Che cosa è il nichilismo? - Terza Parte (3/5)

 

Che cosa è il nichilismo?

Terza Parte (3/5)

 

L’antinichilismo di Severino cela l’ombra del nichilismo

Nel panorama filosofico odierno, ancora impelagato nella nebbia del vecchio e o miope storicismo hegeliano e crociano, che si attarda nella grossolanità dello evoluzionismo materialista, che confonde la vita con la macchina, prigioniero della sensualità freudiana, immerso nella mistica del nulla, erede del soggettivismo luterano, infiacchito dal pensiero debole,  Severino oggi appare a molti come il faro che splende nelle tenebre, come la roccia sulla quale costruire la casa, come colui che rivela l’infinità dell’uomo,  come una quercia tra le canne sbattute dai venti, come la speranza contro  la minaccia del nichilismo.

Severino ha fatto della sua lotta contro il nichilismo per la verità dell’essere il punto cardine della sua impresa filosofica, ma avendo assunto una nozione di essere come quella parmenidea, spregiatrice del divenire e del molteplice, senza riuscire a evitare il concetto hegeliano del divenire, ed avendo frainteso la metafisica cristiana che egli accusa di nichilismo, è caduto in pieno nel nichilismo hegeliano.

Indubbio merito di Severino è il suo sostegno vigoroso al principio di non-contraddizione, che è il baluardo di difesa contro il nichilismo. In ciò egli conduce una giusta battaglia contro Hegel.  Ma resta intrappolato in Hegel nel concepire il divenire come contradditorio, con la differenza che mentre per Hegel bisogna accettare il contradditorio, perché la realtà, che è il divenire, è contradditoria, Severino che non intende rinunciare al principio di non-contraddizione, né d’altra parte non sa vedere il divenire se non come contradditorio, piuttosto che approvare la contraddizione come Hegel preferisce respingere il divenire ai margini della realtà, per farsi il profeta dell’eterno e degli eterni.

Egli, sostituendo la concezione parmenidea e quindi hegeliana dell’essere a quella tomista e cristiana, emerge maestoso e solenne con la fama di rigoroso ed inflessibile assertore dell’unità, unicità, assolutezza, totalità, infinità, necessità, immutabilità ed eternità dell’essere, come il maggiore maestro dell’essere che sia mai esistito dai tempi di Parmenide. Egli si presenta come l’araldo intransigente, incorruttibile, impareggiabile e supremo, della «verità dell’essere»[1], come egli dice con un’espressione già usata da Heidegger.

Severino si presenta e si proclama pertanto nel contempo e logicamente come implacabile nemico e denunciatore del nichilismo. Egli insiste nel dire che il nichilismo sarebbe il vizio dell’Occidente, quasi a insinuare che esso non esiste in Oriente, dove sembrerebbe, stando alle sue dichiarazioni, che lì si trovi la luce e la verità dell’essere.

Recentemente egli infatti ha mostrato simpatia per il buddismo riferendosi probabilmente alla dottrina del vuoto (sunyata). Ma dobbiamo segnalare con dispiacere la sua ben nota dottrina, che accusa il cristianesimo di nichilismo, giungendo a parlare di «follìa», riguardo alla dottrina della creazione, dottrina che, come è ben noto, comporta la produzione da parte di Dio delle cose dal nulla.

Infatti secondo lui il concetto di produzione dell’ente dal nulla sarebbe contradditorio perchè affermerebbe o implicherebbe l’affermazione che il non-essere è l’essere. Ma ciò non è affatto vero. È vero che suppone il concetto del nulla. Ma esso non è un concetto contradditorio, come vorrebbe farci credere Severino, il quale osserva che se cerchiamo di definire l’essenza del nulla siamo costretti ad usare la predicazione dell’essere: il nulla «è» il non-essere[2]. Ma Severino trascura il fatto che questa predicazione dell’essere si riferisce al fatto che qualunque cosa noi pensiamo non possiamo non includerla nella categoria dell’essere, anche il non-essere.

