Attualità di Giordano Bruno - Quarta Parte (4/5)

 

Attualità di Giordano Bruno

Quarta Parte (4/5)

 

Filosofia e religione

Con la filosofia noi scopriamo Dio come causa prima e scopo ultimo del mondo e ci scopriamo come persone, quindi enti spirituali, simili a Lui. A questa conoscenza di Dio, che interpella la nostra volontà e il nostro agire, noi rispondiamo, se siamo umili ed onesti e interessati alla nostra vera felicità, con la virtù di religione, per la quale entriamo in dialogo con Dio, gli parliamo ed Egli ci parla. In particolare gli rendiamo culto con l’ossequio della nostra volontà e l’offerta di sacrifici in espiazione per i nostri peccati e per ottenere da Lui grazie e favori in ordine alla nostra salvezza e al conseguimento di una partecipazione soprannaturale della sua stessa vita divina. 

Bruno non propugna una vera e propria religione, ma una forma di corruzione della religione, e precisamente una forma di magia e di idolatria, che anziché essere un servizio divino, diventa un culto di Satana e anziché agire a favore della salvezza eterna, conduce le anime ad una superbia che è sorgente di ogni male e di ogni peccato.

Non può che arrecarci un grande dolore constatare come Bruno, sacerdote domenicano, deformò e profanò il suo sacro ministero, mantenendo la percezione di essere ministro di un potere spirituale superiore all’uomo, per assicurare la grandezza dell’uomo, ma sostituendo il suo ministero divino col servizio al potere delle tenebre e di colui che è nemico di Dio, istigatore di superbia, bugiardo e omicida per principio.

Tristissima cosa soprattutto per me domenicano è vedere come questo confratello, dotatissimo nell’arte della persuasione e nell’oratoria, dalla memoria straordinaria e l’acuta intelligenza metafisica, impiegare queste doti, che nei Domenicani rifulgono in modo particolare, per la rovina e lo scandalo delle anime dei semplici e dei figli di Dio.

Il pensiero di Bruno

La questione centrale del pensiero bruniano, il nucleo centrale del suo pensiero, l’esposizione sintetica del suo interesse di fondo li troviamo in un’opera breve ma densissima, De la causa, principio e uno[1]. Bruno ammette l’esistenza di un principio primo e di una causa prima. Ma poi afferma nella linea di Parmenide che tutto è uno e l’Uno è tutto.

Esiste una sola sostanza, Dio, che coincide con l’universo e tutte le cose sono suoi accidenti. Da qui risulta che per Bruno Dio non è puro spirito che trascende e crea il mondo, ma Dio è il mondo e il mondo è Dio.  L’universo, quindi, è un unico grande animale che dà spirito e vita a tutte le cose. Infatti per lui l’universo è tutto.  Dio è composto di potenza ed atto, materia e forma, di spirito e corpo. Dio è l’intelligenza e forma universale che dà forma ed anima al mondo e a tutte le cose. Stanti queste premesse, ne viene che l’uomo stesso, composto di spirito e materia, coincide col mondo e con Dio. Il potere dell’uomo, che è il potere del mondo, è il potere stesso di Dio e la volontà dell’uomo è il volere divino.

Bruno è ben consapevole del fatto che Dio è lo stesso Essere sussistente. Dio quindi non è semplicemente l’essere, come poi crederà Hegel sulla scorta di Parmenide. Tuttavia Bruno non capisce la purezza dell’atto d’essere divino e sente il bisogno di porre, anche per questo atto d’essere, un sostrato materiale, una potenza di essere, che peraltro Bruno intende non in senso passivo ma in senso attivo, per cui Dio è l’attuazione di un soggetto materiale, per cui Bruno offusca la pura spiritualità e trascendenza divine nei confronti del mondo.

