Attualità di Giordano Bruno - Terza Parte (3/5)

 

Attualità di Giordano Bruno

Terza Parte (3/5)

 

Gnosticismo [1]

Lo gnosticismo è quell’atteggiamento mentale per il quale il soggetto si ritiene in modo tracotante e dogmatico in possesso del sapere divino o di essere egli stesso questo sapere, ovviamente non nel senso di conoscere tutte le cose nel dettaglio, ma immagina di identificare il suo sapere o anche se stesso col sapere divino. In queste condizioni il soggetto si convince di saperne più di Cristo in fatto di teologia, per cui giudica il suo concetto di Dio come quello giusto e quello della rivelazione cristiana come frutto dell’immaginazione.

Lo gnostico non ritiene che la sua limitata ragione possa essere informata dalla rivelazione cristiana circa una più alta conoscenza di Dio, ma ritiene di ricevere la rivelazione metacristiana dalla sua stessa autocoscienza divina.  La chiami fede (Lutero) o la chiami ragione (Hegel), parli (ermetismo, Schelling, Heidegger) o non parli di rivelazione (Bruno, Fichte, Hegel, Severino), in ogni caso lo gnostico ritiene di possedere la scienza divina non mediante la rivelazione cristiana, ma immediatamente ed atematicamente nella sua autocoscienza, ossia nella coscienza del suo io potenzialmente o attualmente io assoluto, Uno-Tutto (Bruno, Fichte, Schelling).

Esiste anche uno gnosticismo della pura ragione, che ha origine dall’autocoscienza cartesiana, considera autosufficiente la ragione, rifiuta una rivelazione sovrarazionale, vanta un sapere divino atematico preconcettuale e arriva a Spinoza, a Kant, Fichte, Hegel, Gentile, Husserl, Heidegger e Severino. Esso è propugnato dalla massoneria.

Papa Francesco descrive lo gnosticismo come

«esperienza dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della propria ragione o dei suoi sentimenti. … Abbiamo una mente senza incarnazione, incapace di toccare la carne sofferente di Cristo negli altri, ingessata in un’enciclopedia di astrazioni. … L’equilibrio gnostico è formale e presume di essere asettico e può assumere l’aspetto di una certa armonia o di un ordine che ingloba tutto. … Riduce l’insegnamento di Gesù a una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto. … Lo gnosticismo per sua propria natura vuole addomesticare il mistero. … Vuole tutto chiaro e sicuro e pretende di dominare la trascendenza di Dio. … È una dottrina monolitica difesa senza sfumature… Esso crea un’Unità superiore in cui scompare la ricca molteplicità della nostra storia»[2].

 

Monismo, monoteismo, panteismo, immanentismo,

panenteismo, ateismo, idolatria

 

Tutti questi temi di somma importanza filosofica  s‘intrecciano, si scontrano e s’incontrano In vario modo nel robusto e complesso, tormentato contradditorio pensiero bruniano, per cui è d’uopo fermarci su ciascuno di essi e vedere come convivono ed interagiscono.

Il monismo propriamente è quella dottrina che sostiene che esiste solo l’uno e che l’essere è unico e uno solo. È la dottrina di Parmenide. È come se dicesse che esiste solo Dio, il quale è appunto uno, unico ed essere sussistente. L’essere per Parmenide ha un solo significato: è l’essere uno, eterno e immutabile.  Parmenide confonde l’essere con l’essere divino. Non riflette sul fatto che essere sussistente certo ha un significato solo ed univoco, ma l’essere come tale ha molti significati, cioè è plurivalente e pluriforme, è diversificato e molteplice. Ha un significato analogico.

L’ errore del monismo porta al panteismo che sostiene che uno è tutto e tutto è uno; dal che consegue che intendendo questo «tutto» sia come «tutte le cose», sia come la totalità dell’essere, non esiste nulla al di fuori di Dio.

Il Tutto divino però in realtà è tutto non nel senso che sia tutte le singole cose reali, ma nel senso che è in atto tutto quello che l’essere può essere e tutte le cose sono contenute virtualmente nella sua essenza, identiche con Lui da Lui ideate in quanto ne è il creatore.

