Attualità di Giordano Bruno - Prima Parte (1/5)

 

Attualità di Giordano Bruno

Prima Parte (1/5)

 

Dedicato al Maestro dell’Ordine dei Frati Predicatori,

Fra' Gerard Francisco Timoner III

 

Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi

Mt 19,6

 

Il vostro parlare sia sì, sì, no, no

Mt 5,37

 

Perché il Papa fu così severo?

Il pensiero di Giordano Bruno, col suo caratteristico panteismo prometeico. è ancor oggi attuale per quei filosofi e teologi, oggi numerosi ed influenti, i quali, nell’intento di esaltare la dignità umana, si spingono talmente avanti e salgono talmente in alto, che non appare più la differenza fra la natura umana e la natura divina, ma il risultato di tale operazione non è tanto quello di credere di essere Dio, che è cosa tanto insensata, che essi stessi se ne rendono conto, quanto piuttosto è quello di credersi dispensati dall’obbedienza alla legge divina e di ritenersi liberi di regolarsi per conto proprio. Non dispiace loro tuttavia di immaginare un Dio conforme allo spirito del mondo, adatto alle loro voglie, che soddisfi i loro desideri carnali e le loro ambizioni corrotte dal peccato originale.

Oggi pensatori di tal genere riscuotono successo anche in ambienti cattolici e pochi sono coloro che sanno scoprire e confutare le loro insidie. Viceversa, all’epoca di Bruno c’erano pastori, ben preparati nella dottrina, dotati di forte acume critico e energici nel prendere provvedimenti, i quali avvertivano con maggior preoccupazione la gravità dei pericoli spirituali e intervenivano con una severità che a noi oggi giustamente appare anche esagerata.

Per questo ci chiediamo quale danno mai la Chiesa temeva dall’opera di Bruno per arrivare lei, madre di misericordia, a una misura così grave da sopprimere la vita di un pensatore colto e fecondissimo, le cui opere, per quanto inquinate dall’errore,  potevano pur sempre offrire quanto meno stimoli di discussione o appelli all’approfondimento e chiarimento dei più ardui interrogativi, che riguardano gli ideali che attraggono la mente e la volontà dell’uomo, il senso ultimo della nostra vita, la meta ultima del nostro operare, le radici prime dell’esistenza nostra e del mondo, il governo e l’animazione dell’universo, le forze che agitano i moti della natura, l’eredità lasciataci dai saggi dell’umanità sin dall’antichità, la via per acquistare potere sulla natura e sugli uomini.

Per capire le considerazioni che indussero il Papa ad irrogare la pena di morte per Bruno, occorre che ci mettiamo dal punto di vista della Chiesa medioevale, che aveva netta la percezione del danno oggettivo fatto alle anime dall’eresia, così come oggi conosciamo il danno che fa un virus come quello del covid. 

I medioevali quindi ragionavano a questo modo: per bloccare la diffusione dell’eresia, occorre fermare il principio che la produce, occorre cioè che l’eretico ostinato che la diffonde, atteso che non ascolta ragione e non si pente, sia costretto con la forza a cessare la sua azione malefica, cosicchè non abbia più alcun modo di portarla avanti. E quale mezzo più efficace per ottenere ciò della pena di morte? Questa argomentazione è ancora sostenuta dal Domenicano Vincenzo Pani, Commissario del Sant’Uffizio, nel suo libro Della punizione degli eretici e del Tribunale della Santa Inquisizione, pubblicato nel 1789.

Sappiamo bene come la Chiesa ha mutato condotta oggi nei confronti degli eretici. Ma si è passati da un eccesso all’altro. L’eresia sembra essere semplicemente un modo diverso di essere cristiano. Non ci si rende più conto della pericolosità dell’eresia. Addirittura certi pastori non si accorgono neppure che quel dato teologo è un eretico.

I pastori, per non essere troppo severi sono diventati troppo indulgenti, per non essere rigidi, sono diventati lassisti, per non essere intransigenti, sono diventati opportunisti, per non essere troppo zelanti sono diventati negligenti, per non essere aggressivi sono diventati paurosi.