La questione centrale del pensiero bruniano è allora la questione della distinzione e dell’unione tra Dio e il mondo. Dio e l’uomo sono due sostanze, due persone distinte fra di loro, cosicchè possa esistere tra di loro un dialogo? L’uomo è creatura di Dio, creato a sua immagine e somiglianza? L’uomo riceve una rivelazione da Dio custodita dalla Chiesa cattolica?

Bruno non parla di unione, ma di unità di Dio e del mondo, di un’unica sostanza, che è mondo, natura e universo. Ora l’unione suppone il due. Ma l’uno non è il due. Se Dio e mondo non fanno due, allora vuol dire che Dio è il mondo e il mondo è Dio. Non c’è distinzione fra di loro. E abbiamo il panteismo, che però può volgersi in ateismo in quanto negazione del Dio trascendente.

Se dunque Bruno pensa all’unione, spinge l’istanza dell’unione oltre i limiti del giusto cadendo nella confusione e quindi nel panteismo: Dio è il mondo e il mondo è Dio. Abbiamo la confusione al posto dell’unione. E se tutto è uno, tutto si confonde con tutto. È il gravissimo inconveniente dell’ontologia monistica parmenidea, che rimane come conturbante sfondo anche nell’emanatismo plotiniano, nonostante gli sforzi di Plotino di distinguere i gradi di essere e di essenze.

A Bruno non sta tanto a cuore la questione dell’essere, quanto piuttosto la preoccupazione tipicamente rinascimentale e machiavellica di come dar potenza al proprio io. Il suo monismo cosmico in fondo è il bisogno di raccogliere tutto nell’io e nel far partire tutto dall’io, l’istanza che esploderà con Cartesio e con l’idealismo tedesco. Il suo bisogno è quello di ingrandire e dar potenza all’uomo e quindi l’io ampliandone l’essenza alle dimensioni infinite dell’universo come unico ente sostanziale animato, infinitamente molteplice, identificato con Dio. Nel secolo XX Hitler avrebbe avuto un’espressione efficace, che riecheggia Nietzsche: conquistare il proprio «spazio vitale» (Lebensraum).

È in questo quadro di pensiero e di interessi pratici che egli si rifà a Parmenide e a Plotino avanzando l’istanza dell’Uno-Tutto. Questa istanza pertanto, benché abbracci indubbiamente la questione dell’essere, non risponde tanto ad un interesse autenticamente metafisico e nemmeno teologico, quanto piuttosto alla volontà di Bruno di concepire l’uomo e sé stesso come uno-tutto con la pretesa di indicare all’umanità futura come diventare Dio. Quando giunse in Italia alla fine della vita aveva progettato di persuadere il Papa ad accogliere la dottrina.

Dio interessa dunque a Bruno solo in quanto lo concepisce come attuazione dell’uomo. Il mondo e la natura lo interessano solo in quanto li concepisce come animati dall’«anima del mondo», che non è altro che un ampliamento all’infinito dell’anima e della potenza dell’uomo.

Il tema dell’io e dell’autocoscienza non è trattato esplicitamente da Bruno, ma è chiaro che è alla base del suo sistema come era stato alla base, seppure in modo diverso e diversificato, del pensiero di Parmenide, di Anassagora, di Socrate, di Platone, di Aristotele, di Protagora e di Plotino, in quanto sono coscienti in vari modi del valore del pensiero, della coscienza e dello spirito, di pensare e di essere, dell’io sono e dell’io penso.

Chiaramente presenti nella Bibbia e in Sant’Agostino, questi temi fondamentali balzeranno in primo piano in teologia con Lutero e nella storia della filosofia solo con Cartesio, benchè poi egli non precisi quale sia il contenuto del cogito, che rimanendo senza contenuto, più che a fondare il pensiero, lo lascia in sospeso.