Esistono due tipi di panteismo: c’è quello storicista di Hegel e quello eternalista di Severino. Entrambi partono dal monismo di Parmenide, solo che Hegel vi aggiunge Eraclito per spiegare il divenire, la causa attiva, il tempo e la storia, mentre Severino non ammette alcuna causa efficiente, ma solo quella formale, per cui il divenire, la causalità, il tempo e la storia non sono realtà, ma solo l’apparire e scomparire successivo e spaziale finito dell’eterno e dell’uno. È un’applicazione del metodo matematico in metafisica, e quindi è un confondere la metafisica con la matematica.

Per Severino il divenire è contradditorio e perciò per lui non è reale. Hegel dice invece: siccome il divenire è reale, occorre accettarlo nella sua contradditorietà. Tanto Severino quanto Hegel ritengono comunque di poter risolvere la contraddizione, Severino affermando che ciò che sembra divenire in realtà è eterno, Hegel invece intende l’identità come identità del contradditorio. Per Severino il contradditorio non è reale; è solo dialettico.

Per Hegel il contradditorio è reale, ma appunto il contradditorio si risolve da sè nell’identità. Per Severino l’identità si ottiene togliendo l’apparenza; per Hegel tornando al punto di partenza della circolarità dialettica con la negazione della negazione che è la mediazione fra la tesi e la sintesi e così si chiude il circolo dialettico.

Il panteismo ha origini antichissime, soprattutto in Oriente, mentre in Occidente ha invalso soprattutto il politeismo. Nella Sacra Scrittura il panteismo non appare, ma è chiaro che si nasconde dietro il racconto della torre di Babele, la polemica contro l’idolatria e i peccati di empietà e di superbia, severamente combattuti dai profeti, peccati che tendono a penetrare anche in Israele. E difatti la divinizzazione della creatura, tipica del panteismo, che cosa produce se non l’idolatria? La Bibbia, più che l’idea monistica che esiste solo Dio, presenta un panteismo antropologico dell’io che esalta sé stesso o dell’uomo che vuole essere come Dio assoggettandosi magari al demonio.

Il monismo nasce dal concetto parmenideo dell’essere: l’essere è uno, unico, univoco, immutabile, eterno, necessario ed infinito. Il molteplice e il divenire sono apparenza e sono contradditori. L’uno è tutto e il tutto è uno. Tutte le cose sono uno e l’uno è tutte le cose. L’uno è i molti e i molti sono l’uno. L’uno è indivisibile; la divisione è solo apparenza. L’alterità, le differenze e le diversità sono solo apparenze.

È chiaro che se Dio è uno, unico, tutto e assoluta unità numerica ed ontologica, semplice ed infinita, immensa, indivisibile ed impartibile e impartecipabile, il mondo, tutta la realtà, tutte le cose e ogni cosa e ogni singola cosa s‘identificano con Dio. Esiste solo il tutto, l’indiviso, l’indistinto l’assoluto, l’infinito e l’eterno. La parte, il diviso, il distinto, il relativo, il finito, il temporale sono solo apparenza.

Il monismo non ammette una distinzione fra l’uno e i molti: i molti sono solo l’apparire dell’uno. I molti sono l’uno e l’uno è i molti.  Per il monismo non esiste una vera moltitudine di enti, non esistono collettività, comunità o società composte di singoli e diversi individui, ciascuno con una propria sussistenza, ma esiste solo l’essere, che è uno, ingloba tutto ed è sussistente. 

Nel monismo l’individuo o il singolo non è una sostanza, ma è una semplice rotella della macchina, un semplice elemento del sistema, un ente totalmente relativo o alla comunità o al capo, che è l’assoluto ed ha un potere assoluto. Il capo non è un individuo che unifica la comunità a lui presupposta, comunità fatta di più persone, ma è la sostanza della comunità, che è solo emanazione del capo, e ogni individuo non sussiste da sé, ma solo nel capo e per il capo.

Nel monismo non esiste una molteplicità reale fuori dell’uno, perchè l’uno è tutto.  Certo, la molteplicità non si unifica da sé se non c’è l’uno che la unifichi. Tuttavia per il monismo l’uno non precede il molteplice e non lo unifica dall’alto, perché l’uno, benché semplice come uno, è moltiplicabile e divisibile nei molti, come principio dei molti, che sono l’apparire dell’uno in quanto divisibile nei molti.

