La scomparsa degli angeli nella metafisica idealista
Da Cartesio a Bontadini
Quarta Parte (4/4)
L’angelologia biblica
Riempie di meraviglia noi moderni, spesso increduli nell’esistenza degli angeli, constatare quale dimestichezza i personaggi biblici hanno con gli angeli. Il commercio con gli angeli sembra quasi per loro una cosa anche se rara e straordinaria, tutto sommato normale e scontata. Difficile sapere che cosa vedono nelle apparizioni di angeli in volo con le ali. Indubbiamente Il volo rappresenta la velocità e la elevatezza delle comunicazioni spirituali.
A noi moderni queste raffigurazioni possono sembrare fantasie ingenue, che possono attirare l’attenzione dei bambini, ma che non presentano nessun interesse o credibilità dal punto di vista di un discorso serio o filosofico. Ma qui valgono proprio in mente le parole di Cristo quando dice che Dio rivela i suoi misteri ai piccoli e li nasconde ai sapienti e agli intelligenti.
Il titolo di Dottore Angelico che i tomisti hanno dato con ammirazione, fierezza e riconoscenza a San Tommaso e che troviamo persino nel nome Angelicum col quale è designata un’Università pontificia romana è motivo di accondiscendente compatimento da parte dei nostri heideggeriani, severiniani, bontadiniani e rahneriani.
Sapessero l’abisso di ignoranza e di ottusità intellettuale che si cela nelle loro menti saccenti e presuntuose nel momento in cui si fanno beffe dell’angelologia tomista! Sapessero quanto gli spunti positivi che hanno nella loro metafisica sarebbero valorizzati e troverebbero un loro meraviglioso fondamento e sviluppo nel trattato tomistico sugli angeli! Sapessero quanto i loro errori possono essere riconducibili agli inganni del demonio! Si metterebbero in ginocchio a ringraziare San Tommaso d’Aquino!
La Sacra Scrittura non si ferma a dimostrare metafisicamente l’esistenza e i poteri degli angeli. Lascia questo compito alla filosofia greca, come abbiamo visto per Parmenide, Anassagora, Socrate, Platone e Aristotele. Essa ci mostra gli angeli buoni e malvagi all’opera nei loro rapporti con Dio, con gli uomini e con la natura.
Ce li presenta come creature più nobili e più potenti dell’uomo, maggiormente capaci di utilizzare le forze della natura, operatori di prodigi, dei quali l’uomo non è capace; alcuni, i buoni, guide verso Dio e ispiratori di opere buone, altri, i malvagi, ingannatori, falsari, subornatori e istigatori alla superbia, alla ribellione e alla disobbedienza, abili nell’influire sul pensiero e sull’agire umano nel bene come nel male, ministri della provvidenza divina, sia quando essa è misericordiosa, nell’illuminare la mente e nello scaldare il cuore, nell’elargire grazia, forza, sapienza e perdono, e sia quando è severa, nel castigare, mettere alla prova e correggere.
La Scrittura ci mostra all’evidenza che gli angeli sono persone, come lo siamo anche noi e come anche Dio dal punto di vista metafisico è una persona o sostanza spirituale, a prescindere dal suo essere trinitario, oggetto della fede.
Naturalmente esistono gradi differenti di perfezione della personalità. Noi siamo al grado più basso, perché la nostra spiritualità, che è il principio e fondamento dell’essere personale, non è una natura completa, ma è forma di una materia, per cui in noi la materia è il soggetto della forma e ciò che sussiste è la nostra sostanza composta di spirito e corpo.
Nell’angelo come in noi l’essenza è distinta dalle potenze dell’intelletto e della volontà. Un conto è l’atto d’essere della sua essenza e un conto è l’atto delle potenze, che è l’azione. Il suo essere è distinto dall’agire, dal pensare, dal volere, come in noi l’essenza è distinta dalle potenze attive e passive.
In noi e nell’angelo l’essenza è potenza rispetto all’atto d’essere e questo non è solo attuazione dell’essenza come possibile, ma dell’essenza come realtà. Ma qui non abbiamo ancora il vertice della personalità. Esso è dato quando l’essenza coincide non solo con le potenze, ma con lo stesso essere, il che avviene solo in Dio.
