La transustanziazione eucaristica
come principio della comunione ecclesiale
L’espressione appropriata di un mistero ineffabile di salvezza
La ricerca
di parole adatte per esprimere, interpretare, spiegare e chiarire quanto Gesù
disse e fece nell’Ultima Cena relativamente al pane e al vino, che collegò al suo
corpo e al suo sangue, parlando di «Alleanza», ha avuto una storia di secoli. Essa
è narrata in forma riassuntiva da Mons. Antonio Piolanti alla voce corrispondente
nell’Enciclopedia Cattolica. Qui basterà
ricordare alcuni punti principali che riguardano i pronunciamenti della Chiesa.
Il Concilio di Trento dice che la conversione del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore nel sacrificio della Messa è espressa in modo adattissimo (aptissime) col termine «transustanziazione» (transubstantiatio) (Denz. 1659). Il termine è ufficializzato per la prima volta nel Magistero della Chiesa dal Concilio Lateranense IV del 1215, che si esprime così:
«Una sola è la Chiesa universale dei fedeli, al di fuori della quale nessuno assolutamente si salva, nella quale lo stesso e medesimo è sacerdote e sacrificio, Gesù Cristo, il cui corpo e sangue nel sacramento dell’altare è veramente contenuto sotto le specie del pane e del vino, transustanziati per potere divino, il pane nel corpo e il vino nel sangue, affinchè noi riceviamo da Lui ciò che Egli riceve da noi, perché si compia il mistero dell’unità» (Denz.802).
Nel 1965 San Paolo VI nell’enciclica Mysterium fidei ricordò il dogma della transustanziazione correggendo alcune vedute distorte:
«Non è lecito insistere sulla ragione di segno sacramentale come se il simbolismo, che tutti certamente ammettono nella Santissima Eucaristia, esprimesse esaurientemente il modo della presenza di Cristo in questo Sacramento; o anche discutere del mistero della transustanziazione senza far cenno della mirabile conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue di Cristo, conversione di cui parla il Concilio di Trento, in modo che essi si limitino soltanto alla “tran significazione” e “trans finalizzazione” come dicono; o finalmente proporre e mettere in uso l'opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente».
Ricordiamo allora che affinchè il sacerdote possa celebrare validamente la Messa, ossia celebrare una vera Messa, occorre che creda nel suo potere sacerdotale, che comporta due cose: il potere di operare la transustanziazione eucaristica e il potere di offrire al Padre nello Spirito Santo in Persona di Cristo il santo Sacrificio, ossia il sacrificio espiatorio e soddisfattorio di Cristo, Vittima divina realmente presente nell’Eucaristia sotto le specie del pane e del vino.
Il sacerdote, compiuto l’atto di offerta al
Padre del pane e del vino transustanziati, imbandisce poi la mensa eucaristica
e distribuisce a coloro che ne sono degni e sono preparati il cibo e la bevanda
di vita eterna, che nutre e santifica la Chiesa col corpo e il sangue del Signore.
Occorre ricordare anche che Cristo ha voluto che la Messa fosse celebrata in comunione con Pietro suo vicario in terra, perché la Messa edifica ed esprime l’unità della Chiesa non solo come puro e semplice insieme di persone, ma come fratelli che si amano e che sono in comunione fra di loro e con Pietro, Successore di Cristo. Per questo la Messa degli scismatici è valida, ma manca della essenziale funzione di esprimere ed incrementare la concordia, la comunione e la carità ecclesiale nella comunione col Successore di Cristo.
Non parliamo poi di quella concezione della memoria dell’Ultima Cena o dell’assemblea eucaristica propria dei luterani e dei modernisti, per la quale Cristo sarebbe presente non sotto le specie del pane e del vino, ma nello stesso pane e vino, restando pane il pane e vino e il vino.
Ma allora a questo punto ci domandiamo che bisogno c’è di utilizzare un altare , un tempio, oggetti sacri, inginocchiatoi, vesti liturgiche, riti speciali, se tutto si risolve in un allegro banchetto? Tanto vale trovarsi in un’osteria in una bella tavolata, fra amici, con pollo arrosto e con buon vino, inneggiando a Cristo e alla fraternità: Cristo non è presente anche lì?
La Chiesa nasce dall’eucaristia e l’eucaristia nasce dalla Chiesa
Una cosa molto importante da comprendere è il nesso che esiste fra sacerdote, Messa, eucaristia e Chiesa. Cristo ha reso gli uomini partecipi del suo sacerdozio in due modi: all’ultima Cena ha istituito il potere sacerdotale di confezionare e amministrare l’eucaristia e quindi di dir Messa; a Pietro e agli apostoli ha dato e dà il potere sacerdotale di edificare e governare la Chiesa.
La Chiesa dunque è nata dal sacerdozio; ma una volta costituita, essa a sua volta è la comunità che genera e forma i sacerdoti che a loro volta col loro ministero fondano e governano nuove comunità, alimentano, diffondono ed accrescono la Chiesa.
L’eucaristia, per opera del sacerdote che in persona di Cristo a gloria del Padre celebra la Messa nella potenza dello Spirito Santo, come presidente dell’assemblea eucaristica, profezia e prefigurazione del banchetto messianico, in comunione col popolo santo di Dio e col suo pastore il Romano Pontefice, Vicario di Cristo Re, Sacerdote e Profeta, a nome del popolo santo di Dio e per il popolo santo di Dio, che è la Chiesa, è ad un tempo effetto, garanzia, segno e principio della comunione ecclesiale e dell’unità, cattolicità, apostolicità e santità della Chiesa, dell’unione dei fedeli nella carità, in un solo spirito e in un solo corpo, che è il corpo mistico di Cristo, la Chiesa sposa di Cristo, madre dei redenti e dei santi e immagine della Gerusalemme futura.
La questione della sostanza
La parola transustanziazione mette in gioco evidentemente la nozione di sostanza. Si tratta di una nozione primitiva spontaneamente nota, comune e intuitiva: la sostanza è un singolo ente, un qualcosa di sussistente, completo e consistente, soggetto di proprietà, qualità o accidenti particolari, normalmente oggetto dei sensi, mentre la sostanza come tale sfugge al senso e si presenta come un qualcosa di puramente intellegibile. L’animale coglie la sostanza materiale, per esempio il cibo, ma l’afferra solo in quanto si cela sotto le qualità sensibili.
Tuttavia la sostanza, ad un più attento esame e sottoposta ad un’indagine conoscitiva o ad un approfondimento, appare un tema molto difficile, inesauribile e misterioso. Essa si rivela come l’essenza (usìa) della cosa, quella che Aristotele chiamava sostanza seconda, mentre la sostanza prima è il singolo ente. Questa nozione oltrepassa la ragione e appare oggetto di divina rivelazione, come dimostra la dogmatica cristiana, che usa appunto la categoria della sostanza e dell’accidente, per illuminare i misteri della fede.
Resta comunque effettivamente la difficoltà di concepirla per chi trova ardua l’indagine intellettuale della realtà. Infatti nessun problema offre la comprensione della sostanza materiale, come per esempio la sostanza chimica o la sostanza economica, mentre di difficile comprensione appare la sostanza spirituale o quella in senso logico, come per esempio la sostanza di un discorso o di un ragionamento.
La considerazione della sostanza tocca il suo massimo fastigio, quando la ragione, passando dalla sostanza finita e causata si eleva all’affermazione della sostanza divina, infinita ed assoluta. Ed è così che il Concilio Vaticano I definisce l’essenza divina come «una, singularis, simplex omnino et incommutabilis substantia spiritualis» (Denz. 3001).
La questione della sostanza ha a che fare con l’essenza della realtà, con quella che è l’essenza o natura di una cosa, con ciò che in essa vi è di necessario e di contingente, con ciò che in essa vi è di essenziale ed accidentale.
Essa mette in gioco la questione del rapporto fra il singolare e l’universale, fra l’astratto e il concreto, fra l’attuale e il possibile, fra l’esistente e il non-esistente, tutti temi, problemi ed interessi che toccano il campo della metafisica e della logica.
La questione della sostanza è legata alla questione del rapporto dell’essere col divenire, fra il sussistere e l’inerire, fra ciò che muta e ciò che non muta, fra ciò che appare e ciò che è nascosto, fra il sensibile e l’intellegibile, del rapporto dell’essenza con la sua esistenza, del semplice col composto, fra l’uno e i molti, fra la parte e il tutto, l’essere e l’agire, del relativo con l’assoluto, il rapporto del fondamento col fondato, fra il supporto e il supportato. Mette in gioco la distinzione fra la potenza e l’atto, fra l’essenza e l’essere, fra la materia e la forma, fra il vivente e il non-vivente, fra il naturale e l’artificiato, fra l’anima e il corpo, fra il corpo e lo spirito, fra Dio e il mondo: tutti problemi che toccano la metafisica.
La questione della sostanza, dunque, è di una complessità sconfinata e, per quanto tocchi tutte le discipline filosofiche dalla logica all’antropologia alla morale alla cosmologia, viene adeguatamente illustrata e focalizzata soltanto dall’analisi metafisica, in quanto la sostanza è l’ente che è atto ad esistere o a sussistere in sé e non in altro, è il soggetto primo degli accidenti e delle sue proprietà, ed è il soggetto primo logico del quale si parla. Alla sostanza e all’accidente nella realtà corrisponde nel linguaggio il sostantivo e l’aggettivo.
