Severino davanti a Cristo


Severino davanti a Cristo

Severino si è presentato davanti al tribunale di Cristo. Era preparato? Non lo sappiamo. Da come lo abbiamo conosciuto, Severino non credeva più in Cristo e nella Chiesa e nemmeno in Dio[1]. Riteneva che per essere nell’eternità non occorra una fede religiosa o l’appartenenza alla Chiesa, ma sia sufficiente la ragione metafisica, ossia l’intuizione dell’essere, inteso come Essere uno, infinito, assoluto, intellegibile, univoco, sussistente, eterno, necessario, immutabile. 

A contatto con Parmenide si era fatto la convinzione che tutto è Uno, che tutto è eterno e adesso, che quindi non esiste un passato che non è più o un futuro che non è ancora. Non esiste il divenire, una generazione e una corruzione, un nascere e un morire. La morte, quindi, non esiste. Ciò che sembra venire all’essere, sorgere e morire in realtà esiste già ab aeterno e durerà sempre: soltanto appare e scompare ai nostri occhi profani. 

Il mutamento, per Severino, non è passaggio dall’essere in potenza all’essere in atto, perché tutto per lui è in atto. Siccome egli non vuol ammettere la distinzione della potenza dall’atto, che gli permetterebbe di riconoscere l’identità del divenire, egli finisce per considerare il divenire come contradditorio, come coesistenza di essere e non-essere. Per questo per lui il divenire non esiste, ma è solo apparenza o al massimo apparizione dell’Essere. 

Ma per Severino chi si pone dal punto di vista dell’Essere, sa invece che tutto è eternamente e necessariamente connesso, ogni cosa è una parte del Tutto, inscindibile dal Tutto, è un apparire dell’Essere, compreso l’uomo, che è lo sguardo dell’Essere; tutto è bene,  tutto va bene così com’è, tutto è una sola cosa, un solo Essere, una sola «struttura originaria» immutabile ed immortale: l’Essere. Nulla può sorgere dal nulla ed essere annullato. 

La creazione, quindi, come produzione divina dell’essere dal nulla, è un’idea sbagliata, che suppone il non-essere. Anzi è un’idea assurda e contradditoria, e nichilistica, perché viola il principio di non-contraddizione formulato da Parmenide, secondo cui l’essere è, il non-essere non è. Il nulla dunque non esiste. Quindi l’idea di creazione dal nulla non ha senso, perché essa suppone che    l’essere è nulla. 

Severino non riesce a vedere la creazione come passaggio dal possibile all’attuale, perché per lui tutto è in atto, tutto è l’Essere. Non comprende come possa esistere un passaggio dal non-essere all’essere, perché per lui non c’è un prima e un poi, ma tutto esiste simultaneamente, perché tutto è l’Essere, tutto è in atto, tutto è atemporale ed immutabile. Il tempo e la storia sono solo un’apparenza, l’apparire dell’Essere.

La conclusione, alla quale giunge Severino partendo dai detti princìpi è nota: non esiste un Dio creatore, distinto dal mondo, provvidente, mondo composto di enti divenienti e corruttibili nel tempo, ma esiste un solo Essere, del quale il mondo, così come l’uomo, sono apparizione eterna. Ogni cosa è l’Essere eterno, quindi ogni cosa è eterna. 

Il cristianesimo, quindi, in quanto sostenitore di queste idee che Severino respinge, è da lui giudicato una dottrina nichilistica ed assurda, demolitrice del sapere incontrovertibile e metafisico, contraria alla verità dell’essere e all’intelligenza umana e quindi agli interessi morali dell’umanità. Come rimedio a tanta sciagura Severino propone la sua metafisica e morale, la sua concezione parmenidea dell’essere, che dovrebbe salvare il mondo dalla follia e dalla nullità, assicurandogli la Gioia della Verità dell’Essere.

Quello che desta somma meraviglia è come abbia potuto un uomo come Severino, cattolicamente educato, illustre ex-docente di filosofia all’Università Cattolica di Milano, dall’intelligenza acuta e profonda, dal ragionare rigoroso, di grande cultura, lasciarsi ingannare dal pagano Parmenide, tanto da abbandonare non solo la fede cattolica, ma addirittura le basi stesse di una sana metafisica, quando, se vi avesse fatto attenzione, Gesù stesso nel Vangelo non espone solo i misteri soprannaturali della fede, ma ci offre una sapienza metafisica solidissima e  di altissima qualità, ben superiore a quella d Parmenide, come ho dimostrato in un mio recente libro[2]

 Una cosa importante, che però va a merito di Severino, è che egli, accostandosi a Parmenide, ha richiamato l’attenzione all’importanza del puro essere, dell’essere sussistente, come tema centrale della metafisica. Non c’è dubbio infatti che l’einai di Parmenide fa pensare all’Essere divino sussistente di Es.3,14.  Sembra che Severino abbia voluto ricordare al pensiero moderno, avvelenato dallo storicismo, dal soggettivismo, dal relativismo e dal fenomenismo, l’importanza essenziale della verità, della certezza, dell’eternità, dell’identità, dell’universalità, della semplicità e dell’immutabilità dell’essere. Solo che per riabilitare questi valori non occorreva che ricorresse a Parmenide. La metafisica di Cristo sarebbe stata il rimedio, essa che concilia Dio col mondo, il creato con l’increato, il relativo con l’assoluto, il finito con l’infinito, l’essere col divenire, l’essere con l’apparire, l’uno coi molti, il tempo con l’eternità, il contingente col necessario, l’identico col diverso, l’univoco con l’analogo. 

