San Paolo VI e Rahner
Un duello a distanza per la guida della Chiesa
Seconda Parte (2/3)
Meriti e difetti di Rahner
Indubbiamente interpretare il pensiero di Rahner non è sempre cosa facile. È molto comprensibile quindi l’esistenza di opposte interpretazioni. Spesso il suo periodare è complesso, pieno di frasi dipendenti, le quali, se da una parte precisano il pensiero dell’autore, capita però dall’altra che lo rendano sfuggente.
È chiaro che l’interpretazione benevola, richiesta dalla giustizia e dalla carità, è doverosa, per quanto possibile, per Rahner come per qualunque altro autore. Tuttavia in certi casi, nonostante tutta la buona volontà, è impossibile non notare l’errore. Questo però si fa contestualizzando e collegando il testo con altri testi, perché, isolatamente preso, il discorso può apparire ortodosso.
Appare invece l’eterodossia mediante il confronto con altri testi, e questo dipende dal fatto che Rahner usa per lo più i termini teologici tradizionali, ma dà ad essi un altro senso, per cui uno che trova quel termine, non nutre alcun sospetto. Ma se va a guardare altrove dove Rahner spiega che cosa intende con quella parola, si accorge dell’eterodossia. Per capire veramente Rahner, occorre quindi la pazienza di leggerlo molto, come sto facendo io da quasi 50 anni, perché non si accorge degli errori chi lo ha letto poco.
Un'altra cosa da notare è che non esiste solo il rahnerismo dotto, di difficile comprensione, diffuso nelle facoltà di teologia, ma c’è anche un rahnerismo in versione popolare, che tutti capiscono, soprattutto quelli che sono attaccati a se stessi e ai beni di questo mondo, e che non vedono niente al di à dei confini della vita presente. Si tratta di ciò che costituisce il buonismo, il relativismo morale e religioso, il lassismo, il permissivismo, l’individualismo, il biblicismo, l’antipatia per la tradizione, il disprezzo per la dottrina e per il dogma, il liberalismo politico, la mistica confusa col sentimento, l’arbitrarismo liturgico.
Come si spiega questo fatto impressionante e inaudito in tutta la storia della teologia, che un grande teologo che ha contribuito alla formazione di un grande Concilio sia al contempo un eretico? Sono i misteri dell’animo umano. Non dobbiamo chiederci come sia possibile. Contra factum non valet argumentum.
Nostro dovere è molto semplice: assumere da Rahner il positivo e respingere il negativo, cosa che del resto si deve fare nei confronti di qualunque autore, giacchè anche in San Tommaso o in Sant’Agostino ci sono degli errori ed anche in Nietzsche o nei discorsi di Hitler ci sono delle verità. Ricordiamo brevemente gli errori più noti di Rahner.
1. Cristiani anonimi. Siccome per Rahner l’uomo è atto della potenza obbedienziale alla grazia e spirito il cui orizzonte è Dio, ogni uomo, anche l’ateo è cristiano, magari senza rendersene conto o atematicamente.
2. Svolta antropologica. È la svolta gnoseologica dall’oggetto al soggetto, inaugurata da Cartesio attraverso Kant e completata da Hegel. È il passaggio dal realismo all’idealismo e quindi da Dio all’uomo, che caratterizza la filosofia moderna. Oggi il cristiano per essere moderno deve far propria questa svolta.
3. Esperienza trascendentale. È l’esperienza preconcettuale ed atematica del sé, dell’essere e di Dio caratterizzante l’uomo come tale. È un conoscere libero autocosciente identico all’essere. Rahner la chiama anche Vorgriff. Essa riassume la stessa esistenza umana perdonata in quanto orientamento al Mistero assoluto, che è Dio.
4. Il soprannaturale. È il piano della fede e della grazia, che Rahner concepisce come esistenziale storico-concreto dell’essenza umana, soggetto della autocomunicazione divina, per cui il soprannaturale è il vertice od orizzonte dell’autotrascendenza umana o della natura umana come astratta possibilità di essere.
