Il mistero della risurrezione del corpo - Seconda Parte (2/2)

 

Il mistero della risurrezione del corpo

Seconda Parte (2/2)

 L’esperienza della gioventù e quella della vecchiaia

 Altre esperienze che facciamo tutti e costituiscono chiari indizi per non dire dimostrazioni del nostro essere composti di spirito e corpo, sono l’esperienza della gioventù e quella della vecchiaia. Esse hanno caratteristiche molto diverse, ma entrambe ci fanno chiaramente capire come giocano nella nostra persona, nel nostro io, nella nostra vita, nella nostra condotta e nella nostra esistenza due fattori fondamentali per un verso in armonia e per un altro in contrasto fra di loro, ossia la forza dello spirito e quella che proviene dal corpo, cosicchè sentiamo il primato dell’anima sul nostro corpo e il nostro dovere di guidare il corpo secondo i bisogni dell’anima.

Al riguardo San Paolo distingue nella persona umana un triplice ordine di energie (II Ts 5,23): quelle spirituali (pneuma), quelle psichiche (psychè) e quelle fisiche (soma). Questa triplice distinzione non contraddice quella tra anima spirituale e corpo materiale, ma al contrario la chiarisce introducendo l’elemento della vita, ossia precisando, per esprimerci in termini moderni, che in noi ci sono tre livelli vitali: quello coscienziale-spirituale, quello psicoemotivo e quello neurobiologico o neurovegetativo. Ciò vuol dire che l’anima spirituale dà forma alla nostra materia secondo tre livelli di informazione sostanziale: spirituale, sensitivo e vegetativo.

Quindi, sulla base della distinzione fondamentale materia-spirito o, se vogliamo – spirito-corpo -, occorre ulteriormente rilevare che l’unione dello spirito con la materia avviene secondo questi tre piani o moduli ontologico-energetici-vitali, tutti principiati dall’anima spirituale, che è l’unica forma sostanziale del composto umano, forma che assicura l’unità della sostanza o persona umana al di là delle differenze vitali.

Sia l’autocoscienza della gioventù che quella della vecchiaia fanno esperienza di questi tre livelli vitali in modo differente. Nella gioventù io ho coscienza del mio spirito che, se da una parte domina e muove facilmente, grazie alla buona salute,  le membra del corpo e le forze fisiche mediante la potenza neurovegetativa, potenza che agisce per conto proprio indipendentemente dalla mia volontà, nella vecchiaia invece le potenze motrici e fisico-vegetative vanno calando o si spengono gradualmente ed inesorabilmente, senza che io possa farci nulla e nulla possa fare la medicina, sicchè la salute fisica va progressivamente calando , segnale e presagio dell’imminente separazione dell’anima dal corpo, cosa che notoriamente costituisce il fenomeno della morte.

L’esperienza della gioventù presenta le seguenti differenze con quella della vecchiaia. In gioventù cominciamo a avvertire i bisogni dello spirito, abbiamo coscienza della legge morale e del nostro dovere di metterla in pratica. Ma ahimè! Quanto è difficile farlo!

A parte il fatto che le nostre convinzioni morali non sono ancora salde, siamo facilmente influenzabili da concezioni morali lassiste, materialiste o edoniste, sentiamo forte la spinta e la seduzione delle passioni e l’attrattiva dei piaceri carnali, mentre la salute e il vigore fisico ci illudono di poter fondare la nostra vita su noi stessi e di trovare nei beni passeggeri di questo mondo il compimento di tutte le nostre aspirazioni.

Sorge nei più onesti e vigili tra noi, che non si lasciano sedurre, travolgere ed accecare dall’ateismo, dalla superbia, dall’egoismo o dagli idoli di questo mondo, un doloroso conflitto tra la coscienza morale, la volontà di praticare la virtù e il dovere e la sensazione dolorosa frustrante che abbiamo di essere schiavi del peccato e delle passioni, che pur ci attirano: vivissima occasione per accorgersi della differenza fra l’anima e il corpo e del nostro dovere di dominare le passioni.

Chi meglio di San Paolo ha saputo descrivere questa dolorosa lacerazione interiore tipica della gioventù? Ricordiamo brevemente le parole dell’Apostolo:

 

«Acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7, 22-24).