Il panteismo di Bruno ha oggi un fascino speciale  perché insiste sul tema della forza, dell’energia, dell’azione, dell’audacia pratica, della potenza, dell’efficacia, della produttività con un materialismo e un sensualismo franco e schietto, che ricorda la baldanza spavalda di un Nietzsche, a differenza del panteismo matematico eternalista di un Severino e dell’arruffato panteismo dialettico hegeliano, i quali, benchè non ignorino affatto l’attrattiva della sensualità e del materialismo, danno più l’impressione, come si esprime efficacemente Papa Francesco a proposito dello gnosticismo, di edificare un’«enciclopedia di astrazioni», un  sistema monistico di stampo parmenideo, dove non esistono  la storia, il movimento, il divenire, la pluralità, la varietà e la concretezza.

L’umanesimo parmenideo e prometeico, protervo e tracotante di Bruno trova oggi il suo erede nel superomismo di Nietzsche, nell’uomo-essere Heidegger, nel transumanesimo della macchina pensante, nell’ateismo di Marx, nell’uomo-sesso di Freud e nell’uomo-scimmia di Darwin.

Il pensiero di Bruno è sulla linea del filosofare che nasce con Parmenide e che è caratterizzato dal bisogno dell’unità e quindi dal bisogno di definire in che cosa l’unità consiste e nel raccogliere tutto attorno all’unità, nel ricondurre tutto all’unità e fondare tutto sull’unità, al limite nel vedere tutto come uno, pur senza negare le distinzioni, la molteplicità, l’alterità, la diversità e le differenze.

Bruno si rifà quindi alla nozione parmenidea dell’essere come uno, unico, univoco, necessario, identico al pensiero, opposto al non-essere, immutabile, eterno, sussistente, indifferenziato, totale e intero. L’essere appare quindi come l’essere divino, Dio, benchè Parmenide non se ne rendesse conto.

Occorre però ricordare che Parmenide scambiò questo essere per l’essere come tale, includente quindi Dio e le cose. Non riuscì ad inserire nell’essere il divenire, perché gli sembrava contradditorio e lo abbassò quindi al livello della pura apparenza. Non riuscì a farsi un concetto analogico dell’essere, come riuscì poi Aristotele, sicchè concependo l’essere come essere assoluto, lo identificò senza saperlo con Dio, col risultato che ogni essere diventava Dio, da qui il panteismo.

Inoltre Parmenide è anche l’iniziatore dell’idealismo con la sua dichiarazione «la stessa cosa è il pensare e l’essere», anche se alcuni hanno creduto che egli si riferisse al fatto che quando sono nel vero ciò che penso è ciò che è.

Bruno parte da Parmenide mediato da Plotino ed assumendo alcuni concetti aristotelici come quello di ente ed essenza, sostanza e accidenti, causa ed effetto, materia e forma, atto e potenza e platonici come quello di immagine e idea, corpo e spirito, partecipazione e totalità, senso e intelletto, scienza e opinione, virtù e vizio, vero, bello e buono.

Come per Plotino anche per Bruno tutto è uno, tutto è tutto è ogni cosa è tutto, quindi panteismo. Tuttavia, con Aristotele non ha difficoltà a riconoscere la questione dell’ente e delle sue proprietà, la pluralità delle cose generabili e corruttibili, la distinzione fra l’esperienza e la ragione, i gradi delle anime, l’esigenza della prima causa e del primo principio, la distinzione dell’intelletto dalla volontà, la volontà dalle passioni.  Tuttavia il suo panteismo lo porta ad identificare mondo, uomo, spiriti e Dio in unico universo animato spaziotemporale in continuo divenire. Uno-Tutto infinito ed assoluto.

Bruno concepisce Dio come composto di potenza ed atto, perchè intende la potenza come potenza attiva e tuttavia non come conseguente all’atto d’essere della sostanza, ma come coincidente con la sostanza e con l’ente. Dio è il risultato dell’attuazione di sé stesso. L’uomo è Dio allo stato potenziale, che però ha il potere di diventare Dio.

Per Bruno potenza ed atto sono inseparabili: non c’è potenza senza atto, come non c’è atto senza potenza. Per lui Dio non è atto puro, ma potenza che si attua e che attua, e atto che si abbassa a potenza. L’uomo è appunto questo atto abbassato a potenza. Dio discende diventando uomo; l’uomo sale mediante l’«eroico furore» diventando Dio.