La grave questione in gioco è come conciliare l’esigenza dell’oggettività della verità con la soggettività della persona. Il Medioevo, per custodire l’oggettività offende la soggettività. Oggi, per rispettare la soggettività, si offende l’oggettività. Non siamo ancora riusciti a trovare la via giusta. Modestamente, propongo alcune idee al riguardo nel mio libro La questione dell’eresia oggi, Edizioni VivereIn, Monopoli (BA), 2008.

Non occorre aver fretta di giudicare l’eretico, ma occorre cominciare con l’essere fratello, medico e padre con carità, mitezza, dottrina, pazienza, persuasività e costanza.

Una riflessione per i Domenicani

Noi Domenicani siamo abituati e abilitati per la nostra stessa formazione ricevuta ad utilizzare il pensiero pagano e non-cristiano per praticare un dialogo con gli uomini del nostro tempo, al fine di condurli a Cristo, ma si richiede dal Domenicano in questa attività difficile e rischiosa, una speciale capacità di discernimento per saper trovare la verità sotto l’apparenza dell’errore e l’errore sotto l’apparenza della verità, per sapere che cosa assumere e che cosa respingere di quel pensiero, per non contaminare la dottrina cattolica e per sapere ad un tempo presentarla e diffonderla in modo persuasivo utilizzando quelle verità e nozioni naturali e precristiane, filosofiche o di senso comune, che l’interlocutore già possiede.

E infatti una sana filosofia e una sana ragione conducono alla religione, alla fede, alla teologia, ai buoni costumi e ad entrare nella Chiesa, mentre, una falsa filosofia, una ragione gnostica, superba e capziosa, e un animo disonesto e sleale sono fatti per bloccare e guastare tutto ed anzi per suscitare contro quei valori l’odio e il disprezzo. È quello che purtroppo è successo a Bruno.

Certo, oggi ci domandiamo: d’accordo, era un eretico pericoloso; ma era proprio necessario mandarlo al rogo? Anche oggi abbiamo filosofi e teologi sul tipo di Bruno, ammirati e seguìti, ed occupano cattedre accademiche, ma certo oggi noi cattolici in questi casi ci limitiamo, quando lo facciamo o sappiamo farlo, ad un’opera di denuncia, di chiarimento, di smascheramento, di confutazione e di correzione, assumendo gli elementi positivi e tentando un dialogo con i loro seguaci, benchè tale dialogo spesso sia impossibile a causa della loro albagia, alterigia e supponenza.

Il Card. Bellarmino aveva estratto dalle opere di Bruno otto proposizioni, alle quali Bruno, se voleva evitare la pena capitale, avrebbe dovuto abiurare. Purtroppo abbiamo perduto l’elenco. Ci è rimasta la prima proposizione, nella quale Bruno respingeva la dottrina della transustanziazione.

Sappiamo che Bruno aveva preparato un memoriale in sua difesa per Papa Clemente VIII, ma purtroppo è andato perduto anche quello. Anche gli atti del processo, durato sette anni, sono andati perduti perché Napoleone stoltamente li fece distruggere.

È una cosa tristissima non poter disporre di quei preziosissimi documenti, perchè avremmo potuto confrontare le posizioni, le accuse e i passi del Tribunale con le mosse di Bruno e gli argomenti da lui addotti, la cui vicenda interiore ed esteriore non può non suscitare nell’animo di ogni buon cattolico o studioso onesto un moto di compassione mista a sdegno.

Diciamo peraltro che Bruno non voleva essere giudicato in base ai dogmi della fede col pretesto egli aveva voluto fare solo filosofia. Ma dimenticava che in fin dei conti egli era un sacerdote apostata e che la sua filosofia, propugnando il panteismo, con ciò stesso cadeva in uno gnosticismo empio che pretendeva di conoscere Dio meglio di Gesù Cristo.

Inoltre c’erano da considerare le conseguenze pratiche delle idee di Bruno: la concezione panteista che innalza l’uomo al livello di Dio chiaramente concepisce una morale che non è basata sulla volontà di Dio, ma sulla volontà dell’uomo. E la messa in pratica di tali idee l’abbiamo sempre sotto gli occhi considerando i peccati e le ingiustizie che sempre noi commettiamo. 