Qui può apparire la tentazione, che è una falsa soluzione, che è quella del dualismo platonico, gnostico e indiano, della quale illustre vittima fu Origene: siccome dal corpo provengono quelle passioni che mi rendono schiavo, allora liberiamoci dal corpo affinchè lo spirito sia libero. Ma non è questa la vera soluzione, che invece sta nella purificazione e dominio ragionevole delle passioni, che non appartengono tanto al corpo quanto piuttosto all’anima, giacchè i vizi spirituali sono peggiori di quelli carnali.

Per questo, il primo problema morale non è di dominio delle passioni carnali, ma il dominio della volontà su se stessa, così da convertire la sua inclinazione dal peccato alla giustizia. È inutile se si è casti ma si è superbi. Meglio essere intemperanti ma umili, perchè qui c’è salvezza, mentre là c’è la perdizione. Questo intendeva dire Cristo quando disse ai farisei: «le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli».

Gli pseudoesegeti biblici che vorrebbero respingere la distinzione anima-corpo, accusandola di «dualismo greco» in nome della concezione biblica dell’unità della persona, invece di inventare queste frottole, ci dicano piuttosto apertamente che vogliono godersi la vita di quaggiù senza tante solfe metafisiche ed ascetico-spiritualistiche.

Il materialista ammira il giovane e disprezza l’anziano perché non capisce il primato dello spirito affermato e testimoniato dalla saggezza dell’anziano, mentre sopravvaluta l’importanza della salute, del benessere fisico e delle passioni.

Al contrario il saggio apprezza il primato dell’anzianità sulla gioventù, l’esperienza dell’anziano, la assennatezza, la sua maturità di giudizio, l’ampiezza di vedute, la sua capacità di discernimento e di guida spirituale, la sua pace interiore e spirito di contemplazione.

Il giovane, incapace di conciliare lo spirito con la carne, per salvare lo spirito deve saper affrontare la sofferenza, la rinuncia e il sacrificio. L’anziano, ottenuta la conciliazione dello spirito con la carne, sa sintetizzare la gioia spirituale col piacere fisico. Non ha più bisogno di rinunciare a ciò che in precedenza ostacolava la libertà dello spirito, perché ormai è al suo servizio e ne esprime la vitalità.

L’anziano ha fatto un lungo cammino sulle vie dello spirito. Sa che cosa è il progresso spirituale e come lo si attua. Conserva e custodisce il perenne e l’eterno e nel contempo è sempre aperto alle novità dello spirito, sempre in atto di imparare e in atteggiamento di ascolto, instancabilmente indaga sui suoi misteri e sempre fa nuove scoperte, sempre pronto a comunicarle agli altri.

Il giovane possiede una strutturazione psicofisica plasmabile, elastica ed agile, che si adatta facilmente ai mutamenti tecnologici, comportamentali, ambientali e linguistici, cosa difficile all’anziano, la cui struttura psicofisica si è irrigidita e sclerotizzata, ma il suo spirito manca di saldezza, che è invece proprietà dell’anziano.

Lo spirito del giovane deve imparare la docilità perché è sollecitato dalla presunzione. Insofferente della disciplina, questa boria lo spinge a rivoluzionare i princìpi del sapere e della morale, che gli paiono soffocare il suo bisogno di libertà. Viceversa il giovane saggio non si chiude nel suo io ma l’apre al tu; non fa del momento presente l’assoluto; apre l’occhio dell’intelletto per non essere ingannato dalle vanità del mondo; considera il bene con la volontà e non trascinato dalla passione; vede l’eterno al di sopra del tempo e preferisce ciò che non passa a ciò che passa.

In che consiste la risurrezione del corpo

Dio può ridare la vita ai morti. Non solo, ma può dare una vita che non passa, quella che Cristo chiama «vita eterna». Questa è una verità di ragione confermata dalla fede cristiana. Dio può creare di nuovo ciò che non c’è più. Può ridare la vita all’uomo che l’ha perduta. Dio è il creatore della vita, per cui, se una vita finisce o viene meno, Egli può crearla nuovamente com’era prima o anche ricrearla migliore di prima.

