La Sindone è il telo che ha avvolto il corpo di Cristo? Avvenire commette un errore di apologetica

 

La Sindone è il telo che ha avvolto il corpo di Cristo?

Avvenire commette un errore di apologetica

 

La ragione conduce alla fede e prepara l’atto di fede

Il quotidiano Avvenire* del 9 settembre scorso ha pubblicato un articolo di Antonio Musarra Devozione, oltre l’autenticità, nel quale l’Autore, trattando della Sindone di Torino in relazione al problema della fede, esclude che la Sindone possa avere un valore apologetico, con un ragionamento falso, affetto dal vizio della tautologia. Egli dice infatti: «la fede cristiana non si fonda su reperti tangibili, ma su un evento proclamato e creduto». È la stessa cosa che dicesse che la fede si fonda sulla fede, o che il credere si fonda sul credere.

Questa non è la vera fede cristiana e non è così che nasce la fede. Questo è suggestione, emozione, plagio, fanatismo, indottrinamento o vana credulità. La vera fede cristiana è una fede soprannaturale motivata da due princìpi generatori: un principio introduttivo e preparatorio umano, che è l’indagine e la verifica razionale dei motivi di credibilità del messaggio di fede e un principio divino, principale e decisivo, che è Dio che illumina la mente e la muove ad aderire alla Parola di Dio.

Quindi la proclamazione dell’evento di Cristo non è il fondamento della fede, ma è il messaggio che il predicatore propone come oggetto o contenuto della fede. Il motivo o fondamento della fede è l’autorità di Dio che mediante il predicatore rivela il contenuto della fede. Proclamare il messaggio cristiano davanti ad un uditorio che non è stato antecedentemente preparato da un intelligente lavoro apologetico, o è un’offesa allo stesso messaggio o è indottrinamento o propaganda che scambia l’annuncio evangelico per la pubblicità di un dentifricio.

Nell’atto di fede il credente assume o accoglie come vero ciò che gli è comunicato o annunciato dal predicatore come rivelazione divina, superiore alla verità razionale e pertanto non evidente alla ragione e non dimostrabile razionalmente.

La fede, avendo per oggetto verità soprannaturali e divine, certamente non è causata dalla semplice ragione, la quale può determinare solo verità a lei naturali e proporzionate, ma è provocata da un’illuminazione divina, che innalza la mente umana alla conoscenza oscura ma certissima di verità, che la ragione da sola non potrebbe comprendere, se non le fossero rivelate da Dio mediante l’ascolto del predicatore o la lettura della Parola di Dio.

Quando si parla dei motivi o del fondamento della fede, occorre distinguere ciò che induce a credere o guida alla fede da ciò che motiva formalmente e decisivamente il credere. Bisogna distinguere le condizioni morali e psicologiche necessarie, previe e sufficienti che rendono possibile e ragionevole il credere, dal motivo o causa propria dell’atto di fede, che è l’autorità divina che rivela.

Infatti il credere, se non è un semplice atto razionale, è tuttavia un atto della ragione, seppure elevata alla conoscenza analogica, indiretta ed enigmatica di verità sovrarazionali. Il credere è un partecipare allo stesso pensiero divino e per questo San Paolo dice che il credente possiede il pensiero di Cristo. Il credente si eleva al punto di vista di Dio, vede in certo modo le cose e Dio stesso come Dio li vede, li vede in Dio, benchè non per questo entri in possesso della scienza divina, il che sarebbe panteismo e folle superbia.

Il predicatore della fede, al fine di suscitare la fede nel non-credente, non deve semplicemente ex abrupto annunciare la Parola di Dio o l’evento di Cristo, come se il credere fosse un sapere immediato, così come io so od ho esperienza immeditata di aver caldo o freddo o delle cose che mi stanno attorno.  Esiste sì un certo sperimentare affettivo ciò che si crede, ma questa è solo l’esperienza mistica, che è un’esperienza-vertice o culmine, che è raggiungibile solo partendo dal credere come sapere mediato e dottrinale.