Bruno non concepisce uno spirito che non sia unito alla materia. Per questo per lui non esiste materia che non sia vivente. La materia è divina come lo spirito.  La materia è spirituale e lo spirito è materiale. Per questo l’essere materiale è essere pensato e il pensiero coincide con l’essere materiale.

Come Dio per Bruno è composto di anima e corpo, così il mondo, manifestazione e attuazione di Dio, è composto di anima e corpo. L’uomo, a sua volta, composto di anima e corpo, è al contempo potenzialmente Dio e attuazione del mondo. Come l’uomo è un animale ragionevole, così il mondo e Dio sono un unico immenso animale divino. Dio è l’elevazione dell’uomo e del mondo, mentre mondo e uomo sono l’abbassamento di Dio. Il Tutto e l’uno sono dunque l’unità di mondo, uomo e Dio. Tutto è in Tutto, dove tutto comunica con tutto e ogni cosa con ogni cosa.

Per Bruno Dio è composto di materia e forma, materia che è potenza attiva e ascendente per attuarsi come forma che è potenza discendente di attuare la materia. Quindi anche qui materia e forma sono inseparabili perché si attuano a vicenda e subiscono l’una dall’altra. Quindi Dio non è puro spirito, ma composto di materia e spirito. 

Per Bruno Dio è l’unica sostanza, come per Parmenide e Plotino, ma non è pura sostanza. Essa è sostanza con modi e accidenti.  E questi accidenti o modi sono gli enti mondani. La materia è la sostanza di Dio e lo spirito è la forma della materia. Uomo e mondo sono modi d’essere di Dio, come vedremo poi in Spinoza. Ma in Bruno c’è una differenza da Spinoza, che l’uomo non è un modo d’essere o accidente di Dio, ma è più radicalmente Dio stesso in potenza e ciò che Dio diviene attuando sé stesso come mondo. 

Per Bruno esistono anche gli dei e gli spiriti, entità intermedie fra la terra, l’uomo e Dio. Non si tratta di entità personali distinte dall’uomo e da Dio intesi come persone o sostanze, perché per Bruno l’unica sostanza, l’unico ente nel senso parmenideo è Dio, ma si tratta di punti di passaggio e fattori energetici nel processo del diventare Dio e diventare uomo.

La logica di Bruno è la logica dell’inganno, della frode e della doppiezza. Estremamente significativo, al riguardo, è il principio fondamentale del suo modo di pensare e di argomentare, ammirato da Hegel, che egli enuncia a conclusione di De la causa, principio e uno: «profonda magia è saper trarre il contrario dopo aver trovato il punto di unione»[2].

Si tratta di dividere ciò che è unito.  Il che vuol dire porre contrasto là dove dev’esserci unione. Ora, è vero che bisogna saper distinguere per unire. Ma distinguere non vuol dire separare e contrapporre. Chi contrappone i distinti e li mette l’uno contro l’altro, quando vuole unire, confonde. Che cosa è la confusione? Mescolare assieme due cose distinte, così che l’una appare l’altra e quindi vien scambiata con l’altra o presa per l’altra. Ma confondere i funghi sani con quelli velenosi non è cosa piacevole. Bruno è un artista nell’arte del confondere e quindi dell’inganno, far apparire quello che non è. All’uomo che tende alla superbia propone di identificare l’uomo con Dio.

L’arte importante per acquistare sapienza è quella della distinzione, di chi sa distinguere l’uomo da Dio, per unirli tra di loro. Questo è l’uomo costruttore di pace e di conciliazione. Chi invece contrappone o confonde ciò che è distinto dividendo ciò che è unito e distinto è invece suscitatore di odio, di guerra e distruzione.

Nel considerare il rapporto dell’uomo con Dio il panteista, che non sa che cosa è l’analogia e la somiglianza, non ha altra scelta fra l’identità dell’uomo con Dio e la contrapposizione, che li rende reciprocamente nemici.

