La pace è vicina
Convertitevi e credete al Vangelo
Parte Prima (1/2)
A chi si rivolge questo appello?
Queste famose parole che riassumono tutto il contenuto del messaggio che per comando e dietro l’esempio di Cristo il cristiano lancia agli uomini per la loro salvezza, possono certamente suscitare delle difficoltà e raramente le sentiamo pronunciare dai predicatori.
Infatti ci vengono in mente le seguenti domande: si può comandare a qualcuno di mutare volontà su cose che toccano l’eterno nostro destino? Si può comandare a qualcuno di credere a una rivelazione divina? Può qualcuno comandare ad un altro di credere in lui araldo di tale rivelazione?
Con quale autorità o con quale diritto il cristiano pretende di entrare in un campo così personale o come quello che tocca tutti gli uomini circa il senso della propria vita con la pretesa di dir loro una verità rivelata da Dio? Può qualcuno nel campo delicato della salvezza e del rapporto con Dio comandare a qualcuno di credere in lui e non ad un altro? Comandare di lasciare l’altro per seguire lui?
Tutto ciò comporta nel predicatore la capacità di dimostrare al prossimo che nella questione di fondo del senso della vita e della salvezza questo prossimo si trova nell’errore, sta peccando, sta percorrendo una strada sbagliata, la guida che sta seguendo è una falsa guida. Da qui l’esortazione a seguire lui, che mostra la verità e la vera via del bene e della salvezza.
È chiaro che se il prossimo non è conscio del suo errore, bisogna prima renderlo consapevole dell’errore; se segue volontariamente una via sbagliata o segue falsi maestri oppure se, come dimostra l’esperienza, egli fa resistenza, sarebbe controproducente richiamarlo alla conversione. Dobbiamo esortare a convertirsi solo coloro che sono disposti a farlo e che, avendo fiducia in noi, sono disposti ad ascoltarci e a seguirci.
Noi da parte nostra dobbiamo adottare ogni mezzo per essere persuasivi e renderci credibili e meritevoli di fiducia con l’esercizio di una grande carità, con l’esempio di una vita santa, sforzandoci di comprendere i veri bisogni degli altri e le loro attitudini nel campo delle virtù.
L’appello alla conversione trova risposta e motivo di essere, se è lanciato in quei cuori che già hanno sperimentato l’amarezza e i fallimenti che conseguono nel puntare solo sulle proprie forze per il conseguimento della felicità o della perfezione.
Nel contempo dobbiamo evitare quello che il Papa chiama spregiativamente «proselitismo», inteso come desiderio di assoggettare gli altri, come eccessiva indulgenza o troppa severità verso i peccatori, inducendo a credere non per argomentazioni ma per suggestione emotiva, col presentare la vita cristiana in forma mondana, un farsi cristiano in vista di vantaggi terreni.
Ma l’appello alla conversione, come vediamo dall’insegnamento di Cristo, non è soltanto legato all’annuncio della venuta del regno di Dio, quindi della pace e della misericordia per tutti, ma quell’appello è associato anche a una minaccia di divino castigo: «Se non vi convertite, perirete tutti» (Lc 13,2).
Anzi, il profeta, sull’esempio di Giona, potrebbe direttamente annunciare il castigo come imminente. La cosa che oggi ci sorprende è che gli abitanti della pagana Ninive prendono sul serio le parole di Giona, si convertono, si pentono e fanno penitenza chiedendo a Dio misericordia e sono esauditi.
Oggi in clima di imperante buonismo del tutti-salvi chi penserebbe di imitare la predicazione di Giona? Eppure egli resta sempre un esempio che ci viene proposto dalla Parola di Dio, anche se naturalmente dobbiamo prima verificare se ci troviamo davanti a persone disposte a prenderci sul serio. Diversamente, potremo ricorrere ad altri stimoli o incentivi, ad altre forme di evangelizzazione, eventualmente basate sulla testimonianza di valori umani e lasciando a Dio decidere il come, e il quando correggere o far giustizia, salvo che non voglia far misericordia.
Potremmo forse affrontare un’impresa come l’evangelizzazione, programma che solo un Dio poteva progettare, opera certamente superiore a ogni più alto ideale umano e al di sopra delle forze umane, se non fossimo convinti che Dio stesso ci manda e ci dà le forze necessarie per eseguirla?
