La concezione idealistica della filosofia
Prima Parte (1/5)
Studium philosophiae secundum se est licitum
et laudabile, propter veritatem
quam philosophi perceperunt, Deo illis revelante,
ut dicitur Rm 1,19. Sed quidam philosophi
abutuntur ad fidei impugnationem.
Sum.Theol., II-II, q.167, a.1, 3m
Che cosa è la filosofia
L’uomo per definizione è un soggetto corporeo dotato di intelletto, che lo porta spontaneamente a porsi alcune domande ineludibili e fondamentali che riguardano il senso, l’origine e il fine delle cose e della propria esistenza, a formare alcune nozioni basilari, a scoprire alcuni princìpi e verità fondamentali indiscutibili, come per esempio la nozione del bene, il principio di causalità o la legge naturale o il culto divino, basandosi sui quali egli può organizzare la sua vita in modo normale, onesto, ragionevole, decente, dignitoso e soddisfacente.
Ogni uomo per sua natura possiede la ragione che lo spinge a porsi le suddette domande, a formare i medesimi concetti, a trovare le medesime risposte, a incontrare le medesime difficoltà, a commettere gli stessi errori.
Tuttavia, nel campo dell’intelligenza o della ragione, come in tutti i campi della vita, alcuni di noi nascono più dotati, altri meno. Alcuni sono attratti da interessi superiori, altri da interessi inferiori. Alcuni sono zelanti nella ricerca e nella diffusione della verità, altri sono pigri e svogliati. Alcuni sanno più astrarre dai beni materiali e si sentono maggiormente attratti dalle cose spirituali. Altri faticano ad astrarre dai beni materiali e si sentono più interessati ad essi che a quelli spirituali.
Alcuni non si preoccupano dei loro dubbi, ma convivono pigramente con essi. Altri non sopportano di avere dubbi e li vogliono risolvere. Alcuni avvertono l’importanza di porsi alla scuola di un maestro; altri preferiscono presuntuosamente arrangiarsi da sé. Alcuni accettano ciò che è oscuro senza porsi domande. Altri vogliono chiarire ciò che è oscuro. Alcuni non si accontentano di quello che sanno, ma desiderano o vogliono saperne di più.
Coloro tra noi che si sentono particolarmente portati ad indagare sulle origini della realtà, sul senso della vita e quindi si dedicano con particolare impegno in queste ricerche ed hanno la capacità di penetrare più a fondo nei misteri della realtà sono i filosofi.
La filosofia è la radicalizzazione, l’elevazione, la fondazione, la rigorizzazione, l’approfondimento, il rafforzamento di quel sapere spontaneo e certo che tutti noi possediamo della realtà per il semplice esercizio della ragione partendo dall’esperienza sensibile.
I filosofi tuttavia, come tutti noi, sono soggetti all’errore, a seguito del peccato originale, sentono la tentazione della superbia. Avviene così che i loro errori e i loro peccati di superbia, toccando interessi vitali ed avendo per materia temi e argomenti importantissimi, recano maggior danno, magari senza rendersene conto, al prossimo e a sé stessi che non gli errori e i peccati degli uomini comuni e delle persone non istruite.
È così che mentre una buona filosofia sviluppa l’intelligenza, promuove la sapienza, l’umiltà, i buoni costumi, la solidarietà umana ed la carità, corregge gli errori più gravi e conduce a Dio, alla religione ed alla fede, una cattiva filosofia corrompe i buoni costumi e spinge al vizio, alla menzogna, alla stoltezza, alla malizia, all’arroganza, alla rivalità, al settarismo, all’invidia, all’empietà, allo gnosticismo, alla bestemmia, all’ateismo, alla superstizione, alla perdita della fede e all’incredulità.
Il sapiente invece è già in possesso della verità o della sapienza, è il maestro e dottore che afferma, insegna, enuncia, espone, sentenzia, dichiara, giudica o condanna. Il filosofo è problematico perchè cerca; il sapiente è dogmatico (dal gr. dogma=sentenza), perché sa. Per questo, mentre per esempio Cristo è il sapiente che sa, insegna e non cerca, perché non ne ha bisogno, un Aristotele è stato un filosofo perché ha cercato ed ha trovato.