Il panteista sceglie la prima possibilità; ma è chiaro che gli resta sempre anche l’altra, ossia l’ateismo.  Ad Hegel capita la stessa cosa. Per questo, benchè egli sia un panteista che pretenderebbe di essere teista, ha nel suo pensiero anche il germe dell’ateismo. E di fatto, come ha notato il Cottier[3], Marx ricava il suo ateismo proprio da Hegel. Ugualmente da Bruno si può ricavare tanto il panteismo quanto l’ateismo.

Bruno fu preso da una smodata brama di sapere, credette di poter superare la conoscenza di fede con un’autoesaltazione della propria ragione che egli concepì come particolare espressione dell’anima del mondo e della divina mente universale insita nelle cose e nell’universo.

Il primato della filosofia sulla religione ricomparirà con la massoneria e con Hegel. Severino è sulla stessa linea ed anzi ancor più offensivo verso il cristianesimo da lui giudicato nichilismo e follia. Un ottimo ritratto di Bruno ce lo dà Giovanni Gentile. Dice Gentile della filosofia di Bruno:


«La nuova filosofia e la nuova scienza si distinguono dalla fede, non per metter questa al di sopra di sè ed attribuirle il privilegio della verità ad esse irraggiungibile, e a cui pur esse mirano; anzi per negarle ogni valore rispetto ai fini a cui la filosofia s’indirizzano. Il filosofo medioevale diceva: credo ut intelligam; Bruno vi dice chiaro e netto: non credo ut intelligam. … Bruno ritiene indispensabile affidarsi non alla fede, ossia a una rivelazione che è atto altrui e non nostro, bensì alla nostra intelligenza. … Questo l’inizio dell’età moderna per il pensiero filosofico. …

 

 Il martirio di Giordano Bruno ha un significato speciale nella storia della cultura. Poiché non fu conflitto di coscienze individuali diverse, ma necessaria conseguenza del progresso dello spirito umano, che Bruno impersonò al cadere del Cinquecento, quindi chiudeva col Rinascimento tutta la vecchia storia della civiltà d’Europa: del progresso dello spirito, che giunse in lui ad avvertire per la prima volta, e quindi a sorpassare la contraddizione che  fin dal Medioevo lo dilaniava tra sé e sé medesimo: tra spirito che crede e professa di non intendere e spirito  che intende e professa di intendere, cioè farsi da sé la verità sua. …

 

La sua verità non è quella che si definisce nei Concili ecumenici o dai pontefici in cattedra, ma la verità che è nella natura e che la ragione, cioè, per lui, la sua ragione, definisce: la verità che egli ha celebrata tante volte entusiasticamente nei suoi scritti filosofici. … “A me – egli dice – non è mestieri trascorrere ai confini della terra: basta mi profondi nella mente; basta che sopra a tutto vivamente desideri, per sè medesima, la luce divina, e col sommo del mio ingegno mi sforzi di pervenire al cospetto della maestà sua, bramando e sperando di potermi beare del di lei volto”»[4].

I precursori di Bruno

La filosofia in Occidente ha avuto inizio in Grecia attorno al sec.VI a.C. come volontà di indagare e conoscere a fondo la realtà nei suoi princìpi e cause. Essa iniziò con la volontà di superare il precedente politeismo omerico, del tutto insufficiente a spiegare e fondare la realtà dell’uomo e dell’universo, benchè il politeismo sia consapevole dell’aspetto personale della divinità.

Infatti il politeismo omerico ed egiziano rappresenta ancora prima dei filosofi il bisogno che l’uomo ha di un commercio con forze personali trascendenti dalle quali ottenere favori, successi e protezione. Tuttavia nel contempo era chiaro che gli dèi omerici ed egiziani per la loro volgarità e per le pratiche magiche ad essi legate, non potevano assolutamente soddisfare il bisogno dello spirito e della virtù, né potevano soddisfare all’esigenza di trovare un vero principio della realtà e una divinità che potessero riconciliare tutto nell’unità e far derivare tutto dall’uno o ridurre tutto all’uno.

