Che cosa intendeva dire Rosmini?
Un santo non può essere un panteista
Seconda Parte (2/3)
L’essere ideale o idea dell’essere.
È la nozione-base della filosofia rosminiana, così come per San Tommaso è il concetto dell’ente come ciò che è in atto d’essere. Questa nozione universalissima e intuitiva illumina e abbraccia tutto il sistema di Rosmini così come quella dell’ente comune illumina tutto il sistema di Tommaso.
Naturalmente anche per Rosmini oggetto dell’intelletto è l’ente, ma nella luce dell’idea. Per questo Rosmini sembra un idealista, ma se poi guardiamo con quanta cura egli distingue l’ideale dal reale, l’ente intramentale dall’ente extramentale, il pensiero dall’essere, e con quale forza combatte contro l’idealismo, ci accorgiamo che, al di là del linguaggio idealista, in realtà Rosmini è un realista.
Per Rosmini l’essere ideale o idea dell’essere è l’essere reale in quanto presente alla mente. Egli lo chiama indeterminato, virtuale e iniziale: indeterminato perché osservandolo progressivamente, ricorrendo all’esperienza degli enti, troviamo tutte le determinazioni: l’uno e il molteplice, l’univoco e l’analogo, il tutto e le parti, il finito e l’infinito, il semplice e il composto, il necessario e il contingente, l’immutabile e il mutabile, l’assoluto e il relativo, l’eterno e il temporale, il materiale e lo spirituale, la causa e l’effetto, la sostanza e l’accidente e tutte le altre determinazioni dell’essere.
Essere iniziale vuol dire che all’inizio del sapere, nei molteplici dati dell’esperienza, vediamo solo l’essere e col progredire del sapere ne arricchiamo e completiamo il contenuto dell’essere con la scoperta delle determinazioni. Virtuale vuol dire che il concetto dell’essere contiene virtualmente tutte le sue determinazioni.
Rosmini sembra un idealista nel porre il primato dell’idea sulla realtà (res). E pare addirittura un panteista nell’identificare il pensiero (idea dell’essere) con l’essere (essere ideale). Ma in realtà non è così. «Dio - dice Rosmini - è l’essere. La creatura ha l’essere». Rosmini sa benissimo, come Tommaso, che cosa è l’essere (esse) e lo dimostra quando con Tommaso afferma che Dio è l’ipsum esse, nel quale solo l’essenza s’identifica con l’essere.
Eppure Rosmini era ben consapevole dell’erroneità dell’idealismo e ne svolge una buona critica per quanto riguarda Kant[1] ed Hegel[2]. Egli non confonde affatto con gli idealisti il soggetto con l’oggetto[3]. Chiama «oggettivo» il mondo del pensiero e «soggettivo» o «sussistente» il mondo della realtà. Ammette una realtà fuori della mente, contro gli idealisti che la negano. A differenza degli idealisti che identificano l’ideale col reale, Rosmini li distingue[4]. Per lui l’idea può esser certo oggetto del conoscere, ma è essenzialmente mezzo[5] del conoscere. Sensibile al valore dell’ideale come a quello del reale, si accorse subito che gli idealisti, sotto il pretesto dell’ideale, umiliavano il reale assoggettandolo alla superbia del proprio io[6] da loro chiamato «io trascendentale» o «Io assoluto».
Rosmini sembra dedurre il reale dall’ideale quando dice che il fatto che io intuisca l’essere ideale mi fa capire che esiste il reale. Qui Rosmini non intende dire come Fichte, che io, ossia la mia idea, pongo il non-io, ossia il reale, ma che prendendo coscienza del fatto che il reale esterno è rappresentativamente in me nell’idea che me ne faccio, mi accorgo dell’esistenza del reale come condizione di possibilità del fatto che me ne faccia un’idea e come ciò che provoca in me la produzione dell’idea dell’essere o del reale.
Per sincerarsi del realismo di Rosmini basterebbe tener presente che egli, a differenza degli idealisti che non ammettono un essere esterno al pensiero, lo riconosce[7], sicchè egli nega il loro assioma che il pensiero è intrascendibile, mentre al contrario per lui il pensiero è trasceso dall’essere e dal reale. Non è il pensiero che crea l’essere, ma è l’essere divino che crea il pensiero.