La transustanziazione entra nella categoria del mutamento
Il sacerdote che transustanzia il pane e il vino nel corpo e nel sangue del Signore opera un mutamento nella realtà che va oltre le forze della natura ed è solo effetto dell’onnipotenza divina. Infatti il potere causativo o produttivo o mutatore della creatura può arrivare fino a dar forma sostanziale alla materia prima, ossia alla materia informe, come avviene nella generazione del vivente, composto di anima e corpo, un atto per il quale il genitore, utilizzando il principio di vita che risiede nell’organo genitale, fa sì che l’anima del generato, cioè del figlio, dia vita al suo corpo. Da precisare che nella generazione umana il genitore fornisce solo il corpo, mentre l’anima è creata immediatamente da Dio.
Più limitato è il potere mutatore dell’artista o dell’artefice, il quale dà una forma accidentale o un certo ordine accidentale ad una presupposta sostanza materiale con la sua forma sostanziale. Ancora più limitata è l’azione fisica e chimica delle sostanze o energie naturali inanimate, che è quella di comporre o separare particelle elementari attivando le loro energie.
Indubbiamente esiste anche l’attività mutatrice dello spirito, dell’anima umana e dell’angelo. Ma anche qui si dà sempre o una materia o una persona presupposte, le quali vengono mutate per l’azione dello spirito, ma senza che lo spirito possa spingere il suo influsso al di là di un mutamento dell’azione del soggetto sul quale lo spirito opera.
La transustanziazione viceversa assomiglia all’attività divina creatrice, la quale non opera su di un soggetto preesistente, ma opera senza presupporre niente, perché crea dal nulla ciò su cui opera. Non è infatti solo la forma che sostituisce la forma precedente nella medesima materia o nel medesimo soggetto, ma quando il sacerdote nella Messa opera la transustanziazione, converte un’intera sostanza, materia e forma in un’‘altra sostanza, facendo sì che una sostanza diventi un’altra sostanza, un potere divino che evidentemente il sacerdote possiede solo in forza della sua ordinazione.
La transustanziazione è dunque un mutamento ontologico di una tale radicalità che non si trova in natura. Qui possono cambiare gli accidenti e la sostanza restare la stessa. Può mutare la sostanza nel senso che cambia la forma, ma la materia resta. Se per esempio il legno bruciando diventa cenere, certo cambia la sostanza, ma entrambe le forme hanno la medesima materia, perchè quella materia che prima aveva la forma del legno, poi assume la forma della cenere. Ma la proprietà della transustanziazione è che ciò che muta non è la sola forma, ma l’intera sostanza composta di materia e forma. Ma la cosa stupefacente e miracolosa è che in questa mutazione, una sostanza si muta in un’altra senza che tra le due vi sia alcuna materia comune.
Diciamo allora che ai fini di un chiarimento della questione che c’interessa, bisogna che puntiamo l’attenzione sulla distinzione fra sostanza e accidenti. Dobbiamo capire le ragioni e la portata ontologica di questa distinzione. Essa riguarda solo la sostanza creata, perchè Dio, come abbiamo visto dal Concilio Vaticano I, è purissima e sola sostanza senza accidenti.
Sostanza e accidenti
La sostanza è l’ente reale nel senso principale, forte e consistente. L’accidente è un’aggiunta perfettiva alla sostanza, la quale pertanto suppone l’imperfezione della stessa sostanza, perché esso la perfeziona, la quantifica, la qualifica, la temporalizza e spazializza, ne consente e causa il divenire, la determina nella sua singolarità, identità, concretezza o individualità, la distingue dalle altre e la mette in relazione con le altre. Invece Dio, nella semplicità del suo essere identico alla sua essenza ed alla sua sostanza, possiede in atto infinitamente tutte le perfezioni e s’identifica con esse nell’unità del suo essere.
È impossibile secondo l’andamento od ordinamento ordinario della natura, l’esistenza di una sostanza creata senza i suoi accidenti, benchè essi siano da lei realmente distinti. E così pure è impossibile un insieme di accidenti o qualità che sussista da solo senza il supporto della sostanza della quale sono accidenti.
I due rischi nel concepire la sostanza sono o quello di non ammettere che possa esistere una sostanza senza i suoi accidenti e che quindi non possano esistere accidenti senza la sostanza. Oppure l’altro rischio è quello di risolvere la sostanza negli accidenti, come fanno gli empiristi, per esempio Berkeley, Locke ed Hume, sicchè la sostanza intesa come un nucleo ontologico che farebbe da supporto agli accidenti da esso distinti, non esiste, ma essa non sarebbe altro che la collezione degli accidenti.
Altro errore circa la sostanza è l’identificazione della sostanza con lo spirito, come fanno Leibniz e Berkeley, Hegel e gli idealisti tedeschi fino a Gentile, Husserl, Heidegger, Severino e Bontadini, oppure con la materia come fanno Hobbes, Gassendi, Lamettrie, D’Holbac, Spencer, Comte, Darwin, Moleschott, Büchner, fino a Marx e in generale i materialisti di tutti i tempi da Democrito ai sadducei dei tempi di Cristo a Teilhard de Chardin, a Freud, a Margherita Hack e a Piergiorgio Odifreddi.
Oppure è quello di concepire una visione della realtà o una metafisica che non tiene conto della distinzione reale fra sostanza e accidente, come le metafisiche idealiste sorte dopo Hegel, il quale sentenziò che «la filosofia moderna ha sostituito la sostanza col soggetto», cioè l’ente col cogito cartesiano.
L’accidente è ciò che di qualcosa appare immediatamente ai sensi, ma può essere anche una qualità o un abito o una potenza intellegibile che si aggiunge alla sostanza o all’essenza di un ente. Per esempio l’atto d’essere non è essenziale all’essenza dell’ente creato, ma Dio, nell’atto del crearlo, lo aggiunge come perfezione contingente.
L’accidente è ciò che in una sostanza, ci sia o non ci sia, la sostanza resta la stessa, a meno che non sia un accidente essenziale e necessario all’essenza, nel qual caso abbiamo una proprietà essenziale. Per esempio, il vivere o non vivere non è essenziale alla natura umana, che è concepibile quand’anche nessun uomo esistesse, altrimenti ogni uomo sarebbe immortale: il che non è. Invece il possesso della ragione si aggiunge come potenza alla natura umana; ma essa non sarebbe umana senza la ragione.
Certamente il fatto che un certo soggetto ragioni mostra che è una persona umana. Eppure anche un demente è una persona umana. L’atto del ragionare dunque si aggiunge accidentalmente, pur essendo il poter ragionare una proprietà essenziale della persona. Ma se dovessimo risolvere l’identità della persona nel fenomeno del ragionare, è chiaro che verremmo a misconoscere la dignità umana del demente.
Ora, San Pio X nell’enciclica Pascendi condanna sotto il nome di «fenomenismo» precisamente questo modo errato di concepire gli accidenti della persona umana, che fa coincidere ciò che appare di essa con l’essenza stessa della persona che appare, negando che essa possa preesistere al suo manifestarsi ed essere oltre il suo apparire, ossia nella realtà esterna alla coscienza che la percepisce.
Per questo nella Pascendi troviamo anche implicitamente la condanna anticipata di questo aspetto idealistico della fenomenologia di Husserl, che egli stava elaborando proprio in quegli anni nei quali Pio X pubblicava la Pascendi.
L’opposizione di Lutero al dogma della transustanziazione dipese dal fatto che egli aveva preso da Ockham il suo concetto di sostanza. Infatti per Ockham la sostanza non è un’essenza universalizzabile distinta dall’essenza universalizzabile dell’accidente, così che siano concepibili accidenti senza la sostanza o sostanza senza accidenti, ma essa è per Ockham ente singolo inseparabilmente composto di sostanza e accidenti. Per questo per Lutero dopo la consacrazione, il pane resta pane con la sola precisazione che in esso sarebbe realmente presente Cristo.
Lutero ammetteva la presenza reale di Cristo sulla mensa eucaristica, e la difese aspramente contro Calvino, che invece ammetteva una presenza semplicemente simbolica o di segno. Ma Lutero non seppe rinunciare a vedere ancora il pane., Perciò i protestanti parlano o di «impanazione» o di «consustanziazione», senza rendersi conto dell’assurdità di ammettere che il pane possa essere Cristo, e confondendo il pane con Cristo o ammettendo che Cristo sia nel pane come fosse un accidente della sostanza del pane. Per questo, per Lutero l’adorazione eucaristica è idolatria del pane, perché secondo lui, finito il rito della Cena, Cristo toglie la sua presenza e il pane resta semplice pane.
D’altra parte, se il dogma parla della sostanza del pane, è chiaro che questo termine non va preso nel senso filosofico che ho esposto sopra, ma nel senso popolare, giacchè propriamente parlando il pane è un aggregato di sostanze artificialmente composto. Ed è chiaro che quando la Chiesa parla della sostanza del pane intende semplicemente il pane.
