Gesù personaggio scandaloso (seconda ed ultima parte)

Gesù personaggio scandaloso

Perchè l’insegnamento di Cristo viene rifiutato

 

             Beato colui che non si scandalizzerà di me

Mt 11,6               

Vi scandalizzerete per causa mia

Mt 26,31

Tutti rimarrete scandalizzati

Mc 14,27

Si scandalizzavano di   lui

Mc 6,3

Seconda ed ultima Parte

 

Gesù scandalizza per la sua dottrina della croce

Gesù crocifisso, scandalo per i Giudei

I Cor 1,23

È dunque annullato lo scandalo della croce?

Gal 5,11

 

La dottrina della croce appare scandalosa perché sembra promuovere il dolorismo, l’autolesionismo, il masochismo o il sadismo, come se si dovesse provar gusto a soffrire o a far soffrire. Sembra un’apologia della sofferenza. Sembra un bisogno, un comando, un’incitazione, un’aspirazione o una tendenza contro natura, la quale viceversa cerca la salute e il piacere e rifugge istintivamente dalla sofferenza e dalla malattia.

Se l’uomo normale e sensato, infatti, incontra la sofferenza in sé o negli altri, cerca spontaneamente di rimuoverla o almeno di alleviarla. Grande virtù è la pietà per chi soffre e la volontà di liberarlo dalla sofferenza. Gesù stesso ne fa l’elogio in più occasioni e si mostra pietosissimo e premurosissimo verso i sofferenti, guarendoli con molti miracoli. Gesù è un grande consolatore degli afflitti: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi ed o vi darò riposo» (Mt 11,28).

Ma Gesù non cerca la sofferenza per sé stessa: questo sarebbe morboso ed anzi peccaminoso. Cerca ed ama la sofferenza in quanto connessa con atti che esprimono l’amore o introducono ad una più alta perfezione o concernono la purificazione dai peccati: il sacrificio, la rinuncia, l’espiazione, la dedizione. Sebbene Egli sia senza peccato, si fa carico della sofferenza conseguente al peccato, sia essa il castigo o la penitenza del peccato, per trasfigurarla e renderla strumento e via di redenzione e di salvezza.

Il sacrificio della croce serve precisamente a togliere il peccato e preparare una vita futura dopo la morte, nella quale la sofferenza sarà scomparsa per sempre. Ma finchè siamo in questa vita mortale, per quanto abbiamo il dovere di eliminare la sofferenza e per quanto la medicina faccia continui progressi nel togliere la sofferenza, essa resta sempre in certa misura inevitabile e in questo caso è possibile e doveroso volgerla a nostro vantaggio traendone occasione per esercitare la pazienza e per farne materia di penitenza e di espiazione dei nostri peccati.

La sofferenza è certo un male, ma non è un male assoluto e quindi non va sempre e comunque fuggita con ogni mezzo, perché esistono mezzi illeciti per fuggirla, come per esempio la droga o il suicidio. In certi casi è bene affrontarla, per evitare mali maggiori o per conseguire beni superiori. È bene accettarla per motivi ascetici o se legata al compimento del nostro dovere o ricercarla per scontare colpe e delitti. Quando è ineliminabile il sopportarla con pazienza ci fa acquistare meriti.

Gesù propone dunque un certo soffrire volontario, voluto dal Padre come soffrire virtuoso, come soffrire che procura salvezza, un soffrire come doveroso, per non dir obbligatorio, un soffrire come effetto di una decisione volontaria o necessità morale: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto» (Mc 9,12), un soffrire per offrirsi in sacrificio di espiazione a Dio per la remissione dei peccati, un offrirsi per la salvezza degli uomini, che è compimento della missione che Gli ha affidato il Padre: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me» (Lc 24,44).

Gesù infatti insegna chiaramente che il Padre vuole la croce del Figlio, vuole il sacrificio doloroso del Figlio per riscuotere il debito del peccato, affinchè il Figlio compensi l’offesa al Padre ed ottenere l’espiazione e la remissione dei peccati (cf I Gv 2,2). Gesù effettivamente esorta ad abbracciare volontariamente la sofferenza: «chi vuol venire dietro a me, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). A un certo punto della sua vita, dopo aver fuggito pericoli od occasioni di sofferenza, Gesù decide di andare a Gerusalemme sapendo che lo attende la morte. Egli ci dà l’esempio che in certi casi è bene fuggire la sofferenza, in altri è bene affrontarla con coraggio e spirito di sacrificio.

