Maschio e femmina li creò. Il mistero dell’unione dell’uomo con la donna - Seconda Parte (2/3)

 

Maschio e femmina li creò

Il mistero dell’unione dell’uomo con la donna

Seconda Parte (2/3)

 

 Il bene onesto, utile e piacevole

nel campo del sesso

 L’ente in quanto ente è buono, cioè il bene ontologico coincide con l’ente, con ciò che esiste o è in atto d’essere. Suarez sostiene che l’ente non è buono in sé e per sé, ma solo perché dice relazione e comunione. È vero che l’ente come tale non dice ancora il bene. L’ente è buono supponendo una volontà che lo voglia e lo ami.

Ogni ente in quanto ente è buono e creato da Dio somma bontà. Non esistono enti naturalmente cattivi, malvagi o dannosi. I demòni sono cattivi per la loro cattiva volontà, non per natura.

Il bene è l’ente in quanto amabile, desiderabile, appetibile, praticabile. Il bene è il fine per il quale l’agente agisce o verso il quale tende. Il bene è di per sé dilettevole. Esso mette in gioco l’appetito sensitivo e quello intellettivo, la volontà. Il bene spirituale arreca gioia, quello fisico arreca piacere.

Il bene è opposto al male. Infatti mentre il bene appartiene all’ordine dell’essere, della realtà, il male entra nell’orizzonte del non-essere. Ma non è un semplice non-essere, perché questo può essere ancora un bene, in quanto pensiero o essere intenzionale o immaginario o ideale o di ragione. Il male è una privazione di essere dovuto.

Il bene può essere o un bene affettivo o un bene pratico. Il primo è la cosa buona, l’ente stesso oggetto di amore, l’ente oggetto di possesso, l’ente al quale unirsi, del quale fruire o godere. Il bene sensibile o intellegibile è di per sé cosa buona. È il bene ontologico, trascendentale, il bene dell’essere.

Ma questo bene non è sempre e necessariamente il bene dell’uomo, il bene morale, un fine per l’uomo o per l’agire umano. Il piacere sessuale è certamente un bene per l’uomo, ma lo è solo a condizione che sia regolato dalla retta ragione. Ciò vuol dire che mentre il bene ontologico è sempre un vero bene, in quanto oggetto dell’intelletto speculativo, e come tale è un bene onesto ed assoluto, il bene morale può essere vero o falso, vero o solo apparente, e quindi falso, ossia non conforme alla legge morale. Benché ontologicamente resti un bene, moralmente è un vero male, è il peccato, è un vero male per l’uomo.

Dal che vediamo come una morale basata solo sull’essere, ossia sulla metafisica, come quella di Heidegger, non sia sufficiente a garantire il vero bene e la felicità dell’uomo, perché essa non è data dall’essere come tale, o dal semplice esistenziale, ma da quell’essere categoriale che corrisponde alle norme morali che si deducono dalla natura umana, dalle sue legittime esigenze, dai suoi reali bisogni, dai suoi veri diritti, dalle sue giuste aspirazioni e dai suoi fini essenziali.

L’azione buona non è la semplice azione umana come tale quale che sia, non è una semplice relazione all’essere, la libertà non è puro e semplice esercizio del volere avulso dal perseguimento del vero bene, ma è l’azione della buona volontà che ha per oggetto il vero bene dell’uomo, che non è l’essere o l’esistere come tale o purchessia, ma è bensì l’ipsum Esse subsistens, Dio, che però trascende infinitamente l’uomo, il cui essere resta un essere finito e categoriale.

L’ente in quanto è appetibile dalla volontà è il bene. In quanto piace alla vista è il bello. Il piacere estetico impegna l’affettività e la volontà e quindi suscita l’amore. In tal modo nella fruizione o nel gusto del bello gioca la volontà insieme con l’intelletto: è il piacere che l’intelletto prova nel vedere. Ma come si è detto, nel piacere giocano la volontà e l’amore. Nell’amore dunque abbiamo l’intrecciarsi del vero, oggetto dell’intelletto, col bene dell’intelletto, per cui entra in gioco la volontà, ma nel contempo questo bene è bello perchè piace all’intelletto che spinge la volontà ad unirsi al bene.