La condotta di Paolo VI nei confronti di Rahner
Paolo VI, più colto in teologia di Papa Roncalli e più sensibile alle esigenze della filosofia. e nel contempo più informato sulla situazione del pensiero moderno, intuì meglio di Papa Giovanni quale era il compito del Concilio ispirandosi a Maritain, il quale ormai da 50 anni, senza pensare a chiedere la convocazione di un Concilio, stava proponendo appunto ciò che il Concilio avrebbe realizzato, e cioè l’elaborazione di una nuova teologia e una nuova visione del cattolicesimo basata sull’assunzione dei valori della modernità alla luce del pensiero di Tommaso d’Aquino.
Paolo VI fu colpito anche dal pensiero di Rahner, il quale, con straordinaria abilità dialettica e sfoggio di cultura, affettava di compiere un’operazione simile; ma non si accorse o pare che non si sia accorto che il metodo rahneriano non aveva quella lealtà e limpidezza che aveva quello di Maritain, perché mentre questi seppe riconoscere i valori della modernità in piena fedeltà a Tommaso, Rahner, già fin dal 1939, sotto colore di interpretare Tommaso meglio dei suoi commentatori del passato, interpretò la gnoseologia e la metafisica tomiste in senso kantiano, hegeliano ed heideggeriano con tale insidiosa abilità, che alla fine veniva fuori un Tommaso non realista ma idealista, non teista ma panteista. Fabro nel 1974 denunciò con una critica rigorosissima, limpida ed onesta l’enorme truffa.
Rahner fu ammesso tra i periti del Concilio da Giovanni XXIII e per la verità egli si fece subito stimare da parte dei Padri progressisti. Paolo VI lo fece membro della Commissione teologica internazionale, ma dopo pochi anni se ne andò dopo aver litigato con i colleghi.
Purtroppo la seduzione rahneriana dopo il Concilio fece presa negli ambienti cattolici e, nonostante l’intervento critico di molti teologi veramente tomisti e fedeli alla Chiesa, questo fascino di Rahner perdura ancora ed è duro da morire, con enorme pregiudizio per la genuinità della dottrina e dei costumi cattolici, nonché della pace e della concordia della Chiesa, divisa tra antirahneriani passatisti anticonciliaristi e rahneriani modernisti e falsi conciliaristi.
Sappiamo come San Paolo VI per tutto il corso del suo pontificato non ci ha parlato mai di Rahner. Si tratta di una cosa sorprendente, se consideriamo la fama internazionale di questo teologo, gli ampli e continui accesi dibattiti che già allora fervevano sul suo conto, nonchè l’importante contributo che egli dette ai lavori del Concilio, oggetto di alta stima da parte di molti Padri del Concilio.
Paolo VI dev’essere stato certamente informato del pericolo che costituiva il pensiero di Rahner per la Chiesa e per la fede. Una cosa che non riesco a capire è come mai, egli che era aperto al dialogo, non pensò mai di convocare Rahner ed avere con lui un franco colloquio da padre a figlio, da vero buon pastore, per parlargli con franchezza ed esortarlo a mettere veramente a servizio della Chiesa i doni straordinari e le eccellenti qualità che Dio gli aveva dato.
Diversi teologi – per esempio Lakebrink, Fabro, Ciappi, Julio Meinvielle, Alberto Galli, Guido Casali, Gherardini, Ols, Composta, Malachi Martin. Piolanti, e Cardinali, per esempio Scheffczyk, Parente, Ottaviani, Cento, Pizzardo, Ruffini, Siri si erano accorti del pericolo che costituiva Rahner. Non ha pensato di farsi aiutare per cercare di persuaderlo a correggere la sua condotta e le sue idee?
È vero che Rahner riscuoteva successo tra i teologi progressisti; ma non si era accorto che le sue idee favorivano la contestazione al suo magistero?Che falsificavano la vera interpretazione del Concilio? Che costituivano un ritorno di modernismo?
È vero che Rahner godeva della protezione di potenti Cardinali riformatori come Willebrands, Suenens, Alfrink, Bea, Garrone, Léger, Döpfner, König, come poi successivamente lo saranno Lehmann, Martini e Kasper. Ma non si era accorto che questi Cardinali tendevano a confondere progressismo con modernismo? Non aveva notato che Rahner godeva delle simpatie di teologi modernisti come Küng, Metz, Schillebeeckx e Boff? È vero che gli attacchi contro Rahner venivano soprattutto dai lefevriani che vedevano nel modernismo di Rahner un supposto modernismo del Concilio, per cui censurando Rahner, il Papa avrebbe potuto dare l’impressione di essere contro la riforma conciliare.