C’è infatti nel contempo un abisso fra l’essere parmenideo e l’Essere divino contemplato da Mosè: che mentre questo è sommo e primo Ente, creatore di tutti gli enti, l’Essere parmenideo è un Assoluto che abbraccia ed assorbe implicitamente tutto: Dio e mondo. È quell’essere che dà luogo al panteismo monistico. È essere unico ed univoco, non diversificato, non plurificato, ma divoratore di tutto ciò che non è Lui. 

Un essere astratto, dove scompare ogni concretezza. Un essere fisso e immobile, dove mancano il divenire, il movimento, il tempo e la vita. Un essere dove è ignorata l’esistenza del falso, perché tutto è vero; dove è ignorata l’esistenza del male, perché tutto è bene così com’è, dove non manca nulla, nulla è contingente, perché tutto è necessario, nulla è possibile, perché tutto è in atto, perché tutto è l’Essere.

Severino si è presentato a Cristo giudice, giusto e misericordioso. Ha potuto dirGli che Parmenide lo ha ingannato? Si è potuto scusare? Ha osato ancora davanti a Cristo dirGli che il cristianesimo è una follia nichilista? Che ha ragione Parmenide? Che ha preferito seguire Parmenide? Ha preteso di aver ragione davanti a Cristo? Ha accusato Cristo di aver sbagliato e di aver ingannato l’umanità? Ha aperto gli occhi o li aveva già aperti? Sapeva o non sapeva? Si sarà o non si sarà pentito?

P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 22 gennaio 2020

[1] Cf C.Fabro, L’alienazione dell’Occidente, Edizioni Quadrivium, Genova 1981.
[2] Gesù Cristo fondamento del mondo, inizio, centro e fine ultimo del nostro umanesimo integrale, Edizioni l’Isola di Patmos, Roma 2019.

4 commenti:

  1. Raccomandiamolo alla misericordia di Dio. R.i.p.

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  3. Carissimo Padre Cavalcoli,
    è teologicamente corretto affermare che il tempo è la partecipazione limitata (e quindi parziale) dell'Eternità? Se non fosse possibile, quali sarebbero le ragioni che rivelerebbero la fallacia di tale definizione?

    A scanso d'equivoci, preciso che sto intendendo il "tempo" come una realtà spirituale, condizione necessaria e unitaria dell'esistenza dei molteplici enti creati, concessa da Dio (Eterno) alle creature fin dal primo istante della creazione. Personalmente infatti, a motivo del mio lavoro, distinguo sempre tra "IL tempo" e "UN lasso di tempo" (lasso che preferisco denominare, nel solco della tradizione del canto gregoriano, con voce greca, "crono").

    Ringraziandola anticipatamente per il suo preziosissimo lavoro, assai utile per la crescita spirituale, le porgo i miei più cordiali saluti e la ricordo nella preghiera.
    LJC

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    1. Caro Nicola,
      le faccio presente che il tempo è un qualcosa che sintetizza un dato oggettivo materiale con un concetto del nostro spirito, in quanto che il tempo è la misurazione secondo il prima e il poi del divenire cosmico o della evoluzione del cosmo in relazione a fenomeni che si succedono in modo periodico o regolare.
      È vero tuttavia che esiste un rapporto del tempo col nostro spirito, per il fatto che tutti sperimentiamo che certe volte il tempo non passa mai, mentre altre volte passa troppo in fretta.
      Tuttavia non si può dire che il tempo sia una cosa spirituale e quindi non si può considerare una partecipazione all’eternità. Vera partecipazione all’eternità è quella vita eterna, della quale parla Cristo, che è la vita di grazia, la quale, come dice San Pietro, è partecipazione della divina natura.

      Il tempo propriamente non è una specie di contenitore delle cose, ma sono le cose stesse che contengono il tempo; cioè il tempo non è una sostanza e tanto meno una sostanza spirituale, ma è un accidente fisico della sostanza creata. Questo significa certamente che quando Dio crea una creatura materiale, la colloca nello spazio e nel tempo, per cui è verissimo che il tempo inizia fin dal primo istante della creazione.
      Il nostro spirito di per sé è al di sopra dello spazio-tempo; tuttavia, in quanto esso anima il nostro corpo, anche il nostro spirito ha una sua storia e vive nel tempo. Si può dire che anche dopo la morte esiste una temporalità, che più propriamente viene chiamata eviternità. Qual è la differenza? Che le cose temporali cominciano e finiscono. Invece le cose eviterne, cioè spirituali come la nostra anima e gli angeli, iniziano e durano per sempre. San Tommaso aggiunge dicendo che l’eternità esiste da sempre ed è per sempre.

      Per quanto riguarda la sua distinzione tra tempo e lasso di tempo, direi che la cosa è evidente. Infatti noi misuriamo il tempo secondo delle date quantità di tempo, che sono di molte specie, come per esempio il giorno e la notte, la vita di un uomo, gli avvenimenti storici, i cicli cosmici e gli intervalli musicali tra due termini di una certa durata.

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