Bruno fu punito con la morte così come si punisce con la morte un assassino o un terrorista. E infatti l’eretico che cosa è e non un assassino delle anime? Resta comunque il fatto della dura severità di quei tempi, che oggi la Chiesa non accetta più.  Tuttavia, troppo preoccupata oggi di scusare e di minimizzare, la Chiesa non pare abbia raggiunto una posizione di vero equilibrio circa questa gravissima questione, essendo oggi notoriamente diffusa nelle autorità la pratica di un’indulgenza e una tolleranza che ormai molti spiriti liberali giudicano eccessiva e dannosa. Noi Domenicani siamo particolarmente coinvolti in questo problema. Come condurci? Questo articolo intende dare un contributo alla soluzione di questo problema strettamente connesso con quello della pace nella Chiesa e la salvezza delle anime.

Bruno, se avesse voluto, avrebbe potuto assumere uno stile farisaico continuando a recitare la parte del cattolico e ad amministrare i sacramenti, come fanno oggi i modernisti e i rahneriani, senza intima e seria convinzione di fede, ma facendo il sacerdote come si fa il droghiere o l’avvocato, per semplice convenienza umana o interesse economico o per motivi di prestigio sociale. Se non altro per evitare l’intervento dell’Inquisizione.

Oggi come allora il farisaismo prospera, benchè per motivi differenti: mentre ieri il farisaismo era incentivato dalla necessità di sottrarsi alla sorveglianza di una occhiuta Inquisizione, oggi abbiamo semmai l’Inquisizione modernista, che genera un farisaismo alla rovescia, per il quale un timido e segreto desiderio di onestà si nasconde dietro idee e comportamenti eterodossi apertamente manifestati o addirittura sbandierati.

Bruno, dal canto suo, era incapace di fingere recitando due parti: quel panteismo che aveva nell’animo, lo manifestava apertamente, convinto di svolgere una missione storica, per cui intendeva pubblicizzarlo al massimo, come fosse dovere di coscienza e verità assoluta, gli fosse costato anche la vita, come appunto sarebbe avvenuto. Se si può parlare di finzione in Bruno, fu l’impostura di voler dare ad intendere di essere mandato dagli dèi per illuminare l’umanità.

Oggi, come è noto, la situazione si è rovesciata: ieri noi Domenicani eccellevamo in tutta la Chiesa per la nostra fedeltà al Papa, per la nostra preparazione teologica ed ortodossia dottrinale, ma eravamo troppo severi, intolleranti e a volte anche crudeli nei confronti degli eretici.

Oggi siamo diventati miti e dialoganti, ma siamo diventati anche scettici ed opportunisti. Da feroci cani da guardia siamo diventati miti e innocui cagnolini da salotto, nella convinzione di essere la punta avanzata del progressismo ecclesiale.

Perchè Bruno si fece Domenicano?

Per capire il significato della degli intenti, della personalità e dell’opera di Bruno occorre capire il perché si era fatto domenicano fino a giungere al sacerdozio. Si notano in lui alcune caratteristiche della spiritualità domenicana: il radicalismo  dell’intelligenza speculativa, che prova gusto nell’affrontare e risolvere i problemi filosofici, l’esigenza di rigore scientifico, il bisogno di certezza intellettuale e di approfondire le questioni, la sete di apprendere dalla dottrina dei sapienti, la sensibilità ai grandi problemi dello spirito, la passione per la discussione, la forza nel sostenere le proprie idee, il gusto del ragionare e dell’indagare, il gusto nell’attività del persuadere, nel dimostrare e nel convincere,  la capacità critica nello svelare e confutare gli errori, la capacità didattica ed espositiva.

Tuttavia questi atteggiamenti nella vita domenicana esigono di essere temperati e moderati da un opposto indirizzo spirituale, che ha lo scopo di impedire che questi atteggiamenti siano infetti dalla superbia, conformemente all’avvertimento di S.Paolo: “scientia inflat, caritas vero aedificat” (I Cor 8,1).