Il fare penitenza è un dovere che procura sofferenza. Lo sforzo ascetico è un dovere che procura sofferenza. La pazienza è una virtù legata alla sofferenza. Esiste un morire volontario, che nulla ha a che vedere col suicidio, ma che anzi è atto sublime d’amore per coloro per i quali si offre la vita, mentre il suicidio è odio verso se stessi e verso il prossimo.  C’è una morte, che è il prezzo della vita: «se il chicco di grano non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto» (Gv 12,24). C’è una morte dalla quale sorge la vita. Ex morte vita. È la morte di Cristo e in Cristo è la morte del cristiano.

C’è un doloroso far morire, quella che San Paolo chiama «mortificazione», che uccide le tendenze cattive e promuove quelle buone. È la disciplina ascetica. La natura decaduta oppone ostacoli e intralci nel dominio delle passioni e sulla via della perfezione. Occorre toglierli. Così Gesù fa notare che «vi sono alcuni che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli» (Mt 19,12). «Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te» (Mt 5,29). Ciò richiede sforzo, rinuncia, fatica e sofferenza.  

 

Lo scandalo dell’Eucaristia

 

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.

Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno

e il pane che io darò è la mia carne

per la vita del mondo

Gv 6, 51

 

Uno scandalo particolarmente forte Gesù lo dà quando afferma la necessità di mangiare la sua carne per avere la vita eterna.  La domanda stupita che si fanno i Giudei e che viene spontanea anche a noi è:

 

 «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù non spiega come ciò sia possibile, ma si limita a ripetere: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue non avrete la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,52-57).

Gesù poi all’ultima cena, farà capire che cosa intendeva col fatto di mangiare la sua carne. Si trattava di mangiare il pane consacrato dalle sue parole «questo è il mio corpo». A questo punto la nostra mente limitata avverte di essere davanti a un mistero divino, il quale, proprio per essere divino, nutre la nostra mente, ma nel contempo ne oltrepassa infinitamente la capacità di comprensione, per cui, se proprio non restiamo scandalizzati, per lo meno la nostra mente si perde in ciò che è infinitamente più grande di lei, e la sollecita ad inchinarsi davanti al Mistero con un atto di adorazione.

Così il comando di Gesù di mangiare la sua carne se vogliamo avere la vita eterna, ha un aspetto per noi comprensibile e un aspetto che trascende la nostra comprensione. In esso troviamo uno schema del tutto logico e per noi risaputo in base alla più elementare esperienza quotidiana: quella della nutrizione. Sappiamo benissimo che il cibo mantiene in vita e che se un uomo non si ciba, muore. Fin qui ci arriviamo tutti. Quello che a tutta prima non riusciamo a capire e che può scandalizzare è come sia possibile che un cibo materiale alimenti la vita spirituale, non solo, ma garantisca addirittura una «vita eterna», ossia una vita divina, mentre noi siamo semplici creature umane, che sono già felici se possono vivere una vita degna dell’uomo. Ma avere la vita eterna che cosa vuol dire? E come possiamo desiderarla se non sappiamo che cosa è? E poi come fa una semplice creatura a vivere di una vita divina?

Il mistero dell’Eucaristia si fonda sul mistero dell’Incarnazione e ne è una conseguenza logica. Il Verbo si è incarnato per rendere l’uomo partecipe della sua stessa vita divina mediante la grazia. Questa grazia consiste nel fatto che l’uomo può nutrirsi della stessa vita divina non semplicemente in forma intenzionale, mediante la conoscenza e l’amore, come già sappiamo dalla filosofia, ma in senso reale od ontologico, come figlio di Dio ad immagine del Figlio. In tal modo l’uomo può vivere della stessa vita di Dio non nel senso panteistico di diventare Dio, cosa assurda e blasfema, ma nel senso di partecipare della vita divina nella misura delle sue possibilità di creatura. E questa vita divina è la vita di grazia, la vita dei figli di Dio, dei battezzati. Con l’Eucaristia l’uomo si nutre di Cristo. Già vivente in grazia in forza del battesimo, e risorto dalla morte del peccato, l’uomo riceve dall’Eucaristia un germe di vita eterna, che gli assicura il possesso del regno di Dio e la visione beatifica e lo farà risuscitare all’ultimo giorno.

 

Gesù scandalizza gli eretici

Dopo una o due ammonizioni,

sta’ lontano da chi è eretico (airetikòn),

ben sapendo che è gente ormai fuori strada

e che continua a peccare

condannandosi da se stessa.

Tt 3,10

 

Gli eretici danno mostra di accettare la dottrina di Cristo, ed anzi sostengono di averla capita loro meglio della Chiesa, ma in realtà scelgono (airesis) di loro arbitrio, presentandosi come ispirati dallo Spirito Santo, solo alcuni insegnamenti, alcuni fraintendendoli, altri così come sono.