Fu così che la ragione nella sua indagine si volse in due direzioni: un’apertura nei confronti della realtà circostante, con l’uso del predicato dell’essere alla terza persona («la tal cosa è così) ed abbiamo la filosofia dei primi naturalisti, di tendenza materialista ed un’altra tendenza verso l’io, o la conoscenza di sé, con l’uso del verbo essere alla prima persona (io sono), ossia verso la coscienza e quindi l’autocoscienza. E così ecco la mente dei filosofi concentrare l’attenzione ul pensiero (Parmenide), sull’intelletto (Anassagora), sull’uomo misura delle cose (Protagora), sulle idee (Socrate e Platone). 

Nel frattempo in Israele il vero Dio parlava al suo popolo e i profeti vaticinavano a nome di Dio, mentre i salmisti intessevano dialoghi sublimi con Dio e i sapienti pronunciavano ispirate sentenze. Reca una profonda tristezza constatare come Bruno, sacerdote domenicano, che avrebbe potuto alimentare il suo poderoso ingegno alla sublime ricchissima sapienza della letteratura, della filosofia e teologia cristiane, accecato da mire prometeiche, si sia lasciato abbindolare per non dire stregare dalle empietà, dalle superstizioni e dalle sconcezze della letteratura e della filosofia pagane anticristiane.

Bisogna comunque riconoscere nella empia condotta di Bruno una certa linearità e coerenza. A suo modo egli non fu un ipocrita. Certo è ipocrisia voler apparire saggio senza esserlo. E Bruno purtroppo, dobbiamo riconoscerlo, ha giocato questa parte. È più nella linea dei sofisti che dei veri filosofi, anche se non sappiamo quanto se ne è accorto. Ad ogni modo, bisogna anche riconoscere che, a differenza di certi ecclesiastici farisei che vivacchiano e restano nella Chiesa per fruire semplicemente di vantaggi umani e per interesse di prestigio, rifuggì dall’assumere la maschera del Domenicano e addirittura del credente, per manifestare apertamente le sue convinzioni, che pagò con la sua stessa vita. Chi glie l’ha fatto fare? Non poteva semplicemente tenersele per sè? Questo vuol dire che dava più importanza agli interessi spirituali che a quelli materiali. E in ciò poteva apparire ancora Domenicano. Senonchè a ben poco serve porre questi interessi sugli altri, se essi nascono dalla superbia e non dall’umiltà.

Commovente fu l’estremo tentativo di persuadere Bruno da parte del Maestro dell’Ordine, Ippolito Beccaria, che del resto morì pochi mesi dopo Bruno, nello stesso 1600, segno che, nonostante tutti i crimini che aveva commesso contro la fede, cosa vergognosissima per un Domenicano, lo considerava ancora figlio dell’Ordine.

L’eredità di Bruno

La teologia cattolica seguìta a Bruno ha avuto un tale disprezzo per il Nolano, che non si è preoccupata affatto di occuparsene minimamente, ma è stato uno sbaglio, perchè non ci è resi conto della grandezza di Bruno, benchè fosse un apostata. Bisognava accogliere le sue istanze valide e confutare i fascinosi errori, che ingannavano e ingannano tuttora filosofi provetti.

Bruno capì la possibilità di avviare un dialogo con gli Anglicani e i Luterani, tedeschi e francesi, anche se si accorse dell’ottusità dei primi in campo metafisico e del fanatismo irrazionalista dei secondi, che frustrava il ragionamento filosofico. Tuttavia sembra aver incontrato migliore accoglienza nell’immanentismo soggettivista luterano, meglio conciliabile col suo monismo panteista. E difatti Bruno è stato valorizzato dagli idealisti tedeschi.  