Realismo e idealismo[1]
Tutta la storia della filosofia ad Occidente e ad Oriente è percorsa da una perenne alternativa, da un perenne contrasto tra filosofi che intendono il filosofare come servizio e guida del prossimo ed altri come affermazione di sé o sfoggio di genialità; alcuni come far intendere, altri come darla ad intendere; alcuni come apertura e guida alla trascendenza divina («anagogia»), altri come presa di coscienza della propria divinità (yoga); alcuni, come attenzione alla realtà esterna, altri come affermazione delle proprie idee; alcuni come opera di persuasione mediante il ragionamento, altri come raffinato influsso emotivo finalizzato a plagiare il prossimo; alcuni come promozione della dignità umana di tutti, altri come creazione di una casta depositaria del sapere assoluto, superintelligente ed esoterica di menti superori, dominatrice e manipolatrice dell’uomo comune ed ingenuo; alcuni maestri di umiltà, altri maestri di superbia[2].
Il realismo gnoseologico è l’atteggiamento mentale di umile ed onesta attenzione, apertura, accoglienza e recettività dell’intelletto nei confronti della realtà esterna a lui presupposta e da lui indipendente. Si tratta di un atteggiamento obbedienziale dell’intelletto alla realtà che lo guida alla verità.
L’intelletto, a contatto per mezzo dei sensi con la realtà, la riproduce in se stesso rappresentandola nel pensiero, così da poter cogliere la verità delle cose così come sono in sé stesse nella loro oggettività. Da qui la sua capacità e il suo dovere di distinguere il pensare, atto dell’intelletto, dall’essere o dall’ente oggetto dell’intelletto.
Il realismo caratterizza la filosofia medioevale[3], promossa dalla Chiesa soprattutto a partire dal sec. XIII nell’Università di Parigi e di Bologna. La Chiesa ha sempre avuto a cuore la promozione della sana filosofia, sapendo bene di quanta utilità essa è per introdurre alla fede e quindi ad istituire la teologia cattolica.
La scienza può essere acquistata sia in forza della ricerca personale che per mezzo della scuola. In tal modo è nata la filosofia scolastica. Che essa sia crollata con l’avvento del Rinascimento e di Lutero o di Cartesio è una menzogna inventata dai nemici della Chiesa. Oggi la filosofia scolastica cattolica in moltissimi paesi del mondo è più fiorente che mai negli istituti accademici della Chiesa. Indubbiamente l’idealismo è oggi diffuso, ma insieme ad altre correnti filosofiche con le quali è obbligato a convivere in una continua evoluzione ed agitazione, mentre il realismo cattolico persevera imperterrito, sostenuto dalla conoscenza di fede, e tale si manterrà fino alla fine del mondo,
Il realismo c’insegna che il pensiero non pone l’essenza e l’esistenza di ciò che pensa, ossia dell’essere o del reale, ma scopre, manifesta e rappresenta ciò che già esiste. Se c’è un pensiero creatore delle cose, questo è soltanto il pensiero divino, che progetta gli enti e li crea dal nulla. Ma l’intelletto umano, per quanto sia creato ad immagine dell’intelletto divino, all’inizio della sua attività non ha nessun contenuto proprio, ma trae tutto ciò che apprende accostandosi alla realtà esterna e rappresentandola nei concetti e nei giudizi.
La filosofia è la virtù intellettuale che abilita l’intelletto a questo rispetto per la realtà nell’umile riconoscimento della subordinazione del pensiero all’essere come mezzo prodotto dall’intelletto per conoscere il reale, fino alla conoscenza di Dio stesso, creatore del reale.
La filosofia inoltre, grazie alla riflessione, che giunge all’autocoscienza, trasforma il pensiero da mezzo di conoscenza del reale, in oggetto di conoscenza nella scienza della logica. Per questo il realismo è sostenuto dalla Chiesa come quella filosofia che consente di preparare le vie della fede e di arrivare alla fede.
Quanto all’idealismo, esso inverte il processo normale del conoscere. Invece di partire dall’esperienza delle cose, per arrivare all’autocoscienza e a porre l’esistenza di Dio, l’idealista immagina di possedere a priori un’esperienza originaria atematica di Dio immanente alla sua coscienza o identico alla stessa autocoscienza come condizione di possibilità della conoscenza concettuale sperimentale delle cose.
L’idealista considera come filosofia originaria il suddetto modo di pensare, mentre dà al realismo, dove colloca la religione e la fede, la suddetta funzione secondaria e derivata, utile alla vita sociale, di esprimere in concetti l’esperienza dell’autocoscienza.
È interessante come negli idealisti non troverete mai un elogio della sapienza, benchè il termine sofia sia incluso nella parola stessa filosofia, ma semmai una stima sperticata per la scienza o la coscienza o la genialità. In ciò il realismo è ben più in consonanza con le grandi tradizioni sapienziali dell’umanità, specialmente con quella ebraica dell’hokmà, come vediamo nella Bibbia, nonchè con l’antichissima tradizione sapienziale indiana della vidya o confuciana del tao[4].
