La scomparsa degli angeli nella metafisica idealista
Da Cartesio a Bontadini
Seconda Parte (2/4)
La scoperta dell’esistenza degli angeli nei Greci
Il primo dei filosofi greci a parlare del pensiero (noèin) e quindi dello spirito è Parmenide, il quale è il fondatore della metafisica in quanto la sua questione fondamentale è quella dell’essere (einai) che identifica con quella dell’ente (on).
Egli tuttavia dice che la stessa cosa è il pensare e l’essere (to autò to noein kai to einai) senza che sia chiaro se egli identifica il pensare con l’essere oppure intende dire che nel conoscere ciò che pensiamo è ciò che è. Nel primo caso egli è il fondatore dell’idealismo. Nel secondo caso fonda il concetto realistico della verità.
Comunque in Parmenide non appare ancora la distinzione fra il nus e l’on come oggetto del nus. E inoltre sembra che esista solo lo spirito assoluto, mentre il divenire e la materia sono relegati nel non-essere o nella mera apparenza. Parmenide identifica l’essere con l’essere assoluto, quindi con Dio. Confonde pertanto il nus, la mente umana con l’angelo e con Dio. Considera contradditorio il divenire, un discorso molto pericoloso, perché darà occasione ad Hegel di affermare la contraddizione come principio di essere per salvare la realtà del divenire.
Il vero scopritore dell’esistenza dell’angelo in Grecia è Anassagora, il quale afferma che «l’intelletto (nus) è separato perchè possa comandare», s‘intende sulla materia. Anassagora scopre che il nus ha un’energia propria motrice interiore ed intenzionale e si muove da sé, a differenza dei corpi che sono mossi da un motore esterno. Anassagora scopre quindi la distinzione e il primato della sostanza intellettuale, ossia spirituale su quella corporale e materiale.
Egli non ha difficoltà a correggere Parmenide e ad ammettere la molteplicità degli enti materiali in divenire. Tuttavia resta irrisolta l’apparente contradditorietà del divenire, problema che metterà in difficoltà Platone e che solo Aristotele riuscirà a risolvere con la sua distinzione fra il prima e il poi, fra forma e materia e fra potenza (dynamis) e atto (energheia).
Comunque, si badi bene che automozione significa solo azione immanente o interiore e intenzionale di autoperfezionamento o autorealizzazione e non significa assolutamente autocausazione (causa sui), concetto assurdo come dimostra San Tommaso, perché la causa di se stesso dovrebbe esistere, come causa, prima di esistere come effetto, dovrebbe esistere e non esistere, anche se purtroppo questo concetto sarebbe ricomparso con Cartesio e sarà alla base dell’idealismo tedesco a partire da Fichte fino a Gentile.
Platone
Platone, partendo dalla scoperta di Anassagora, è il primo filosofo che distingue il pneuma, lo spirito dal soma, il corpo e quindi distingue l’intellegibile (noetòn) dal sensibile (aisthetòn). Egli così distingue nell’uomo l’anima (psychè) dal corpo (soma). Platone nel Fedone dimostra l’immortalità dell’anima razionale appunto perché non è soggetta alle traversie e ai mutamenti del corpo. Dice che Socrate era ispirato e assistito da un daimon, uno spirito. L’idea platonica è una sostanza spirituale intellegibile e intelligente esemplare. È quello che la Bibbia chiama «angelo».
Platone è stato lo scopritore non solo del valore della vita, ma della vita eterna (bios aiònios), ossia della vita dello spirito. Esiste una vita mortale e una vita eterna. Egli ha capito che il vivere è l’esistere del vivente e che il vivente è l’ente semovente, che si muove da sé e riflette o torna su sé stesso. Se il termine oggi non significasse altra cosa, potremmo dire che il vivente è l’«automobile», cioè muove e stesso.