Oggi Bruno non lo nomina quasi nessuno, eppure è un personaggio gigantesco di tale potenza e imponenza, che sono convinto che oggi domina nello sfondo, più di Lutero, Cartesio, Hegel, di Marx, Heidegger e Nietzsche. Ci si rifiuta di citarlo  per i suoi legami con la magia, senza rendersi conto che l’idealismo, come notò acutamente Julius Evola[5], ha un legame con la magia kabbalistica ed ermetica.

Grandi pensatori moderni, ammiratori di Bruno, che ci raccomandano il Nolano, sono Schelling e Gentile. Erede immediato di Bruno è Cartesio, per il quale l’Uno-Tutto è il mio io. Infatti l’io sono di Cartesio non è il semplice io esisto, io sono qualcuno, io sono Renato Cartesio, io sono una creatura, ma io sono in senso assoluto, io sono da me stesso in forza di me stesso, io sono senza predicati come l’Io Sono di Es 3,14, come capirà bene Fichte. Tutto è da me e niente è prima di me. Il miglior interprete dell’io cartesiano è Fichte, da cui proviene Schelling fino ad Husserl.

Il pensiero di Bruno, attraverso Spinoza, è stato fatto proprio e sviluppato dall’idealismo tedesco, soprattutto Schelling ed Hegel e successivamente ripreso dall’idealismo di Giovanni Gentile.  Il monismo di Severino e Bontadini deriva da Parmenide mediato dal Bruno nell’interpretazione dell’idealismo tedesco e di Gentile.

Il pensiero bruniano è ispiratore altresì dell’esoterismo massonico, per esplicita dichiarazione degli stessi massoni. La volontà di potenza di Nietzsche ha senz’altro il suo precedente nell’eroico furore bruniano. Le imprese del comunismo, del fascismo e del nazismo trovano senz’altro ispirazione negli eroici furori bruniani.

Ricordiamo inoltre peraltro che l’idealismo tedesco scaturisce dal fideismo luterano e dal razionalismo cartesiano.  Per Lutero la verità teologica è solo nella fede, una fede che smentisce la ragione, per cui per credere bisogna accettare l’assurdo; Dio è estraneo al principio di non-contraddizione, come già aveva sostenuto Cusano o è al di sopra del principio di non-contraddizione, come sembra aver sostenuto Dionigi l’Areopagita.

Lutero disprezzava la filosofia in nome della fede.  Cartesio concepisce la ragione come autosufficiente e relega quindi la fede all’opinione. Per Cartesio la ragione non ha niente da imparare dalla rivelazione cristiana.  Per Lutero la ragione è inganno; la verità salvifica viene solo da Cristo, che ci comanda di credere cose che per la ragione sono assurde o scandalose. Per Lutero la fede è un sapere teologico intuitivo ed immediato, senza che occorrano premesse razionali o filosofiche.

Come fanno gli idealisti tedeschi a mettere assieme Lutero e Cartesio? Con una forma di neognosticismo che rifiuta i dogmi della Chiesa cattolica come luce superiore alla ragione. Essi concepiscono la ragione come rivelazione divina nell’autocoscienza cartesiana. Lutero conserva il Dio trascendente del cristianesimo.

Gli idealisti recuperano Dio come Dio pensato-da-noi che si può ricavare da Parmenide e Plotino. Nasce il panteismo. La filosofia è superiore alla religione. Dal razionalismo cartesiano sorgerà il razionalismo hegeliano, che assegna alla ragione ciò che Lutero attribuiva alla fede.

La massoneria illustrata dall’idealista Fichte[6], riprende il razionalismo cartesiano: la ragione e la filosofia sono sufficienti a conoscere la verità su Dio. Le dottrine delle religioni sono semplici figure immaginarie o mitologiche della verità. Tutti questi sviluppi partono da Bruno.