Egli sapeva distinguere la vera interpretazione del Concilio da quella che ne faceva un rinnovato modernismo. E tuttavia non ebbe mai l’idea o la forza di affrontare con Rahner un dialogo franco e paterno, magari facendosi aiutare da quei teologi che si erano accorti degli errori. Come mai non lo fece? La risposta probabilmente è che è vero che Rahner era il principale responsabile del ritorno di modernismo col pretesto del Concilio, ma insieme con lui c’erano molti altri teologi.
In secondo luogo probabilmente Paolo VI non se la è sentita di confrontarsi con Rahner essendosi accorto ad un tempo della sua arroganza e della sua abile sofistica. In terzo luogo, è probabile che il Papa non abbia compreso la pericolosità de princìpi metafisici e gnoseologici di Rahner, anche se la cosa desta un po’ di meraviglia, giacchè Fabro già nel 1974 li aveva dimostrati con estrema chiarezza.
In quarto luogo il Papa si era accorto che nella Compagnia di Gesù esisteva una forte corrente favorevole a Rahner, per cui, pur richiamando la Compagnia all’obbedienza al Papa, pensò che fosse meglio dar fiducia alle risorse positive piuttosto che intervenire con un provvedimento di correzione[1].
Un’altra cosa che meraviglia è che il Papa esortò più volte caldamente la Compagnia di Gesù retta dal Padre Pedro Arrupe a correggere le deviazioni esistenti al suo interno, tra le quali quelle di Rahner erano le più gravi, anche se non le più evidenti, perchè egli sapeva nasconderle bene sotto un linguaggio di alta spiritualità che pareva continuare gli insegnamenti del Concilio.
Meraviglia anche come mai il Padre Arrupe, Preposito della Compagnia, insieme al Papa non abbiano mai trattato seriamente della enorme questione Rahner, il quale, se da una parte era noto come uno dei grandi protagonisti del Concilio, dall’altra – per quanto ciò potesse apparire paradossale – era la causa principale del disagio e della conflittualità postconciliare e quindi era, in tal modo, distruttore dei valori del Concilio, valori che faceva apparire come una forma di modernismo.
Da come Rahner parla di S,Tommaso sembra che Rahner sia convinto di elaborare una teologia più avanzata adatta ai tempi moderni e non si accorge che facendo di Tommaso un hegeliano o un heideggeriano fa tornare la teologia ai tempi di Parmenide, di Eraclito, di Pirrone e di Protagora. Certamente occorre assumerei l buono che c’è nell’idealismo, ma va fatto alla luce di Tommaso e non dello stesso idealismo, altrimenti si ricade nell’errore dei modernisti già condannati da Pio X.
Paolo VI non ha affatto riconosciuto Rahner come il maestro del nostro tempo, il grande protagonista del Concilio. Al contrario, nel 1974 pubblicò la Lettera Lumen Ecclesiae, con la quale, mettendosi nel solco di una tradizione pontificia che durava da sette secoli, tornò a raccomandare San Tommaso, certo non la semplice e materiale ripetizione delle sue tesi di fondo - il che sarebbe già molto –, ma un tomismo alla Maritain o alla Congar, ossia aperto al pensiero moderno, nel quale accogliere, alla luce dell’Aquinate, tutto il buono e il vero che si può trovare.
E d’altra parte, Paolo VI con molta franchezza, già dieci anni dopo il Concilio denunciò il fatto che quel progresso spirituale che ci si attendeva dalla riforma conciliare non solo non si stava realizzando, ma che «invece di una primavera era arrivata una tempesta».