Nel contempo non c’è bisogno di essere dei filosofi per accorgersi che il sapore, il colore o il peso e le dimensioni del pane appartengono al pane, ma non sono il pane. Per comprendere il significato del dogma la Chiesa non ci chiede altro che ciò che un semplice fanciullo può notare con la sua intelligenza. E per questo fatto è noto che San Pio X si fece promotore della Prima Comunione data ai fanciulli. Anche loro possono capire che cosa è la transustanziazione: la loro fede dice loro che dopo le parole del sacerdote ciò che c’è sull’altare sembra pane, ma non è più pane: è il corpo del Signore.
Il colore, il sapore dell’ostia consacrata sono il sapore e il colore del pane. Se non avessimo la fede e stessimo solo a quello che ci dice il senso, diremmo con sicurezza che vediamo del pane. Non è che il senso s’inganni. Il senso coglie il suo oggetto, non mente, non si sbaglia. È l’intelligenza che, se non ha fede, s’inganna. La fede fa vedere ciò che l’intelligenza naturale non vede. La fede ci dice che sotto queste apparenze, dette specie eucaristiche, il fanciullo sa per fede che c’è il corpo del Signore, accompagnato dal suo sangue, dalla sua anima e dalla sua divinità.
Il mistero della transustanziazione ci dice che quando facciamo la Comunione noi mangiamo certo fisicamente le specie del pane, ma non mangiamo del pane: mangiamo la carne di Cristo; non beviamo del vino, ma il sangue di Cristo. C’è dunque un mangiare e un bere spirituali che vanno al di là del mangiare e bere fisico, e che rappresentano, producono e accrescono, se siamo ben disposti, la nostra incorporazione a Cristo, il nostro essere Chiesa e appartenere alla Chiesa, il nostro essere in Cristo e con Cristo, partecipi della sua stessa vita divina, così che possiamo dire con San Paolo: «non son più io che vivo, ma Cristo vive in me».
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 24 giugno 2025
Il mistero della transustanziazione ci dice che quando facciamo la Comunione noi mangiamo certo fisicamente le specie del pane, ma non mangiamo del pane: mangiamo la carne di Cristo; non beviamo del vino, ma il sangue di Cristo. C’è dunque un mangiare e un bere spirituali che vanno al di là del mangiare e bere fisico, e che rappresentano, producono e accrescono, se siamo ben disposti, la nostra incorporazione a Cristo, il nostro essere Chiesa e appartenere alla Chiesa, il nostro essere in Cristo e con Cristo, partecipi della sua stessa vita divina, così che possiamo dire con San Paolo: «non son più io che vivo, ma Cristo vive in me».
Immagine da Internet
Caro padre, mi permetto di farle una domanda e di sottoporla alla sua benevolenza.
RispondiEliminaLei dice che: "Tuttavia la sostanza, ad un più attento esame e sottoposta ad un’indagine conoscitiva o ad un approfondimento, appare un tema molto difficile, inesauribile e misterioso. Essa si rivela come l’essenza (usìa) della cosa, quella che Aristotele chiamava sostanza seconda, mentre la sostanza prima è il singolo ente. Questa nozione oltrepassa la ragione e appare oggetto di divina rivelazione, come dimostra la dogmatica cristiana, che usa appunto la categoria della sostanza e dell’accidente, per illuminare i misteri della fede."
Non mi spiego come può essere che se la nozione di sostanza è stata spiegata da Aristotele, lei dica che è oggetto di rivelazione.
Qualsiasi aiuto per capirlo sarà gradito.
Caro Dino,
Eliminaquello che coglie la nostra ragione può essere conosciuto meglio grazie alla rivelazione. Perché, questo? Perché Dio è il creatore della nostra ragione, quindi egli sa meglio di noi quello che la nostra ragione può capire.
E’ vero che è stato Aristotele a farci capire il rapporto metafisico tra sostanza ed accidenti, ma è stato Nostro Signore Gesù Cristo, il quale, istituendo l’Eucarestia, ci ha fatto capire qual è il rapporto tra sostanza e accidenti meglio di quanto aveva capito Aristotele.
Che cosa significa ciò? Aristotele ha scoperto la distinzione reale tra sostanza ed accidenti, ma non ha pensato assolutamente alla possibilità di separarli. E’ stato Cristo, istituendo l’Eucarestia, a farci capire questa separabilità, perché, come sappiamo dal mistero dell’Eucarestia, nel pane e nel vino consacrati gli accidenti del pane e del vino non hanno più la loro sostanza, ma al loro posto c’è la sostanza del Corpo e del Sangue del Signore.
D’altra parte nell’Eucarestia Cristo è realmente presente a modo di sostanza, ma senza gli accidenti del Corpo e del Sangue del Signore.
In conclusione dobbiamo dire che i concetti di sostanza e accidente sono concetti razionali e metafisici; però Cristo, istituendo l’Eucarestia, si è compiaciuto di farci sapere, per la nostra salvezza, che nel mistero dell’Eucarestia la sostanza si separa dall’accidente.
Gli accidenti eucaristici sussistono miracolosamente grazie all’onnipotenza divina. Per quanto riguarda la presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore, bisogna tenere presente che la sostanza si trova in cielo con i suoi accidenti, mentre nell’Eucarestia Cristo è presente solo a modo di sostanza, senza gli accidenti.
"Il mistero della transustanziazione ci dice che quando facciamo la Comunione noi mangiamo certo fisicamente le specie del pane, ma non mangiamo del pane: mangiamo la carne di Cristo; non beviamo del vino, ma il sangue di Cristo. C’è dunque un mangiare e un bere spirituali che vanno al di là del mangiare e bere fisico, e che rappresentano, producono e accrescono, se siamo ben disposti, la nostra incorporazione a Cristo, il nostro essere Chiesa e appartenere alla Chiesa, il nostro essere in Cristo e con Cristo, partecipi della sua stessa vita divina, così che possiamo dire con San Paolo: «non son più io che vivo, ma Cristo vive in me»."
RispondiEliminaPer questo, caro padre Giovanni, come dice padre Andereggen nella conferenza di cui gli ho parlato in questi giorni, dice che la comunione eucaristica sacramentale è sacramento della comunione spirituale, che è il fine della comunione sacramentale. E anche, di conseguenza, è un errore suggerire la comunione spirituale a chi non può comunicarla sacramentalmente.
Caro Ross,
Eliminariguardo alla comunione con la Chiesa bisogna ricordare che Dio non è legato ai sacramenti, per cui anche chi per diversi motivi non può ricevere il sacramento dell’Eucarestia, non per questo è escluso in ogni modo dalla comunione ecclesiale.
Si può dare infatti il caso di un fedele che per motivi disciplinari è escluso dai sacramenti. Ma costui, se vuole, può essere comunque in comunione con la Chiesa facendo la Comunione spirituale.
Quindi, se uno non può fare la Comunione sacramentale, non solo non è sbagliato, ma è consigliabile suggerirgli di fare la Comunione spirituale.
Per essere in comunione con la Chiesa è sufficiente possedere la carità, anche se per motivi particolari il fedele non può accedere alla Comunione sacramentale.
Caro Padre Giovanni,
Eliminain nessun momento ho voluto parlare della comunione con la Chiesa.
Mi riferivo alla dottrina insegnata da san Tommaso, nella terza parte della Summa, in cui si dice che la comunione spirituale è il fine della Messa. Quindi è la fine della comunione sacramentale. Pertanto, chi non può (a causa del peccato), fare la comunione sacramentale nella Messa, meno può fare la comunione spirituale.
Caro Ross,
Eliminaquello che lei mi dice di San Tommaso non può corrispondere al vero pensiero dell’Aquinate. Eventualmente mi citi il passo dal quale ha tratto questa interpretazione.
Ad ogni modo qui non si tratta tanto della dottrina di San Tommaso, quanto piuttosto della dottrina comune della Chiesa, che distingue, a proposito dell’Eucarestia, una comunione sacramentale da una comunione spirituale.
E’ chiaro che per ottenere la grazia nell’una e nell’altra comunione occorre essere in grazia ed è altrettanto chiaro, come insegna San Paolo, che, se uno si accosta alla Comunione senza essere in grazia, commette sacrilegio, e così pure è impossibile fare la comunione spirituale se si è in stato di peccato.
Per quanto riguarda il fine della Messa, il principale è il rendere gloria alla Santissima Trinità. Altri fini sono: ricevere e aumentare la grazia della redenzione, trarre alimento per la propria vita cristiana, pregustare la gloria futura e incrementare la comunione fraterna nella Chiesa.
Per questo la comunione spirituale non è il fine della Messa, ma è un modo lodevole di partecipare alla Messa.
Caro padre Giovanni,
Eliminami rallegra che Lei abbia mostrato interesse per l’argomento che ho sollevato.
In effetti, l’ho tratto da un’altra conferenza del padre Ignacio Andereggen, del quale, sebbene sia argentino come me, non conoscevo finora nulla, neppure il nome. L’ho conosciuto grazie a Lei, per i Suoi riferimenti, in particolare quelli ai Suoi testi nei quali ha combattuto il rahnerismo, e anche perché è stato colui che ha invitato Lei a offrire una relazione alla Settimana Tomista a Buenos Aires, l’anno scorso.