Il monismo vitalista di Bruno ricompare in Leibniz, benché egli non parli mai di Bruno, del quale non accetta il panteismo, per cui ammette la trascendenza di Dio suprema monade e la molteplicità delle sostanze. Tuttavia il suo concetto di sostanza come ente indivisibile fa pensare alla sostanza bruniana di ascendenza parmenidea.  Come per Bruno e Campanella nega l’esistenza della sostanza non vivente. Leibniz, che tuttavia era luterano, ammette, a differenza di Bruno, la possibilità di una rivelazione divina.

Spinoza non nomina mai Bruno, ma è in perfetta linea con lui, forse perché entrambi presuppongono la Kabbala: Dio è l’unica sostanza, come sostanza assoluta. Dio è composto di potenza ed atto, materia e forma, sostanza e accidenti, spirito e corpo, uomo e natura, pensiero ed estensione.

Dio dunque è la «mente universale», la stessa natura cosmica, è l’anima del mondo. L’uomo è per essenza divino perché appartiene ed è proprietà della stessa divina sostanza in quanto essa conosce e intende sé stessa. L’uomo, per ottenere la scienza divina non ha alcun bisogno di ricevere una rivelazione da Dio né di una fede religiosa; è sufficiente che entri e scruti in sé stesso ed elevi sé stesso alla contemplazione di Dio, cioè di se stesso come apparizione finita dell’Uno-Tutto. Dunque siamo in pieno gnosticismo e panteismo.

Schelling ed Hegel raccolgono l’istanza bruniana dell’Uno-Tutto, che essi chiamano «Assoluto» o «Spirito» o «Dio» o «Soggetto» o «Io». Hegel usa il termine «Idea», Schelling «Natura». Come per Bruno, Dio è il Tutto e tutto è Dio. Tutto è Uno e tutto è l’Uno; tutto è tutto. Come per Bruno, il mondo è Dio e Dio è il mondo. L’uomo è Dio e Dio è l’uomo.

Fine Quarta Parte (4/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 agosto 2025

Festa di San Domenico

Bruno non concepisce uno spirito che non sia unito alla materia. Per questo per lui non esiste materia che non sia vivente. La materia è divina come lo spirito.  La materia è spirituale e lo spirito è materiale. Per questo l’essere materiale è essere pensato e il pensiero coincide con l’essere materiale. 

Come Dio per Bruno è composto di anima e corpo, così il mondo, manifestazione e attuazione di Dio, è composto di anima e corpo. L’uomo, a sua volta, composto di anima e corpo, è al contempo potenzialmente Dio e attuazione del mondo. Come l’uomo è un animale ragionevole, così il mondo e Dio sono un unico immenso animale divino. Dio è l’elevazione dell’uomo e del mondo, mentre mondo e uomo sono l’abbassamento di Dio. Il Tutto e l’uno sono dunque l’unità di mondo, uomo e Dio. Tutto è in Tutto, dove tutto comunica con tutto e ogni cosa con ogni cosa.

Per Bruno Dio è l’unica sostanza, come per Parmenide e Plotino, ma non è pura sostanza. Essa è sostanza con modi e accidenti. E questi accidenti o modi sono gli enti mondani. La materia è la sostanza di Dio e lo spirito è la forma della materia. Uomo e mondo sono modi d’essere di Dio, come vedremo poi in Spinoza. Ma in Bruno c’è una differenza da Spinoza, che l’uomo non è un modo d’essere o accidente di Dio, ma è più radicalmente Dio stesso in potenza e ciò che Dio diviene attuando sé stesso come mondo.  

Immagine da:  https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-11/convegno-universita-gregoriana-bellarmino-anniversario-gesuiti.html



[1] Edizioni La Scaligera, Verona 1941.

[2] Op.cit., p.127.

[3] L’athéisme du jeune Marx et ses origines hégéliennes, Librairie philosophique Vrin, Paris 1959.

[4] Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Editrice Le Lettere, Firenze 1991, pp.103-106.

[5] Saggi sull’idealismo magico, Edizioni Mediterranee, Roma 2006.

[6] Filosofia della massoneria, Edizioni Bastogi,Roma 2023.

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