Tale temperamento proviene da un’umile e onesta soggezione del proprio pensiero alla realtà, dalla disponibilità a riconoscere i propri errori, dall’ascolto degli altri e della volontà divina, da un’ardente carità, dalla purezza dei costumi  e dall’esercizio di  tutte le virtù, come è insinuato nell’inno a San Domenico che i frati cantano tutte le sere, prima del riposo notturno: “O lumen Ecclesiae, doctor veritatis, rosa patientiae, ebur castitatis, aquam sapientiae propinasti gratis, praedicator gratiae, nos junge beatis!”.

Giordano, consapevole delle sue eccezionali capacità intellettuali ed oratorie, entrò nel grande convento di San Domenico Maggiore di Napoli per dar soddisfazione a queste grandi aspirazioni, ma infetto nel contempo da un’eccessiva autostima, da un segreto forte desiderio di emergere e di autoaffermazione, un gran desiderio di crearsi una fama e di influire sugli altri con dottrine inaudite e apparendo un genio straordinario.

Fu così che nella ricca biblioteca del convento, che custodiva anche molte opere di autori pagani, ebrei e musulmani, si ingolfò, indipendentemente dall’obbedienza ai suoi formatori, nella pericolosa lettura di opere non cristiane ed anzi addirittura anticristiane, come per esempio le opere attribuite a Ermete Trismegisto, trattati di magia e in generale gli autori greci e romani.

Ricevette bensì la normale formazione scolastica improntata al pensiero aristotelico-tomista, ma infetto dalla superbia e dallo gnosticismo pagano, giudicò rozze puerilità i dogmi che gli venivano illustrati, come per esempio quello della Santissima Trinità.

Il caso di Bruno è il caso emblematico di perdita della fede. Tra noi c’è chi non vuol credere, e questo è l’incredulo, rimproverato da Cristo. E c’è chi a un certo punto, ingannato dal diavolo, come Adamo ed Eva, o falsifica la fede, e questo è l’eretico; o abbandona la sequela di Cristo, e questo è l’apostata, credendolo un impostore e convinto di aver trovato la verità meglio di Cristo.

 Non accetta più Dio e vuol essere dio a sé steso. Non ha bisogno di Dio perché basta a e stesso. Sono gli empi, i superbi, gli atei, i materialisti, gli agnostici, gli gnostici, i panteisti, i satanisti, i nichilisti, gli idolatri, i politeisti.

Potremmo chiederci che ne è degli ebrei, dei musulmani, degli induisti. Un conto però è quello di chi, avendo creduto, abbandona o falsifica la fede e quello di chi non vuole o non sa credere a Cristo, non capisce perché dovrebbe credere a Cristo o, senza averne colpa, ne fraintende l’identità. C’è così chi serve Cristo senza saperlo.

Giovanni Gentile dice che Bruno abbandonò il vecchio Dio trascendente medioevale della fede per abbracciare il «nuovo Dio» immanente del Rinascimento e dell’«età moderna» della ragione. E non si chiede se rifiutare la fede è ragionevole o non piuttosto una stoltezza. Non si chiede se per caso questo nuovo Dio non sia il «dio di questo mondo», cioè il diavolo, del quale parla San Paolo, che presenta un falso Cristo o acceca la mente perché non veda il volto di Cristo?

Ai tempi di Giordano Bruno non è come oggi che per negligenza e mancanza di perspicacia dei Vescovi molte eresie circolano tranquillamente fra i cattolici, mentre quei pochi che se ne accorgono vengono bollati come reazionari preconciliari. Allora i Superiori erano dotti, vigilanti e fedeli al Magistero.

Per la forte vigilanza delle autorità e la generale buona formazione dei fedeli, soprattutto i Domenicani, l’ambiente ecclesiale non era affatto suscettibile di lasciarsi ingannare da impostori, ma reagiva ad essi in maniera dura, anche troppo severa e polemica. È quello che capitò al giovane Giordano. Avendo suscitato opposizioni durissime, egli pensò di rifugiarsi al Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma.

A Roma avvenne un fatto gravissimo, che ci ricorda come le discussioni sull’eresia allora mettevano a repentaglio la vita stessa delle persone: un confratello giunto da Napoli probabilmente con l’intento o l’incarico di mettere in guardia i frati di Roma o di esortarli a prendere provvedimenti, fu trovato cadavere nel Tevere.