Raccomandato da Lei il padre Andereggen, come insigne tomista, mi ha interessato conoscere altre sue espressioni, in particolare riguardanti la Messa. E ho trovato un’altra conferenza nella quale si è dilungato sul tema della comunione spirituale come proposito della comunione sacramentale, tema che mi è sembrato Lei pure toccasse nel suo passaggio da me citato in un precedente commento.
Cercherò di tradurre in italiano alcuni passaggi di Andereggen e glieli trasmetterò nei prossimi commenti.
Preciso, prima di tutto, un’impressione personale che mi hanno dato finora le conferenze di Andereggen che ho ascoltato. A dire il vero, sebbene mi abbia impressionato il suo apparente dominio del pensiero di San Tommaso d’Aquino, devo dire che nel suo stile, cioè nel suo modo di esprimersi davanti a un pubblico concreto, purtroppo mi è sembrato che Andereggen non faccia eccezione a uno stile alquanto provocatorio, o talvolta molto provocatorio, che hanno gli argentini, o, più precisamente, per essere più esatti, che hanno i “porteños” (nati e cresciuti nella città di Buenos Aires). Così che forse, nel modo in cui Andereggen espone il rapporto tra comunione sacramentale e comunione spirituale, mi sembra che si noti questo stile provocatorio (stile del quale la Chiesa ha avuto un noto esempio nel modo di esprimersi del compianto papa Francesco).
Nelle mie prossime comunicazioni, Le invierò dei passaggi delle conferenze di Andereggen che sono collegati al tema.
"È evidente che il tema dell’Eucaristia è fondamentale e centrale nel pensiero di san Tommaso d’Aquino, il quale è chiamato Dottore dell’Eucaristia. È lui che compose la liturgia della celebrazione del Corpus Domini. È anche chiamato giustamente Dottore Angelico, non solo perché possiede un’intelligenza superiore, ma perché ha la stessa contemplazione degli angeli, la quale, egli dice, è la contemplazione dalla quale deriva l’Eucaristia. Vale a dire, l’Eucaristia è, in definitiva, una partecipazione alla contemplazione di Cristo che hanno i beati in cielo, più precisamente come dice lui, “nella patria celeste”, la quale è il luogo della beatitudine, l’incontro perfetto con la Santissima Trinità.
EliminaLa Santa Messa, la celebrazione eucaristica, è, come dice lo stesso Aquinate nella Terza Parte della *Summa Theologiae*, questioni dalla 73 alla 83, “il rito del Sacramento”, vale a dire, è la celebrazione esterna di ciò che accade interiormente. Ciò che accade interiormente è principalmente ciò che Tommaso chiama “la comunione spirituale”. A tale proposito, teniamo presente ciò che dice san Tommaso: “la ricezione di questo sacramento può essere supplita dalla comunione spirituale” (*Sum. Theol.* III, q.78, a.1, ad 4), citando in ciò sant’Agostino nel suo libro *De Remedio Poenitentiae*: “Perché prepari i denti e lo stomaco? Credi, e già hai mangiato. Perché credere in lui è mangiare questo pane vivo” (cit. in *Sum. Theol.* III, q.80, a.3, ad 1).
Ora, qui dobbiamo essere precisi quando ci riferiamo a ciò che l’Aquinate intende con “comunione spirituale”; quella comunione spirituale che noi siamo forse abituati a identificare con alcuni atti di devozione, è in realtà, nel suo significato preciso, che è quello di san Tommaso, molto più di ciò: è l’unione perfetta con il nostro Signore Gesù Cristo. Anzi, la comunione spirituale è il fine stesso della comunione sacramentale (cioè la ricezione dell’Eucaristia anche nel suo aspetto materiale, poiché è un segno sensibile, un sacramento, proprio perché può essere percepito anche dai sensi). Ma ciò che è principale nell’Eucaristia è spirituale: è la contemplazione di Cristo e, attraverso Cristo, dell’intera Trinità.
Per questo motivo, e ciò Tommaso lo spiega molto bene, non può esservi comunione spirituale in stato di peccato mortale. Oggi vi sono ancora alcuni che polemizzano sulla comunione ai divorziati, e quando non si dava la comunione ai divorziati si diceva, piuttosto superficialmente, che i divorziati potessero fare la comunione spirituale pur essendo uniti nuovamente con un altro partner, il che è inesatto, perché la comunione spirituale è ciò che è principale nell’Eucaristia. Di conseguenza, è assolutamente incompatibile con il peccato mortale. La comunione spirituale può esserci solo quando vi è perfetta unione con Cristo."
"Quando san Tommaso d’Aquino si pone la questione “se solo l’uomo giusto possa ricevere Cristo sacramentalmente”, contro tale affermazione la prima obiezione che gli si oppone è il testo citato di sant’Agostino: “Dice sant’Agostino nel suo libro *De Remedio Poenitentiae*: Perché prepari i denti e lo stomaco? Credi e già hai mangiato. Perché credere in lui è mangiare questo pane vivo. Ma il peccatore non crede in lui, poiché non ha una fede formata che consiste nel credere in Dio [...]. Dunque il peccatore non può nutrirsi con questo sacramento, che è pane vivo”. A ciò risponde: “Queste parole e altre simili devono essere intese come dette della comunione spirituale, che i peccatori non ricevono. E perciò l’errore indicato in precedenza [nel corpo della risposta] sembra provenire da una cattiva comprensione di queste parole, per non aver saputo distinguere tra la comunione corporale e quella spirituale” (*Sum. Theol.* III, q.80, a.3, ad 1).
EliminaEventualmente può esservi comunione sacramentale senza comunione spirituale (questo lo spiega san Tommaso nel *corpus* della risposta dell’art.3 della q.80, quando conclude dicendo: “il peccatore può ricevere sacramentalmente il corpo di Cristo, e non soltanto i giusti”) proprio quando la si riceve in stato di peccato mortale, ma ciò costituisce un nuovo peccato, è un sacrilegio, è un’offesa a Cristo stesso. Perché ciò che è principale, lo ripeto, è l’unione perfetta con lui. L’Eucaristia è dunque partecipazione della beatitudine, di ciò che accade in cielo, di ciò che raggiungeremo alla fine della nostra vita nella patria celeste. Per questo l’Eucaristia ha un’ampiezza enorme. Non è solamente la Messa intesa come celebrazione, bensì è il fine stesso della Messa; cioè, si celebra ciò che chiamiamo Eucaristia come Messa, ossia come celebrazione propriamente detta, per raggiungere questa unione perfetta con Cristo, per raggiungere la beatitudine, per raggiungere la vita trinitaria.
Per questo motivo l’Eucaristia è il centro di tutta la vita spirituale. Lo afferma san Tommaso d’Aquino proprio all’inizio del suo Trattato sull’Eucaristia, che è un trattato molto importante, nella Terza Parte della *Summa Theologiae*, dedicandovi ben 11 questioni. Là Tommaso dice che l’Eucaristia è vita spirituale nella sua perfezione. Certamente tutti i Sacramenti procurano la vita spirituale: il Battesimo ne è l’inizio, la Confermazione è il rafforzamento della vita spirituale, ecc., ma l’Eucaristia è la perfezione della vita spirituale. Per questo dice Tommaso nel luogo citato: “I sacramenti della Chiesa sono destinati ad aiutare l’uomo nella sua vita spirituale. [...] E perciò, come per la vita spirituale fu necessario il Battesimo, che è una generazione spirituale, e la Confermazione, che è crescita spirituale, così fu necessario anche il sacramento dell’Eucaristia, che è nutrimento spirituale” (*Sum. Theol.* III, q.73, a.1). “A questa perfezione corrisponde l’Eucaristia, che è un nutrimento spirituale” (ibid., ad 1). Vale a dire, nell’Eucaristia si riceve l’alimento principale per la crescita spirituale che già si era ricevuto nella Confermazione."
Ho trascritto e tradotto in italiano l'inizio della Conferenza "Valore ed Effetti della Santa Messa", offerta da padre Ignazio Andereggen, il 19 giugno 2020.
EliminaLink a: https://www.youtube.com/watch?v=rrouz22xk0A
Caro Ross,
Eliminada come ho capito leggendo la sua esposizione, lei ha bisogno di un chiarimento riguardo al concetto di “comunione spirituale”.
A questo riguardo, leggendo quanto lei mi riferisce di Don Andereggen e confrontandolo col pensiero di San Tommaso, non trovo nulla da ridire.
Il problema, secondo me, riguarda lei, che non distingue i due sensi dell’espressione “comunione spirituale”.
Esiste un senso liturgico di questa espressione, che significa il fatto che il fedele, che per certi motivi non intende o non può fare la Comunione sacramentale, durante la Messa, al momento della Comunione resta tra i banchi. Mentre gli altri fedeli fanno la Comunione, lui non la fa, ma fa la cosiddetta Comunione spirituale, la quale consiste in un atto interiore di unione spirituale con Gesù Eucaristico.
Questo fedele, per poter fare questo tipo di Comunione spirituale deve essere naturalmente in grazia e unirsi alle parole che il sacerdote, insieme con i fedeli, pronuncia per chiedere perdono a Dio e invocare la sua misericordia.
Esiste poi un altro tipo di comunione spirituale, che è la comunione con Dio e con i fratelli da parte del fedele, in stato di grazia.