Il termine «idealismo»[5] designa un modo di concepire la filosofia che ha il suo paradigma più compiuto in Hegel, il quale qualificò espressamente come idealismo la sua filosofia e concepì l’idea come Dio stesso. Tuttavia possono essere considerati come idealisti anche altri filosofi che non hanno un particolare interesse per la tematica dell’idea, anzi la pongono ai margini della teoresi, e tuttavia restano fedeli al dogma fondamentale dell’idealismo che è l’identità del pensiero con l’essere.
L’idealismo, viceversa, che sostituisce l’ideale al reale, che si chiude alla verità delle cose esterne con l’assolutizzazione del proprio io, bloccando così il cammino della ragione verso Dio, è la cattiva filosofia. Per questo è stato condannato dalla Chiesa, mentre essa raccomanda il realismo, in quanto condizione della ragione che prepara o si prepara alla fede e come mezzo per correggere gli errori contro la fede.
Se nel realismo la filosofia è superata dalla teologia in base al fatto che la fede è un sapere superiore alla ragione, nell’idealismo, che è uno gnosticismo, la filosofia è già teologia, per cui la ragione supera la fede e la sostituisce e la filosofia sta al di sopra della religione.
Aggiungiamo che il realista serve ad un solo padrone: Dio. Il suo io è subordinato a Dio. L’idealista invece serve a due padroni: Dio e il proprio io. Infatti da una parte fa dipendere Dio dal proprio io in base al cogito e dall’altra fa dipendere da Dio il proprio io in base all’assoluto divino, come dice Barzaghi: «abbraccio e sono abbracciato».
Che cosa succede nei due casi? L’idealista è il moderno fariseo. È vero che i farisei del Vangelo erano tradizionalisti, mentre oggi abbiamo a che fare con modernisti. Tuttavia, il lupo perde il pelo ma non il vizio. I farisei di allora si atteggiavano a tradizionalisti solo perchè allora conveniva. Ugualmente i farisei di oggi non hanno difficoltà a mostrarsi progressisti perchè a loro conviene per ottenere un successo umano.
Nella concezione idealistica della ragione l’essere, identificandosi col pensato, non può trascendere la ragione, cioè non può essere un pensabile, al di sopra della ragione, per cui la fede cristiana diventa impossibile. Oppure il dato rivelato dev’essere dimostrato razionalmente, come tenta di fare Hegel.
Il filosofo realista, quindi, che si lascia istruire dalla rivelazione senza la pretesa di ridurla ad un’evidenza razionale, per l’idealista è un frustrato o inibito che non concede alla ragione tutta l’ampiezza della quale essa è capace e non la eleva alla pienezza del suo essere e del suo sapere.
Mentre per i realisti che volgono lo sguardo o s’indirizzano all’oggetto, alle cose o alla realtà, il vero è ciò che è, per gli idealisti che si volgono al soggetto, è vero ciò che appare all’io trascendentale.
Come è noto, Aristotele chiamava «sofisti», coloro che, per il loro soggettivismo, come Protagora, si consideravano boriosamente i possessori esclusivi della sapienza, mentre qualificò modestamente come «filosofi» sé stesso e i realisti, ossia i semplici cercatori o amanti della sapienza, parlando così di filìa tes sofias, appunto filo-sofia.
Aristotele nel famoso libro IV della Metafisica, dove sostiene il realismo e confuta i sofisti che negavano il principio di non-contraddizione e che dubitavano dell’evidente o pretendevano di dimostrare l’evidente – come farà poi Cartesio -, li considera come affetti da «apaideusìa», ossia indocilità nel rifiutare l’evidenza e incapaci di imparare o di apprendere o prestar fede. San Tommaso, solitamente mite nei confronti degli avversari, questa volta, commentando il testo aristotelico, designa i sofisti col severo appellativo di «protervi».
I sofisti, come è noto, si facevano pagare per le loro prestazioni, ossia erano attaccati al denaro, mentre del filosofo aristotelico si potrebbe dire quello che noi Domenicani attribuiamo a San Domenico: aquam sapientiae propinasti gratis.
La parabola dell’idealismo che dichiara apertamente il primato dell’idea sulla realtà o la coincidenza dell’ideale col reale inizia con Cartesio e si conclude con Hegel. Ma dopo Hegel l’idealismo, nella sua essenza non si estingue, ma mantiene la sua sostanza, anche se la tematica dell’idea passa in secondo piano, viene relativizzata, o addirittura viene disprezzata.