Per quanto riguarda la questione dello scandalo, alcuni insegnamenti li scartano perché li ritengono scandalosi e non autentici, altri li considerano realmente scandalosi, ma li accettano proprio perché scandalosi. Un esempio dei primi è Nestorio, il quale, ritenendo scandaloso ed assurdo pensare che un uomo possa essere Dio, credette di trovare la famosa soluzione nell’affermare che Gesù è semplicemente un uomo nel quale abita Dio.

Un esempio dei secondi è Lutero, il quale sostiene che l’insegnamento di Gesù è credibile, proprio perchè è scandaloso e sconcerta la ragione, giacché secondo lui la fede è tanto più grande, quanto più sentiamo che stride con la ragione, la quale, secondo lui, a seguito del peccato originale, è irrimediabilmente nell’errore. Su questa linea di Lutero, Bruno Forte parla dello «scandalo della fede». Traendo le conseguenze logiche di simili spropositi, ne verrebbe che una prostituta è una testimone della fede.

Gli eretici intendono gli insegnamenti di Cristo in modo falso, perché se Lo intendessero nel modo giusto, non ne sarebbero scandalizzati e non sentirebbero il bisogno o di sopprimerlo o di razionalizzarlo, come fanno gli illuministi e i modernisti, ma si accorgerebbero ad un esame più attento ed onesto, che quel loro scandalo non ha ragion d’essere. Oppure si compiacciono di un Cristo scandaloso di loro invenzione, per giustificare lo scandalo che danno al prossimo con i loro peccati.

Così, per portare altri esempi, molti hegeliani, che si scandalizzano per la distinzione calcedonese delle due nature, e intendono sia l’uomo che Dio come identità di natura umana e natura divina, hanno oggi ripreso l’eresia di Eutiche del sec. III, secondo il quale in Cristo la natura divina si muta in natura umana[1], per cui Cristo, quando parlava del suo essere Dio, non si riferiva a un Dio trascendente l’uomo, ma al fatto che in lui la sua natura divina si era mutata in natura umana. Così l’hegeliano toglie lo scandalo di un Dio che trascende l’uomo.

E similmente oggi molti restano scandalizzati all’idea di un Dio che castiga, per cui, per non scandalizzarsi di Cristo, ricorrono all’espediente di Marcione, eretico del sec. III, più volte condannato dalla Chiesa, il quale sosteneva che mentre il Dio dell’Antico Testamento è il Dio crudele che castiga, il Dio di Gesù Cristo è il Dio buono che non castiga. Una truffa evidente, giacché è un inganno contrapporre in questo modo il Dio di Mosè con quello di Cristo, dato che Mosè ha previsto Cristo e Cristo ha completato Mosè. Ed è falsissimo dire che Cristo non castiga. Per dire una falsità del genere bisogna chiudere gli occhi in malafede al Vangelo.

A volte gli insegnamenti di Cristo sembrano scandalosi, ma in realtà non lo sono. Occorre capire che cosa intende dire il Signore e lo scandalo svanisce. Per esempio, il famoso invito ad offrire l’altra guancia può a tutta prima scandalizzarci. Ma se comprendiamo che lì Gesù non intende altro che insegnarci la paziente disponibilità nei confronti di un prossimo petulante, ci accorgiamo della grande saggezza di questi insegnamenti.

Altri, invece, poco illuminati,  nel provare scandalo davanti agli insegnamenti di Cristo, non solo non si sentono spinti a respingerlo, non solo non cercano di superarlo, ma al contrario sembrano provare un gusto morboso nel lasciarsi scandalizzare e non cercano affatto di chiarire come stanno veramente le cose, ma si crogiolano masochisticamente nel patire scandalo credendo di fare chissaquale «esperienza di fede», mentre in realtà non fanno che offrire materia per una diagnosi di psichiatria. A questo punto ne approfitta Freud, che se ne stava in agguato, per dire che la religione è una malattia mentale.

Uno di questi idolatri dello scandalo è Lutero, il quale considerava la dottrina della croce come oggettivamente e veramente scandalosa non solo per i Giudei increduli, come dice San Paolo, ma per la stessa ragione umana, illazione assolutamente illecita, cosa che Paolo non insegna affatto perché al contrario dice che «per coloro che sono chiamati» (I Cor 1,24) la croce è potenza e  sapienza di Dio» (v.24): dunque nessunissimo contrasto con la ragione, che si è inventato Lutero.