Per il monismo non c’è un universale distinto dal singolo, che è l’uno-tutto, ma lo stesso singolo, l’uno è l’universale.  L’universale non è versus unum, uno prima dei molti (ante multa), nei molti (unum in multis) e dei molti (de multis), ma è semplicemente l’uno, che è ad un tempo singolo, molti ed universale. In tal modo vediamo come l’individualismo di Ockham s‘incontra con l’universalismo panteista di Hegel. Infatti tanto per Ockham che per Hegel esiste l’universale, che per Ockham è il nome, mentre per Hegel è il concetto.

La differenza in metafisica fra i due è data dal fatto che mentre per Ockham l’essere è l’essere singolo, per Hegel l‘essere è l’essere universale. Per Ockham l’uno è singolare; per Hegel è universale. Per Ockham l’universale è la collezione dei molti, chiamata con un solo nome. Per Hegel è l’unificazione o l’unità dei molti, pensata in un solo concetto.  Ma alla fine sia per Ockham che per Hegel l’uno-molti è l’universale e il tutto, con la differenza che mentre ciò in Hegel è detto esplicitamente, in Ockham è una conclusione che si può ricavare dai suoi princìpi.

Nel monismo i molti non sono unificati o uniti dall’uno, ma sono sostanzialmente l’uno e semplicemente differenti espressioni dell’uno. Il monismo in politica non ammette il pluralismo, perché spezzerebbe l’unità. Per questo i regimi totalitari non ammettono la pluralità dei partiti.

Nel monismo manca la nozione analogica di partecipazione, che viene intesa solo in modo quantitativo. Qui l’essere per partecipazione è confuso con l’esser parte, e l’essere per essenza è confuso con l’esser tutto. L’essere sussistente è confuso con l’essere.

Inoltre nel monismo il non-essere non esiste, neppure come pensato, col pretesto dell’opposizione essere-non-essere. Non capisce che il nulla, benchè non-essere, è concepito, pensato ed esiste come fosse essere (ad instar entis). Quindi nel monismo è negato l’essere di ragione, che è identificato con l’essere reale.

Diventa allora impossibile l’essere creato dal nulla. La negazione, la privazione, il male non son più essere di ragione o essere ideale, ma diventano reali o scompaiono. L’ideale infatti coincide col reale, il pensiero con l’essere. E quindi ecco l’idealismo. Dunque idealismo, monismo e panteismo sono inscindibili e si richiamano l’un l’altro.

Il panteismo considera come fosse continuo il discontinuo. Esistono infatti dualità dove c’è passaggio continuo e graduale tra i due termini. Si tratta dei contrari, dove mutano le proprietà, ma non muta il soggetto di quelle proprietà. Così per esempio una medesima camera può passare dall’esser fredda all’esser calda. Caldo e freddo si escludono a vicenda, ma solo se considerati simultaneamente. Ed inoltre esiste un passaggio graduale dal caldo al freddo e viceversa.

Ed esistono invece dualità dove il passaggio da un termine all’altro comporta discontinuità, pena la contraddizione. Si tratta dei distinti, che si escludono a vicenda, nel senso che l’uno non è l’altro, senza che ciò impedisca loro di coesistere e stare assieme. Questo è il passaggio dal finito all’infinito, dal contingente al necessario, dal relativo all’assoluto, dall’uomo a Dio.

Nulla impedisce che siano convenienti, concordanti ed uniti, ma non c’è nulla tra di loro che stia in mezzo. Esempio del primo caso: il passaggio dal bianco al nero, dal giorno alla notte, dal bambino all’adulto, dal caldo al freddo. Esempi del secondo tipo: il passaggio dal non-essere all’essere, dal finito all’infinito, dalla natura umana alla natura divina, dalla materia allo spirito, dal non-vivente al vivente, dal contingente al necessario, dal relativo all’assoluto. Qui non si danno punti intermedi, ma c’è un salto netto dall’un termine all’altro.

Il panenteismo è l’invece l’inverso dell’immanentismo. Mentre per l’immanentismo Dio è nel mondo, per il panenteismo (pan en theò) tutto è in Dio. Certamente si distingue dal panteismo che identifica il mondo con Dio. Qui si distingue Dio e mondo, ma è una distinzione di ragione, insufficiente perchè si suppone che Dio non possa essere senza il mondo. 

Nasce a questo punto il concetto dell’Intero, che si trova già in Hegel (Ganzheit) e ricompare in Bontadini; l’interezza o la totalità del reale, la composizione di Dio e mondo. In Bontadini il monismo parmenideo compare anche nel suo concetto di «Unità dell’esperienza».

