La metafisica di Gesù (2)
Ho già presentato ai Lettori lo schema di un libro che pubblicai nel 2014, dedicato a illustrare una cosa alla quale finora non si era mai pensato e cioè presentare quella che si potrebbe chiamare “la metafisica di Gesù”.
Ora presento:
d. In che senso si può parlare di una metafisica di Gesù
e. L’ambito della metafisica
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La metafisica di Gesù (1):
https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/la-metafisica-di-gesu.html
https://padrecavalcoli.blogspot.com/2024/10/la-metafisica-di-gesu.html
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Dal Libro del 2014, pubblicato dalle Edizioni di L’Isola di Patmos, Roma:
GIOVANNI CAVALCOLI: «GESÙ CRISTO FONDAMENTO DEL MONDO: INIZIO, CENTRO E FINE ULTIMO DEL NOSTRO UMANESIMO INTEGRALE»
Il concetto di Cristo fondamento del mondo, racchiude le altezze più sublimi del Santo Padre e Dottore della Chiesa Agostino vescovo d’Ippona: il Christus totus. Come ripeterà infatti il Sommo Pontefice Benedetto XVI nel corso del suo ministero apostolico: Cristo non è una parte dell’esperienza umana, ma la nostra totalità. Egli è l’inizio, il centro e il fine ultimo del nostro umanesimo integrale. E fu proprio su queste premesse teologiche che l’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Cardinale Joseph Ratzinger, pubblicando su disposizione del Santo Pontefice Giovanni Paolo II la esortazione Dominus Jesus, ribadì questa totalità, in aperta contrapposizione a un male inteso ecumenismo e a un male inteso dialogo inter-religioso, ma soprattutto in contrapposizione al relativismo.
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d. In che senso si può parlare di una metafisica di Gesù
Se oggetto della metafisica è l’ens ut ens (l’on e on di Aristotele), bisogna dire che non esiste una metafisica di Gesù. Tuttavia, si può dire che la sua è una metafisica dell’essere (esse, einai), dell’actus essendi[1] di Tommaso, considerando l’importanza che Gesù dà all’“Io Sono” di biblica memoria. Questa metafisica certo non ignora l’ente – e come potrebbe? –, che però va sotto altri nomi, come quello di “creatura”, “cosa”, “cielo e terra”, “mondo” e simili. Lo stesso hoc di hoc est enim corpus meum è chiaro che significa “questo ente” al neutro, come vedremo a suo luogo.
Inoltre c’è un’altra differenza tra la metafisica di Gesù e quella di Aristotele, che mentre questa è una metafisica della fysis ovvero del kosmos, insieme ordinato e gerarchizzato secondo il logos degli enti sotto il motore immobile, nòesis noèseos, la metafisica di Gesù non ignora per nulla questo aspetto, proprio perchè Cristo è la Verità o, come dirà Giovanni, il Logos, ma aggiunge il passaggio dal male al bene proprio della storia della salvezza. Era un’attenzione al problema della salvezza, che portò Lutero ad apprezzare unilateralmente la prospettiva evangelica della salvezza contro Aristotele, dimenticandosi che essa non poteva prescindere dal valore dell’essere che è stato messo in luce dallo Stagirita.
Infine, la metafisica di Gesù, come tutta la saggezza biblica, ha certo vivissimo il senso dell’essere, ma in stretta unione col destino e l’agire morale dell’uomo. Volendo assumere un momento il linguaggio di Heidegger, ma non nel senso heideggeriano, si potrebbe dire che è una metafisica “antropologica”, nella quale l’interesse per il reale è indissolubilmente congiunto con l’interesse per il bene dell’uomo, che è lo stesso ipsum Esse, senza per questo risolvere, come fa Heidegger, l’essere nell’essere umano votato alla morte (l’“essere-che-sono-io”), ma al contrario con vivo senso della trascendenza dell’Essere divino.
Per questo, nel proporre la metafisica di Gesù, non abbiamo potuto fare a meno di usare alcune categorie morali, le quali peraltro non immiseriscono affatto l’ampiezza dell’oggetto della metafisica, ma le danno tutto il sapore di un sapere non avulso ma strettamente congiunto col destino dell’uomo nel bene come nel male.