Rosmini sembra negare con gli idealisti che l’uso del senso sia necessario per ottenere l’intuizione dell’essere. Ma ciò non corrisponde a verità. Rosmini sa benissimo che Dio ha creato il senso e l’intelletto umano e che, se il conoscere comincia col senso, esso si perfeziona con l’atto dell’intelletto e che l’intellegibile è prima (a priori) del sensibile dal punto di vista assiologico, ma che la percezione dell’intellegibile avviene temporalmente o geneticamente dopo (a posteriori) la percezione del sensibile. L’uso dei sensi è necessario all’attività dell’intelletto, benché esistano realtà puramente intellegibili - lo spirito, l’ideale, il pensiero, l’essere come tale - che trascendono il sensibile e sono pertanto percepibili senza l’uso del senso.
Rosmini non si domanda come Cartesio: io posseggo delle idee; come faccio a sapere se corrispondono a una realtà esterna? Esiste una realtà esterna? La posso raggiungere? Ma si chiede: visto che scopro nella mia coscienza la presenza immateriale della realtà esterna, come posso spiegare questo fatto se non ammettendo che io mi formo un’idea della realtà? Io attingo l’essere e l’ho presente in me. Perchè c’è in me la presenza dell’essere ideale, se non perché colgo l’essere reale? Perché posseggo l’idea dell’essere, se non perché attingo l’essere?
L’ideale, per Rosmini come per Tommaso, non è l’essere, ma una forma dell’essere, essendo un’altra l’essere reale. L’essere morale rosminiano corrisponde al bene morale di San Tommaso. L’etica rosminiana è un’etica dell’essere, ma è ovvio che in ciò Rosmini ha presente il bene, il fine, il giusto e il santo.
L’essere morale
L’ideale morale del Rosmini corrisponde al retto fine in Tommaso. E la realizzazione rosminiana dell’ideale corrisponde al raggiungimento tomistico del buon fine. Niente a che vedere con l’etica idealista che confonde l’agire e il volere con l’essere e col fare. Come per Tommaso e come è detto nel Vangelo, e contro ogni volontarismo fatalista, irrazionale, fideistico, fondamentalista o tirannico, anche per Rosmini non è la libertà che produce la verità, ma è la verità che conduce alla libertà.
Per Rosmini non basta pensare per essere giusti e santi. L’agire reale non è l’agre pensato. Pensare di agire non è ancora agire. L’azione pensata non è l’azione reale. Per essere moralmente retti non basta pensare; occorre mettere in pratica ciò che si pensa. Il pensiero è nell’astratto; l’azione è nel concreto. L’idealista confonde il concreto con l’astratto. Fa svanire l’astratto nel concreto e cade nel materialismo, oppure dissolve il concreto nell’astratto sostituendo il pensare al fare.
E d’altra parte un agire che si mette al posto del sapere e non è applicazione della verità o del dovere morale non ha nulla a che fare con la giustizia o la santità, ma è violenza, brutalità, dispotismo, oppressione e sopruso. Rosmini rifiuta nettamente la confusione fichtiana dell’essere con l’agire e quella scellinghiana dell’essere col volere.
Rosmini è realista nonostante il linguaggio idealista.
Per il realista l’oggetto immediato del sapere è l’ente sensibile, la quiddità della cosa materiale, che egli conosce alla luce del concetto dell’ente, nel quale ogni concetto si risolve. Solo successivamente egli, scoperto l’essere come tale, se ne fa un’idea o un concetto, che può a sua volta diventare oggetto di conoscenza riflessa nella logica, nella metafisica o nella critica della conoscenza.
Invece per l’idealista oggetto primo e immediato del sapere è il suo stesso pensiero, è l’idea, che per lui coincide con la realtà e con Dio stesso. Per questo, mentre il realista adegua il proprio pensiero all’essere e quindi a Dio, l’idealista partendo dall’idea o dalla coscienza di se stesso e del proprio pensare, finisce per scambiare la realtà e Dio col proprio io e col proprio pensare. Infelici coloro che scambiano Rosmini per un idealista e non s’accorgono invece che è realista, non rintracciano il maestro, la guida spirituale e il santo, seppure con un linguaggio che a volte si presta al fraintendimento!
A differenza degli idealisti che confondono essere reale ed essere di ragione, Rosmini distingue e quindi è esplicitamente contro gli idealisti che confondono la logica con la metafisica e il possibile con l’attuale.
Se ammette con Hegel che il reale è razionale, nel senso che è comprensibile dalla ragione, egli però contro il razionalismo e l’idealismo hegeliani distingue la ragione dalla realtà, il pensiero dall’essere, l’ideale dal reale, la cosa dal concetto della cosa. Il razionale, per Rosmini, ossia l’ente di ragione, non è il reale, perché mentre il primo è nella mente, il secondo è fuori della mente.