Questa comunione è la comunione con la Chiesa sulla terra, in purgatorio e con la Chiesa celeste. Questo tipo di comunione è presupposto alla partecipazione alla Messa e alla Comunione eucaristica, che può essere o sacramentale o spirituale, ed è aumentato nella misura in cui il fedele partecipa attivamente alla Messa e fa con fervore la Comunione sacramentale o spirituale.
Grazie, padre Giovanni, per le sue chiarificazioni. A una prima lettura, le confesso che faccio fatica a comprendere il legame tra la sua risposta e quanto esposto dal padre Andereggen. Tuttavia, sapendo che la difficoltà può essere sicuramente mia, nella mia durezza nel comprendere, rileggerò e rifletterò meglio su ciò che lei mi ha detto, cercando di capire.
EliminaCaro Ross,
Eliminada come ho capito leggendo le parole di Don Andereggen, egli, parlando di comunione spirituale, intende la comunione ecclesiale, ovvero la comunione dell’anima col prossimo e con Dio, e non si riferisce alla Comunione spirituale eucaristica nella Santa Messa.
Questo l’ho dedotto dal fatto che egli pone la comunione spirituale come fine della Messa, mentre la Comunione spirituale, nel senso liturgico, avviene nel corso della Messa, come segno di partecipazione attiva alla Messa.
Al riguardo si potrebbe dire che uno scomunicato, sia giustamente che ingiustamente, può essere in grazia di Dio, e benchè non possa partecipare alla Messa e quindi non possa fare la Comunione spirituale, tuttavia può essere in comunione con la Chiesa e con Dio, che in fondo è la cosa più importante.
Viceversa, si può dare il caso di uno che giuridicamente sia in comunione con la Chiesa, ma che non creda per esempio nella transustanziazione. Ebbene, costui, se si rende conto di questa eresia, chiaramente non può essere in comunione con la Chiesa, giacché questa comunione nasce dalla Comunione eucaristica sacramentale.
La ringrazio, stimato padre Giovanni, per la sua generosità nel farmi comprendere i suoi concetti. Capisco ciò che lei vuole dirmi. Tuttavia, forse padre Andereggen non intende dire ciò che lei afferma.
EliminaAi fini di un maggiore chiarimento, le cito un altro testo tratto da una conferenza tenuta da Andereggen alcuni anni fa, dove mi sembra evidente che egli si riferisca alla “comunione sacramentale” e alla “comunione spirituale”, entrambe nella Messa, nel caso di persone divorziate risposate:
«Ora, in nessun modo questi divorziati potrebbero prendere il testo dell’esortazione apostolica Amoris laetitia come pretesto per accostarsi alla comunione sacramentale. Neppure alla comunione spirituale, perché non è che uno non può comunicarsi sacramentalmente, ma può comunicarsi spiritualmente. Infatti, l’essenziale della comunione è la comunione spirituale. La comunione sacramentale è sacramento della comunione spirituale. Non bisogna nemmeno pensare che uno sia in peccato mortale e possa fare la comunione spirituale. Questo è impossibile. E san Tommaso lo spiega molto bene.»
Caro Ross,
Eliminaqueste parole di Don Andereggen molto probabilmente sono state pronunciate prima della risposta del Card. Fernandez ad alcuni dubia del Card. Duka, relativi alla Amoris Laetitia del 2023.
https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_pro_20230925_risposte-card-duka_it.html
“Francesco mantiene la proposta della piena continenza per i divorziati e i risposati in una nuova unione, ma ammette che vi possano essere difficoltà nel praticarla e quindi permette in certi casi, dopo un adeguato discernimento, l'amministrazione del sacramento della Riconciliazione anche quando non si riesca nel essere fedeli alla continenza proposta dalla Chiesa.”
Stando a questa dichiarazione del Card. Fernandez, risulta che ai divorziati risposati, in alcuni casi speciali, sono concessi i Sacramenti.
Bisogna però tenere presente che anche quando vigevano le disposizioni di San Giovanni Paolo II (Familiaris Consortio n. 84), se ai DR era proibito fare la Comunione sacramentale, avevano la possibilità di fare la Comunione spirituale nella Messa.
A questo punto le ricordo quella distinzione, che le ho già fatto, tra Comunione spirituale nella Messa e comunione spirituale in senso ampio.
È chiaro che il primo tipo di Comunione è finalizzato al secondo.
Le faccio inoltre presente che Papa Francesco, a differenza di San Giovanni Paolo II, tocca il delicato tema del foro interno, in quanto dice che i DR non si trovano sempre e necessariamente in peccato mortale, ma potrebbero anche essere in grazia.
In tal modo essi, secondo quanto già San Giovanni Paolo II aveva concesso, possono fare la Comunione spirituale nella Messa. Papa Francesco, attraverso le parole del Card. Fernandez, ha successivamente concesso il permesso ai DR, in alcuni casi speciali, di ricevere il Sacramento della Penitenza e, di conseguenza, dell’Eucarestia.
Grazie, padre Cavalcoli per la sua risposta. Effettivamente, la conferenza di padre Andereggen, dalla quale ho raccolto il passaggio che vi ho citato, è del giugno 2020.
Eliminavolevo far notare questo articolo https://dianemontagna.substack.com/p/exclusive-official-vatican-report riguardo Tradiziones Custodes ripreso gia da https://www.sabinopaciolla.com/esclusivo-il-rapporto-ufficiale-del-vaticano-rivela-gravi-crepe-nelle-fondamenta-della-traditionis-custodes/, sempre lieto di seguirla grazie.
RispondiEliminaCaro Anonimo,
Eliminala ringrazio per la documentazione, però le faccio presente che io non sono un liturgista. Il mio campo è la teologia dogmatica, la morale e la filosofia. Per questo non ho la competenza di poter dare un parere autorevole circa questa discussione.
Io, come qualunque fedele cattolico, semplicemente accolgo con fiducia e spirito di obbedienza quello che i Papi decidono di volta in volta e mi attengo alle direttive del Papa regnante. Tutt’al più posso manifestare qualche mia riserva, ma obbedisco e consiglio di obbedire.
Il grande problema di oggi, in campo liturgico, non sono le questioni sollevate dai filolefevriani, che sono una esigua minoranza, ma è il disordine provocato dai modernisti, che sconfina nel sacrilegio e nella profanazione.
GRAZIE E CHE DIO LA PROTEGGA SEMPRE
EliminaCaro padre Giovanni,
Eliminanegli avvenimenti di questi giorni mi pare di intravedere l’azione malefica di Satana. Concordo con Lei sul fatto che il vero problema attuale nell’ambito della liturgia (ambito che, certamente, non è il principale nodo problematico nella vita della Chiesa) sia rappresentato dagli abusi neo-modernisti, e non dalle rivendicazioni passatistiche dei lefebvriani che non accettano la riforma liturgica.
Tuttavia, è estremamente curioso e sorprendente — ma a mio avviso per nulla casuale — che nella stessa settimana in cui vengono alla luce gli errori di Andrea Grillo circa la Santa Messa, emerga questa confabulazione “indietrista” riguardo al sondaggio su Summorum Pontificum, gettando discredito sull’operato di papa Francesco in relazione a Traditionis custodes.
Io vi scorgo il dito di Satana, intento a occultare — mediante il clamore suscitato dalla minoranza indietrista — il grave problema degli abusi del neo-modernismo.
Caro Don Silvano,
Eliminaleggendo le sue considerazioni viene anche a me il sospetto che questo attacco a Papa Francesco, a proposito del Vetus Ordo, provenga fondamentalmente dai modernisti allo scopo di distrarre l’attenzione del Papa da quello che è il vero problema oggi della liturgia, che non è il passatismo del gruppetto dei filolefevriani, ma è la prepotenza e la albagia dei modernisti che credono di potere dominare la situazione.
Con ciò non escludo affatto la necessità di risolvere il problema dei passatisti. Tuttavia mi sembra evidente che tutti i buoni cattolici debbano essere uniti attorno al Papa per aiutarlo a fare in modo che la liturgia non sia fonte di divisione, ma di unità e di pace.
Al riguardo io condivido il parere del Card. Bassetti, ex presidente della CEI, il quale ha detto che abbiamo bisogno di un Papa che metta assieme le qualità di Benedetto con quelle di Francesco. Questo parere, secondo me, è quello che può risolvere oggi la questione liturgica, perché Benedetto ci ricorda il valore del Vetus Ordo, mentre Francesco si ricorda il primato del Novus Ordo.
Finchè il Papa non avrà trovato la maniera giusta di collegare questi due riti, l’attuale situazione si aggraverà con immenso scandalo e danno per la Chiesa.
Caro Padre Cavalcoli,
EliminaSono sostanzialmente d'accordo con lei, anche se non ha cessato di sorprendermi che lei suggerisca che questa movida passatista non è in realtà dei passatisti, ma forse dei modernisti. ¡È un'interpretazione plausibile! , concordo.
Ciò che temo è che non siamo del tutto d'accordo nella valutazione di ciò che occorre fare per risolvere la questione liturgica sollevata dai passadisti.
Lei mi dice che "Francesco ci ricorda il primato del Novus Ordo". Non potrei essere più d'accordo. Ma io direi qualcosa di più: Francesco non solo ha detto questo, ma ha detto che il Novus Ordo Missae "è l'unica lex orandi della Chiesa", come il vetus ordo era l'unica nel 1962. Credo che questo sia qualcosa di più del "primato", perché il primato potrebbe significare nella validità del Vetus ordo, in un piano secondario.