Il sommo della personalità, ossia della sostanza sussistente, è dato quell’ente unico, assolutamente semplice, che è Dio. Proprietà esclusiva dell’essere divino, che lo distingue da tutti gli altri enti, è la sua assoluta e ineguagliabile semplicità non quantitativa o matematica, per la quale restiamo sul piano della materia, ma qualitativa e ontologica, perché siamo sul piano dello spirito. Dice Tommaso:
«non essendoci in Dio composizione né quanto a parti quantitative, perché non è corpo; né composizione di forma e materia; né in Lui la natura è altro dal soggetto (suppositum); né è altro l’essenza dall’essere; né in essendovi in Lui composizione di genere e differenza, né di soggetto (subjectum) e accidente, è chiaro che Dio non è in alcun modo composto, ma è del tutto semplice»[1].
Ma l’angelo è pur sempre una creatura. Ciò vuol dire che la sua personalità non è il grado massimo o supremo della personalità, perchè l’angelo non sussiste in forza del suo essere, ma della sua essenza o sostanza o natura. Il suo atto d‘essere non è sussistente, ma ricevuto; non gli è essenziale, ma aggiunto e donato dal Creatore.
Ora la persona comporta la sussistenza. Alla persona angelica invece manca di per sé la sussistenza: non ce l’ha da sé, non l’ha per conto proprio perchè il suo essere è causato e creato dal nulla da Dio, il Quale solo è persona in senso assoluto e infinito perché non esiste da altro, ma esiste da Sé e in forza di Sé.
Come in noi e come in tutto il creato ogni ente esistente è un singolo individuo, diverso o differente da ogni altro, anche della stessa specie, così ogni angelo è diverso da ogni altro, ha una propria irripetibile personalità e funzioni proprie diverse da quelle di qualunque altro, anche se appartiene allo stesso coro angelico. Michele è diverso da Gabriele e da Raffaele. Il coro dei serafini è diverso da quello dei cherubini e ad esso superiore. Qui gli angeli assomigliano a noi, se non fosse che in noi si aggiungono ulteriori princìpi di distinzione dovuti alla presenza del corpo. Pensiamo per esempio alla differenza delle razze o fra il bambino e l’adulto.
Ma da che cosa è data o dipende la differenza fra un angelo è un altro? Certamente non può dipendere dalla materia, come presso di noi, dato che non hanno materia. Come si distingue un coro da un altro? Tommaso sostiene che ogni angelo è una specie a sé, in quanto l’unica differenza possibile tra angelo e angelo è una differenza formale, ossia specifica. Non esiste l’individuo della specie, in quanto la materia segnata dalla quantità è principio d’individuazione. L’individuo coincide con la specie.
La cosa che ci sorprende nelle narrazioni bibliche è la facilità con la quale l’angelo, s’intende quello santo, appare sotto sembianze umane, cosa che oggi non succede mai se non in casi rarissimi. Il demonio invece appare sotto forme bestiali, tentatrici, orribili e mostruose. Può tuttavia assumere le apparenze dell’angelo santo. La domanda che ci poniamo è come ciò possa avvenire.
Le operazioni angeliche costituiscono un capitolo interessante circa il potere dello spirito creato sulla natura. Certamente esiste una somiglianza tra come operiamo noi e come opera l’angelo. Pensiamo ai meravigliosi prodotti moderni della tecnica nel campo delle comunicazioni visive e sonore. Da una materia infinitesimale eppure capace di sprigionare una titanica energia e potenza attiva, pensiamo all’elettromagnetismo o all’energia atomica, invisibile ai nostri occhi e non udibile alle nostre orecchie, riusciamo a ottenere immagini e suoni per mezzo dei quali comunichiamo in modo istantaneo e immediato dall’uno all’altro capo del mondo e a distanze interplanetarie.
Le due scaturigini dell’esperienza spirituale
Ma la Scrittura e la tradizione ascetica cristiana ci parlano anche, all’interno di questo orizzonte divino circoscrivente, questo Umgreifende, per dirla con un termine di Jaspers cristianizzato, del succedersi ininterrotto di impulsi, messaggi, spinte, suggestioni, sollecitazioni, proposte, stimoli interiori provenienti dal mondo angelico.
Certo non c’è dubbio che tanti nostri pensieri o intenzioni emergono dal nostro io profondo e in tal senso è verissimo che esiste in noi il mondo oscuro dell’inconscio o del preconscio. Ma è altrettanto vero – e questo pochi lo sanno riconoscere, mentre la Bibbia ce ne dà perfetta conoscenza - che noi, come persone psicofisiche, abbiamo un commercio interpersonale su due piani: uno, con le altre persone umane con le quali conviviamo, basato sull’esperienza sensibile; e un altro, esclusivamente basato sull’esperienza spirituale, col mondo delle persone puramente spirituali: Dio e gli angeli.