Rosmini tende a confondere l’idea col concetto
Rosmini sembrerebbe a volte confondere l’idea col concetto, ma non è affatto così. Il suo difetto semmai è quello di usare spesso il termine «idea» al posto di «concetto», come quando per esempio parla dell’origine delle idee. Avrebbe dovuto dire: dei concetti.
L’idea consegue al concetto come il pensiero produttivo. Il concetto appartiene al pensiero speculativo. L’idea è una luce che m’illumina improvvisamente. Il concetto è la conclusione di un sillogismo. L’idea riguarda l’azione; il concetto riguarda il sapere. Con l’idea valutiamo e giudichiamo i fatti. Col concetto veniamo a conoscenza dei fatti. L’idea è un astratto che chiede di essere calato nel concreto. Il concetto è un astratto ricavato dal concreto. L’idea dà un giudizio di valore. Il concetto ci dà un giudizio scientifico. Col concetto apprendiamo la storia e la realtà. Con l’idea ci costituiamo attori di storia e artefici di realtà. L’ideale può essere irraggiungibile. Il concepito, opera della ragione, è sotto nostro controllo.
L’idea, propriamente, è una forma mentale intuitiva e produttiva di realtà, modello di realtà. Il concetto invece è una rappresentazione mentale del reale. Esso è formato (species expressa, verbum mentis) dalla ragione in base a una forma (specias impressa) - la forma del reale - ricevuta dall’intelletto. L’idea è qualcosa di divino perché dice creazione, che è opera propria di Dio. All’uomo spetta il concetto, che è ricavato dal contatto con la realtà a lui precedente e presupposta. Le idee sono luci e guide alle quali noi guardiamo. I concetti sono i prodotti della ragione per mezzo dei quali essa procede nel sapere.
Tanto l’idea, quanto il concetto e il reale possono essere oggetto di conoscenza o di una presa di coscienza. Questo, Rosmini lo sapeva. Quello che causa in lui il sospetto di idealismo è l’importanza esagerata che dà all’essere ideale. L’essere ideale o idea dell’essere appare in Rosmini la nozione e l’interesse supremo, il polo di attrazione, il faro che tutto illumina, il centro e il vertice di tutta la sua speculazione e della sua vita, la molla e l’incentivo primo di tutta la sua azione di uomo, di cristiano, di filosofo, di teologo, di santo.
Che dire? La Chiesa ha dichiarato che Rosmini è santo, maestro di sapienza, di vita cristiana, di santità. Ma può e come può la santità sgorgare la questa visione della realtà? Non sarà forse che Rosmini non si è espresso bene? La santità non nasce dall’intuizione di un’idea, di un’entità mentale, ma dal contatto concreto con la realtà esterna creata da Dio. E da qui viene il contatto con Dio autore della santità.
Rosmini sapeva bene tutto questo, solo che, dato ol suo straordinario entusiasmo per l’ideale, forse troppo emotivo, tendeva a lasciare in ombra ciò che di peculiare distingue il concetto dall’idea e in ciò dà l’apparenza dell’idealista. Rosmini dice chiaramente tuttavia che l’idea dell’essere, prima di essere oggetto del conoscere è mezzo di conoscenza. Essa dunque non è fine a se stessa come per gli idealisti, ma conduce a Dio.
La mente umana, come si desume da molte dichiarazioni del Roveretano, non è chiusa nelle proprie idee, ma esce da se stessa e raggiunge il reale e Dio come creatore del reale. La Chiesa di Rosmini, direbbe Papa Francesco, non è una Chiesa chiusa in se stessa, ma è una Chiesa «in uscita». La meraviglia del pensiero - e questo Rosmini lo aveva capito bene - è data dal fatto che il pensiero raggiunge il reale fuori di lui senza uscire da se stesso, cosa che - e qui gli idealisti hanno ragione - non avrebbe senso, ma restando in se stesso e trasportando il reale al suo interno nel modo appunto del pensiero, cosicchè il reale in sé stesso resta fuori del pensiero, ma in quanto pensato, diventa pensiero. Questo è il vero Rosmini [8].
Primato dell’essere sul pensiero in Rosmini
Con l’espressione «idea dell’essere» o «essere ideale» Rosmini intende la realtà dell’essere, similmente a come Platone chiama to pantelòs on, ossia l’ente in senso assoluto e totale, ossia l’idea. Quindi per Rosmini l’idea non è la mia idea, il mio pensiero, ma è la realtà data al pensiero. Per questo egli parla di una «visione» dell’idea, così come noi vediamo le cose materiali che ci circondano. Nel contempo Rosmini non esclude affatto che noi possiamo formarci un concetto dell’essere. Ciò gli permette di parlare dell’essere.