Resta l’anima dell’idealismo, che è l’identità o coincidenza del pensiero con l’essere. Nasce con Gentile l’apoteosi del pensiero come puro atto del pensiero o pensiero puro, sicchè la filosofia diventa pensiero del pensiero. Ma la stagione gentiliana in questo attualismo astratto e azionista, che darà luogo al fascismo è di breve durata. Rimane la divinizzazione del pensiero, ma riappare con Husserl Heidegger e Severino, il bisogno dell’essere, che però non è l’essere extramentale del realismo, ma è l’essere di coscienza dell’idealismo o l’essere come volontà di potenza nella linea di Nietzsche, fatto proprio da Heidegger, che porterà al nazismo.
Per l’idealista io sono un Dio incarnato, ma in incognita, in quanto il mio io empirico è la particolarizzazione del mio Io assoluto. Per questo, io ho la possibilità, a mia volontà, di prescindere o di astrarre dalle qualità particolari del mio io empirico per elevarmi alla pura coscienza del mio Io assoluto, così come, per converso, posso liberamente discendere dall’universalità di questo Io alla concretezza e particolarità del mio io empirico, come meglio mi aggrada, a seconda delle circostanze o delle convenienze. Ora posso fingere di essere un credente o un realista, ora posso manifestarmi apertamente come idealista e come gnostico.
Per l’idealista, dunque, come per Hegel, esiste un Dio «astratto», che sta nell’al di là, nei cieli, che sarebbe il Dio trascendente dei realisti, ed esiste il vero Dio, che sarebbe il Dio incarnato, storicizzato, «concreto», ovvero «l’Universale concreto», l’io assoluto particolarizzato o umanizzato, ossia Cristo, che sarebbe il vero Dio. Vediamo qui come venga storpiata dagli idealisti la cristologia in una orribile falsificazione del dogma cristologico[6].
L’idealista considera il realista con alterigia e aria di sufficienza. Per lui il realista è una mente volgare e sottosviluppata, avvolta nell’atmosfera del mito e non del logos, rimasta ancora nell’ingenuità dell’età minorile, come il bambino che crede ancora nella Befana o in Babbo Natale, che manca di senso critico. Per Fichte il realista non può neppure essere qualificato come filosofo[7].
L’idealista si considera un soggetto adulto capace di gestirsi da sé con le forze della sua ragione e paragona il realista all’anziano che ha bisogno della badante o al fanciullo sotto la tutela del pedagogo o ol malato di mente in cura dello psichiatra. Insomma per lui il realista è un minorato mentale che si è arrestato allo stadio infantile precritico della ragione immersa nel mondo dell’immaginazione.
Secondo lui il realista entifica, ipostatizza o dà corpo all’idea suprema della ragione, guida della ragion pratica, che egli chiama «Dio», ne fa un personaggio maestoso e realmente esistente (il «Signore») fuori e al di sopra di sé e lo invoca per i suoi bisogni e lo prega come se fosse una persona reale. Questa è la famosa analisi fatta da Feuerbach, che non fa altro che esplicitare quanto è contenuto nel razionalismo kantiano.
La questione di fondo di tutto il dibattito fra realismo ed idealismo è il problema teologico: qual è il vero Dio? Come dev’essere formato il concetto di Dio? Si deve scegliere tra il sì e il no o possono stare assieme? Bisogna essere o basta apparire? Dio è il Dio dell’essere o dell’apparire? Esiste perchè lo penso o lo penso perchè esiste? È lui che crea me o sono io che creo lui? Trascende l’uomo o è il vertice dell’uomo? Il pensare umano è distinto sì o no dal pensare divino? Tutto si basa sul proprio io o sull’esistenza di Dio?
Il realismo è monoteista: Dio è l’ipsum esse subsistens. La teologia idealista è diteista: si destreggia fra il Dio che abita nei cieli e il dio di questo mondo ed ora serve il primo, ora serve il secondo, come gli conviene.
L’idealista cattolico, quale quello che può uscire per esempio dall’Università Cattolica di Milano, fa professione di fede, pratica i sacramenti ed applica la morale cattolica non per intima convinzione, ma per convenienza, ossia per i vantaggi temporali che riceve dalla comunità ecclesiale nella quale vive. Ma si guarda bene dall’opporsi agli eretici che riscuotono successo e dal difendere e sostenere i fedeli perseguitati nella Chiesa.