Bruno fu implicato? Egli negò qualunque addebito circa il tragico fatto. Ma è possibile, con le idee che aveva, che abbia mentito o che abbia in realtà favorito il delitto. Questo ci dice qual era il clima di allora; all’estremismo di allora corrisponde oggi un estremismo di segno opposto come quello di oggi, allorchè gli eretici si formano i loro seguaci senza che alcuno li disturbi, ed anzi applauditi e riveriti dai loro discepoli come campioni della fede.

Dobbiamo allora dire che furono le suddette qualità di umiltà ed onestà del Domenicano che purtroppo mancarono a Bruno, il quale scambiò il guardare e mirare in alto con l’autoesaltazione, l’elevazione senza misura del proprio io. Scambiò la sublimazione e nobilitazione del pensiero con la superbia, l’esibizionismo, il narcisismo.

Scambiò la volontà di potenziarsi con quella di sopraffare, il desiderio di distinguersi col voler primeggiare,  il progredire, il trascendere e superare se stessi con l’attentare alla trascendenza divina, l’autocoscienza con l’autoreferenzialità, l’affermazione di sè con l’arroganza, l’empietà e la prepotenza,  la dimostrazione con la manipolazione, il saper vantarsi con la presunzione e la spacconata,  il coraggio con la temerarietà, la sapienza con la saccenteria, la certezza con la sicumera, l’abilità dialettica con la sofistica e l’arte di truffare gli altri.

Bruno, mosso da questi intenti malsani e fraintendendo in modo così grave lo spirito domenicano, non poteva a un certo punto non mettersi in urto col proprio Ordine e incontrare da esso opposizioni. A quei tempi  i Dominicani, educati al pensiero di San Tommaso e rigorosamente fedeli al magistero della Chiesa,  erano in possesso di un acume critico e di un discernimento maggiori di quanto capita oggi, allorchè ingannati da un concetto sbagliato del pluralismo, da un malinteso rispetto delle idee altrui o della diversità, non ci si accorge di chi semina l’errore e ci si lascia facilmente sedurre, entusiasmare o confondere da abili sofisti che danno l’apparenza della genialità speculativa o dell’originalità innovatrice. I pochi che si accorgono dell’inganno, suscitano le ire dei seguaci, sono considerati dei sorpassati e degli invidiosi e vengono ignorati, disprezzati ed emarginati.

Molto interessante, per capire Bruno, è il confronto con Lutero. Entrambi risentono del clima rinascimentale dell’io che sente immanente in sè Dio e sente quindi in sé la forza e la volontà di salire alle altezze e di rendersi manifestazione e strumento di questa infinita potenza che è convinto che sia presente ed attiva in lui. Per Lutero questa forza è Cristo, per cui resta cristiana; per Bruno, influenzato dalla gnosi panteista pagana, è l’Uno-Tutto, l’Universo, per cui abbandona la fede cristiana.  Lutero sale a Cristo al di là del Papa; Bruno sale all’Uno al di là di Cristo. Lutero esalta la fede contro la ragione; Bruno esalta la ragione contro la fede.

Come mai la ribellione alla Chiesa? Lutero non ha mai capito il sacramento della penitenza, come in esso confluiscono la misericordia e la giustizia divina. Da qui la Chiesa senza il Papa, il sentimento al posto della ragione, l’emozione al posto della volontà, la fede senza le opere, la Scrittura senza la Tradizione, la grazia senza la natura, la mistica senza la virtù, la salvezza senza i meriti.

Entrambi si ribellarono alla Chiesa. Lutero trovò subito l’ambiente pronto ad accoglierlo. Bruno subì ostilità e si rifugiò nei paesi protestanti. Ma anche là il successo gli sarebbe venuto solo col romanticismo e l’idealismo tedesco.

Meister Eckhart e Giordano Bruno

Due Domenicani[1]

Altra considerazione importante da fare per capire Bruno è il confrontarlo con Meister Eckhart. Per un verso c’è tra loro due un profondo punto di contatto spirituale, sempre relativo alla loro scelta domenicana, ma per un altro verso, dal punto di vista dottrinale e morale, c’è un abisso.