Ora, come è noto, San Tommaso è un maestro inarrivabile nel parlarci dell’essere. Ma egli non ci spiega come egli stesso è arrivato a vedere l’essere e a concepirlo. Parla dell’essere supponendo che tutti sappiamo che cosa sia, e questo è anche vero. Infatti tutti usano il verbo essere. Ma Tommaso non ci dice mai di aver avuto una visione dell’essere e neppure di un essere ideale o di un’idea dell’essere. Questo ce lo dice Rosmini e con ciò egli ci chiarisce al di là della lettera di Tommaso come avviene in noi la scoperta dell’essere.
Il guaio è che Rosmini concettualizza e spiega questa esperienza metafisica in modo infelice, con linguaggio idealistico, parlando di idea o di ideale. Ora, dato che l’idea o ideale è un ente mentale o di ragione o immanente alla coscienza, ecco che gli idealisti hanno potuto strumentalizzare e falsificare quanto Rosmini intendeva dire provocando lo scandalo, come ho già detto, dei benpensanti, che così hanno preso Rosmini per un idealista.
Tommaso invece dice chiaramente - ed è qui che Rosmini ha equivocato assumendo il linguaggio platonico - che l’idea non è un pensiero teoretico o speculativo e tanto meno una realtà extramentale, ma è un progetto o piano o disegno o pensiero pratico o produttivo nella mente dell’artefice.
Certo uno si può domandare: che ne è in Rosmini del primato dell’essere sull’idea e sul pensiero? Ebbene, dobbiamo dire francamente andando incontro a coloro che hanno promosso le 40 condanne, che qui Rosmini non ha saputo sottrarsi al fascino sottile ma pericoloso dell’idealismo che conduce al panteismo. Ma ciò - di nuovo - non compromette sostanzialmentie il suo realismo e quindi la sua ortodossia, come stiamo vedendo da altre posizioni del suo pensiero nel corso di questo articolo.
È vero, infatti che l’idea dell’essere in fin dei conti in sé e per sé è un ente intramentale. Ma come la intende Rosmini? Egli la vede come un aliquid, una res, stupendo dono di Dio, certo; tuttavia è altrettanto vero che sembra trascurare il fatto che nel contempo, in quanto idea, è un prodotto della nostra mente.
Purtroppo Rosmini non è chiaro o non è riuscito ad esser chiaro nel dirci come noi otteniamo questa idea. Non parla come Tommaso dei tre gradi di astrazione per i quali noi arriviamo a concepire l’ente astraendo prima dal piano della fisica e poi della matematica, benché riconosca che per avere l’idea dell’essere occorre prima esercitare la conoscenza sensibile.
D’altre parte l’«idea» rosminiana non è l’ens tomistico e non è neppure l’esse. Forse è l’essentia. Tuttavia non sembra essere l’essenza che egli trova nell’ente, come fa Tommaso. Sembra essere l’essenza connessa con l’essere. Ciò fa pensare all’essenza divina, ma Rosmini, per scagionarsi dall’accusa di ontologismo, precisò con forza che l’essere ideale non è Dio. Rosmini dice con chiarezza che Dio è il creatore dell’essere e quindi che l’intuizione dell’essere avviene ed è presente nell’atto del giudizio di esistenza e non è il semplice effetto di un atto astrattivo o di una concettualizzazione, benchè riconosca che l’essere è espresso nella copula del giudizio e sappia che il verbo essere richiama al Verbo divino.
Ha ragione comunque Rosmini nel vedere che questa sublime idea dell’essere è un richiamo datoci da Dio all’essere divino e nel sapere che quell’idea nasconde il concetto dell’essere divino e conduce a Dio.
Ora, per un idealista che legge Rosmini, tronfio della sua autodivinizzazione, è facile interpretare la visione rosminiana dell’essere ideale come presa di coscienza del proprio io assoluto. Ma Rosmini non intende assolutamente questo. Gli farebbe orrore e lo provocherebbe a sdegno, lui che nella sua umiltà, tutto e sempre si metteva nelle mani di Dio.
Rosmini intende dirci invece che l’idea dell’essere o essere ideale appare alla nostra mente come luce splendida e immortale di verità, nella quale e per la quale conosciamo tutto quello che conosciamo, luce divina («lumen vulnus tui») che ci fa conoscere la realtà, realtà che esiste e sussiste («soggettiva» la chiama Rosmini) in sé indipendente da noi e che non produciamo noi con la nostra idea, ma che è creata da Dio, così come Egli è il nostro creatore
Rosmini vede l’essere ideale come un dono di Dio. Sembra però trascurare il fatto che nel contempo si tratta di un prodotto della nostra mente. L’idealista si concentra su questa idea sublime che gli è donata da Dio, ma trascurando questo fatto, facilmente è indotto alla superbia. Invece l’essere ideale conduce Rosmini a Dio perché egli si accorge che questa idea lo apre all’essere nella sua totalità ed assolutezza.
