Adamo ed Eva sono veramente esistiti?
Come è potuto aversi memoria di un fatto così antico?
Conosciamo tutti una tesi oggi diffusa secondo la quale Adamo ed Eva non sono veramente esistiti, ma sono la raffigurazione simbolica dell’umanità primitiva rappresentata con i colori più belli, creata da Dio santa ed innocente in un luogo di delizie, signora di tutta la terra, e poi tragicamente decaduta col peccato della ribellione a Dio, peccato, del quale oggi l’umanità soffre le penose conseguenze.
Per certi esegeti il racconto della creazione del mondo e dell’uomo, benché affronti il delicato problema dell’essere e del divenire, non avrebbe alcun valore filosofico, ma sarebbe una costruzione immaginosa, popolare, poetica e metaforica tratta dall’esempio dell’artigiano che costruisce un manufatto o dell’agricoltore, che mette ordine tra gli animali e le piante.
Quando la Genesi narra dei rapporti tra Adamo ed Eva, di loro con Dio e col serpente, per certi esegeti si tratterebbe di un racconto simbolico o, come si dice, «eziologico», inventato dall’agiografo per spiegare l’origine del male e del peccato con un accenno alla redenzione e alla salvezza.
La Chiesa invece ci tiene ad affermare la storicità del racconto genesiaco per il fatto che si tratta di mettere in evidenza le origini reali della nostra attuale situazione di peccatori, facendo riferimento a fatti reali, non limitandosi a elaborare immagini o rappresentazioni simboliche interpretative. La colpa originale è una colpa realmente trasmessa per generazione, che possiamo togliere solo col battesimo. Le nostre attuali miserie sono la conseguenza effettiva del peccato realmente commesso dai progenitori.
Certamente non è facile spiegare come l’agiografo o la comunità redazionale, che ha messo per iscritto tradizioni orali antichissime, abbia potuto, appena una decina di secoli prima di Cristo o poco meno, avere uno sguardo così ampio, profondo, complesso, penetrante e profetico circa la perfezione della condizione edenica, l’origine del male, il dramma del peccato e la speranza della salvezza, nonché la condizione e il destino dell’uomo nella storia e nell’eternità.
Non fa alcuna difficoltà, anzi è del tutto plausibile che l’Autore sacro abbia costruito nei dettagli con un’elaborazione personale il dialogo della coppia col demonio e con Dio in base alla conoscenza che allora si aveva di Dio, del demonio e della condizione umana. Ma ciò non toglie che, anche se evidentemente l’Autore sacro non ha potuto riferire le precise parole, egli ci narri l’essenziale di quanto è realmente successo.
La conservazione del ricordo di un fatto così antico come la caduta originale non può spiegarsi evidentemente con le semplici forze della memoria storica, ma occorre spiegarla con un’assistenza speciale dello Spirito Santo, che costituisce appunto il fatto dell’ispirazione biblica, un’assistenza che in forma minore continua nei confronti del Magistero ecclesiale e continuerà fino alla fine del mondo.
Assai misteriosa è la natura e la collocazione dell’ambiente fisico nel quale la coppia è stata creata. La Scrittura parla di un «giardino» (Gen 2,8), tradizionalmente denominato «Eden» o «paradiso». Dove potremmo rintracciarlo? Sono state fatte le più diverse ipotesi, come l’Armenia o l’Etiopia o l’Arabia ma nessuna ha ottenuto universale consenso[1].
C’è inoltre da considerare che, secondo al racconto biblico, Dio pone dei «cherubini» all’ingresso del giardino per impedire alla coppia di tornarvi e attingere all’«albero della vita» (Gen 3,24), albero che riapparirà nella terra dei risorti (Ap 22, 2 e 14).
Nell’intervallo di tempo tra la cacciata dal paradiso terrestre e il suo ritorno da parte dei risorti nel nuovo giardino dell’Apocalisse nella terra dei risorti, dove si ritrova l’albero della vita, dove si trova il paradiso terrestre? Certo non più quaggiù, perché quello che era il paradiso terrestre, ora è celeste, ossia in cielo, laddove Gesù e Maria ci attendono.
È da notare inoltre che Dio comanda alla coppia di «riempire la terra e soggiogarla» (Gen 1,28), il che vuol dire che questo «giardino» non è da intendersi come l’area all’interno della quale dovrà racchiudersi l’azione dell’umanità, ma solo la base di partenza per la conquista e la sottomissione dell’intero universo.