Come mai? Il Papa si limitò a denunciare i fatti in modo generico: disobbedienza al Magistero della Chiesa, secolarismo, troppa fiducia nelle proprie idee, disordine morale, permanere delle ingiustizie sociali, spirito di contraddizione e di contestazione, il mettere tutto in dubbio; cose senz’altro vere. Denunciò anche una falsa interpretazione del Concilio, un tradizionalismo gretto e passatista e la pretesa di alcuni teologi di creare una specie di magistero parallelo a quello della Chiesa, creando tra i fedeli sconcerto, apostasie, scismi, defezioni, scandalo, turbamento e confusione.
Per tutto il corso del pontificato di Paolo VI Rahner svolse un’intensissima attività di conferenziere in vari paesi del mondo e pubblicò indisturbato dalle autorità ecclesiastiche e del suo Ordine un’imponente produzione letteraria contenente sì buoni suggerimenti e proposte per l’attuazione del Concilio, ma anche – e questa è la cosa sconcertante - scritti contenenti false interpretazioni del Concilio, errori contro la fede e contro il Magistero della Chiesa, che nulla evidentemente avevano a che fare col Concilio, ma che anzi ne negavano palesemente i contenuti dottrinali e dogmatici.
Ma l’episodio che suscitò un clamore internazionale e portò alla luce, se ce n’era bisogno, il marcio nascosto e un impressionante permanere di modernismo, fu il suo aperto e dissennato dissenso dall’enciclica Humane vitae, documento di altissima importanza che conteneva in modo inoppugnabilmente ragionato e in tono nobilmente pastorale i princìpi cristiani dell’etica sessuale e l’affermazione dell’infallibilità della Chiesa nell’insegnamento dell’etica naturale.
Senonchè Rahner, sapendosi forte dell’appoggio di molti moralisti e addirittura di alcuni Episcopati nazionali, ebbe l’impudenza di ergersi apertamente contro l’insegnamento dottrinale del Papa, questa volta scoprendo le carte, dopo un lungo finto ossequio.
Per quale motivo Paolo VI anche in questa drammatica circostanza non ha rimproverato Rahner? Perché non ha preso occasione per richiamarlo dai suoi errori e non lo ha esortato al rispetto della sana dottrina? Non si accorgeva il Papa dei danni che Rahner stava facendo alla Chiesa? Nessuno glieli riferiva? Non sentiva le critiche fatte a Rahner da dotti prelati e teologi fedeli al Papa?
Credo che il Papa abbia vissuto questa drammatica circostanza rendendosi conto di tutto, e quindi con immensa sofferenza, nel dubbio angoscioso su cosa era meglio fare per il bene della Chiesa e l’onore dell’autorità pontificia, per il bene dello stesso Rahner e dei suoi seguaci, per proteggere la riforma conciliare e per non mancare alla giustizia salvando la misericordia.
Era chiaro ed era noto che Rahner aveva dato al Concilio un importante contributo ed esercitato un ruolo da protagonista. Censurare Rahner, - probabilmente pensò il Papa - quali conseguenze avrebbe potuto suscitare? Non avrebbe scatenato e apparentemente giustificato la reazione contro il Concilio da parte dei lefevriani? Non avrebbe finito col fermare o frenare l’opera riformatrice del Concilio? Paolo VI probabilmente deve aver fatto questo calcolo.
Egli attraverso la CDF non trascurò di condannare alcuni degli errori di Rahner, ma non se la sentì mai di fare il suo nome. D’altra parte è estremamente significativo che non l’abbia mai pubblicamente lodato, come ha fatto invece con Maritain, il quale, benché non abbia mai criticato Rahner, indubbiamente aveva profeticamente proposto ancor prima del Concilio quella riforma che il Concilio stesso aveva attuato.
Durante il pontificato di Paolo VI la CDF ha lavorato per correggere errori e denunciare deviazioni che potevano riallacciarsi alle idee di Rahner, ma il suo nome non è mai venuto fuori, cosicchè i rahneriani hanno potuto prosperare adducendo il motivo che i provvedimenti e i richiami del Papa e della CDF non si riferivano a loro, facendosi forti del fatto che Rahner era stato il grande protagonista del Concilio e traendo da ciò una conclusione più ampia delle premesse, secondo la quale Rahner era il maestro da seguire in tutto per chi vuole il progresso della Chiesa e l’attuazione del Concilio.