In ogni caso, la metafisica, in base alla sola ragione o in base al logos, e ciò ovviamente non è estraneo alla metafisica di Gesù, rende preziosissimi servizi al Vangelo a proposito degli attributi divini, del problema del vero e del falso, del bene e del male, della spiritualità dell’anima, della questione della persona, dei princìpi della morale, dell’esistenza degli angeli, e dei miracoli.
Naturalmente si tratta di una teologia della ragione o “teologia naturale” e non di quella che ci viene dalla Rivelazione, e tuttavia essa fa da preparazione ed introduzione alla teologia rivelata. In tal modo il primo ad insegnarci l’utilità della metafisica per la comprensione del Vangelo è lo stesso Signor Nostro Gesù Cristo.
Egli peraltro, come vedremo, ci fa presente con i contenuti stessi della sua metafisica, che non qualunque metafisica è adatta ad introdurre alla fede, ma solo quella che è conforme a ragione e non pone intralci sulla via della verità, giacchè la fede è verità e chi non parte dalla verità non può giungere alla fede. Ciò suppone altresì una retta nozione della ragione. Ma qui non abbiamo lo spazio per sviluppare questo tema.
e. L’ambito della metafisica
Certo, di per sé la metafisica è scienza dell’essere e l’essere come tale (esse) o come atto (actus) dell’ente (ens) non dice ancora Dio, benchè Egli sia, come dice l’Aquinate, l’ipsum Esse. In questo senso la si chiama meglio “ontologia”. Ma appunto l’essere o l’ente nel suo significato analogico, comprende o implica tanto il mondo che Dio, comprende e sottende tutto ciò che in qualunque modo o forma o grado esiste.
Noi potremmo dividere l’ente in due grandi categorie: l’ente finito, ossia il mondo, e l’ente infinito, cioè Dio, come fa il Beato Duns Scoto, così come si divide un genere nelle sue specie, mediante la differenza specifica: in tal caso “finito” e “infinito”. Così diciamo che il mondo esiste e Dio esiste. Usiamo la stessa parola esistere, che allude alla realtà. Tuttavia, quando abbiamo un concetto generico, le differenze si aggiungono a quel genere che resta intatto, univoco, con lo stesso senso. Per esempio il concetto di “animale” resta identico, sia che pensiamo all’animale razionale – l’uomo – o all’animale irrazionale – la bestia -.
Ora però l’ente abbraccia tutto e nulla gli si può aggiungere. Quindi, come già diceva Aristotele, ripreso da San Tommaso, non può essere un genere. Infatti fuori dell’ente non c’è che il nulla. Invece la finitezza o l’infinità sono ancora essere, interne quindi anch’esse all’ente. Se dunque l’ente fosse un genere, il finito e l’infinito, stando fuori, non sarebbero ente, perché sarebbero esterni all’ente; il che è evidentemente assurdo. Ci sarebbe solo l’ente e scomparirebbe la differenza tra il finito e l’infinito. Dio non si distinguerebbe dal mondo.
Certo, se il mondo si distingue da Dio, non è perchè il mondo abbia qualcosa che Dio non ha, dato che Dio è Tutto, ossia ogni perfezione in atto semplicissimo, ma in quanto tutto ciò che il mondo ha, lo ha da Dio. Il mondo non ha nulla che Dio non abbia già. Ma allora non si diversifica da Dio se non perché, come osserva San Tommaso, l’essere del mondo è una partecipazione analogica o similitudinaria dell’essere divino: “Ad immagine di Dio lo creò” (Gen 1,27). Dio è Essere per essenza, mentre l’essere del mondo è essere per partecipazione[2].
Ma c’è un altro motivo per il quale finito e infinito non possono essere una divisione o partizione dell’ente, così come le specie dividono e restringono il genere. Infatti l’universale implica una totalità, possiede in sé potenzialmente e virtualmente tutto ciò che gli individui hanno e quindi oltrepassa la particolarità del singolo, che gli sta sotto, del quale si predica l’universale.
Un conto è la subordinazione logica o predicativa, un conto è quella reale, metafisica. Dal punto di vista concettuale, Dio sta al di sotto del concetto dell’essere (in quanto predichiamo di Lui l’essere), come un singolo concreto sta sotto l’universale astratto; ma nella realtà Dio è un Superessere, come dice Dionigi l’Areopagita, che sta al di sopra di tutto l’essere di tutti gli esseri perché ne è la causa universale. Per questo possiamo certo predicare di Dio l’essere, ma il significato di questo Essere supera all’infinito[3] quanto noi intendiamo col concetto comune di essere, che per noi è riferito alle creature. Per questo Tommaso chiama Dio “causa dell’essere”.