Adamo ed Eva furono posti nel medesimo universo nel quale ora viviamo, ma esso, a causa delle conseguenze del peccato originale, si presenta adesso come ostile ed inospitale, lontanissimo dal poter essere percorso e dominato dall’uomo, il quale viceversa si trova adesso ad essere come un granello di polvere in un universo sconfinato, che conserva tracce di stupenda maestosità e bellezza, ma nel contempo minaccia e spaventa l’uomo con l’azione spesso improvvisa e imprevedibile di forze terribili e devastanti.
Occorre inoltre tener presente che mentre la comparsa dell’uomo si fa oggi risalire a circa due milioni e mezzo di anni fa, per qualche centinaio di milioni di anni la terra fu popolata dai famosi animali preistorici, dei quali abbiamo molti avanzi. Del resto la stessa Scrittura fa precedere la comparsa dell’uomo da un lungo periodo preparatorio durante il quale Dio crea il regno delle piante e degli animali.
Quando Dio decise di creare l’uomo, condusse l’evoluzione dei primati ad un livello di tale altezza da costituire quella «preesistente materia vivente» (Denz.3896), della quale parla Pio XII nell’enciclica Humani Generis del 1950, e nella quale Dio infuse l’anima razionale.
Come la natura umana è rimasta ferita dal peccato, così pure la natura circostante. Così nell’uomo la tendenza verso Dio è contrastata dall’inclinazione alla disobbedienza, mentre la natura cosmica si lascia dominare solo in un’infinitesima parte e non è più soltanto madre, ma anche matrigna. L’uomo si è ritrovato in condizioni fisiche abbrutite, documentabili dai reperti che ci fornisce la paleoantropologia, mentre la natura da giardino si è trasformata nella vastità sconfinata e paurosa degli spazi cosmici.
Come è potuto accadere il peccato originale?
Ma il grande mistero è come e con quale criterio la coppia primitiva abbia potuto rinnegare e abbandonare la fedeltà e l’obbedienza a Dio, del quale conosceva perfettamente l’infinita bontà e la rigorosa giustizia, come ad essa possa esser venuta in mente una decisione e una scelta del genere, quando non c’era in essa alcuna ignoranza di ciò che è bene e male, alcuna concupiscenza ed aveva piena padronanza dei suoi atti e delle sue passioni.
Nel peccato originale abbiamo dunque il paradigma del peccato e della colpa nella sua purezza assoluta: piena avvertenza e deliberato consenso, senza attenuanti, senza fragilità, senza debolezze e senza scuse.
Ma che cosa può esser successo? Chi è questo «serpente»? Come ha potuto esercitare sulla coppia del tutto moralmente integra e orientata al bene, soggetta a Dio, tanto potere di suggestione da trascinarla contro Dio? Da far sì che essa vedesse in Dio un impostore, un tiranno, un invidioso? Come il serpente ha potuto presentarsi in alternativa a Dio, quando la coppia sapeva bene che Dio è il sommo bene? La coppia non sapeva chi era il serpente? Come ha fatto, con quale giudizio essa ha preferito dar credito al demonio anziché a Dio? Come o con quale veste il demonio, con quali argomenti, si è presentato alla coppia che pur era illuminata dalla verità? Come mai la coppia ha creduto a lui piuttosto che a Dio? Non avrebbe potuto dire al serpente: non inventare frottole, sappiamo chi sei: niente più che un angelo ribelle a Dio! Vattene via! L’invidioso e il bugiardo sei tu!
Invece, ecco che la volontà della coppia si volge improvvisamente dall’amore di Dio all’odio verso Dio. Che cosa è che la spinge ad ascoltare il serpente?[2] Un improvviso moto di superbia. Consapevole della sua dignità spirituale di apertura all’infinito, la coppia ha voluto considerarsi essa stessa infinita e con ciò stesso mettere il proprio io al posto di Dio. Il diavolo che ha suggerito questa operazione, d’ora in avanti diventerà servitore, consigliere e signore della coppia nonché dell’umanità da essa discendente.
Alla domanda di Dio ad Eva «che hai fatto?», essa risponde: «il serpente mi ha ingannata» (Gen 3,13). Avrebbe dovuto dire: «mi sono lasciata ingannare». Non è sincera. Vuol dare a Dio l’apparenza di essere stata in buona fede, per potersi scusare. Avrebbe dovuto dire: «ho creduto al serpente quando mi ha detto che disobbedendo a te sarei stata come te. Mi sono effettivamente accorta che invece mi sono ritrovata nuda. Ti chiedo perdono. Voglio tornare ad obbedire a te».
Nulla di tutto questo. E per questo la coppia sul momento non è perdonata, non è reintegrata nello stato precedente, ma è castigata, per cui tutta l’umanità è colpita dai mali precedentemente da Dio minacciati: «dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, moriresti» (Gen 2,17), sottintendendo: tu e la tua discendenza.