Per quanto riguarda la pratica religiosa cattolica, esistono dunque due tipi di idealista: c’è l’idealista alla Bontadini, che non vede opposizione fra idealismo e realismo e copre l’idealismo col realismo, fingendo di essere realista. E c’è l’idealista aperto, ateo e panteista alla Severino, che rifiuta apertamente il cristianesimo, considerandolo un’assurdità, deride il realismo ed evita la pratica religiosa, senza risparmiare bestemmie contro Cristo e insulti contro la Chiesa.
Il filosofare è un’attività che ha un risvolto sociale, comporta una relazione col prossimo e, sul piano spirituale, con Dio e con gli angeli, santi e malvagi. Si può forse dire che l’idealista abbia rapporti con l’angelo custode come San Tommaso? Certi errori degli idealisti non ci fanno pensare che quegli errori siano stati suggeriti dal demonio?
Certo anche l’idealista, per quanto si ritenga autosufficiente, non può non riconoscere di aver bisogno degli altri. E se accetta l’autorità umana, come non dovrà accogliere a ben maggior ragione l’autorità divina? E allora come fa a presumere che la filosofia evacui la fede? Con quale ragionevolezza?
Nel suo filosofare come l’idealista si atteggia nei confronti dei filosofi che lo hanno preceduto? Apprende la loro sapienza? Continua la loro opera? Impara dai buoni maestri e fa ai giovani da guida alla sapienza?
Fine Prima Parte
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 16 ottobre 2025
La filosofia è opera della ragione, la cui comprensione è limitata e la cui attività è fallibile. Essa pertanto deve essere disposta a lasciarsi istruire e correggere dalla rivelazione divina, creatrice della ragione.
Bisogna distinguere il filosofo dal sapiente. La filosofia è ricerca della sapienza, per cui il filosofo s’interroga, domanda, indaga, impara, obietta, discute, approfondisce, si corregge, confuta, ipotizza, dimostra.
Il sapiente invece è già in possesso della verità o della sapienza, è il maestro e dottore che afferma, insegna, enuncia, espone, sentenzia, dichiara, giudica o condanna. Il filosofo è problematico perchè cerca; il sapiente è dogmatico (dal gr. dogma=sentenza), perché sa. Per questo, mentre per esempio Cristo è il sapiente che sa, insegna e non cerca, perché non ne ha bisogno, un Aristotele è stato un filosofo perché ha cercato ed ha trovato.
[1] La migliore esposizione che conosco del realismo tomista accompagnata da una decisiva
confutazione dell’idealismo è quella del Maritain in Distinguere per unire. I gradi del sapere, Editrice Morcelliana, Brescia 1974, c.III. Altra notevole trattazione è quella di E.T.Toccafondi, La ricerca critica della realtà, Edizioni Arnodo, Roma 1941. Importante è anche l’esposizione della critica realista della conoscenza con la confutazione di quella idealista, fatta dal Gilson nel suo libro Realismo tomista e critica della conoscenza, Edizioni Studium, Roma 2012.
[2]Un interessante documento di garbata discussione fra un realista e un idealista è il libro di Francesco Olgiati e Francesco Orestano, Il realismo, Società Editrice Vita e Pensiero, Milano 1936.
[3] Vedi É. Gilson, Lo spirito della filosofia medioevale, Editrice Morcelliana, Brescia 1964.
[4] L’idealismo ignora la fondamentale distinzione agostiniana fra scientia e sapientia, ripresa da Maritain nel suo libro Scienza e saggezza, Edizioni Borla,Torino 1964. La sapienza supera la scienza nel sapere metafisico e teologico perché è frutto di un giudizio per connaturalità con l’oggetto, che pone il pensiero in un miglior contatto con l’essere che non il semplice giudizio logico della scienza. Vedi Marco D’Avenia, La conoscenza per connaturalità in San Tommaso d’Aquino, Edizioni Studio Domenicano,Bologna 1992.
[5] Una notevole storia apologetica dell’idealismo è quella di Nicolai Hartmann, La filosofia dell’idealismo tedesco, Mursia Editore, Milano 1983.
[6] Vedi X. Tilliette, La cristologia idealista, Editrice Queriniana, Brescia 1993; Emilio Brito, La Christologie de Hegel, Beauchesne, Paris 1983.
[7] Quest’aria di sufficienza è possibile notarla nel libro di Armando Carlini, Il mito del realismo (Sansoni Editore, Firenze 1936), il cui titolo è già tutto un programma. In realtà è l’idealista che confonde l’intelletto con l’immaginazione e mitizza le proprie idee come fossero la manifestazione dell’Assoluto.
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