Se un uomo muore, Dio può risuscitarlo o a questa vita mortale oppure a una vita immortale. Cristo ha risuscitato Lazzaro a questa vita mortale, per cui è morto una seconda volta, ma in vista di una futura risurrezione definitiva all’ultimo giorno. Dio quindi può ridar vita a un cadavere, ma può anche far sì che un’anima riprenda il proprio corpo ormai completamente distrutto e ridotto in polvere.

Se si tratta di rianimare un cadavere, come è stato il caso di Lazzaro, Dio ricrea nel cadavere quelle disposizioni materiali che sono necessarie affinchè il corpo possa essere animato e governato dall’anima, possa essere docile e obbediente all’attività animatrice, informatrice, direzionale e conduttrice dell’anima. Se il cadavere è totalmente dissolto, come sarà il caso per quasi tutti gli individui umani alla futura risurrezione, Dio probabilmente servendosi del ministero degli angeli, farà raccogliere le polveri necessarie per la ricostituzione del corpo non più in vista di corpi mortali, ma di corpi immortali.

Una questione speciale ci è posta dalla sorte delle anime dei risuscitati nella vita presente. Si racconta, al riguardo, di miracoli operati anche da Santi. Dove vanno le loro anime al momento della morte? Esse vengono a trovarsi in una condizione ultraterrena diversa dalle persone che muoiono per risorgere solo all’ultimo giorno. Queste compiono la loro scelta definitiva: o per Dio o contro Dio. Le prime invece vengono con la morte a trovarsi in una situazione non definitiva, dalla quale risorgono per tornare a questa vita mortale e riprendere così il cammino comune che conduce a quella morte con la quale invece l’anima prenderà la sua decisione definitiva o per Dio o contro Dio.

Le resurrezioni operate da Cristo si riferiscono a persone circa le quali si può supporre che si trovassero in un luogo ultraterreno di pace, soprattutto Lazzaro, del quale il Vangelo ci dice che Gesù lo amava. Tuttavia, non sono luoghi scelti definitivamente, perché da essi vengono tratti da Dio per tornare alla vita terrena.  La morte preescatologica si può considerare una specie di sonno.  Così Gesù dice che la figlia di Giairo «non è morta, ma dorme» (Lc 8,59).

Viceversa sappiamo che coloro che Dio non intende far risorgere a questa vita mortale, li pone nelle condizioni della scelta definitiva al momento della morte, sicchè la risurrezione dell’ultimo giorno non riporrà più l’anima nella condizione di dover ancora scegliere la sua sorte definitiva come avviene per la risurrezione a questa vita, ma si tratta delle anime che hanno già scelto per sempre.

Viceversa Lazzaro, per quanto amico di Cristo, al momento della morte non fece la sua scelta definitiva per Cristo, perché doveva tornare a questa vita non definitiva  e ciò per speciale disposizione divina, che in questi casi fa eccezione rispetto alla legge generale che l’anima al momento della morte compie la sua scelta definitiva. Ma trattandosi di morte da cui l’individuo risorge a questa vita, Dio, col farlo risorgere, lo rimette nel cammino nel quale la scelta definitiva non è ancora fatta.

È dunque evidente che esiste una differenza essenziale per quanto riguarda l’attività eligente del libero arbitrio tra la morte preescatologica dei risorti a questa vita mortale rispetto alla morte escatologica propria di ogni mortale che risorgerà nell’ultimo giorno.

La differenza sta nel fatto che mentre con la morte preescatologica lo scegliere del fine ultimo non cessa, perché prosegue nel soggetto finchè non giunge alla morte escatologica, quando invece giunge a questa, lo scegliere del libero arbitrio cessa e resta fermo o fisso per sempre l’ultima scelta, che può essere o per Dio o contro Dio.  

Infatti è chiaro che quando il soggetto risorto da morte preescatologica torna in vita, egli non ha ancora compiuto la sua scelta definitiva ed immutabile per Dio o contro Dio, ma, finchè dura questa vita mortale, resta aperto alle due possibilità a seconda che cada o non cada nel peccato mortale. Egli cioè continua nella sua attività elettiva e nel farsi meriti o demeriti, per cui, se resta fedele a Dio, può acquistare continuamente meriti per la vita eterna o viceversa, se tradisce il Signore, acquista meriti per l’inferno.