Io non sono d'accordo. Per qualche motivo il Concilio ha deciso la riforma liturgica, promuovendo una riforma integrale del rito! Credo che non possano convivere le due modalità del rito romano, perché l'attuale suppone l'abrogazione del precedente, a cui riformò.
Perciò, la seconda cosa che lei dice: "Benedetto ci ricorda il valore del Vetus Ordo", io lo intendo non nel senso di una coesistenza, ma nel senso anche spiegato da Benedetto: che la pratica del Novus Ordo imparasse alcune virtù che aveva il vetus ordo.
Quindi non posso capire né condividere la sua conclusione finale: "Finchè il Papa non avrà trovato la maniera giusta di collegare questi due riti, l’attuale situazione si aggraverà con immenso scandalo e danno per la Chiesa". Il vetus ordo, cioè il Messale del 1962, deve esistere solo come congedo eccezionale e transitorio, accompagnato da un'educazione dei gruppi contestatari perché comprendano il valore della riforma liturgica.
Caro Don Silvano,
Eliminale faccio presente che l’espressione lex orandi può avere due significati: un significato dottrinale e un significato liturgico.
La Messa come tale è un lex orandi in senso dottrinale, quale che sia il rito della Messa. Se invece parliamo di lex orandi in senso liturgico, esistono tante lex orandi quanti sono i riti della Messa riconosciuti dalla Chiesa, come per esempio il rito Ambrosiano, il rito Copto, Malabarico e il rito Domenicano. Il Vetus Ordo è uno di questi riti.
Per quanto riguarda la riforma liturgica promossa dal Concilio, è evidente che il Novus Ordo ha sostituito il Vetus Ordo. Tuttavia, Benedetto XVI chiarì che il Vetus Ordo, benchè superato dal Novus Ordo, resta un rito valido della Messa.
Questo vuol dire che quando la Chiesa introduce una novità in campo liturgico, non necessariamente il dato precedente scompare. Per esempio la Chiesa Cattolica, che pure ha introdotto il Filioque nel Credo, ha concesso alle Chiese Orientali di astenersi dalla citazione del Filioque nel Credo.
Tutto ciò non toglie che il buon cattolico sia legato alle disposizioni di Papa Francesco. In questo senso il Papa parlava di una unica lex orandi, ossia non nel senso dottrinale, ma nel senso liturgico, che ho spiegato sopra.
Il Motu Proprio Summorum Pontificum non prospetta affatto l’abolizione del Vetus Ordo, ma tutti sanno che parlava di forma ordinaria per il Novus Ordo e forma straordinario per il Vetus Ordo.
Lo stesso Papa Francesco, benchè abbia posto delle restrizioni alle disposizioni di Benedetto XIV, non parla affatto di abolizione del Vetus Ordo.
Per questo non posso che ribadire la mia opinione che l’attuale Pontefice, che appare così interessato alla pace nella Chiesa, si adopererà certamente per trovare un collegamento giuridico tra i due riti, ribadendo la volontà di Papa Francesco, che il Novus Ordo sia ufficialmente l’unica lex orandi, ma nel contempo rispettando la dottrina di Benedetto XVI a sostegno della pluralità dei riti della Messa, che costituisce una ricchezza meravigliosa delle varie possibilità di celebrare la Messa, l’unico Sacrificio istituito da Cristo per la nostra salvezza.
Quando ho detto: "Finchè il Papa non avrà trovato la maniera giusta di collegare questi due riti, l’attuale situazione si aggraverà con immenso scandalo e danno per la Chiesa”, mi riferivo soprattutto alla questione dottrinale. I due riti, come gli altri riti della Messa riconosciuti dalla Chiesa, manifestano in modo diverso l’unica dottrina del magistero circa il valore della Santa Messa. Il Novus Ordo riflette l’apporto dottrinale del Concilio Vaticano II.
L’attuale divisione è causata principalmente da una falsa problematica e dalla incomprensione reciproca: i passatisti non accettano le nuove dottrine del Concilio Vaticano II, e in base a questo ritengono il Novus Ordo un rito filoprotestante; i modernisti, col pretesto del Novus Ordo, respingono i dogmi e la dottrina del magistero, che sono alla base della Santa Messa, per rifiutare per esempio la transustanziazione o la soddisfazione o il sacerdozio o il sacrificio.
Per ritrovare la pace all’interno della Chiesa, Papa Leone XIV dovrà richiamare tutti all’unità dottrinale della Chiesa Cattolica, che è alla base dei vari riti dell’unica Santa Messa, istituita di Cristo.
Stimato Padre Cavalcoli,
Eliminala ringrazio moltissimo per queste sue riflessioni, sempre certe, serene e così in accordo con il buon senso e la retta interpretazione della fede!
È una disgrazia che Gaetano Masciullo, si sia tanto deviato, non solo dottrinalmente, ma caritatevolmente, senza tener conto della vera comunione ecclesiale...
RispondiEliminaSi veda:
https://gaetanomasciullo.altervista.org/videotesto-il-rapporto-ufficiale-del-vaticano-che-smonta-traditionis-custodes/
https://remnantnewspaper.com/web/index.php/articles/item/7838-official-vatican-report-dismantles-traditionis-custodes
Preghiamo per Gaetano...
Caro Silverio,
Eliminaho conosciuto personalmente Gaetano Masciullo e ne ho un buon ricordo. Mi ha regalato un suo libro sulla massoneria, che ho trovato ben fatto.
So che è il collaboratore del prof. Giovanni Zenone, mio amico da circa vent’anni, che ha pubblicato diversi miei libri.
Piuttosto di leggere il documento, che lei mi ha inviato, preferirei che lei stessa mi dicesse in poche parole in che cosa Masciullo avrebbe deviato.
Caro padre Cavalcoli, queste sono le principali deviazioni alla comunione ecclesiale, che capisco dall'articolo di Gaetano Masciullo:
Elimina1. Sovversione dell’autorità magisteriale del Papa
Masciullo presenta il rapporto della CDF come una confutazione diretta del motu proprio Traditionis Custodes, suggerendo che Papa Francesco abbia agito in contraddizione con i dati ricevuti.
2. Lettura selettiva e parziale del rapporto della CDF
L’articolo enfatizza che la maggior parte dei vescovi era soddisfatta di Summorum Pontificum e che la sua soppressione avrebbe causato più danni che benefici.
3. Riduzione dell’unità ecclesiale a una questione di preferenze liturgiche
L’autore suggerisce che la coesistenza di forme liturgiche sia un segno di ricchezza e che limitare il Vetus Ordo sia una forma di repressione.
4. Sospetto sistematico verso il Concilio Vaticano II
Sebbene non lo affermi apertamente, l’articolo si allinea a una narrativa che presenta il Concilio e le sue riforme come cause di decadenza liturgica e dottrinale.
5. Strumentalizzazione della testimonianza episcopale
Masciullo presenta le risposte episcopali come un giudizio definitivo contro Traditionis Custodes.
Caro padre Giovanni, il mio elenco di deviazioni è stato breve e senza fondamento, perché lei mi ha chiesto brevità. Ma le cinque deviazioni che ho citato, le ho per me che sono ben fondate, e potrei basarle.
EliminaCaro Silverio,
Eliminaio apprezzo la serietà con la quale lei si sta interessando delle posizioni di Gaetano Masciullo, relativamente ad alcuni interventi di Vescovi precedenti del Traditionis Custodes.
Al riguardo le faccio presente che il Traditionis Custodes non è un documento del magistero, ma si tratta di un documento che regola la disciplina liturgica.
In linea di principio non è proibito, da parte del buon cattolico, criticare documenti di questo tipo, salvo comunque il dovere dell’obbedienza.
Il punto delicato invece è l’accusa che lei fa a Masciullo di dissentire dalle dottrine del Concilio. Se le cose stanno veramente così, allora certamente sarebbe giusto accusare Masciullo di opporsi al magistero pontificio.
In secondo luogo, come le ho già detto, il mio campo di competenza non è la liturgia, per cui francamente non me la sento di entrare in questo dibattito, molto serio e molto importante, per quanto riguarda la concordia liturgica tra noi cattolici.
Viceversa, visto che lei ha questo interesse, la esorto caldamente a proseguire nella sua volontà che sia fatta giustizia affinchè si raggiunga, in comunione con Papa Leone XIV, quella pace tra di noi, ossia quella pace che solo Cristo ci dona nell’Eucarestia.
Caro padre Cavalcoli,
EliminaLa ringrazio per la grande attenzione che ha posto alle mie considerazioni sull'articolo di Masciullo. La ringrazio anche per l'impulso che mi dà a proseguire in questo compito di chiarificazione, e anche per la guida che mi offre, sulla quale sono pienamente d'accordo: che nell'attuale questione liturgica si faccia giustizia, in pieno spirito di obbedienza al papa Leone XVI.
Ora, dato che devo supporre che lei abbia letto attentamente l'articolo di Masciullo, forse seguendo la mia "guida" delle 5 obiezioni, devo capire che ha considerato quattro di esse come non importanti, salvo la mia accusa a Masciullo di manifestare un atteggiamento contrario all'attuazione del Concilio Vaticano II. Perciò lascio da parte le altre quattro osservazioni (che ho ben fondate e argomentate per me) e mi riduco all'osservazione di non obbedienza al Concilio Vaticano II.