Certo, nella fede c’è il momento decisivo, gioioso ed esaltante della scoperta e quasi della visione, del libero assenso alla verità rivelata, ma ciò è garantito nella sua autenticità solo da una precedente adeguata, metodica e coscienziosa preparazione razionale, senza fretta e senza ritardi e senza passi falsi.

La mente che acquista fede non è inizialmente nelle tenebre così che la verità venga solo dalla fede, ma è già in possesso della verità razionale.  E su questa base aumenta il suo sapere con l’acquisto della superiore e suprema verità di fede.

Questa pertanto non viene affatto, come crede Lutero, a smentire o distruggere ciò che vedeva la ragione, ma al contrario viene a confermarlo e a migliorarlo.  Altrimenti non abbiamo la vera fede, ma l’absurdum di Tertulliano, il delirio dei visionari e l’egocentrismo degli esaltati.

L’evangelizzatore deve preparare l’ascoltatore alla fede e condurlo all’atto di fede gradualmente con un’attività previa, paziente e prudente, che può durare anche molto tempo. L’importante è che l’ascoltatore cammini nella verità. L’evangelizzatore deve pertanto stimolare e sollecitare la ragione dell’interlocutore senza trucchi e vie traverse, ma con onestà e limpidezza, con l’offrirle una testimonianza di carità e segni o prove di credibilità di ciò che intende annunciare, affinchè la ragione dell’ascoltatore divenga ben disposta ad accogliere la Parola di Dio. Il compito dell’evangelizzatore è simile a quello del Battista che prepara le vie del Signore.

Infatti la grazia della fede illumina la mente dell’ascoltare solo se la sua ragione è ben disposta ad accogliere la Parola di Dio presentata come credibile in base alla dimostrazione, da parte del predicatore, dei suddetti segni di credibilità, fra i quali possono esserci anche i miracoli. Ma a nulla servono i più strepitosi miracoli, i più rigorosi ragionamenti e le più eroiche testimonianze di carità, se l’astante non desidera la verità e il bene, ma è attaccato  al proprio io e ai propri peccati.

Ora l’atto di fede non è un atto semplicemente intellettuale, ma è un atto volontario, appunto perché l’intelletto del credente non è necessitato dall’evidenza dell’oggetto – e qui Musarra ha ragione - , ma è mosso ad accoglierlo perchè la volontà è sollecitata dai segni di credibilità offerti dall’evangelizzatore, e così sotto la mozione della grazia, la volontà spinge l’intelletto a  prender per vero il messaggio proposto dall’evangelizzatore.

In base a queste premesse dobbiamo dire che un oggetto materiale come la Sindone di Torino presenta caratteristiche molto appropriate o adatte a condurre alla fede, anche se è chiaro che l’atto di fede in se stesso è causato da Dio nella mente del credente. Ma la proposta fatta dal predicatore al non-credente di prendere in considerazione il mistero della Sindone di Torino può essere utilissima per far riflettere il non-credente e condurlo alla fede. Una fede infatti che non fosse preparata da una seria riflessione su opportuni segni di credibilità, non sarebbe vera fede ma sciocca credulità, fideismo o fanatismo.

Musarra sostiene che la Sindone non può valere come dimostrazione materiale della Resurrezione. È chiaro che non può esistere la dimostrazione materiale di una verità di fede. Ma il caso della Resurrezione è un caso speciale, perché Cristo risorto si è fatto vedere e toccare. Ma la cosa più sorprendente della Sindone, come vedremo, è che in essa – come si è appurato dagli esami più recenti e più avanzati - è l’impronta di una misteriosa energia irradiante luminoso-calorifica, che porta a supporre che possa essere effetto del momento in cui Cristo è risorto. Se ciò è vero, avremmo un segno, una prova o traccia materiale della Resurrezione.

Come tutti sappiamo ormai dall’abbondantissima letteratura sull’argomento, secondo la testimonianza di un’antichissima tradizione, che il telo della Sindone di Torino è quello che ha avvolto il corpo di Gesù nel sepolcro (Gv 19,20) e che Giovanni ha visto entrando nel sepolcro «piegato in un luogo a parte (Gv 20,7).