Egli distingue la cosa dal concetto della cosa, distingue l’essere reale dall’essere ideale, pone ad oggetto dell’intelletto l’essere e non l’idea, subordina il pensiero all’essere nell’esercizio della conoscenza e nel perseguimento della verità, distingue il sapere umano da quello divino, ha in orrore la confusione di Dio col mondo e con l’uomo.
Sembra identificare il pensiero con l’essere. Sembra non ammettere una realtà fuori del pensiero e al di sopra del pensiero. Sembrerebbe alla fine identificare il pensare umano, per il quale l’essere è distinto dal pensare, con lo stesso pensiero divino, nel quale il pensare s’identifica con l’essere. E quindi sembrerebbe alla fine identificare l’uomo con Dio.
Rosmini sembra un cartesiano. Sembra cioè far precedere l’autocoscienza alla conoscenza della realtà. Sembra voler ricavare la realtà esterna dalla coscienza di sé, anziché arrivare alla coscienza di sé partendo dall’esperienza della realtà esterna. Sembra intendere la conoscenza dell’essere come presupposto alla conoscenza delle cose anziché ricavare la nozione dell’essere per astrazione dal contatto sensibile con le cose. Ma non è così.
Questa impressione possiamo trarla da come egli concepisce l’essere e il modo col quale noi scopriamo l’essere. Egli parla infatti di un «intuito dell’essere» inteso come «essere ideale». Sembrerebbe dunque concepire l’essere alla maniera idealistica, come ente mentale, immanente alla coscienza e relativo alla coscienza, chiuso nella coscienza e prodotto dalla coscienza. Sembra insomma risolvere alla maniera idealistica l’essere nel pensiero: l’essere è l’essere pensato.
Ma non è così. Per Rosmini l’essere ideale, che egli chiama anche «idea dell’essere» non è affatto una nostra idea o rappresentazione, un prodotto dell’io o dell’autocoscienza alla maniera degli idealisti, ma un dato oggettivo, trascendente, originario, intuitivo, al di sopra della mente, non posto ma trovato dalla mente; infinito, mentre la mente è finita, immutabile, mentre la mente muta, assoluto, mentre la mente è relativa alle cose; luce della mente, mentre la mente è illuminata da esso; guida della mente, mentre la mente da esso è guidata; regola della mente, mentre la mente da esso è regolato; modello di perfezione, mentre la mente guarda a lui per perfezionarsi, legge dell’agire morale, mentre il nostro agire da esso e normato; indipendente e precedente la coscienza, extramentale, proveniente da Dio e niente affatto prodotto dalla coscienza. Si trova da sempre e per sempre al di sopra della coscienza e proviene dalla stessa realtà divina, creatrice della coscienza.
Rosmini sembra salire a Dio alla maniera idealistica così da confondere Dio con l’uomo. Ma in realtà per Rosmini Dio non è l’oggetto ultimo dell’autocoscienza umana, come per i cartesiani, ma è il sommo essere, il sommo vero e il sommo bene raggiunto dall’intelletto e dalla volontà che passano dalla conoscenza delle cose create al loro creatore.
Fine Seconda Parte
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 4 novembre 2025
Dunque bisogna dire che Rosmini, al di là dell’apparente idealismo del suo essere ideale, come ci avverte la Nota della CDF, è stato in realtà un realista che andando oltre l’idea, ha raggiunto lo stesso essere divino, sia pur sempre nell’idea o meglio nel concetto.
Inteso in questo senso, come rappresentazione mentale ed immagine dell’essere divino, l’essere ideale rosminiano gioca legittimamente da stella polare e centro propulsore, alla base di tutto il suo sistema e lo pervade tutto. È un sole e una meta ultima e suprema che lo accompagna ovunque e lo guida a Dio nell’esercizio della carità verso Dio e verso il prossimo.
Immagine da Internet: Papa Pio IX[1] Ibid., I, pp. 287,289.
[2] Vedi Cornelio Fabro, L’enigma Rosmini, Edizioni Scientifiche Italiane, Rioma 1988, pp.377-382; Il fascino dell’idea «reale» e «ideale» nel pensiero di Antonio Rosmini, in Divinitas, 1,2006, II, pp.52-54.
[3] Ibid., I, pp.282,283
[4] Ibid., I, pp.278,279,280,285,
[5] Ibid., I,p.289.
[6] Ibid., pp.290-293.
[7] I, 289

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