Il concetto dell’essere in San Tommaso ed Heidegger
Distinzioni tomistiche
L’essere può essere sostanziale o accidentale. L’essere è «l’attualità della sostanza o dell’essenza»; «dico che l’essere sostanziale non è un accidente, ma è l’attualità di qualunque forma sussistente (existentis)».
L’essere può essere materiale o spirituale. «Ciò che è primariamente materiale è la materia prima e ciò che è primariamente formale è l’essere»; «non c’è nulla di più formale e più semplice dell’essere»; «lo stesso essere è il complemento della sostanza sussistente (existentis); «ogni cosa infatti è in atto per il fatto che ha l’essere»; «le perfezioni di tutte le cose riguardano la perfezione dell’essere. In tanto infatti qualcosa è perfetto in quanto ha l’essere»: «lo stesso essere è ciò che vi è di più perfetto in tutte le cose: si rapporta infatti a tutte le cose come a loro atto; per cui lo stesso essere è l’attualità di tutte le cose ed anche delle stesse forme. Per cui non è comparato ad esse come il ricevente al ricevuto, ma piuttosto come il ricevuto al ricevente; quando infatti dico l’essere dell’uomo o del cavallo, lo stesso essere è considerato come formale e ricevuto, non invece come ciò a cui compete l’essere»; «l’essere è più intimo a qualunque cosa di quanto ciò per cui essa è determinata, per cui, esso rimane anche se quelle cose sono rimosse». Tommaso vuol dire che l’essere è così importante che può restare da solo anche senza un’essenza o un soggetto da lui distinti.
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Tommaso dice che l’essere è così importante che può restare da solo anche senza un’essenza o un soggetto da lui distinti. L’essere è analogico e non univoco. All’analogato sommo corrispondono gli analogati inferiori. Ossia, come dice Aristotele, «si dice in molti modi». Il concetto dell’essere è polisenso, ha molti significati simili o diversi fra loro, senza con ciò cadere nell’equivoco, perché tale polisemìa avviene secondo una proporzionalità, per cui tutti i significati sono coordinati e convergono verso un uno solo, imperfettamente uno, che è appunto il concetto dell’essere come atto dell’ente. Uno in senso assoluto è solo l’uno di numero e un singolo ente e soprattutto Dio il sommo ente (monoteismo), come dice il Concilio Vaticano I: «una singularis substantia».
Il bambino sa che cosa è l’essere perché usa il verbo essere, ma non ha la nozione esplicita dell’ente e ciò è testimoniato dal fatto che non sa usare la parola «ente». Nessuno spiega al bambino che cosa è l’essere, ma lo capisce da solo.
Certamente il bambino, allorchè comincia a pensare, forma il concetto dell’ente, che, come insegna San Tommaso, è il primo dei concetti che formiamo, spontaneamente, senza che gli venga spiegato, concetto implicito nel concetto della quiddità della cosa materiale. È il più ampio, il più vasto ed universale di tutti i concetti, nel quale tutti si risolvono. Il bambino non usa il termine «ente», ma usa l’equivalente «cosa», nozione anche questa che egli concepisce spontaneamente non perché gli venga insegnata.
Per Heidegger invece la nozione dell’essere non la formiamo a seguito dell’atto del giudizio di esistenza di qualcosa, giudizio col quale affermiamo l’essere o l’esistere di qualcosa e separiamo in questo giudizio l’essere materiale dall’essere spirituale, dal che formiamo la nozione analogica, gerarchica e partecipativa dell’essere, che può essere sia materiale che spirituale, sia pura forma (il nus di Anassagora, l’idea platonica e il pneuma di San Paolo) che composto di materia e forma.
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