La storia ci dice che questo telo nei secoli attraversò vari luoghi, fu nelle mani dei Templari, fu trasportato in Francia nel sec.XIV per giungere poi ad essere deposto a Torino, dove tuttora si trova. La diocesi torinese celebra annualmente una memoria liturgica della sacra Sindone, memoria voluta da Papa Giulio II nel 1506. Questo fatto evidentemente testimonia che il Papa considerò la Sindone come reliquia del corpo di Cristo.

Le più recenti e avanzate indagini scientifiche praticate sulla Sindone concordano per svariati motivi nel riconoscere una sorprendente corrispondenza fra i dati della Sindone e quanto raccontano i  Vangeli circa la passione, morte e sepoltura del Signore.

Due fatti misteriosi

L’impronta presente nella Sindone non testimonia solo del fatto che essa è stata toccata da un corpo umano defunto in tutto corrispondente a quanto i Vangeli narrano circa la passione e la morte di Cristo, ma - e questo si è venuto scoprendo solo di recente – nel telo sindonico ci sono anche  due cose misteriose e inspiegabili,  che fanno pensare che questo telo non testimoni solo della morte, ma anche del momento della Resurrezione. E sono, la prima, il fatto che le impronte sono state causate in un istante da una misteriosa potentissima energia luminosa e, seconda, il fatto che il corpo non è stesso, ma in piedi!

Vediamo il primo fenomeno. Un problema sempre aperto riguardante la Sindone è quello di come si è formata l’immagine, che non è una pittura, ma un’impronta. Un’impronta di che cosa? L’impronta di un corpo umano, certamente. Ma non è solo questo.  Innanzitutto in che consiste questa impronta?  A parte le tracce di sangue, di polvere e di pollini, si tratta, come dicevo in un mio studio dedicato all’argomento[1] di una

«ossidazione superficialissima del tessuto e tuttavia incancellabile ... Il problema, tuttora insoluto, nonostante le accuratissime analisi  chimiche più avanzate, resta quello di sapere che cosa abbia provocato questo processo di ossidazione. Quello che sembra certo – in base agli appositi esperimenti compiuti – è che le fibre devono essere state sottoposte per brevissimo tempo( affinchè l’ossidazione non distruggesse la fibra), a una radiazione luminosa – si è potuto fare il paragone con la luce solare – di alta energia (per rendere possibile l’impronta). … Di che natura è l’energia luminosa delicatissima e potentissima al tempo stesso, che ha colorato il tessuto sindonico? E da quale fonte è pervenuta? La scienza è incapace di risolvere questo mistero. Se si pensa al cadavere, ci si chiede come possa un cadavere aver emanato da sè una simile energia. …

Un fenomeno di ossidazione come quello della Sindone è un caso unico; non esistono altri esempi simili. Per questo la scienza che, per dare una spiegazione razionale e formulare una spiegazione in base a una legge naturale ha bisogno di fondarsi su di una molteplicità di casi simili, che a loro volta esprimano tale legge naturale, non essendo in grado di formulare l’eventuale legge di questo fenomeno, non è neppure in grado di darci una spiegazione. Essa si trova davanti a un fatto  che non dipende dalle leggi conosciute; viene dunque constatato l’effetto di una energia luminoso-calorifica, la cui legge è sconosciuta. A questo punto, se la Sindone ha contenuto veramente il corpo di Gesù, la spiegazione potrebbe essere data facendo ricorso a un’energia che si sarebbe sprigionata dal corpo di Cristo al momento della Resurrezione»[2].

 

«Altro fatto assai misterioso e umanamente inspiegabile – tale quindi da far pensare anch’esso al miracolo – è il problema di capire come siano stati determinati i contorni o i lineamenti dell’immagine sindonica.  Supponendo infatti che un corpo sia disteso supino con un telo posto sopra, e supponendo che questo corpo possa lasciare traccia di sé sul telo, se noi, tolto il telo, osserviamo l’impronta che su di esso si è formata, noteremo che essa è piuttosto confusa e allargata per il fatto che il telo scende parzialmente anche sulle guance del volto e sulle zone laterali del corpo.