Il piacere estetico nel rapporto uomo-donna diventa piacere sessuale. Il guardare, a questo punto, in quanto coinvolge la volontà, diventa un atto morale e precisamente materia di etica sessuale. Per questo Cristo dice che chi guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Se invece lo sguardo è dettato dalla carità, allora è onesto e casto, benché possa arrecare piacere.

Alcune cose naturali ci fanno male come castigo del peccato, ma in se stesse non fanno che obbedire a leggi di natura poste in loro da Dio. Il piacere sessuale in sé è cosa buona ed utile, ma di fatto per noi è pericoloso a seguito del peccato originale e dev’essere quindi rigorosamente disciplinato.

È vero che la felicità dell’uomo sta nell’unione con Dio, ipsum Esse subsistens, ma ciò non autorizza a confondere il fine ultimo o bene sommo dell’uomo col semplice fatto di esistere. Anche i dannati dell’inferno esistono, ma ciò non vuol dire che il loro esistere sia piacevole. L’esistenza di per sé è buona. Ma è forse amabile un’esistenza malvagia o infelice?

Il bene pratico è innanzitutto la norma o la legge morale. Ma questo bene non è completo e soddisfacente, se manca l’attuazione, la messa in pratica da parte dell’agente dell’intenzione di fare il bene. Il bene pratico o morale, l’azione buona, quel bene che risulta dall’agire bene, è il fare il bene, è il bene dello stesso soggetto che agisce bene.

L’ente è di per sé buono davanti all’appetito naturale: il bene del fuoco è l’atto dello scaldare. Quando invece entra in gioco lo spirito e precisamente l’intelletto, allora il bene è mediato dal vero: l’ente si presenta all’intelletto come vero e per conseguenza come bene dell’intelletto, che aspira alla verità come al suo bene e al suo fine, del quale godere e fruire.

Bisogna distinguere la pratica del bene dal possesso del bene e dall’unione col bene. Pratica del bene è la bontà morale, la santità, la pratica della virtù e cose simili. Possesso del bene è l’utilizzo dei beni materiali e spirituali necessari all’acquisto della perfezione morale e della felicità. Unione col bene sono le sane relazioni personali, come per esempio quella tra gli amici o l’unione tra uomo e la donna o l’unione con Dio.

Come esistono gradi di essere, così esistono gradi di bontà nella realtà, dove l’inferiore è subordinato al superiore, dal bene minimo della materia al bene sommo, massimo e supremo, che è Dio. Corrispettivamente esistono gradi del sapere, per i quali dall’esperienza dei beni cosmologici, materiali e sessuali saliamo alla conoscenza e scienza delle realtà metafisiche e spirituali e da quelle ai valori antropologici, morali, religiosi e teologici, naturali e rivelati.

C’è in noi spontaneo il desiderio e il bisogno assoluto del bene. Possiamo ingannarci su ciò che è bene, perseguire un falso bene, un bene solo apparente. Possiamo volere il male sotto le specie di bene. Sappiamo che il bene mio non è il tuo. Possiamo credere o non credere all’esistenza di un bene universale e immutabile. Sappiamo di poter decidere su ciò che è bene per noi. Sappiamo di poterci sbagliare nelle decisioni.

Ma la volontà non può non cercare il bene in generale o ciò che riteniamo essere bene, e in ogni caso amiamo il bene. Del resto, se il male è una privazione di essere, la volontà non può volere il non-essere, per cui, anche quando pecchiamo e annulliamo una mozione divina, lo facciamo sempre in riferimento a un particolare bene da noi arbitrariamente scelto. Se disobbedisco al comando divino di ordinare l’atto sessuale al suo fine, frustro la mozione divina, causo certamente un non-essere, ma in relazione a un essere che è il piacere sessuale disordinato.