È chiaro che il pensiero di Rahner non poteva restare nel piano delle pure idee, ma doveva ben dare i suoi frutti. E così di fatto avvenne. A parte i frutti positivi dipendenti dal contributo che Rahner aveva dato al Concilio, apparvero ben presto nella società, nella condotta morale, sociale e personale, gli effetti pratici del suo hegelismo mascherato da tomismo.
E come dal panteismo hegeliano è venuto fuori, seppur per reazione, il materialismo ateo e rivoluzionario di Marx, così pochi anni dopo la fine del Concilio, nel 1968, esplose in diversi paesi occidentali il famoso episodio della contestazione studentesca, cominciarono a verificarsi numerosissime defezioni dallo stato o religioso o sacerdotale, cominciarono a diffondersi pratiche sessuali licenziose freudiane (si pensi, come simbolo di ciò, l’apparizione della minigonna), cominciarono a scoppiare soprattutto in America Latina, movimenti rivoluzionari sotto pretesto della lotta per la liberazione degli oppressi, scoppiò in Italia e in altri paesi occidentali il drammatico fenomeno del terrorismo comunista. Una teologia che in qualche modo, partendo dal rahnerismo, ha favorito la teologia della liberazione, è la cosiddetta «teologia politica» di Johann Baptist Metz[2].
Il Papa, se non era riuscito a correggere le idee rahneriane e moderniste, ancor meno, come si può immaginare, riuscì a frenare questo movimento sovversivo per non dire sanguinario, che in campo cattolico trovò – guarda caso - ispiratori e guide soprattutto nella Compagnia di Gesù, alla quale apparteneva Rahner.
Solo con l’avvento di San Giovanni Paolo II, grazie alle sue straordinarie decisione, tempestività ed energia, superiori a quelle di Paolo VI, troppo delicato e temporeggiante, questi fenomeni si acquietarono, tranne i disordini nell’America Centrale, soprattutto in Nicaragua, purtroppo in parte ispirati dai Gesuiti e qui di nuovo troviamo l’influsso del pensiero rahneriano, seppure non direttamente ma nelle sue conseguenze pratiche, che ben si sposavano con le idee di Marx. Indubbiamente il sorgere della teologia della liberazione portò anche buoni frutti di diffusione della giustizia sociale e della instaurazione di governi democratici, ma assai gravi furono i danni provocati dagli aspetti marxisti, falsamente fatti passare per cristiani.
Fine Seconda Parte (2/3)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 13 gennaio 2025
La cosa che colpisce per chi conosce come me i documenti del Concilio dal 1966 ed ha iniziato a studiare Rahner dal 1980, giudicando sulla base della conoscenza del pensiero di San Tommaso che ho iniziato a studiare nel 1960, è che, mentre è noto quanta parte abbia avuto Rahner nella formazione dei documenti conciliari, viceversa gli errori di Rahner sono totalmente assenti dalle dottrine del Concilio – cosa del resto comprensibile data l’infallibilità delle dottrine conciliari - mentre sono rintracciabili negli scritti di Rahner, soprattutto quelli del postconcilio, come è stato dimostrato da vari autori, compreso il sottoscritto.
Come si spiega questo fatto impressionante e inaudito in tutta la storia della teologia, che un grande teologo che ha contribuito alla formazione di un grande Concilio sia al contempo un eretico? Sono i misteri dell’animo umano. Non dobbiamo chiederci come sia possibile. Contra factum non valet argumentum.
Nostro dovere è molto semplice: assumere da Rahner il positivo e respingere il negativo, cosa che del resto si deve fare nei confronti di qualunque autore, giacchè anche in San Tommaso o in Sant’Agostino ci sono degli errori ed anche in Nietzsche o nei discorsi di Hitler ci sono delle verità.
Immagine da Interne: https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/index_it.htm[1] La vicenda è narrata dal Gesuita Antonio Caruso, che fu collaboratore di S.Giovanni Paolo II in Segreteria di Stato per 18 anni: Tra grandezze e squallori, Edizioni Vivere In, Monopoli (Bari), 2008.
[2] Cf Marcel Xhaufflaire, Introduzione alla ‘teologia politica’ di Johann Baptist Metz, Queriniana. Brescia 1974.
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