 

Viceversa, l’impronta sindonica risulta da una proiezione ortogonale del corpo sulla tela, ossia costituisce un’immagine del corpo visto esattamente di fronte (per l’immagine anteriore) ed esattamente da dietro (per l’immagine posteriore), mentre tale proiezione cade sulla tela (sia la parte che sta sopra il corpo, sia quella che sta sotto) come se essa non avvolgesse naturalmente la salma, come ci sarebbe da aspettarsi, ma fosse, al di sopra e al di sotto di essa, perfettamente tesa. Che lo sia la parte sottostante lo si può comprendere, giacchè si può supporre che la salma giacesse su di un piano liscio e orizzontale della pietra tombale (come si può osservare tuttora nel Santo Sepolcro); tuttavia anche l’impronta posteriore non è esattamente quella che risulterebbe da un corpo che vi poggiasse sopra, ma è quella che risulterebbe da una proiezione ortogonale, come se il telo non fosse direttamente a contatto col corpo, ma da esso lievemente distanziato.  

 

Infine, ad aumentare la nostra meraviglia, si aggiunge un altro particolare misterioso: l’impronta sindonica dei capelli. Tale impronta non è quella che risulta naturalmente per un corpo che supponiamo disteso supino: in questo caso infatti i capelli si afflosciano e ne risulta l’immagine corrispondente. Nel caso della Sindone, invece, l’immagine dei capelli  è quella che risulta quando cadono perpendicolarmente, ossia quando il corpo è in posizione eretta.

 

A queste osservazioni occorre aggiungere due annotazioni. La prima è la seguente: l’impronta ortogonale che la salma ha lasciato sulla Sindone è strutturata in modo tale che il colore dell’impronta è massimo  in relazione alle parti  del corpo più vicine al telo (per esempio la punta del naso o le arcate sopraciliari o i baffi) e decresce in proporzione inversa alla distanza del corpo dal telo, fino a scomparire del tutto oltre una certa distanza (soprattutto le insenature del volto, come per esempio quelle che circondano i bulbi oculari, non hanno lasciato traccia). Ciò porta a pensare che le “radiazioni” che hanno causato l’ossidazione del lino e quindi l’impronta, avessero una lunghezza di irradiamento piuttosto limitata, in modo tale che, mentre quelle che si sono originate dalle parti del corpo più vicine al telo hanno lasciato traccia, non così è stato per quelle che sono partite dalle parti più lontane, al di là di un certo limite. …

 

La seconda annotazione è la seguente»: l’immagine del volto non è una specie di negativo fotografico, come ancora si crede, «ma in base a quanto si è detto nell’annotazione precedente, occorre invece affermare che l’immagine sindonica non è un ritratto, ma una semplice impronta, le cui gradazioni del colore non dipendono, come un qualunque ritratto, dagli effetti prodotti sul volto da una luce proveniente da una data direzione: queste gradazioni del colore sono invece determinate, come ho detto, dalle variazioni di distanza delle parti del corpo dal telo sindonico»[3].

Questo fatto è estremamente significativo, quasi a dire che il volto di Cristo non riceve luce dal di fuori, non è illuminato fa una fonte di luce esterna, ma esso stesso emana luce ed è sorgente di luce, giacchè Dio è Luce ed Egli è la luce del mondo. Viene in mente l’episodio di Mosè che, avendo visto Dio, aveva il volto raggiante di luce. Gesù, nuovo Mosè, non ha bisogno come Mosè che il suo volto mandi una luce di riflessa, perché Egli stesso è la sorgente divina della luce e di ogni luce. 

Come ignorare queste meraviglie? Certo, il corpo di Gesù non lo vediamo perchè è in cielo; ma come non riconoscere che Egli ha voluto benignamente lasciarci un ricodo di Sé in questo meraviglioso telo, sul quale puntano infaticabilmente l’attenzione tutte le scienze scoprendo sempre nuove meraviglie?

Per questo, dobbiamo dire con franchezza che Musarra, con la sua negazione dell’importanza essenziale dei segni materiali di credibilità nel processo o cammino spirituale che, sostenuto dalla grazia e promosso e guidato dal l’evangelizzatore,  conduce la ragione del non-credente dalla ragione alla fede, dimostra di non capire ed apprezzare il valore apologetico della Sindone, come segno di credibilità della rivelazione cristiana.