Entrambi sono animati dal radicalismo intellettuale tipico del Domenicano, la cui mente, anche senza titoli accademici, fosse quella un fratello cooperare o un laico o una monaca claustrale, si muove spontaneamente nell’orizzonte della metafisica e nel pensiero dell’assoluto, dell’eterno e dell’infinito come il pesce nell’acqua.

Entrambi sono coinvolti nella questione del panteismo. Il panteismo di Bruno è reale, voluto, cosciente, borioso, intenzionale e quindi certamente colpevole; mentre quello di Eckhart è un panteismo oratorio, retorico o di linguaggio o come espressione linguistica. Si tratta cioè di una maniera esageratamente enfatica di parlare del vertice mistico della vita cristiana, che genera frasi che così come suonano, avulse dal contesto, sono di carattere panteistico, e come tali sono state censurate dalla Chiesa; ma che non rispecchiano l’intenzione di Eckhart, uomo di fede e di santa vita. Eckhart fu sacerdote fervoroso, innamoratissimo di Cristo, zelante guida di anime, perfetto osservante della regola domenicana, diligente esecutore di vari uffici e incarichi nell’Ordine, molto amante della preghiera e delle pratiche ascetiche.

Ben diversi furono i costumi morali di Bruno, non certamente lodevoli. Egli non solo abbandonò l’Ordine, ma la stessa fede cristiana, per promuovere un umanesimo tracotante e trasgressivo, empio, superstizioso e rovinoso. Il suo peregrinare per l’Europa protestante dopo la fuga dall’Italia cattolica fu un susseguirsi di scontri, di litigi, di ripicche e di polemiche.

Si vede che in Eckhart il panteismo non è che un incidente di percorso, mentre in Bruno il panteismo deriva da una precedente tradizione pagana, è l’anima di tutto il suo sistema, che lo porta ad essere accanito ed empio nemico del cristianesimo, verso il quale ha toni beffardi e di sommo disprezzo.

Fine Prima Parte (1/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 agosto 2025

Festa di San Domenico

Il Card. Bellarmino aveva estratto dalle opere di Bruno otto proposizioni, alle quali Bruno, se voleva evitare la pena capitale, avrebbe dovuto abiurare. Purtroppo abbiamo perduto l’elenco. Ci è rimasta la prima proposizione, nella quale Bruno respingeva la dottrina della transustanziazione.

Sappiamo che Bruno aveva preparato un memoriale in sua difesa per Papa Clemente VIII, ma purtroppo è andato perduto anche quello. Anche gli atti del processo, durato sette anni, sono andati perduti perché Napoleone stoltamente li fece distruggere.

È una cosa tristissima non poter disporre di quei preziosissimi documenti, perchè avremmo potuto confrontare le posizioni, le accuse e i passi del Tribunale con le mosse di Bruno e gli argomenti da lui addotti, la cui vicenda interiore ed esteriore non può non suscitare nell’animo di ogni buon cattolico o studioso onesto un moto di compassione mista a sdegno.

Diciamo peraltro che Bruno non voleva essere giudicato in base ai dogmi della fede col pretesto egli aveva voluto fare solo filosofia. Ma dimenticava che in fin dei conti egli era un sacerdote apostata e che la sua filosofia, propugnando il panteismo, con ciò stesso cadeva in uno gnosticismo empio che pretendeva di conoscere Dio meglio di Gesù Cristo.

Immagine da Internet:  Monumento a Giordano Bruno, Campo de' Fiori, Roma


[1] Credo che si possa inserire anche Bruno – naturalmente con le dovute riserve - nella storia dei teologi domenicani per i motivi che ho detto sopra. Egli avrebbe potuto diventare un grande e santo Domenicano. La stoffa l’aveva, ma se non fosse stato che non seppe evitare quei rischi dei quali ho parlato. Ho sostenuto questa tesi che riprendo adesso nel mio libro Teologi in bianco e nero. Il contributo della scuola domenicana alla storia della teologia, Edizioni Piemme, 2000.

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