Da che cosa dipende questa differenza? Perché al momento della morte preescatologica il libero arbitrio non si ferma, mentre si ferma al momento della morte escatologica? Ciò dipende dal fatto che nel primo tipo di morte l’anima non si separa totalmente dal corpo mortale, a differenza della separazione che avviene nel secondo tipo di morte, nella quale l’anima si separa per sempre da un corpo mortale nell’attesa di assumere un corpo immortale.

I caratteri del corpo glorioso

Il corpo maschile e femminile che conosciamo adesso è lontanissimo dalle fattezze e funzioni che saranno proprie del futuro corpo glorioso. Di fatti noi qui conosciamo un corpo bisognoso di nutrimento e mantenimento, perché soggetto alla morte; conosciamo un sesso ordinato alla procreazione, mentre in cielo non vi sarà procreazione; conosciamo un corpo continuamente bisognoso di ossigeno, mentre in cielo non ne avrà più bisogno.

È vero che Cristo risorto appare come capace di mangiare e prima di tornare al Padre promette ai suoi di bere vino nuovo nel suo regno; ma è chiaro che questi gesti di Gesù vogliono rispettivamente semplicemente significare sia la realtà del suo corpo così come quaggiù possiamo intendere tale realtà e sia la festosità del regno di Dio, in quanto fare un brindisi col vino è un gesto tipico per esprimere la gioia di una festa tra amici.

Conosciamo inoltre un ciclo vitale che procede secondo una crescita fisica iniziale e giunge ad una pienezza di forze all’età adulta. Dopodiché inizia l’inarrestabile graduale declino delle forze, che, se non capita qualche incidente nel frattempo, termina con la vecchiaia e la morte. Ci piace immaginare il corpo risorto nella pienezza delle forze dell’età adulta. Così ci piace immaginare tutti i morti da giovani o in vecchiaia, tutte le vittime degli aborti.

Così, per esprimere la differenza tra il corpo terreno e quello celeste San Paolo fa il paragone fra il chicco di grano e lo stesso grano (I Cor 15,37). Paolo parla inoltre di un passaggio da un «corpo animale» (soma psychikòn, I Cor 15,44) a un «corpo spirituale» (soma pneumatikòn, ibid.), e da dall’«uomo di terra» (anthropos ek ghes, I Cor 15,47) all’«uomo celeste» (anthropos ek uranù, ibid.). Dice addirittura che l’uomo risorto è «spirito datore di vita» (pneuma zoopoiùn, I Cor 15,45).

Un aspetto essenziale del mistero della futura risurrezione è chiarire per quanto possibile, il luogo e lo spazio del mondo futuro che dovrà ospitare i risorti, giacchè è inconcepibile un corpo umano che non occupi un luogo ed essendo un agente in divenire non sia soggetto al tempo.

Di questo mondo futuro parlano Isaia, San Pietro e l’Apocalisse.

 

«Ecco io creo nuovi cieli e nuova terra. Non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente. Poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare» (Is 65, 17). «I nuovi cieli e la nuova terra che io farò dureranno per sempre davanti a me» (Is 66,22). «Secondo la sua promessa noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (II Pt 3,13). «Vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi» (Ap 21,1). Questa terra nuova è la «città santa, la nuova Gerusalemme» (v.2) celeste.

Dobbiamo riconoscere con modestia che un quadro del genere oltrepassa ogni nostra immaginazione. Si parla, certo, di realtà a noi note, come il cielo e la terra, come di Gerusalemme. Ma comprendiamo anche che non può trattarsi univocamente delle stesse realtà che conosciamo qui, ma solo secondo una lontana analogia il cui sommo analogato ci sfugge completamente, cosi come lo stesso si dica dei corpi risorti.

Il nostro corpo risorto partecipa della gloria del corpo risorto del Signore. Una luce per comprendere questo mistero ci viene dall’accostamento che possiamo fare delle apparizioni di Gesù risorto con l’episodio della Trasfigurazione, narrato da tutti e tre i Sinottici, segno evidente della forte impressione che suscitò negli Evangelisti.

Che cosa è successo esattamente in questo misterioso straordinario episodio? Secondo la narrazione degli Evangelisti le vesti di Gesù divennero «candide come la luce» (Mt 17,2), «divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche» (Mc 9,3). Luca dice che «la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Lc 9,29). Matteo segnala che «il suo volto brillò come il sole» (17,2) e Luca dice che «il suo volto cambiò di aspetto» (9,29).