Col concetto dell’Intero, che poi sarebbe l’Assoluto e Dio stesso, Bontadini precisa che il mondo non può aggiungere nulla a Dio, essendo già Dio il Tutto e allora si pone il mondo in Dio identico all’essenza divina. Ma allora il mondo non è, in quanto creato, anche fuori di Dio? Allora esiste solo Dio? Distinguere Dio e mondo, Dio, come vorrebbe fare il panenteismo, senza ammettere il mondo fuori di Dio fa evitare il panteismo? Resta traccia di teismo? Di trascendenza?  Se il mondo in Dio è Dio, che differenza c’è tra il panenteismo e il panteismo? Una differenza nozionale, non reale, perché mentre nel panenteismo distinguiamo la nozione di Dio dalla nozione del mondo, affermiamo poi l’identità di Dio e mondo in Dio escludendo il mondo fuori di Dio e questo è panteismo, anche se è vero che il panteismo in senso forte è l’identificazione con Dio del mondo che è fuori di Dio.

Germi di panteismo si trovano già nell’antica India e in Grecia in Parmenide e in Plotino.  I miti dei Titani, di Ercole, di Prometeo, di Icaro e di Narciso sottendono un’antropologia tracotante, proterva e panteista nel senso dell’uomo che vuol misurarsi con Dio. La stessa gnoseologia protagorea ben si sposa con un egocentrismo panteista, come apparirà nella filosofia moderna a partire da Cartesio. Spunti panteistici si trovano nella Kabbala, almeno come presupposto implicito alla magia. Temi panteistici sono presenti nello gnosticismo dei primi secoli cristiani.

La diffusione del cristianesimo in Europa ha impedito per tutto il Medioevo la diffusione del panteismo. Casi isolati sono quelli di Giovanni Scoto Eriugena, di David de Dinant e di Meister Echkart. Ma col sorgere dell’Umanesimo e del Rinascimento, ecco un ritorno di paganesimo antico, che stimola al panteismo, come per esempio in Nicolò Cusano. L’interesse per l’ermetismo e per la magia, l’esagerata stima per la dignità umana in un Pico della Mirandola o in un Marsilio Ficino si sposano facilmente con una visione panteistica del mondo e di Dio. Se si tenta di trovare punti di contatto e fasi intermedie si cade in contraddizione, perchè la distinzione fra i due termini procede per negazione, non per uno sviluppo o un’esplicitazione.

Con l’avvento di Lutero e di Cartesio, benché essi certamente siano teisti, il loro modo egocentrico di concepire il rapporto della coscienza con Dio ha dato un nuovo impulso al panteismo egologico, che si aggiungeva al panteismo ontologico di Eriugena, di Plotino, di Eckhart e di Bruno, ossia l’immanentismo fondato sul Dio-in-me-e-per-me di Lutero e sull’«io sono» cartesiano, riconducibile all’Io sono di Es 3,14.

Il panteismo egologico era destinato ad una grande fortuna con Fichte e Schelling e i romantici tedeschi, fino ad essere ripreso da Husserl, mentre il panteismo ontologico sarebbe continuato con Spinoza, Hegel, Gentile, Severino, Teilhard de Chardin e Rahner.

Il panteismo, favorito dal sentimentalismo di Schleiermacher, dal volontarismo di Schopenhauer e dal romanticismo col suo misticismo sensuale, irrazionale ed estetico, col sentimento panico della natura divinizzata come per esempio in Goethe, gode di un’immensa fortuna nella Germania della metà ottocento con Hegel e Schelling, che provoca la sua immagine speculare sdegnata ed ironica nell’ateismo materialista ed evoluzionista di Feuerbach, Marx, Darwin, Spencer e Comte.

Nasce da questo panteismo idealista o materialista un furioso attacco alla Chiesa e al cristianesimo, al quale il Beato Pio IX rispose con una poderosa condanna dall’enorme portata metafisica, cosmologica, antropologica, teologica e morale, condanna che egli pronuncia descrivendo la concezione panteistica in questi termini:


«Non esiste alcun Nume supremo sapientissimo e provvidentissimo, distinto da questa università delle cose. Dio è la stessa cosa che la natura delle cose e quindi è soggetto alle mutazioni, e Dio realmente diviene nell’uomo e nel mondo e tutte le cose sono Dio e posseggono la stessissima sostanza di Dio; ed una e identica cosa è Dio col mondo e quindi lo spirito con la materia, la necessità con la libertà, il vero col falso, il bene col male, il giusto con l’ingiusto»[3].