L’apologetica è l’introduzione razionale e filosofica alla virtù della fede. Essa svolge un duplice ruolo: costruttivo, nello spiegare come la ragione si pone la questione del credere in Dio e nel fornire argomenti di credibilità della persona di Cristo e del messaggio cristiano e un ruolo difensivo, nel togliere gli ostacoli frapposti dalle false filosofie all’indagine filosofica su Dio e al cammino della ragione verso la fede.

L’apologetica ci insegna che il miracolo non è oggetto di fede, ma è un fatto o un evento evidente, sensibile, sperimentabile, razionalmente e scientificamente documentabile e dimostrabile,  che induce a credere, senza togliere il fatto che l’atto del credere oltrepassa le forze della ragione ed è un dono di Dio. Tuttavia, come diceva Pio XI, se oscure sono la verità di fede, chiari sono  i motivi razionali che inducono a credere. Viceversa, empietà sarebbe il tentativo di dimostrare razionalmente le verità di fede, come fece Hegel e fanno tutti gli gnostici e i razionalisti.

Il segno di credibilità lascia sempre libero l’atto di fede, che quindi non è la conclusione di un sillogismo, e tuttavia, per grazia di Dio, interpella la coscienza onesta  facendo presente il dovere di credere. Invece purtroppo Musarra, a causa delle sue premesse errate, conclude sostenendo che davanti alla Sindone quello che interessa non è sapere se è o non è una reliquia, ma solo sapere che si tratta di un’immagine che suscita la devozione, similmente a quella che potrebbe essere una Madonna di Raffaello o un’icona di Rubliov. Ma ciò evidentemente vuol dire non aver capito le caratteristiche proprie, miracolose ed uniche della Sindone, che fanno sì che il suo valore apologetico sopravanzi immensamente quello di qualunque altra immagine sacra, per quanto bella, preziosa e venerabile e spinga il nostro animo non solo alla devozione, ma anche all’adorazione.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 settembre 2025


Ad aumentare la nostra meraviglia, si aggiunge un altro particolare misterioso: l’impronta sindonica dei capelli. Tale impronta non è quella che risulta naturalmente per un corpo che supponiamo disteso supino: in questo caso infatti i capelli si afflosciano e ne risulta l’immagine corrispondente. Nel caso della Sindone, invece, l’immagine dei capelli  è quella che risulta quando cadono perpendicolarmente, ossia quando il corpo è in posizione eretta.

7 commenti:

  1. Sono Alessandro. Come per i miracoli eucaristici (es. Lanciano), per Lourdes, Fatima, e altri, per la Sindone si sente spesso questo ritornello di eccessiva prudenza anche da parte di chi dovrebbe invece essere molto più aperto all'evento concreto straordinario di Dio nel mondo e per il mondo.

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    1. Caro Alessandro,
      in linea di massima sono d’accordo.
      Eventualmente, se lei crede, mi faccia almeno un esempio di questa eccessiva prudenza. Così lo potremmo esaminare assieme e formulare un giudizio che abbia la speranza di essere veramente prudente.

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    2. Sempre Alessandro.
      Caro Padre, basterebbe citare Padre Alberto Maggi e S. Em. Rev.ma il card. Ravasi per esempio. Entrambi usano una prosa semplice, l'uno, e dotta, l'altro, che però sostanzialmente tende a sminuire, fino a farlo scomparire, il miracolo, il soprannaturale, il fenomeno dal Cielo nella concretezza della nostra vita terrena. Il loro discorso é fumoso, complicato, non chiaro e diretto, si, no, come ha appena fatto Lei, Padre..

      "Bernardette non ha mai detto di aver visto la Madonna" (cosa vera, ma c'é molto altro da dire e non lo dice e se lo dice, solo come pensa lui), ha avuto un'esperienza mistica ma non quella che ci raccontano, dice Padre Maggi.