La coppia sul momento non si è pentita e per questo viene cacciata dal paradiso. Tuttavia dobbiamo considerare la misericordia divina, la quale promette una futura possibilità di salvezza grazie alla stirpe della donna.
Per questo dobbiamo pensare che la coppia, ancora nell’Eden, abbia concepito la speranza della salvezza. Tuttavia, mi sembra evidente che il pentimento sia avvenuto dopo la cacciata, in modo tale che anche i nostri progenitori sono salvi. Infatti, secondo la Tradizione, Cristo, quando è sceso agli inferi, ha portato con Sé in paradiso anche la coppia primitiva.
Molto probabilmente a questa decadenza morale conseguente al peccato corrispose una decadenza fisica, non solo per quanto riguarda la perdita dei doni preternaturali, ma anche per quanto riguarda l’aspetto corporale: la coppia, che era stata creata ricevendo un’anima spirituale in una «preesistente materia vivente», come si esprime Pio XII, era stata elevata da Dio alla dignità edenica. In conseguenza del peccato il corpo decadde da questa dignità in quello stato apparentemente scimmiesco, che sarà poi quello che è stato scoperto dalla paleoantropologia.
C’è da notare inoltre che l’uomo, anche santo, può essere ingannato momentaneamente in buona fede dal demonio. Ma se appena se ne accorge, corregge immediatamente la sua volontà e torna ad obbedire a Dio, non ha bisogno di chiederGli perdono perchè è innocente in quanto non si era accorto che quello era il demonio ed ha creduto che fosse la volontà di Dio. Ma nulla di questo accadde in Eva; essa sapeva bene qual era la volontà di Dio e con tutto ciò ha dato ascolto al demonio.
Se l’uomo in buona fede obbedisce al demonio credendo che sia volontà di Dio, resta davanti a Dio innocente. Anche se commette ciò che oggettivamente è un peccato, resta privo di colpa e si salva ugualmente. Per questo c’è speranza di salvezza per moltissimi che in buona fede credono di servire Dio ma senza accorgersene sono ingannati dal demonio. Dio non mancherà di illuminarli. Ad ogni modo, tutti noi siamo posti davanti alla scelta del nostro Dio: quale Dio vogliamo scegliere? A noi la scelta.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 3 ottobre 2025
Secondo al racconto biblico, Dio pone dei «cherubini» all’ingresso del giardino per impedire alla coppia di tornarvi e attingere all’«albero della vita» (Gen 3,24), albero che riapparirà nella terra dei risorti (Ap 22, 2 e 14).
Nell’intervallo di tempo tra la cacciata dal paradiso terrestre e il suo ritorno da parte dei risorti nel nuovo giardino dell’Apocalisse nella terra dei risorti, dove si ritrova l’albero della vita, dove si trova il paradiso terrestre? Certo non più quaggiù, perché quello che era il paradiso terrestre, ora è celeste, ossia in cielo, laddove Gesù e Maria ci attendono.
È da notare inoltre che Dio comanda alla coppia di «riempire la terra e soggiogarla» (Gen 1,28), il che vuol dire che questo «giardino» non è da intendersi come l’area all’interno della quale dovrà racchiudersi l’azione dell’umanità, ma solo la base di partenza per la conquista e la sottomissione dell’intero universo.
Adamo ed Eva furono posti nel medesimo universo nel quale ora viviamo, ma esso, a causa delle conseguenze del peccato originale, si presenta adesso come ostile ed inospitale, lontanissimo dal poter essere percorso e dominato dall’uomo, il quale viceversa si trova adesso ad essere come un granello di polvere in un universo sconfinato, che conserva tracce di stupenda maestosità e bellezza, ma nel contempo minaccia e spaventa l’uomo con l’azione spesso improvvisa e imprevedibile di forze terribili e devastanti.
[1] Vedi per esempio il Commento di Marco Sales a Gn 8,17, nella Sacra Bibbia, Edizioni LICE-Marietti, Torino 1939, pp.77-79.
[2] Il testo biblico fa consistere il peccato di Adamo nell’aver ascoltato la donna e non il serpente. Possiamo qui vedere non la Parola di Dio, ma la mentalità antifemminista dell’agiografo. In realtà entrambi hanno ascoltato il serpente. Forse che non è anche il maschio a mediare il demonio presso la donna? Se nell’episodio del peccato originale c’è un elemento spurio, che può essere espunto, questa è l’immagine di Eva che offre ad Adamo il frutto proibito, tema che ha ispirato un’infinità di rappresentazioni pittoriche.

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