E non è difficile distinguere ciò che emerge dall’inconscio da ciò che ci è comunicato dal di fuori, ossia da un soggetto distinto da noi, benchè non empirico ma solo intellegibile. Un «noùmeno», per esprimerci in termini kantiani, anche se l’idealista non vuole ammetterlo, perché tutto deve dipendere dal suo io. E invece, quando riceviamo messaggi dal di fuori del nostro io, sentiamo di non averli ricavati dal nostro io o che non emergono da esso. Sentiamo che per noi sono una novità. È vero tuttavia che sembra nuovo ciò di cui ci siamo dimenticati. Per questo, qui non abbiamo ancora una prova certa dell’alterità, ma solo un possibile indizio, anche perchè non è detto che l’angelo non ci comunichi cose che sappiamo già.
Ad ogni modo, in queste esperienze delle quali parlo, non si tratta del fatto che ci tornano in mente cose già apprese o pensate per nostra volontà o decisione. La memoria non c’entra. Non è il ricordo di quanto altri ci hanno detto o di quanto in passato abbiamo già appreso o pensato. Si tratta di un’alterità nel nostro intimo, non di un altro soggetto nello spazio esterno. Si tratta dell’apprendimento di un messaggio nuovo che viene dal di fuori del nostro io, almeno se dell’io abbiamo un concetto realistico e non quello gonfiato dall’idealismo.
Ma la cosa decisiva per discernere se si tratta di un altro io o sempre del nostro io, è data dal fatto che sentiamo che il messaggio proviene da qualcuno che ci parla, che argomenta e che tenta di persuaderci oppure ci dà dei comandi o ci fà delle esortazioni o ci dà degli avvertimenti. Noi rispondiamo od obiettiamo ed egli controbatte. Ciò che allora ci dà la prova certa dell’alterità non è tanto la novità del messaggio, quanto il fatto che questa alterità o questo soggetto ragiona o argomenta, un semplice ricordo non argomenta.
Ripeto che non si tratta è un parlare interiore tra noi e noi, perché in tal caso sentiamo che siamo noi gli unici attori di quanto accade. Non è un consultare la nostra coscienza, non è la voce della coscienza, perché in tal caso sentiamo che siamo sempre noi a parlare con noi stessi. È invece un parlare con un altro, sentire un altro, un rispondere a un altro. Un indizio dell’alterità può essere la novità del messaggio. Ma qui non possiamo essere del tutto sicuri che non si tratti dell’emergere di un ricordo alla coscienza. La prova sicura dell’alterità, della presenza di un’altra persona è data dal fatto che questo soggetto ragiona e argomenta.
L’idealista o lo gnostico o il panteista crede che le sue spacconate speculative siano frutto del suo io trascendentale; ma in realtà egli non fa che comunicarci in maniera fascinosa, abilissima e rigogliosissima, tanto da accumulare libri su libri, quanto ha sentito o gli è stato comunicato da uno spirito, che, stando ai contenuti delle sue speculazioni, non può essere certamente l’angelo custode, ma è uno spirito di inganno, di menzogna e di superbia. Così similmente, ma dalla sponda opposta, il Papa, il profeta, il santo, il metafisico o il teologo cattolico, ci comunicano quanto hanno sentito dallo Spirito Santo o dall’angelo custode, come è rappresentato, per esempio, in forma stupenda dal Guercino nella chiesa di San Domenico di Bologna, dove vediamo San Tommaso che sta scrivendo l’Ufficio del Santissimo Sacramento, mentre un angelo gli suggerisce all’orecchio le cose da dire. Chi ha parlato all’orecchio di Lutero, di Cartesio, di Kant, di Hegel, di Marx e di Nietzsche e di Heidegger?
Sostanzialmente nello svolgersi del nostro quotidiano il nostro spirito è permanentemente soggetto, contro la nostra volontà, ad un impulso torbido e conturbante che ci allontana da Dio, tenta di rendercelo odioso, e ci spinge al peccato. È la fosca presenza del tentatore. Il nostro pronto ricorso all’angelo custode ci dona subito pace e luce. Ma ecco che la forza infernale riprende il suo attacco. Occorre allora un nuovo ricorso all’angelo custode ed ecco subito una nuova tranquillizzazione.
Agli attacchi dell’inferno occorre rispondere immediatamente col ricorso all’angelo custode, il cui intervento è di efficacia rasserenante infallibile. Ma la pace che procura può essere di breve durata. Ecco infatti che il demonio torna all’attacco e così ingaggiamo una dura battaglia di botta e risposta, nella quale bisogna insistere fino a che non otteniamo la pace di una certa durata. L’angelo custode ci fa gustare la presenza divina e siamo consolati. È il momento buono per lanciarci nelle opere buone.