      Idem per S. Em. Rev.ma Card. Ravasi, sui miracoli evangelici (simboli), l'apparizione di Gesù sulla via di Damasco (Paolo, "più una vocazione", scrive giocando sul vocabolo effettivamente presente negli Atti e usato da San Paolo), l'Ascensione (non nel senso astronautico - ma simbolico) e così via.

      Per la Sindone é meglio neanche provare a vederci qualcosa al di là della credenza popolare un po' sciocca. Non c'é nessuna prova scientifica. Va vista come simbolo, come "segno spirituale" (cioé?).

      Insomma quando si ascoltano o leggono sia l'uno che l'altro non si é mai aperti al Cielo, perché mai Dio la farebbe così semplice? Il soprannaturale dobbiamo scordarcelo tranne nell'esperienza interiore personale, l'esperienza mistica..

      Altro esempio. A Fatima tre santi bambini erano pronti a morire piuttosto di dire che si erano inventato tutto. Ma nel suo libro sull'Inferno, Vorgrimler, teologo e sacerdote cattolico, ne parlò con insolenza (bambini ignoranti e psicologicamente deboli). Fatima é tutta da riconsiderare secondo lui (beninteso, come vuole lui e buttando via esempi di santità sublimi... ).

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    3. Caro Alessandro,
      la ringrazio per queste informazioni.
      Esse ci danno un quadro impressionante della mancanza di rispetto per il Magistero della Chiesa, per cui ci domandiamo come questi autori possano essere chiamati cattolici.
      In secondo luogo, si nota una grave ignoranza circa la natura dei miracoli.
      In terzo luogo, un grave disprezzo per le accuratissime ricerche e notevolissime scoperte fatte dalla scienza riguardo alla Sindone.
      In quarto luogo, si nota un atteggiamento empio nei confronti delle testimonianze dei santi relative alla devozione alla Madonna di Lourdes e di Fatima.

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  2. Caro Padre Giovanni,
    il prof. Antonio Musarra ha replicato a questo articolo sul suo profilo Facebook.
    Le riporto di seguito tale replica (in 2 commenti).
    Bruno V.
    --
    La Sindone di Torino torna periodicamente al centro del dibattito ecclesiale e mediatico, oscillando tra due estremi: chi la esalta come “prova” della resurrezione di Cristo e chi la liquida come reliquia medievale di dubbia origine. In mezzo, la posizione della Chiesa: prudente, rispettosa, capace di valorizzarne il potere evocativo senza trasformarla in totem. È in questo spazio che si colloca la critica che mi è stata rivolta: aver negato alla Sindone un ruolo apologetico, come se così facendo si svuotasse la fede. Ma è davvero così? O, piuttosto, non è vero il contrario: che la fede, se caricata di prove materiali, si svuota del suo respiro più autentico? Occorre fare ordine. Perché non tutto ciò che suscita devozione fonda la fede, e non tutto ciò che colpisce i sensi costituisce un argomento credibile per chi cerca Dio. La fede cristiana ha radici più profonde: non nasce dalla prova tangibile, ma dall’incontro con un evento proclamato, custodito e trasmesso dalla comunità dei credenti (CCC 153-156).
    Il nodo teologico è semplice, eppure sfuggente: che cosa fonda la fede? Il fondamento non è un oggetto, ma un soggetto: Dio stesso, che rivela. «A Dio che rivela è dovuta “l’obbedienza della fede” (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6)» (Dei Verbum, 5). La fede è atto dell’uomo mosso dalla grazia, che aderisce alla Parola di Dio non perché dimostrata da reperti, ma perché riconosciuta come vera dall’autorità del Dio che parla (CCC 150). Non c’è circolo vizioso in questo: la fede non “si fonda sulla fede” ma su un’autorità che trascende la ragione e la illumina. Certo, la ragione non è esclusa. Essa prepara, dispone, cerca motivi di credibilità. Il Concilio Vaticano I insegna: «affinché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli aiuti interiori dello Spirito Santo, si unissero gli argomenti esterni della sua Rivelazione, cioè gli interventi divini, come sono principalmente i miracoli e le profezie che dimostrano luminosamente l’onnipotenza e la scienza infinita di Dio e sono segni certissimi della divina Rivelazione e adatti all’intelligenza di tutti (Dei Filius, 3; ma anche CCC 156). I miracoli, la testimonianza dei santi, la coerenza del Vangelo, la continuità della Chiesa: tutto questo ha un valore. Ma non produce la fede, la rende ragionevole. È la grande lezione che la Chiesa ha sempre custodito: non confondere i motiva credibilitatis con il fondamento della fede. Perché il fondamento è l’autorità divina, non un reperto archeologico (per quanto suggestivo!).
    In questo quadro, la Sindone è un segno potente. Colpisce i sensi, interroga la scienza, provoca la ragione. Ma resta, nella definizione più sobria dei papi contemporanei, un’“icona del Sabato santo” (Benedetto XVI, 2 maggio 2010), uno “specchio del Vangelo” (Giovanni Paolo II, 24 maggio 1998).