E non per questo ci contraddiciamo perché noi non abbiamo davanti alla mente una realtà che poi neghiamo, ma semplicemente un ente di ragione, un qualcosa che concepiamo come se fosse essere, ad instar entis, appunto il nulla, circa il quale tutti spontaneamente, per esperienza, intuitivamente, negando l’essere, sappiamo che cos’è, perché ne parliamo, il che vuol dire che tutti sappiamo che cosa significa la parola nulla.

Non è una parola senza senso, ma è un qualcosa di intellegibile e comunicabile nel linguaggio. Il nulla dunque non solo è possibile, ma bisogna dire che in qualche modo esiste.  Non si può dire semplicisticamente, come fa Severino, che il nulla non esiste, anche se sembra evidente per evitare la contraddizione. Esiste l’inesistente.  Non è una contraddizione, perchè il primo esistere si riferisce al pensabile predicabile, il secondo esistere alla realtà. Il pensiero non deve sempre riflettere il reale, ma può anche riflettere il semplice concepibile ed esprimibile nel linguaggio. Ora è appunto questo il caso del nulla.

Che io esista o non esista non è la stessa cosa. Che Garibaldi sia esistito o non sia esistito non è la stessa cosa. Che l’essere ci sia o non ci sia non è la stessa cosa.  Che esista l’essere o nulla esista non è la stessa cosa. È vero, noi includiamo nella categoria dell’essere o dell’esistere tanto l’essere che il nulla. Eppure sappiamo bene che cosa vuol dire se una cosa c’è o non c’è e che essere e nulla si escludono vicendevolmente e che l’uno non è l’altro ma la negazione dell’altro.

Severino se la prende con la formula dogmatica creatio de nihilo o ex nihilo perché mette in gioco il nulla, che non esiste ed è un concetto contradditorio. Ma allora come fa lui a parlare di nichilismo[3], concetto che evidentemente suppone il concetto del nulla? Se non abbiamo il concetto del nulla, come facciamo ad accusare il nichilismo - cosa per sé vera - di ridurre l’essere al nulla o di rifiutare l’essere o di confondere l’essere col nulla?

Nella condanna del nichilismo ci aspetteremmo che Severino presentasse Hegel come il gran maestro del nichilismo, con la sua famosa identificazione dell’essere col nulla. Maritain spiega bene come Hegel è arrivato a confondere l’essere col nulla, ossia da che cosa nasce il nichilismo hegeliano. Hegel, come nota il Maritain[4] non ha capito in che cosa consiste il processo astrattivo per il quale l’intelletto arriva alla nozione dell’ente. È chiaro che la nozione dell’ente, la più universale di tutte, è la più astratta di tutte. Ma che vuol dire astratta? Nell’astrarre, certo, noi consideriamo un oggetto, un qualcosa, una forma, un contenuto, un intellegibile prescindendo dagli inferiori. Ma la nozione dell’ente, come ho già detto, non la possiamo concepire astraendo totalmente dagli inferiori, perché anch’essi appartengono alla ragione di ente o all’orizzonte dell’ente, anch’essi sono enti e quindi non possiamo astrarre del tutto da essi, come se fossimo davanti a un genere.

Nel caso del genere animale, per esempio, la differenza specifica razionale si aggiunge al genere come altro dal genere. Ma all’ente non si può aggiungere nulla che non sia ente, anche se determinato. Nel caso dell’ente, infatti, l’ente inferiore determinato non è altro dall’ente, ma è sempre ente. Quindi non possiamo togliere, come pretende di fare Hegel, le determinazioni. Dobbiamo ammettere che esse restano, anche se ovviamente non possiamo conoscerle tutte. Esse comunque restano e vanno sottintese, benchè siano solo implicite. Per questo non è vero che alla fine dell’operazione astrattiva non resta più nulla: appare la nozione stessa nella sua purezza sempre insieme virtualmente ed implicitamente con gli inferiori. Nessun vuoto ma pienezza assoluta e sconfinata.

Il nichilismo, per confondere l’essere col nulla svuota da una parte l’essere della sua consistenza ontologica ed entifica il nulla conferendogli un’apparente realtà. Hegel compie questa operazione mediante un’errata concezione del concetto.