Platone ha capito inoltre che la sola semplicità o indivisibilità della sostanza o della forma o dell’elemento non vogliono dire necessariamente immortalità. Di un punto, del numero 5 o di triangolo non diciamo che sono immortali, per il semplice fatto che non sono viventi. L’indipendenza dallo spaziotempo non dice ancora spiritualità o eternità, se ci si ferma sul piano dell’immaginabile o del quantitativo.
Platone constatò altresì, come tutti noi, che i viventi corporei, compreso l’uomo, hanno una forza vitale e animatrice limitata nel tempo, composti come sono di elementi contrari. L’anima, con la sua forza animatrice riesce a tener unificato il corpo solo per un periodo limitato di tempo. Col passar del tempo si esaurisce gradualmente la forza dell’anima e il conflitto tra i contrari porta alla dissoluzione drl corpo. Ecco la morte. Tuttavia egli si accorse che l’anima umana, a differenza delle anime inferiori, materiali, è spirito.
Da qui la sua scoperta dell’immortalità dello spirito umano al di là della dissoluzione del corpo. Lo spirito è immortale perchè è semplice, dato che la morte è la dissoluzione del composto vivente. Lo spirito è immortale perchè vede le idee che sono eterne. E che cosa sono le idee se non angeli? Sant’Agostino pensò di collocarle in Dio e fece bene, perché è secondo l’idea che Dio crea, plasma, ordina, illumina e muove la creatura.
Platone ha capito che la vita non appartiene all’essere come tale, perché esiste anche l’essere materiale non vivente, il soma, ossia il corpo. Platone evita quindi l’errore del panpsichismo e del vitalismo, che in Grecia era già apparso con Parmenide e si diffonderà a partire dal secolo XVII fino ad oggi con Campanella, Bruno, Leibniz, Schelling. Blondel, Bergson, Teilhard de Chardin e Bontadini. Osserviamo che il vivente è un ente, ma l’ente non è come tale vivente. Non solo lo spirito, ma anche il corpo è un ente. Tuttavia è nota la ripugnanza che Platone ha per la realtà corporea. Egli la giudica ingannevole apparenza (doxa), tentatrice e moralmente pericolosa perché impedisce la libertà dello spirito. Da qui la famosa prospettiva platonica dell’anima che si libera separandosi dal corpo, per cui la filosofia è una preparazione alla morte.
Ora è vero che anche Cristo ha detto: «se il tuo occhio ti scandalizza, toglilo». Ma Platone non ha capito che questa è solo una misura d’emergenza temporanea e provvisoria, perché in realtà il corpo è fatto da Dio per l’anima e l’anima è fatta da Dio per il corpo, per cui la vera liberazione è la liberazione del corpo dalla concupiscenza in modo tale che l’anima dopo la morte possa recuperare il proprio il corpo così liberato.
Aristotele
Aristotele rifiuta questa concezione del rapporto dell’anima o dello spirito col corpo come se esso fosse solo accidentale in vista di una pura sussistenza dell’anima separata. Egli sa bene che effettivamente si dà l’anima separata (usìa coristè), che è per lui lo spirito, il nus ovvero l’angelo, come abbiamo visto. Ma nel contempo per lui la natura umana, animale razionale, è sintesi di anima e di corpo, anche se non sa auspicare una resurrezione del corpo.
Aristotele, riprendendo Anassagora, distingue viventi e non viventi. I primi esercitano un’azione transitiva verso l’esterno e sono mossi da un principio esterno. I secondi hanno come origine della loro attività esterna un principio interiore, l’anima, che svolge un’azione immanente e informatrice del corpo, perfezionativa del soggetto e riproduttiva della specie. L’anima, come la forma dei non viventi, è forma della sostanza vivente e pertanto è detta forma sostanziale.
Aristotele, al riguardo, distingue nel vivente l’anima vegetativa da quella sensitiva da quella razionale. Anche per Aristotele l’intelletto è immortale. Esso non fa uso di un organo fisico per intendere, ma fa uso del pensiero (nòesis) e viene dal di fuori (thyrathen) della materia, secondo quanto aveva già stabilito Anassagora.