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  3. Non una prova, non un dogma, non una certezza storica definitiva. Usarla come prova della resurrezione è pericoloso: da un lato, perché la ricerca scientifica non ha raggiunto un consenso; dall’altro, perché il Cristianesimo non si regge su un pezzo di tela, ma sull’annuncio di una tomba vuota e di apparizioni che nessuna fibra di lino potrà mai contenere (1 Cor 15,3-8). Qui si gioca il discrimine tra fede e superstizione: la prima si affida a Dio, la seconda pretende garanzie visibili. Non è un caso che la Chiesa non abbia mai proclamato la Sindone come reliquia autentica del corpo di Cristo. La lascia al libero discernimento dei fedeli, incoraggiando studi seri ma senza vincolarvi la fede. È questa prudenza che custodisce la libertà dell’atto credente.
    C’è un altro punto delicato che mi preme considerare. In alcuni ambienti si è arrivati a parlare della Sindone come oggetto non solo di venerazione, ma addirittura di adorazione. Qui, l’errore diventa grave: l’adorazione (latria) spetta solo a Dio (CCC 2132), non a un lenzuolo, anche se fosse stato a contatto con il corpo di Gesù. Le reliquie si venerano, le immagini si onorano, ma solo Dio si adora. Confondere questi livelli significa scivolare in un culto improprio, che non serve la fede ma la distorce. E ancora: presentare la Sindone come “proiezione luminosa” del corpo risorto, come se un’energia misteriosa ne avesse impresso l’immagine, rischia di trasformare la resurrezione in un fenomeno fisico, quasi da laboratorio. Ma la resurrezione non è un processo chimico: è un atto creativo di Dio, che restituisce vita trasfigurata (CCC 646)! Ridurla a energia significa impoverirla. Non a caso la Chiesa preferisce parlare della Sindone come segno che “rimanda”, non come prova che “dimostra”. Che cosa possiamo dire, allora? Che la Sindone ha un valore immenso, se custodita nel suo giusto ordine: non fondamento della fede, ma “aiuto” alla fede (CCC 164); non prova della resurrezione, ma “icona” - benché, da una prospettiva storica, e, dunque, immanente, il termine possa (debba) essere discusso - che ne attualizza il mistero; non oggetto di adorazione, ma “segno” che rimanda all’adorazione di Dio. È questa distinzione che salva la fede dall’essere ridotta a superstizione e la scienza dall’essere forzata a dire ciò che non può dire. L’apologetica è utile, ma non sostituisce l’annuncio. I segni sono preziosi, ma non sostituiscono l’autorità di Dio. La Sindone può farci contemplare la sofferenza e la morte, può spingerci al silenzio e alla preghiera. Ma la fede nasce altrove: nell’ascolto del Vangelo (Paolo è chiarissimo: Rm 10,17), nell’incontro con il Risorto, nella comunità che lo testimonia. È lì che si decide se credere o non credere. Tutto il resto – stoffe, immagini, energie – rimane un margine suggestivo, ma mai decisivo. È bene ricordarlo, per non scambiare il segno con la realtà che indica.
    Prof. Antonio Musarra

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    1. Caro Bruno, ho già preparato la mia risposta, che pubblicherò a breve.

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