Ebbene, non so lei, ma io ho seguito Gaetano Masciullo nelle sue pubblicazioni. E dopo quella conferenza o l'intervista che avete condiviso, ebbe anni fa con il prof. Zenone e con Masciullo, su due suoi libri editi da Zenone, devo dirgli che ho constatato che Masciullo ha sperimentato una grave deriva passatista, e che questa mia conoscenza ovviamente influenza la mia considerazione che Masciullo nel suo ultimo articolo manifesta anche il suo rifiuto al Vaticano II (è qualcosa di simile a quello che deve succedere a lei con altri esponenti, permettimi di supporlo, per esempio, conoscendo le eresie eucaristiche di Andrea Grillo, lei vai con una conoscenza preliminare a leggere ogni articolo di Grillo al riguardo, no?).
Tuttavia, lascio da parte ora la mia conoscenza circa l'atteggiamento anti-Concilio Vaticano II di Masciullo, e mi riduco ad osservare l'articolo di Masciullo su quel punto. Ebbene, quello che dico è il seguente:
Sospetto sistematico verso il Concilio Vaticano II
EliminaDeviazione: Sebbene non lo affermi esplicitamente, l’articolo di Masciullo si allinea a una narrativa che presenta il Concilio e le sue riforme come cause di decadenza liturgica e dottrinale.
- Questa posizione si inserisce in una corrente che, sotto l’apparenza di fedeltà alla tradizione, promuove un’ermeneutica della rottura: si considera che il Concilio Vaticano II abbia introdotto novità incompatibili con la fede cattolica precedente, soprattutto in ambito liturgico, ecumenico ed ecclesiologico. Tale visione è stata esplicitamente rigettata dal magistero recente.
- Benedetto XVI, nel suo celebre discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, ha messo in guardia contro questa “ermeneutica della discontinuità e della rottura”, proponendo invece un’“ermeneutica della riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa”. Masciullo, suggerendo che la riforma liturgica sia stata sterile o addirittura dannosa, si colloca implicitamente nella logica che Benedetto XVI ha voluto superare.
- Papa Francesco, nella lettera ai vescovi che accompagna *Traditionis Custodes*, afferma con chiarezza:
“Mi addolora che un uso strumentale del *Missale Romanum* del 1962 sia sempre più caratterizzato da un rifiuto non solo della riforma liturgica, ma dello stesso Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che esso abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’.”
- Masciullo non nega il Concilio, ma lo relativizza presentando la messa tradizionale come “rifugio” per giovani convertiti o cattolici lontani, in contrasto con una liturgia riformata che si suggerisce incapace di attrarre o sostenere la fede.
Passaggio citato da Masciullo:
“Molti giovani —soprattutto convertiti o cattolici lontani— hanno trovato nella messa tradizionale una via di ritorno alla vita sacramentale.”
Critica:
- Questo dato pastorale, pur reale, viene strumentalizzato per suggerire che la riforma conciliare sia fallita. Ma il ritorno di alcuni non giustifica la delegittimazione del cammino comune della Chiesa. L’efficacia pastorale di una forma liturgica non si misura in termini di attrazione estetica o emotiva, ma nella sua capacità di esprimere la fede della Chiesa in comunione con il suo magistero.
- Inoltre, questa logica nasconde un’inversione pericolosa: si presenta la liturgia preconciliare come “norma” e la riforma come “deviazione”, mentre in realtà il Concilio Vaticano II —e la sua applicazione liturgica— fanno parte del magistero autentico e vincolante della Chiesa. Metterlo in discussione dall’interno, anche con toni moderati, erode la comunione ecclesiale.
Caro padre Cavalcoli,
EliminaSo perfettamente che in molte di queste questioni (non tutte) siamo nel campo dell'opinabile, perché in alcune siamo nel campo del dottrinale, dove non è possibile dubitare dell'insegnamento del Papa, e in altre siamo nel campo del governativo-pastorale-disciplinare, dove è possibile criticare il Papa. Ma, anche in questi secondi, come criticarlo? Non comunque, naturalmente.
In ogni caso, sottopongo queste mie opinioni alle sue, sicuramente più sagge.
Caro Silverio,
Eliminale sue considerazioni concernenti le differenze liturgiche tra il novus Ordo e il Vetus Ordo, non le considero affatto poco importanti, al contrario, come sacerdote so bene quanto è importate la Liturgia.
Accantonando quei quattro punti e focalizzando quello concernente il Concilio, intendevo semplicemente esprimere il fatto che io non sono un esperto di Liturgia, ma sono un teologo dogmatico.
Mi compiaccio del fatto che lei ha accolto la mia proposta di puntare l’attenzione su quanto Masciullo ha detto sul Concilio. Tuttavia io mi sarei aspettato che lei mi citasse un testo dello stesso Masciullo, perché in questioni così delicate è meglio esaminare direttamente le dichiarazioni della persona citata, piuttosto che una relazione fatta da altri, anche se essa può essere fatta bene.
Ecco, Padre Cavalcoli, alcune citazioni dell'articolo di Masciullo che avallano quanto ho osservato:
Elimina1. Contrapposizione tra il “ritorno” dei fedeli e la riforma liturgica
“Molti giovani —soprattutto convertiti o cattolici lontani— hanno trovato nella messa tradizionale una via di ritorno alla vita sacramentale, che non avevano trovato nella liturgia riformata.”
Questo passaggio suggerisce che la liturgia riformata non solo sia insufficiente, ma addirittura incapace di suscitare conversione o fedeltà sacramentale. Implicitamente, si presenta la riforma liturgica come un ostacolo pastorale, il che ne mina la legittimità.
2. Delegittimazione del criterio di unità liturgica
“L’unità liturgica non è mai stata un valore assoluto nella storia della Chiesa. La pluralità dei riti è sempre stata una ricchezza, non un problema.”
Sebbene questa affermazione sia parzialmente vera in termini storici, nel contesto dell’articolo viene usata per relativizzare la decisione del Papa di riaffermare un’unica espressione del Rito Romano. Si suggerisce che la riforma postconciliare imponga un’uniformità artificiale, in contrasto con una presunta pluralità preconciliare più autentica.
3. Sospetto verso il magistero recente
“Il documento della Congregazione mostra che la realtà pastorale è molto diversa da quella descritta da Traditionis Custodes. Viene da chiedersi su quali basi reali si sia fondata la decisione del Papa.”
Qui si insinua che il Papa abbia agito senza un fondamento reale, il che non solo mette in discussione il suo giudizio pastorale, ma anche la validità del discernimento magisteriale che ha portato a *Traditionis Custodes*. Poiché questa decisione si basa esplicitamente sulla ricezione del Concilio Vaticano II, il sospetto si estende implicitamente anche al Concilio stesso.
4. Rivalutazione del Vetus Ordo come “norma” contro la riforma
“Il messale del 1962 non è un reperto archeologico, ma una forma viva della lex orandi della Chiesa, che ha nutrito generazioni di santi e che continua a farlo.”
Sebbene questa affermazione sia teologicamente valida in sé, nel contesto dell’articolo viene usata per contrapporre il *Vetus Ordo* alla riforma liturgica, come se quest’ultima fosse una rottura o una degenerazione. Non si riconosce che anche la riforma fa parte della stessa tradizione viva.
Conclusione
Questi passaggi non costituiscono una negazione esplicita del Concilio Vaticano II, ma rivelano un atteggiamento di sospetto sistematico verso i suoi frutti, in particolare in ambito liturgico. La logica sottostante è la seguente: se la liturgia riformata non converte, non edifica, non attrae, allora il Concilio che l’ha promossa ha fallito. Ed è proprio questa la narrativa che Papa Francesco denuncia come incompatibile con la comunione cattolica.
Caro Silverio,
Elimina1.
questo fenomeno per il quale molti giovani sono attirati dal Vetus Ordo, per cui cominciano ad andare a Messa seguendo questo rito, non è necessariamente un fatto negativo. Infatti la Messa Vetus Ordo è pur sempre una vera Messa. E’ possibile che questi giovani siano rimasti disgustati dagli abusi liturgici delle Messe modernistiche.
Ad ogni modo è chiaro che questi giovani devono essere educati ad apprezzare il vero Novus Ordo, quello approvato dal Papa e non quello falsato dai modernisti. Infatti è possibile che essi siano vittime degli equivoci filolefevriani circa la Messa promossa dal Concilio.
Per condurli alla piena comunione con la Chiesa Cattolica, occorre fare capire loro che la Messa della riforma conciliare è la stessa Messa, così come è stata definita dal Concilio di Trento. Inoltre bisogna fare capire loro che le novità introdotte dal Novus Ordo nulla hanno a che vedere con la concezione eretica della Messa di Lutero.
Riguardo allora alla valutazione data da Masciullo, che si compiace dell’atteggiamento di questi giovani, non è detto necessariamente che ciò supponga in Masciullo una opposizione alla Messa Novus Ordo.
2.