Tutti possediamo l’idea del bene in generale. Tutti sappiamo che cosa significa la parola «bene». Il bene piace, è amabile. Il bene è benefico, vantaggioso, utile, piacevole. Quando non è fatto o posseduto o utilizzato o goduto, è cercato, desiderato o sperato.  Tutti sappiamo che cosa è il bene. Ci dividiamo invece nel determinare che cosa è bene qui e adesso. Un conto è il bene in sé e un conto è il bene per me o secondo me.

Tra maschio e femmina c’è una naturale reciprocità sul piano biologico, psicologico e spirituale istituita dal Creatore in ordine alla procreazione e come condizione psicofisica per l’unione e l’espressione dell’amore. Tuttavia, nello stato presente di natura decaduta la tendenza sessuale si trova ad essere in vari modi e misure corrotta, troppo forte o troppo debole, malformata, male indirizzata ed infeconda, cosicchè la concupiscenza è fomite di atti sessuali che sono in contrasto con questa naturale reciprocità, anche se con tutto ciò questi atti possono continuare a procurare piacere, il quale però in queste condizioni non può essere onesto o moralmente buono, ma viene ad essere disonesto,  peccaminoso e moralmente cattivo. La colpa morale è data dalla ricerca del piacere come tale, indipendentemente dalla considerazione della normalità dell’atto sotto il profilo fisico o morale.

Infatti, affinchè si abbia una vera onestà dell’atto o l’atto sia moralmente buono, non basta che sia conforme alla norma psicofisica della eterosessualità, ma dev’essere conforme anche alla norma morale, la quale richiede che gli atti sessuali siano compiuti solo nel legittimo matrimonio. È chiaro pertanto che se si trasgredisce la normalità psicofisica, come nel caso della pedofilia e della sodomia, l’atto aggrava la sua malizia, supponendo la piena avvertenza e il deliberato consenso. Occorre però ammettere la liceità nel matrimonio dell’utilizzo dei periodi infecondi della donna o della menopausa per l’esercizio dell’unione sessuale, considerando che il fine di questo esercizio non è solo la procreazione, ma anche l’espressione dell’amore.

Fine Seconda Parte (2/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 31 maggio 2025

L’azione buona non è la semplice azione umana come tale quale che sia, non è una semplice relazione all’essere, la libertà non è puro e semplice esercizio del volere avulso dal perseguimento del vero bene, ma è l’azione della buona volontà che ha per oggetto il vero bene dell’uomo, che non è l’essere o l’esistere come tale o purchessia, ma è bensì l’ipsum Esse subsistens, Dio, che però trascende infinitamente l’uomo, il cui essere resta un essere finito e categoriale. 

L’ente in quanto è appetibile dalla volontà è il bene. In quanto piace alla vista è il bello. Il piacere estetico impegna l’affettività e la volontà e quindi suscita l’amore. In tal modo nella fruizione o nel gusto del bello gioca la volontà insieme con l’intelletto: è il piacere che l’intelletto prova nel vedere. Ma come si è detto, nel piacere giocano la volontà e l’amore. Nell’amore dunque abbiamo l’intrecciarsi del vero, oggetto dell’intelletto, col bene dell’intelletto, per cui entra in gioco la volontà, ma nel contempo questo bene è bello perchè piace all’intelletto che spinge la volontà ad unirsi al bene.

 

L’ente è di per sé buono davanti all’appetito naturale: il bene del fuoco è l’atto dello scaldare. Quando invece entra in gioco lo spirito e precisamente l’intelletto, allora il bene è mediato dal vero: l’ente si presenta all’intelletto come vero e per conseguenza come bene dell’intelletto, che aspira alla verità come al suo bene e al suo fine, del quale godere e fruire.

Bisogna distinguere la pratica del bene dal possesso del bene e dall’unione col bene. Pratica del bene è la bontà morale, la santità, la pratica della virtù e cose simili. Possesso del bene è l’utilizzo dei beni materiali e spirituali necessari all’acquisto della perfezione morale e della felicità. Unione col bene sono le sane relazioni personali, come per esempio quella tra gli amici o l’unione tra uomo e la donna o l’unione con Dio.

Immagini da Internet: Coniugi Curie

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