Riconoscere l’assalto della forza demoniaca nella sua ripugnanza e bruttezza è importante, perchè ciò ci fa respingere con forza l’insidia del demonio. Sono invece più da temere gli interventi ingannatori che fanno apparire il peccato sotto il colore dell’opera santa. Può capitare che l’insidia sia così astutamente ideata, che anche chi è in grazia sul momento resta ingannato. Dio però non permette che il soggetto resti ingannato oltre un certo tempo. L’umile accettazione di queste umiliazioni dona grande pace all’anima e la avvicina a Dio. L’errore commesso rende più cauti. La profonda confusione della coscienza per l’umiliazione patita può essere fruttuosamente offerta per l’espiazione dei propri peccati.
I tre colloqui che hanno fatto la storia
Sono il colloquio di Eva col serpente nell’eden, il colloquio di Maria con l’arcangelo Gabriele e il colloquio di Cristo con Satana nel deserto. Il primo colloquio ha segnato la caduta del peccato originale. Qui il demonio promette all’uomo la vita eterna e di diventare come Dio disobbedendo a Dio. L’uomo, invece che ascoltare Dio e fidarsi di Lui, preferisce ascoltare il demonio. Ma il demonio non mantiene le promesse: disobbedendo a Dio l’uomo non diventa affatto come Dio, ma viene spogliato della sua dignità, tende al male, è soggetto alla sofferenza e alla morte.
Nell’eden il demonio si propone come vero Dio, degno di fiducia e maestro di verità, benefattore dell’uomo, mentre, come dirà Cristo, egli è il mentitore, l’omicida per principio e il padre della menzogna. Il demonio nell’eden presenta Dio come menzognero e invidioso dell’uomo, quel Dio, disobbedendo al Quale l’uomo diventerebbe come Lui e per questo, al dire del demonio, Dio proibisce ad Adamo ed Eva di mangiare quel frutto che avrebbe consentito loro di diventare come Lui.
Hegel pertanto considera il serpente genesiaco come il liberatore dell’uomo, per cui l’uomo assume la natura divina. Per Hegel l’uomo inizia ad agire liberamente col peccato originale, determinando la propria essenza divina. Il Dio creatore, per Hegel, è il Dio astratto, che si concretizza nell’uomo, il quale in quanto nega Dio, pone sé come Dio e quindi chiude il ciclo dialettico del divenire dell’essenza divina come unità di divinità ed umanità.
Ci facciamo alcune domande. Da che cosa nasce la stoltezza della superbia? Essa riceve occasione dalla possibilità che lo spirito creato, angelo o uomo, ha di diventare intenzionalmente tutto nella conoscenza. Grande è la tentazione di entificare questa totalità meramente intenzionale, sì da vederla come totalità ontologica.
Come può inoltre l’uomo ancor oggi aver tanta stoltezza da dare ascolto a Satana, sapendo quali sono le conseguenze? Il peccatore sa benissimo quali sono le conseguenze del peccato. Ma con tutto ciò egli le accetta pur di ripetere quello che ha fatto: volere la propria volontà, non quella di Dio. Nel peccato avviene una specie o sdoppiamento del concetto della divinità. L’uomo abbandona il vero Dio, si volge a Satana sostituendolo a Dio, ma con la prospettiva di diventare egli stesso Dio adorando Satana. Si rende schiavo di Satana con la prospettiva di essere egli stesso Dio al posto di Dio obbedendo a Satana, che diventa sua guida contro Dio. Questa è la dinamica di fondo, spirituale, del peccato. Qui abbiamo la superbia allo stato puro, che al limite, è propria solo del demonio.
Infatti nell’uomo, in conseguenza del peccato originale, si aggiunge un altro fattore o incentivo al peccato, che offusca la mente e ha la meglio sulla volontà, per cui diminuiscono la responsabilità e la colpa: l’attrattiva dei beni e dei piaceri fisici. Nell’uomo nella vita presente solitamente non c’è la precisa cosciente volontà di offendere Dio e di assoggettarsi a Satana e di mettersi al posto di Dio. Ciò resta implicito e può essere coscientemente proprio di alcuni uomini diabolici: nell’uomo della natura decaduta abbiamo l’attrattiva quasi irresistibile dei beni creati al di fuori dell’ordine stabilito da Dio e visti, per errore, ingannati dal demonio o da uomini empi, come molto più interessanti e attraenti di quanto in realtà lo siano.
