali sono i problemi, i valori e i bisogni di oggi, ma occorre anche la memoria del passato, occorre conservare i valori immutabili e il deposito della fede, occorre recuperare ciò che abbiamo dimenticato e senza di cui non possiamo vivere.

Quando Paolo dice: «dimentico del passato e proteso verso il futuro» (Fil 3,13), non si riferiva al deposito della fede, ma ai propri peccati perdonati. Senso della storia vuol dire saper discernere nel passato ciò che è da abbandonare e cio che è da conservare ed eventualmente recuperare.

Il difetto dei modernisti è che non riescono a concepire valori stabili, incorruttibili e immutabili, che trascendono il tempo. Per loro muta la natura dell’uomo, muta il significato dei dogmi, muta la norma morale, muta anche Dio. Muta tutto.

Nessuno nega che esista una verità temporale ed è certo questa la verità storica e la verità della storia. Ma curiosamente modernisti e passatisti convengono assieme nell’ignorare che cosa è la verità, confondendola rispettivamente con la storia o con l’abitudine. I modernisti confondono il progresso con la sovversione. I passatisti confondono la conservazione con la retrocessione. Entrambi, invece di conciliare tradizione e progresso, li oppongono fra di loro, sia bloccando il progresso, sia mummificando la conservazione.

Immagine da Internet: Angelus Novus, Paul Klee 

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