Chi riduce la metafisica alla logica, come Hegel, si illude di racchiudere Dio nel concetto o nell’idea, ma in realtà confonde Dio col proprio concetto di Dio. Fa quindi di Dio un idolo, un èidos, un èidolon della sua mente. Un dio, direbbe la Bibbia, fatto dalle mani (dalla mente) dell’uomo.
Per esempio, dico: Socrate è un uomo. Ma Dio infinito non può essere il particolare o singolare che sta sotto l’universale, perché Dio assomma nella sua infinita perfezione la totalità dell’essere, anche la finitezza, almeno virtualmente (virtualiter eminenter). Dio quindi è un Singolare sui generis che supera l’universale. In questo senso San Tommaso dice che l’essere divino trascende l’ens commune[4], l’ens ut ens, oggetto della metafisica.
Eppure i nostri concetti concepiscono degli universali tratti dal particolare. E l’ente non fa eccezione. Quindi anche per concepire Dio, non possiamo fare a meno di usare una nozione universale dell’essere, che è la più universale di tutte, ma dobbiamo ricordarci che essa non significa qualcosa di più ampio dell’essere divino, che lo particolarizza e si colloca al di sotto come l’individuo sta sotto alla specie.
L’essere divino infatti non si lascia da noi universalizzare come fosse un universale astratto ed univocamente predicabile, quasi fosse la specie o l’individuo di un genere (l’“essere”), anche se lo pensiamo con un concetto astratto, né potremmo fare altrimenti, ma è Essere Singolarissimo sussistente: “Io Sono”, come dice Cristo stesso. Un predicato verbale senza predicato nominale, il quale manca perché questo predicato, quale che sia, non è più ampio del soggetto (Io), sì che il soggetto sia contenuto nel predicato, ma si identifica col Soggetto.
Questa è la Logica divina. Tommaso dirà che in Dio il suo essere coincide con la sua essenza, con l’Io divino. È l’ipsum Esse del quale parla l’Aquinate. Allora il significato di questo “Essere” trascende l’ens in communi e gli è solo analogo. Occorre per esso un concetto analogico e partecipativo dell’essere. Da qui la dottrina dell’analogia dell’essere per poter formare in teologia il concetto di Dio. E da qui la distinzione tra metafisica, che studia l’ens ut ens analogico, la logica che considera l’essere come concetto univoco, e la teologia che considera l’ipusm Esse per se subsistens, il summum et primum Ens.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 2 giugno 2025
Dal punto di vista concettuale, Dio sta al di sotto del concetto dell’essere (in quanto predichiamo di Lui l’essere), come un singolo concreto sta sotto l’universale astratto; ma nella realtà Dio è un Superessere, come dice Dionigi l’Areopagita, che sta al di sopra di tutto l’essere di tutti gli esseri perché ne è la causa universale.
Per questo possiamo certo predicare di Dio l’essere, ma il significato di questo Essere supera all’infinito quanto noi intendiamo col concetto comune di essere, che per noi è riferito alle creature. Per questo Tommaso chiama Dio “causa dell’essere”.
[1] Si sa quanto il Padre Fabro abbia chiarito la concezione tomista dell’essere non come existentia o esse in actu ma come esse ut actus o actus essendi. L’esistere è la semplice attuazione di una possibilità che vale anche per gli enti di ragione. L’essere invece è atto, somma perfezione partecipabile analogicamente in gradi inferiori, atto che può esistere o con la sua potenza, così come l’essenza esiste insieme col suo essere (creatura), oppure può esistere da solo come Atto puro sussistente (Dio). Cf Breve introduzione al tomismo, Desclée&C. Editori Pontifici, Roma 1960; Tomismo e pensiero moderno, Libreria Editrice della Pontificia Università Lateranense, Roma 1969.
[2] Uno studio approfondito della partecipazione in rapporto all’analogia si trova nell’opera di Padre Tomas Tyn, Metafisica della Sostanza. Partecipazione e analogia entis, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.
[3] L’ En Sof ebraico.
[4] Omnia existentia continentur sub ipso esse communi, non autem Deus, sed magis esse commune sub eius virtute, Comm.In De Div.Nom., n.660.
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