Egli parla, a proposito del concetto dell’essere, di concetto «vuoto», cosa che non ha senso, giacchè il concetto non è una scatola che può essere piena o vuota. Il concetto ha bensì una forma - la sua universalità astratta -, ma ha anche un contenuto - la cosa rappresentata nel pensiero, in tal caso l’essere.  Non esiste un concetto che abbia la forma ma non il contenuto. Esso può astrarre dagli inferiori, ma non dal contenuto, sicchè non resti nulla. Se non resta nulla non c’è neanche il concetto. Il concetto è sempre concetto di qualcosa: se non c’è questo qualcosa - in tal caso l’ente - non c’è neanche il concetto.

Così similmente per quanto riguarda il nulla.  Se il nulla è il non-essere, se esso è estraneo al reale, questo non vuol dire che il nulla non sia concepibile, non sia intellegibile, non abbia un suo modo di esistere, un esistere mentale. Se usiamo la parola «nulla», se questa parola ha un senso, se usandola ci intendiamo su cosa intendiamo dire, vorrà ben dire che usiamo questa parola perché essa ci fa capire qualcosa, sia pur per negazione, sia pure un semplice ente di ragione, ma con fondamento reale in quanto negazione di essere. Il nulla deve in qualche modo esistere, se è vero che Dio crea le cose dal nulla. Prima di esse non c’era nulla perché c’era il nulla. Predichiamo l’essere del non-essere come se fosse essere.

Severino si oppone validamente ed Hegel nell’affermazione dell’essere e nella difesa del principio di non-contraddizione, ma resta bloccato nell’orizzonte di Hegel perchè l’essere in base al quale confuta Hegel non è l’esse tomistico ma l’essere parmenideo, che ha già in sé stesso il principio idealista hegeliano dell’identità del pensiero con l’essere e non è capace come non è capace Hegel di dare un’interpretazione adeguata del divenire.

Severino apprezza Parmenide come il primo e migliore enunciatore del principio di non-contraddizione: «l’essere è; il non-essere non è». Non gli va bene invece l’enunciato aristotelico che inserisce il riferimento al tempo. Invece tale riferimento è essenziale, per riconoscere la realtà del tempo, giacchè essere e non essere possono stare assieme se sono distanziati nel tempo e d’altra parte anche il diveniente ha una sua necessità, perché nel momento in cui è, non può non essere. Se una cosa prima non è e poi è - è il caso della creazione - non c’è alcuna contraddizione e non c’è alcun motivo per togliere o ignorare il prima e il poi perché si cadrebbe nel falso.

Severino però accetta anche la dottrina di Parmenide secondo la quale l’essere è uno, immutabile ed eterno. Appare allora evidente che per Parmenide il divenire, il mutevole è escluso dall’essere, che sembra, come noterà Platone, un essere che non è, sembra contradditorio. E infatti Severino interpreta bene Parmenide quando parafrasa il principio parmenideo di non-contraddizione in questo modo: «l’essere non può non essere».

Infatti il diveniente è effettivamente il contingente, ossia quell’essere che può non essere. Infatti il fatto che qualcosa divenga qualcos’altro vuol dire che il primo qualcosa era contingente, se ha cessato di essere. Ma tutto ciò vuol dire che in Parmenide esiste già il concetto hegeliano del divenire: l’identità di essere e non-essere, con la differenza che mentre per Parmenide il divenire non esiste perché contradditorio, per Hegel, che non ha problemi a credere che il contradditorio sia reale, è l’essere stesso o la realtà e quindi il divenire ad essere contradditoria, sicchè per Hegel l’essere coincide col divenire, mentre per Parmenide l’essere è solo l’essere immutabile. Severino, dal canto suo, pur di non rinunciare al suo modo d’intendere il concetto del principio di non-contraddizione, arriva come Parmenide a negare perchè contradditoria l’esistenza del divenire, del quale peraltro si fa un concetto sbagliato come un «venire dal nulla e tornare al nulla», attribuendolo addirittura al cristianesimo.

Questo semmai è il nichilismo di Leopardi, non certo il concetto biblico del divenire e della storia. Ciò vuol dire che il germe del nichilismo c’è già in Parmenide quando egli esclude il divenire dall’orizzonte dell’essere. Ma Parmenide esclude dal non-essere l’essere uno ed eterno. Invece Hegel peggiora il nichilismo di Parmenide asserendo che lo stesso assoluto, Dio stesso nega e afferma sé stesso.