Perché nel panteismo si confonde il vero col falso, il bene col male, il giusto con l’ingiusto? Perché queste opposizioni che si trovano nel mondo sono trasferite in Dio, se è vero che il mondo è Dio e Dio è il mondo.

Monismo e panteismo si implicano a vicenda: il bisogno di unità della totalità del reale è certamente relativo al bisogno di Dio, perché egli è l’Uno per eccellenza che unifica e raccoglie tutto nell’assoluta semplicità ed indivisibilità della sua essenza. Ma se questo bisogno non è saggiamente moderato, porta al panteismo. Occorre allora ricordare che Dio non è semplicemente l’essere, ma un Essere specialissimo, eccellente fra gli altri.

L’essere come tale è comune a tutte le cose. Se si confonde Dio con l’essere, si capisce allora che tutto diventa Dio. D’altra parte Dio non è neppure l’unico essere esistente, come se l’essere ut sic fosse l’essere assoluto, perché esistono con Dio e sotto di Lui anche altri infiniti enti creati.

Ciascuno di essi, certo, ha una sua unità per il semplice fatto che l’ente, ogni ente è uno in quanto non-diviso. Tuttavia l’ente creato è composto e divisibile; è un tutto composto di parti, almeno di essenza ed essere. È un tutto, un intero. È uno di numero e numerabile. 

Dio viceversa non è composto di parti e quindi non è un intero. Nulla si può distinguere in Lui se non solo concettualmente. Dio non è uno di numero perché non può essere contato con altri dèi. 

Il Concilio di Firenze del 1439 dice: «in Deo omnia sunt unum»: in Dio tutto è uno nel senso che Egli include virtualmente nella sua essenza tutte le perfezioni. Tutte le cose in Dio, in quanto ideate da Lui, s’identificano con la sua essenza. Sono una cosa sola, sono Dio. Questa è la parte di verità del panteismo.

Esiste una differenza fra monismo e monoteismo. Entrambi ammettono Dio come assoluta Unità, ma mentre nel monismo esiste solo Dio come unico ente, nel monoteismo esiste un solo Dio creatore del mondo. In entrambi nulla esiste al di fuori di Dio che possa essere uguale a Dio. In entrambi nulla può essere paragonato a Lui o si può aggiungere a Dio così da migliorarlo. In entrambi casi a Dio non manca di nulla, così che abbia bisogno di essere completato da altro da sé.

Tuttavia ciò non vuol dire che non esistano enti fuori di Dio, il cui essere però non aggiunge all’essere divino, perché è un essere per partecipazione. Col creato non c’è più essere, ma ci sono più esseri.

Sia nel monismo che nel monoteismo Dio è uno solo, esiste un solo Dio, non esistono più dèi come nel politeismo. Nel monismo non esiste null’altro all’infuori di Dio, che è tutte le cose; nel monoteismo Dio esiste come ente supremo al di sopra delle cose e creatore delle cose. Nel monismo Dio è il solo ente, mentre nel monoteismo Dio è l’altissimo, l’ente supremo e intrascendibile, al vertice della scala degli enti.

Il monismo suppone l’identificazione dell’essere con l’essere divino e del pensiero con l’essere, mentre nel monoteismo l’essere è analogo, si predica analogicamente di Dio e del mondo, appartiene analogicamente a Dio e al mondo. Nel realismo monoteista il pensiero è identico all’essere solo in Dio, ma non nel sapere creato.

Tanto nel monismo che nel monoteismo Dio è immanente alla nostra coscienza, ma in due sensi ben differenti: mentre nel monoteismo questa immanenza significa che Dio abita in noi, e quindi consiste nel fatto  che Dio sta davanti alla nostra coscienza oggettivamente nel suo essere divino, immanente per puro suo liberrimo volere e per pura misericordia, nell’immanentismo Dio è concepito come un’idea della coscienza, come essere di coscienza, come immanente per sua propria essenza,  essere interno alla coscienza e quindi essere di coscienza senza trascendere la coscienza. Ciò comincia ad apparire in Kant, ma appare in piena luce in Hegel e in Husserl.