Secondo la Scrittura un compito dell’angelo santo è quello di essere ministro di Dio per la salvezza dell’uomo e quindi luce dell’intelletto, annunciatore della volontà e dei piani divini, nonché trasmettitore degli ordini divini.
Dio affida all’angelo Gabriele il compito di annunciare a Maria, piena di grazia, che sarà madre del Figlio di Dio imponendole il nome da dargli e predicendo che avrebbe ereditato il trono di Davide suo padre e che avrebbe regnato per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrebbe avuto fine. L’annuncio del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione avviene nell’orizzonte del destino d’Israele, il popolo eletto da Dio come salvatore dell’umanità. È interessante come la stella di Davide si trova nella bandiera dello Stato d‘Israele. Essa ci ricorda l’episodio dell’Annunciazione. Come dice Giovanni nel Prologo il Messia è venuto:
«venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1, 11-13).
Il terzo colloquio che segna la storia del mondo è quello tra Cristo e Satana nel deserto. In questo triplice colloquio Cristo ci insegna come sventare tutte le possibili insidie del demonio. Abbiamo l’area degli interessi personali, quella degli interessi sociali e quella degli interessi religiosi. Volendo fare un collegamento con i voti religiosi, possiamo dire che la prima area corrisponde al voto di castità, la seconda al voto di povertà, la terza al voto d’obbedienza. La cosa da notare è che il diavolo utilizza la Scrittura strumentalizzandola ai suoi fini. Fra noi uomini è questo il metodo degli eretici.
Questi tre colloqui convergono verso un evento centrale, paradigmatico e archetipico, che ci induce a riassumere tutta la tematica degli angeli nel loro rapporto con Cristo, Re dell’universo e Salvatore del mondo. Mentre gli angeli santi costituiscono i collaboratori di Cristo e conforto della sua umanità, come lo sono per noi, i demoni hanno la funzione di mettere alla prova l’uomo e di castigarlo, e si raccolgono attorno a un capo supremo, Satana, l’anticristo per eccellenza, che Cristo chiama «principe di questo mondo o del mondo» (Gv 12,31; 14,30; 16,11) e San Paolo chiama «spirito del mondo» (I Cor 2,12) e «dio di questo mondo» (II Cor 4,4).
L’Apocalisse ci mostra come Cristo, nuovo Adamo, figlio di Maria e Figlio di Dio vince il serpente antico, il diavolo e satana, insegnando all’uomo come sventare le sue insidie e vincere le sue tentazioni, mentre Cristo, forte della sua potenza divina, capo degli eserciti angelici e dell’umanità redenta, insieme con la Chiesa, sconfigge definitivamente nella guerra escatologica le milizie sataniche del Dragone coalizzate «contro l’accampamento dei santi e la città diletta» (Ap 20,9).
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 4 luglio 2025
L’angelo è persona di più e meglio di noi, in quanto in lui il soggetto sussistente non è come in noi la materia, ma è lo stesso spirito, che pertanto non è forma di una materia, ma è pura forma, come aveva intuito Anassagora. La sua natura non è come in noi spirito e corpo, ma puro spirito.
Ma l’angelo è pur sempre una creatura. Ciò vuol dire che la sua personalità non è il grado massimo o supremo della personalità, perchè l’angelo non sussiste in forza del suo essere, ma della sua essenza o sostanza o natura. Il suo atto d’essere non è sussistente, ma ricevuto; non gli è essenziale, ma aggiunto e donato dal Creatore.
Ora la persona comporta la sussistenza. Alla persona angelica invece manca di per sé la sussistenza: non ce l’ha da sé, non l’ha per conto proprio perchè il suo essere è causato e creato dal nulla da Dio, il Quale solo è persona in senso assoluto e infinito perché non esiste da altro, ma esiste da Sé e in forza di Sé.
Ogni angelo non è l’individuo di una specie, ma è una specie a sé. Due angeli dello stesso coro, facciamo conto due arcangeli, sono di pari dignità generica come angelo, ma reciprocamente complementari come singoli, un po’ come tra l’anima umana maschile e femminile esiste una differenza formale, mentre la natura umana funge da genere, per cui le due specie di anime si completano a vicenda su di un piano di pari dignità personale.
Pochi, anche tra gli autori spirituali, notano che l’angelo custode e il demonio sono sempre presenti ed attivi nella nostra vita spirituale.
[1] Sum.Theol., I, q.3, a.7.
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