La questione dell’unità liturgica non è una cosa semplice. La Chiesa ha sempre dato il primato al Rito Romano, ma nel contempo ha sempre permesso altri Riti. Cosa vuol dire, questo? Che questa unità non è monolitica o esclusivistica, ma è pluralistica e inclusivista, sempre a patto si intende che gli altri Riti rispettino l’essenza della Messa.
Ciò vuol dire allora che il Rito Romano è universalmente obbligatorio in linea di principio. Infatti sappiamo bene per esempio come i cattolici della Diocesi milanese sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica, pur celebrando il Rito Ambrosiano.
La severità di Papa Francesco nella Traditionis Custodes non si rivolgeva evidentemente a Cattolici del tipo di quelli della Diocesi milanese, ma si rivolgeva a fedeli ribelli alle dottrine del Concilio Vaticano II, i quali avevano strumentalizzato il Summorum Pontificum di Benedetto XVI per dichiarare eretica la Messa Novus Ordo.
Per quanto riguarda Masciullo, io direi che, tenendo conto di quanto ho detto, le parole che lei riferisce di per sé non fanno pensare a un pluralismo disordinato, ma possono benissimo conciliarsi col primato del Novus Ordo su altri Riti.
3.
EliminaIo posso prendere atto delle critiche che Masciullo ha fatto al Papa nell’utilizzare il materiale proveniente dai Vescovi. Tuttavia, come le ho già detto, questo retroscena piuttosto complesso, che implica il lavoro di anni della CDF insieme con l’Ecclesia Dei, dei cui atti abbiamo notizia solamente dalla giornalista Diane Montagna, tocca una materia che non è di mia competenza.
Secondo me il problema vero di Masciullo non sta tanto nel suo dare un giudizio sulle cose che lui riporta, ricavate dalla relazione della giornalista, ma il problema vero sta nel sapere se Masciullo è disposto ad obbedire al decreto di Papa Francesco, che è ancora attuale.
Ora, dalle parole, che lei mi ha citato, di Masciullo non si ricava la risposta a questa domanda. È del tutto lecito ad un cattolico manifestare critiche a un documento pontificio in materia liturgica. Quello che non gli è consentito è di rifiutare ad esso, e quindi al Papa, la dovuta obbedienza.
4.
Lei non mi fornito ancora delle parole di Masciullo che possano essere tali da dimostrare una sua posizione scismatica nei confronti della Chiesa.
Infatti dalle parole, che lei mi cita, risulta semplicemente l’ammirazione per il Vetus Ordo, ma non c’è traccia di espressione che possa far pensare al rifiuto del Novus Ordo, secondo il ben noto costume dei filolefevriani, i quali, a cominciare da Mons. Lefebvre, accusano la Messa Novus Ordo di essere infetta dalla Cena Protestante.
Conclusione:
Riguardo alla sua conclusione, siamo anche qui davanti a dichiarazioni che fa lei e non sono parole, che lei cita da Masciullo.
Certamente affermare che la liturgia riformata non converte, non edifica e non attrae non corrisponde a verità. Semmai è la disobbedienza dei modernisti alla riforma conciliare che crea scandalo e decadenza nella religione.
Quindi anche in questo caso lei non mi ha riportato le parole di Masciullo, ma si esprime con parole sue. Sarebbe bene che lei mi citasse un testo di Masciullo.
Caro padre Cavalcoli,
Eliminala ringrazio per il suo generoso aiuto nelle sue chiarissime risposte. Evidentemente devo riconoscere che, di fronte ad autori che potrebbero essere considerati "passatisti", come è il caso di Gaetano Masciullo, io ho guardato il loro articolo non con la lente d'ingrandimento del Magistero, ma con il bisturi dei sospetti. Mi dispiace di essere caduto in qualcosa di simile agli "ispettori" del tempo dell'antimodernismo dell'epoca di San Pio X. Se io ho sollevato obiezioni legittime, lei le ha considerate; se io ho esagerato o frainteso, me l'ha segnalato. Grazie per avermi aiutato a riconoscere che non è né giusto né utile trasformare ogni dibattito teologico in un campo di purghe ideologiche.
Dio la benedica e continui a darle quella saggezza che lei ha e di cui abbiamo tanto bisogno nei pastori della Chiesa.
Caro Silverio,
Eliminaammiro molto le sue parole, la sua onestà e la sua umiltà, segni di grande saggezza.
Noi Domenicani da sempre siamo formati ad uno sforzo di obbiettività nei giudizi, soprattutto quando c’è il problema di dare un giudizio negativo.
Certo, anche noi abbiamo commesso i nostri errori, e lo sanno tutti. Tuttavia io sono fiero di essere Domenicano e sono grato ai miei formatori, che mi hanno trasmesso questo stile di veracità e di franchezza, fondato su prove e testimonianze sicure, al fine di aiutare e correggere lo stesso errante.
Oggi più che mai nella Chiesa è utile l’apporto del nostro servizio, considerando l’enorme diffusione di errori e per conseguenza di dolorosi conflitti tra fratelli.
Per questo le chiedo di pregare per noi, affinché possiamo essere di valido aiuto al Sommo Pontefice nell’opera della conciliazione e della pace.
Eccellente padre,
RispondiEliminatutta Verita' e tutto nella Fede, il contenuto della Sua disamina (ci mancherebbe) una lezione da registrare e da rileggere ogni qual volta il malefico dubbio si presenti per ogni cattolico che tale si autocertifica; mi permetto pero' qui di
insistere ancora una volta sulla quaestio della comunione in mano: ragiono io: se trattiamo il Nucleo fisico della Fede (La Sacra Eucarestia) Corpo di Cristo, con le mani, come fosse un qualsiasi pezzo di pane e se nemmeno beviamo del Sangue di Cristo, dose di vino, come possiamo dirci Cattolici? Mi pare un tendere al protestantesimo; desidererei sapere una volta per tutte il MOTIVO per cui da pochi decenni si consegna il Corpo di Cristo nella mano in piedi, invece di riceverlo in ginocchio in bocca intinto nel Sangue di Cristo.
Caro Fedele,
Eliminala ringrazio per il vivo consenso col quale lei ha accolto le mie considerazioni sulla Santissima Eucarestia.
Lei si domanda per quale motivo la Chiesa oggi autorizza di ricevere la Comunione nella mano, conservando nel contempo l’uso tradizionale di riceverla in bocca. Io non sono uno storico della liturgia, ma un teologo dogmatico, per cui quello che le dirò esprime più una mia opinione che non la certezza, che le potrebbe dare un esperto in campo liturgico.
Ebbene, secondo me questo uso della Comunione nella mano è stato introdotto per rappresentare quello che è successo all’Ultima Cena, e cioè che Gesù ha distribuito il Pane consacrato agli Apostoli, i quali lo hanno assunto prendendolo in mano. Infatti Gesù dice: “Prendete e mangiate”.
A questo punto la domanda che ci possiamo fare è: “Perché la Comunione in bocca?”. Io credo per significare la sacralità dell’Ostia consacrata, considerando che ci poteva essere il rischio da parte del fedele di trattare con la mano con poco rispetto il Corpo del Signore. Purtroppo anche oggi si verificano dei casi di profanazione, per cui l’Ostia viene usata per finalità sacrileghe.
Ricordo inoltre che l’atto essenziale di ricevere la Comunione è sempre lo stesso nei due casi, ed è questa la cosa importante: sapere che si riceve il Corpo del Signore e che occorre essere in grazia di Dio per poterlo ricevere degnamente.
Oggi la Chiesa lascia ai singoli fedeli la scelta se ricevere la Comunione in bocca o in mano.
Ricordo inoltre che ciò che tocchiamo, con la mano o con la lingua, non è il Corpo del Signore, che fisicamente è in cielo, ma sono le specie eucaristiche del pane, benchè esse nascondano il Corpo del Signore, presente sotto le specie eucaristiche a modo di sostanza.
Ogni volta che chiedo il MOTIVO della disposizione CEI (?) che ha introdotto la comunione brevi manu, NESSUN prete mi sa rispondere, Ella compreso; La ringrazio comunque per la Sua pronta risposta che pero' non e' stata piena come speravo e, nel contempo, mi permetto di precisare che in merito all'articolo "prendetene e mangiatene tutti" , sussiste questa fallace e deviante traduzione, piuttosto di quella corretta
RispondiElimina"accettatene (e mangiatene) tutti" .
Che il nuovo papa Leone XIV possa fare in tempo a sistemare una volta per tutte la procedura di distribuzione della Santa Eucarestia; ai serpenti che lo circondano in attesa di morderlo ci pensera' Dio. Preghiamo Dio. LJC
Caro Fedele,
Eliminala sua richiesta è più che legittima, per cui, per andarle incontro, le trasmetto i testi dei documenti ufficiali del 1989, che trattano dell’argomento che la interessa:
Atti Ufficiali:
- Decreto di "recognitio" della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sulle modalità della distribuzione della santa Comunione
- Decreto di promulgazione del Cardinale Presidente della Conferenza Episcopale della delibera n. 56
- Testo della delibera n. 56
- Istruzione sulla Comunione eucaristica
- Indicazioni particolari per la Comunione sulla mano
https://www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2017/02/Modalita_distribuzione_santa_Comunione.pdf
Un grazie ancora per il Suo tempestivo interessamento.
RispondiEliminaLJC