Potremmo forse ottenere ascolto, se lo stesso Spirito Santo non aprisse le orecchie del prossimo alle nostre parole e se non muovesse dolcemente ma irresistibilmente il loro cuore all’amore per Cristo e per la Chiesa?
Una volta suscitato, mediante i mezzi adatti, l’interesse per il nostro appello, una volta ottenuta la conversione, ossia una volta che il prossimo comprende di aver sbagliato strada e si volge verso il nostro appello che ha suscitato il pentimento e il desiderio di imboccare la retta via, occorre fornire al prossimo l’istruzione cristiana: inizia l’opera della catechesi, che è l’insegnamento delle verità di fede così come sono interpretate dalla dottrina della Chiesa.
Da notare che se il messaggio evangelico è per tutti, Cristo ci fa altresì presente che non tutti sono disposti o preparati a comprenderlo e ad accoglierlo. Da qui i suoi comandi «Non date le cose sante ai cani! Non date le vostre perle ai porci!».
Chi sono questi «cani» e questi «porci»? Sono – imbarazza dirlo ma è così - quel nostro prossimo, che pure nella volontà di Dio sarebbe destinatario del messaggio, ma che di fatto ha il cuore indurito, orgoglioso e impenitente, che non è disposto e non intende ascoltare il messaggio, il quale anzi gli ripugna e lo odia.
Sono i cuori immersi nei piaceri e nelle attrattive di questo mondo, per nulla interessati a ciò che va ai là dei sensi, alle cose di Dio e dello spirito. O se a loro interessa lo spirito, è solo lo spirito maligno.
Sono gli egoisti, centrati su sé stessi e non in Dio, che vorrebbero ordinare tutto a sé stessi anziché dedicarsi al bene degli altri e alla ricerca di Dio o se operano per il prossimo, lo fanno per dominarlo. Sono i megalomani che divinizzano il loro io e lo mettono al posto di Dio. Credono di spaziare nell’essere e invece non vedono niente al di là del loro naso. Credono che tutta la realtà si esaurisca nelle piccole idee che hanno in testa, al di fuori della quale per loro non c’è nulla.
Quando parlare e quando tacere.
Catechesi, mistagogia e martirio
Ora però sorge un problema: se in certi casi è meglio tacere per non essere assaliti dagli empi, che senso ha il martirio? Stefano non si immaginava che se avesse proclamato di vedere Cristo alla destra del Padre, gli sarebbero saltati addosso? Sapeva che non sarebbe stato capito.
Perché allora ha parlato? Occorre distinguere quando, sapendo in anticipo di non essere apprezzati, bisogna parlare e quando bisogna tacere. Bisogna parlare se il pagare con la vita il parlare è compreso come testimonianza di fede e va a beneficio per coloro che avendo notizia del martirio, ne traggono conforto per la fede e sono edificati dalla testimonianza del martire, sì da essere invogliati ad imitarlo. Allora le perle e le cose sante non sono gettate ai porci e ai cani, ma santificano i fedeli o coloro che sono disposti a credere.
Invece si deve tacere se il parlare avesse come unico effetto la reazione degli empi e non ci fosse alcun fedele o potenziale credente ad accogliere il messaggio del predicatore, oppure se l’insegnamento nella sua elevatezza dovesse essere troppo alto per il livello spirituale dei fedeli.
Fine Prima Parte (1/2)
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 19 marzo 2025
Oggi
in clima di imperante buonismo del tutti-salvi chi penserebbe di imitare la
predicazione di Giona? Eppure egli resta sempre un esempio che ci viene
proposto dalla Parola di Dio, anche se naturalmente dobbiamo prima verificare
se ci troviamo davanti a persone disposte a prenderci sul serio.
Immagine da Internet:
- Profeta Giona, Michelangelo
Mi disse: «Figlio dell'uomo, io ti mando agli Israeliti, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri hanno peccato contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: Dice il Signore Dio. Ascoltino o non ascoltino - perché sono una genìa di ribelli - sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro.
RispondiEliminaCaro Angheran,
Eliminaper quale motivo mi ha inviato la citazione di questo passo biblico?