Severino d’altra parte non riesce a superare il nichilismo hegeliano per il fatto che anche l’essere parmenideo non è del tutto libero dal nichilismo. Infatti, come è noto, Parmenide ammette l’essere necessario, ma non quello contingente, ammette l’essere uno ma non il molteplice, ammette l’eterno ma non il diveniente.

Il nichilismo comporta l’infrazione del principio di non contraddizione. È ovvio infatti che se diciamo che l’essere è il non-essere, questa è una proposizione contradditoria. Questo, Severino lo ha capito bene e in tal senso egli ha ragione contro la negazione hegeliana del principio di non-contraddizione e con la sua concezione del divenire, che egli considera reale, ma fondata sulla contraddizione.

Tuttavia Severino si basa sul modo parmenideo di formulare il detto principio: l’essere non può non essere. Ne nasce la conseguenza che il contingente, l’essere che può non essere, verrebbe ad infrangere questo principio, per cui viene escluso dall’essere e dalla realtà. Così sia Hegel che Severino concepiscono il divenire come contraddizione, con la differenza che mentre per Hegel la contraddizione è la legge della realtà, per Severino la contraddizione è un’impossibilità estranea all’ essere e alla realtà.

Sia Hegel che Severino non hanno saputo garantire al divenire un vero posto nella realtà al riparo dalla contraddizione perchè non hanno saputo basarlo come fece Aristotele sul passaggio dalla potenza all’atto. Così se Severino è nichilistico rispetto al divenire, Hegel è nichilistico rispetto all’essere immutabile divino. Hegel però è ancora più nichilista di Severino, perché mentre questi ammette l’unico e solo essere di Parmenide, eterno, necessario, immutabile ed infinito, Hegel ammette la contraddizione in Dio stesso, in quanto per lui l’essere s’identifica col non-essere. Questa identificazione per Severino è solo nel divenire, e per questo per lui il divenire non esiste ed è impossibile, ma non nell’essere assoluto parmenideo, che egli fa suo.

Tuttavia Severino riesce ad evitare la contraddizione nell’assoluto? Se il divenire è per lui l’apparire e lo sparire degli eterni, ossia delle apparizioni finite dell’eterno, non sarà che la contraddizione finisce nell’eterno come già avviene per Hegel? Se gli enti non sono fuori dell’essere, perchè fuori dell’essere non c’è nulla, essi dovranno essere nell’essere. Ma allora non succederà che la contraddizione importata dall’apparire e sparire degli enti, fa il suo ingresso conturbante nello stesso assoluto? Il nichilismo non si toglie dispregiando come contradditorio il relativo, perché l’essere relativo si vendica introducendo la negatività nell’assoluto. Offendere la creatura è offendere il creatore.

L’operazione di Giuseppe Barzaghi

Il teologo domenicano Giuseppe Barzaghi, profondo conoscitore di Severino e al contempo studioso del pensiero di San Tommaso, ritenendo di trovare un’affinità tra Severino e Tommaso nella tematica dell’essere, ha creduto di poter proporre un inveramento e superamento della concezione tomista dell’essere, di Dio e della creazione, in linea col pensiero di Tommaso, ma secondo lui partendo dalla  visuale severiniana, superiore, più ampia, e radicale, con metodo più rigoroso, visuale basata sull’assioma idealista della coincidenza del pensiero con l’essere e quindi della negazione dell’esternità, trascendenza e presupposizione dell’essere rispetto al pensiero e alla coscienza.

Il risultato di questa operazione è che il pensiero dell’Aquinate in realtà non è valorizzato ma frainteso perché l’istanza realistica di Tommaso è sostituita con un’impostazione idealistica, con la conseguenza che il teismo tomista è sostituito dal panteismo parmenideo ed hegeliano.

L’essere tomista, l’actus essendi, concettualizzato nel principio d’identità, essere analogico e partecipativo, è vanificato dal nichilismo parmenideo nemico del divenire, per cui perde la sua consistenza ed assolutezza, sicchè alla fine il Sole d’Aquino si oscura, perde la sua luce e ci lascia nelle tenebre.