Il detto agostiniano secondo cui Dio è più intimo a me di quanto io sia intimo a me stesso, frainteso da Bruno, non va preso alla lettera, ma è un’espressione retorica per sottolineare l’intimissima unione dell’anima con Dio nello stato di grazia.  Non scambiamo Sant’Agostino con Spinoza. Se c’è un teologo che abbia chiara coscienza della trascendenza divina, questo è proprio Sant’Agostino. L’interiorità agostiniana, al di là di certe espressioni, non ha nulla a che vedere con l’immanentismo, altrimenti la Chiesa, che se ne intende ed ha un fiuto migliore del nostro, non avrebbe fatto Agostino Dottore della Chiesa e messo all’Indice le opere di Cartesio nel 1663.

Affermare che esiste un solo Dio non vuol dire ancora essere nella verità, se non si precisa che ciò non vuol dire che esista solo Dio. Ciò infatti costituirebbe l’errore del monismo, strettamente congiunto, come abbiamo visto, con quello del panteismo. Il monismo è necessariamente un panteismo, giacchè, se esiste solo Dio, è chiaro che Dio sarà identico al mondo. Invece solo il monoteismo è un vero teismo, in quanto comporta il riconoscimento sì di un solo Dio, ma di un Dio distinto dal mondo e creatore del mondo.

L’ammissione dell’immanenza divina nel senso che ho spiegato sopra non pregiudica affatto alla trascendenza, a patto che si precisi che Dio non è immanente per essenza, ma per libera scelta e non è immanente come un’idea è immanente alla coscienza ma come un ospite si trova nella casa di un amico.

Fine Terza Parte (3/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 agosto 2025

Festa di San Domenico

Esistono due tipi di panteismo: c’è quello storicista di Hegel e quello eternalista di Severino. Entrambi partono dal monismo di Parmenide, solo che Hegel vi aggiunge Eraclito per spiegare il divenire, la causa attiva, il tempo e la storia, mentre Severino non ammette alcuna causa efficiente, ma solo quella formale, per cui il divenire, la causalità, il tempo e la storia non sono realtà, ma solo l’apparire e scomparire successivo e spaziale finito dell’eterno e dell’uno. È un’applicazione del metodo matematico in metafisica, e quindi è un confondere la metafisica con la matematica.

Nel monismo manca la nozione analogica di partecipazione, che viene intesa solo in modo quantitativo. Qui l’essere per partecipazione è confuso con l’esser parte, e l’essere per essenza è confuso con l’esser tutto. L’essere sussistente è confuso con l’essere.

Diventa allora impossibile l’essere creato dal nulla. La negazione, la privazione, il male non son più essere di ragione o essere ideale, ma diventano reali o scompaiono. L’ideale infatti coincide col reale, il pensiero con l’essere. E quindi ecco l’idealismo. Dunque idealismo, monismo e panteismo sono inscindibili e si richiamano l’un l’altro.

Esiste una differenza fra monismo e monoteismo. Entrambi ammettono Dio come assoluta Unità, ma mentre nel monismo esiste solo Dio come unico ente, nel monoteismo esiste un solo Dio creatore del mondo. In entrambi nulla esiste al di fuori di Dio che possa essere uguale a Dio. In entrambi nulla può essere paragonato a Lui o si può aggiungere a Dio così da migliorarlo. In entrambi casi a Dio non manca di nulla, così che abbia bisogno di essere completato da altro da sé. Tuttavia ciò non vuol dire che non esistano enti fuori di Dio, il cui essere però non aggiunge all’essere divino, perché è un essere per partecipazione. Col creato non c’è più essere, ma ci sono più esseri.

Il monismo suppone l’identificazione dell’essere con l’essere divino e del pensiero con l’essere, mentre nel monoteismo l’essere è analogo, si predica analogicamente di Dio e del mondo, appartiene analogicamente a Dio e al mondo. Nel realismo monoteista il pensiero è identico all’essere solo in Dio, ma non nel sapere creato.


Immagine da Internet: 
- Ritratto di Papa Clemente VIII, Cavalier d'Arpino, Museo diocesano di Senigallia  
 

[1] Un’analisi interessante analisi sull’attuale ritorno dello gnosticismo è il libro di Giovanni Filoramo, Il risveglio della gnosi ovvero diventare dio, Editori Laterza, Bari 1990.

[2] Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, del 19 marzo 2018, nn.36-41.

[3] Enciclica Qui pluribus del 9 novembre 1846 (Denz.2901).


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