L’anima sensitiva aggiunge a quella vegetativa la facoltà della conoscenza, ma si ferma all’immaginazione. È solo l’anima spirituale che si eleva all’intelletto. L’anima sensitiva coglie il sensibile, quella intellettiva coglie l’intellegibile, ossia l’essenza della cosa, astraendo l’universale (kath’olu) dal particolare o individuale (tode ti).
La conoscenza dice immaterialità, perché, come dice Aristotele, non è la pietra che è nell’anima ma l’immagine della pietra. Tuttavia l’anima sensitiva non è una forma capace di sussistere da sé indipendentemente dalla materia, perché non è capace di astrarre totalmente dal senso, per cui essa non sopravvive alla morte del corpo, ma al momento della morte rientra nella potenzialità della materia.
Viceversa Aristotele osserva che il nus viene dal di fuori della materia (thyrayhen), per cui continua a sussistere anche dopo la morte del soggetto. È evidente che qui Aristotele ha presente il nus di Anassagora, che non è altro che l’angelo. Certo, l’angelo non è un intelletto sussistente; è un soggetto sostanziale che possiede l’intelletto come facoltà. Infatti in Aristotele non c’è ancora il concetto dell’ipsum Esse, ossia dell’ente la cui essenza s‘identifichi col suo essere, come appare con San Tommaso che si basa su Es 3,14.
Aristotele distingue la sostanza composta (synolon) dalla sostanza semplice (aplùs), correggendo la posizione di Anassagora, il quale considerava l’universo come un insieme o collezione o aggregato di sostanze elementari semplici, non ulteriormente divisibili, senza dimensioni, che egli chiamava «omeomerie».
Aristotele distingue enti divisibili da enti indivisibili. L’indivisibilità riguarda la qualità e fa capo alla forma. La divisibilità riguarda la quantità e fa capo alla materia. L’ente quantitativo ossia materiale è indiviso in atto, ma indefinitamente divisibile in potenza. Nella divisione materiale il diviso può essere a sua volta diviso e così senza fine. L’ente qualitativo, ossia la forma, è semplice ed indivisibile.
Se l’ente è composto di elementi, si giunge mediante dissoluzione del composto all’elemento, che è semplice, ma non in modo assoluto, perchè in realtà è indefinitamente divisibile secondo il progresso della microfisica. Invece la specie è divisibile fino agli individui, che sono indivisibili e quindi elementi semplici non ulteriormente divisibili, come dice la parola stessa in-dividuo. L’ente quantitativo, di per sé esteso, è riducibile per astrazione all’inesteso e quindi semplice e indivisibile, come il punto. La figura in quanto estesa è divisibile e quindi non è semplice.
La forma può essere estesa o inestesa. È estesa la forma composta o figura, propria dell’ente materiale, forma che è nel tempo ed ha propri confini racchiusi nello spazio. È inestesa la forma semplice, che prescinde dal tempo e può essere o matematica o metafisica.
In matematica abbiamo la forma aritmetica e la forma geometrica. La prima è inestesa, e abbiamo il numero, il cui principio è l’unità di numero. In geometria abbiamo la forma estesa delimitata dallo spazio tridimensionale, il cui principio è il punto.
In metafisica abbiamo la forma pura, che è finita ed è l’angelo, mentre quella infinita è Dio: e invece in cosmologia la forma della materia può essere sussistente e allora abbiamo l’anima umana; oppure può essere inerente alla materia, e allora abbiamo le anime inferiori, sensitiva e vegetativa.
Nella generazione ed accrescimento del vivente materiale abbiamo il fenomeno dell’aggregazione e moltiplicazione degli elementi, per esempio le cellule, mentre nella corruzione abbiamo la degradazione o disgregazione, il cui esito e termine ultimo è la morte. Essa è la decomposizione del composto già vivente nei suoi elementi primi.