Barzaghi sostiene che per costruire la metafisica e la teologia occorre porsi dal punto di vista di Dio, vedere le cose come le vede Dio. In certo senso ciò è vero. Ma non si rende conto che noi propriamente dovremmo essere Dio per vedere le cose così. Quello che possiamo dire è che in Dio tutto è uno e che Dio vede nella sua essenza tutte le cose. Ma il mondo non esiste solo in Dio: Dio vede anche il mondo che è fuori di Lui. Invece Barzaghi va più in là. Non solo nega l’esistenza del mondo fuori di Dio, ma segue Parmenide nel sostenere che tutto è uno non solo in Dio, ma anche assolutamente nel senso ontologico.

Ora, se per vedere la realtà dal punto di vista di Dio intendiamo riferirci al fatto che la fede ci fa conoscere cose che la sola ragione non conosce, ciò è vero. Ed è vero che per conoscere ciò che Dio ci ha rivelato occorre la luce divina della fede, che in qualche modo è un fruire dello sguardo di Dio. Ma con tutto ciò noi non possiamo non conservare il nostro punto di vista umano e diventare Dio per il solo fatto di essere illuminati dalla fede e che conosciamo ciò che Dio ci ha rivelato.

Fine Terza Parte (3/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 24 novembre 2025  

Severino si presenta e si proclama pertanto nel contempo e logicamente come implacabile nemico e denunciatore del nichilismo. … Ma dobbiamo segnalare con dispiacere la sua ben nota dottrina, che accusa il cristianesimo di nichilismo, giungendo a parlare di «follìa», riguardo alla dottrina della creazione, dottrina che, come è ben noto, comporta la produzione da parte di Dio delle cose dal nulla.

Infatti secondo lui il concetto di produzione dell’ente dal nulla sarebbe contradditorio perchè affermerebbe o implicherebbe l’affermazione che il non-essere è l’essere. Ma ciò non è affatto vero. 

Severino apprezza Parmenide come il primo e migliore enunciatore del principio di non-contraddizione: «l’essere è; il non-essere non è». Non gli va bene invece l’enunciato aristotelico che inserisce il riferimento al tempo. Invece tale riferimento è essenziale, per riconoscere la realtà del tempo, giacchè essere e non essere possono stare assieme se sono distanziati nel tempo e d’altra parte anche il diveniente ha una sua necessità, perché nel momento in cui è, non può non essere. Se una cosa prima non è e poi è - è il caso della creazione - non c’è alcuna contraddizione e non c’è alcun motivo per togliere o ignorare il prima e il poi perché si cadrebbe nel falso.

Notiamo che il riferimento metafisico fondamentale di Barzaghi, come quello di Severino e di Bontadini, non è l’ente analogico, uno e molteplice di Aristotele e della Scrittura, ma è l’essere parmenideo, l’unotutto. L’essere è l’essere divino e assoluto.

La distinzione tra essere necessario ed essere contingente è respinta come «dualismo» perché nega l’unotutto, concetto di origine parmenidea che era stato già sviluppato da Vladimir Soloviev, concetto che egli designa col termine russo vseedinstvo. In questa visuale si confonde la totalità dell’essere col Tutto divino. Così succede che tutte le cose sono Dio. E tutto è in tutto. Il mondo è Dio e Dio è il mondo. Non si distingue la natura umana dalla natura divina, per cui da qui sorge una cristologia eretica.

Immagine da Internet: Vladimir Soloviev

[1] Vedi per esempio la raccolta di scritti in suo onore Le parole dell’Essere, Bruno Mondadori Editore, Paravia 2005.

[2] Antonino Postorino illustra questa apparente contradditorietà del concetto del nulla, che per lui, come per Severino, è una vera contraddizione. Da qui il rifiuto del concetto del nulla. Vedi Il concetto della creatio ex nihilo. Ipoteca nichilistica e rigorizzazione metafisica, in Sacra Doctrina, 2017, p.214.

[3] Vedi per esempio il suo libro Essenza del nichilismo, Edizioni Adelphi, Milano 1995.

[4] In Sept leçons sur l’être et lews premiers principes de la raison spéculative, Téqui, Paris 1934, pp.43-44.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.