Interessante per il nostro argomento è anche l’apparizione di Mosè e di Elia. Come gli apostoli li hanno riconosciuti? E come hanno potuto presentarsi col loro corpo, se la loro anima separata si trovava, come possiamo supporre, negli inferi, dato che Cristo non aveva ancora dato inizio al paradiso? Qui dobbiamo supporre che gli Apostoli siano stati illuminati soprannaturalmente circa l’identità di Mosè e di Elia, dato che evidentemente, essendo vissuti secoli prima di loro, non avevano potuto vederli, né allora esisteva l’arte del ritratto, così da potersi conservare l’immagine.

È possibile che la vista stessa degli Apostoli sia stata soprannaturalmente rafforzata, così da proporzionarla alla visione della misteriosa luminosità di Cristo e all’apparizione dei due personaggi biblici. La spiritualità ortodossa, riprendendo il pensiero dei Padri orientali, dedica una speciale attenzione all’episodio della Trasfigurazione chiedendosi come sia da intendere la luce che emana da Cristo, se sensibile o intellegibile, creata o increata[1].  Questa ipotesi del rafforzamento della vista si può utilizzare anche per spiegare come mai, quando Cristo risorto appare, non sempre viene subito riconosciuto.

È da notare che gli Evangelisti riferiscono ciò che a loro hanno raccontato i testimoni oculari Pietro, Giacomo e Giovanni. Avranno trovato le parole giuste per esprimere quanto hanno visto? Ad ogni modo non è difficile cogliere il significato simbolico della luce e della bianchezza come simboli della purezza, della verità e della gloria. E non è difficile capire che la visione del Signore trasfigurato è stata per loro un’esperienza che li ha confermati nella loro fede in Cristo in modo così saldo, che per esserGli fedeli non avrebbero esitato ad affrontare le più dure opposizioni fino all’accettazione del martirio, come appare evidente dalle parole di Pietro:

 

«Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: “Questo è il Figlio mio, l’amato, nel quale mi sono compiaciuto”. Questa voce noi l’abbiamo sentita scendere dal cielo quando eravamo con Lui sul santo monte.» (II Pt 1, 16-18).

La vista del corpo glorioso del Signore è quella che ci dà la forza di annunciarlo al mondo e di persuaderlo con una parola rassicurante, tale da invogliarlo a credere in Lui e a seguirLo per ottenere la remissione dei peccati e la vita eterna.

Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 aprile 2024


Se un uomo muore, Dio può risuscitarlo o a questa vita mortale oppure a una vita immortale. Cristo ha risuscitato Lazzaro a questa vita mortale, per cui è morto una seconda volta, ma in vista di una futura risurrezione definitiva all’ultimo giorno. Dio quindi può ridar vita a un cadavere, ma può anche far sì che un’anima riprenda il proprio corpo ormai completamente distrutto e ridotto in polvere.

Le resurrezioni operate da Cristo si riferiscono a persone circa le quali si può supporre che si trovassero in un luogo ultraterreno di pace, soprattutto Lazzaro, del quale il Vangelo ci dice che Gesù lo amava. Tuttavia, non sono luoghi scelti definitivamente, perché da essi vengono tratti da Dio per tornare alla vita terrena. La morte preescatologica si può considerare una specie di sonno.  Così Gesù dice che la figlia di Giairo «non è morta, ma dorme» (Lc 8,59).

Un aspetto essenziale del mistero della futura risurrezione è chiarire per quanto possibile, il luogo e lo spazio del mondo futuro che dovrà ospitare i risorti, giacchè è inconcepibile un corpo umano che non occupi un luogo ed essendo un agente in divenire non sia soggetto al tempo.

La vista del corpo glorioso del Signore è quella che ci dà la forza di annunciarlo al mondo e di persuaderlo con una parola rassicurante, tale da invogliarlo a credere in Lui e a seguirLo per ottenere la remissione dei peccati e la vita eterna.

Immagine da Internet: Gesù resuscita la figlia di Giairo, Ambito napoletano sec. XVII, Salerno

[1] Su questo tema notevoli sono le considerazioni di Gregorio Palamas, in Luce del Tabor. Difesa dei santi esicasti, Edizioni ESD-San Clemente, Bologna 2022.

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