Per questo, la forma semplice, se è vivente, come lo spirito, e quindi l’angelo e l’anima umana, è immortale. La forma vivente inferiore, invece sensitiva e vegetativa, è mortale, perché è forma della materia che esiste solo con la sua materia, per cui dissolvendosi il corpo, si estingue anche l’anima. Se invece la forma semplice è non vivente, come la forma matematica o chimica, non diciamo che è immortale, appunto perchè non vivente, ma solo che è permanente. Certo, ogni forma semplice è indipendente dallo spazio e dal tempo, anche se, come la forma o sostanza chimica, si trova nello spaziotempo.
Aristotele considera una duplice composizione dell’ente: una composizione fisica e una composizione metafisica. La composizione fisica è la composizione delle parti che costituiscono il tutto o intero composto di materia e forma. Oppure è la composizione degli elementi (stoicheia) nel corpo misto (mixis). La composizione metafisica è la composizione di soggetto (ypokèimenon) e natura (usìa), sostanza (usìa)e accidenti (symbebekà), materia e forma e di essenza ed essere.
Bisogna evitare i due eccessi contrari di chi dice «tutto finisce» come Eraclito, Nietzsche e Leopardi e di chi dice «tutto è eterno» come Parmenide, Severino e Bontadini. La posizione di Hegel, secondo il quale tutto finisce e tutto è eterno, è semplicemente insostenibile.
Da quanto detto risulta quanto è importante il tema della semplicità non solo in metafisica, ma anche in gnoseologia e in morale. Purtroppo questo è un argomento del quale non si parla mai. Vorremmo la semplicità, ma non sappiamo che cosa sia. Per questo siamo immersi in complicazioni inestricabili, nella doppiezza morale, in semplicismi grossolani, nelle distinzioni inutili. La nozione dell’ente è sì semplice, tuttavia non è univoca ma analogica e quindi virtualmente complessa. L’ente di per sé non è solo uno, ma anche molteplice. Solo Dio è assolutamente semplice. Cristo ci comanda di essere semplici come le colombe.
Fine Seconda Parte
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 4 luglio 2025
Anassagora forma per primo il concetto della vita (bios o zoè) come automozione, distinguendo l’ente vivente dal non vivente, anche se non ci dà ancora i gradi della vita come farà Aristotele. Un conto comunque, per Anassagora, è il non vivente, il semplice corpo, e un conto è il morto, un corpo che ha perso la vita.
L'automozione significa solo azione immanente o interiore e intenzionale di autoperfezionamento o autorealizzazione e non significa assolutamente autocausazione (causa sui), concetto assurdo come dimostra San Tommaso, perché la causa di se stesso dovrebbe esistere, come causa, prima di esistere come effetto, dovrebbe esistere e non esistere.
Platone ha capito che l’atto del vivente esce da lui e torna a lui secondo una specie di circolarità. Il suo agire e il suo essere sono trasparenti a loro stessi. Quindi ha capito il valore della coscienza, dell’autocoscienza e dello spirito. Bisogna dire allora che ci ha fatto capire meglio non solo che cosa è l’uomo, ma anche che chi è l’angelo. E da qui ci ha fatto capire chi è Dio purissimo Spirito, esplicitando la nozione del nus che già ci aveva fornito Anassagora.
Aristotele, benché non capisca e denigri la dottrina platonica delle idee, tuttavia ne coglie l’aspetto ontologico e ammette la sostanza spirituale o immateriale separata (usìa coristè). Egli spiega l’ente sensibile non con l’idea trascendente, ma con la forma (morfè) immanente, sicchè la sostanza sensibile materiale è il composto (synolon) di materia (yle) e forma. Aristotele chiama la forma anche eidos, come Platone chiama l’idea. In metafisica abbiamo la forma pura, che è finita ed è l’angelo, mentre quella infinita è Dio.
Immagini da Internet:
- Angeli con candelabro, Gessi G.F.
- Angeli, Cappella Palatina, Napoli
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