La dottrina della croce scandalizza gli insipienti, ma non gli intelligenti e i credenti. Il che non toglie che a tutta prima essa sembri irragionevole. E per questo, il compito della cristologia è mostrare la convenienza del mistero della croce con la ragione.

Ma il peggio della stoltezza in Lutero è che egli, credendo che la fede sia di per sé scandalosa per la ragione, si divertiva ad accentuare e ad esasperare le apparenti contraddizioni piuttosto che a scioglierle, considerando come veramente scandaloso ciò che non lo è, per cui credeva di rendere omaggio alla fede, mentre in realtà faceva l’apologia della stoltezza, finendo col favorire l’incredulità.

C’è stato uno scandalo riguardante indirettamente Cristo, che Lutero non ha potuto sopportare e che con la sua riforma ha voluto togliere: lo scandalo di una Chiesa a suo giudizio non più fedele al Vangelo e a Cristo, soffocata ed intralciata da un insieme di dottrine, istituzioni, costumi, leggi e tradizioni, che, a giudizio di Lutero, nascondevano il vero volto della Chiesa come Cristo l’aveva voluta.

Lutero era preoccupato che l’uomo si scandalizzasse di Cristo. Ma ciò avveniva, secondo lui, nel momento in cui i cristiani accettavano una Chiesa che non era più quella di Cristo. Senonchè, però, Lutero in molte cose della Chiesa non seppe distinguere ciò che era veramente scandaloso e che occorreva eliminare, da ciò che, pur apparendo scandaloso, occorreva conservare.

Lo scandalo della Chiesa

Alcuni sono scandalizzati per la confusa, disordinata ed agitata situazione attuale della Chiesa e in particolare per la condotta del Papa, e sono tentati di scandalizzarsi di Cristo fondatore ed organizzatore della Chiesa, come se la promessa di Cristo che le forze del male non avrebbero prevalso sembrasse non più avverarsi. Per liberarsi da questo scandalo credono che la soluzione sarebbe annullare o correggere alcune dottrine filomoderniste o filoprotestanti del Concilio Vaticano II che sarebbero all’origine dell’attuale crisi della Chiesa. Ma in realtà si sbagliano. Il male, come sto sostenendo da decenni, non viene dal Concilio, ma da una sua falsa interpretazione e per conseguenza da una mancata attuazione. Scandaloso semmai è come mai le autorità non riescano a fermare il fenomeno e a correggere la rotta sbagliata. Cristo non c’entra. Sono i pastori che non sono all’altezza del compito.

Il fatto innegabile, comunque, che è sotto i nostri occhi da decenni è un fenomeno di autodemolizione della Chiesa da parte di se stessa, che fu denunciato già da S.Paolo VI nel 1975. Nei secoli passati la Chiesa ha conosciuto scismi e eresie, ma restando sana e compatta, ha respinto da sé queste sette mantenendosi integra nell’unità e nella pace. Oppure ha sempre ricevuto attacchi da nemici esterni, che però essa ha sempre regolarmente respinto mantenendo integra la sua identità ed unità.

Ma oggi le forze dell’errore e della corruzione sorte dall’interno della Chiesa, agiscono all’interno senza che esista un’efficace difesa.  È forse il segno di qualche falla alle origini stesse della fondazione e dell’organizzazione con le quali Cristo ha strutturato ed organizzato la sua Chiesa, una falla o un punto debole che si sta rivelando solo adesso dopo 2000 anni e che sembra far scricchiolare dalle fondamenta l’intero edificio ecclesiastico?

Il Papa riesce ad essere all’altezza della situazione? Ce la fa ancora a governare la Chiesa, a mantenere la disciplina o è sedotto, travolto o traballante sotto la pressione o la seduzione delle forze dell’errore e del male? L’infallibilità di Pietro funziona ancora? L’immagine della Chiesa che ci viene in mente non è tanto quella tradizionale della barchetta robusta in un mare in tempesta, ma quella di una nave in avaria in un mare relativamente calmo.

La Chiesa sembra aver diminuito la sua espansione geografica e che si stia ritirando in certi luoghi europei. Sono calate le conversioni al cattolicesimo, e molti cattolici lasciano la Chiesa o vi restano di nome ma non di fatto. La Chiesa stenta ad essere luce del mondo e sale della terra e fatica ad animare e a guidare il mondo a Cristo, ma è il mondo che penetra nella Chiesa e la guasta dall’interno. Come si rimediare a questo scandalo?

La tentazione disastrosa e diabolica è quella di appellarsi direttamente alla sinodalità neoconciliarista, a Cristo o allo Spirito Santo saltando il Papa e la gerarchia, nel rifiuto o nella falsificazione delle dottrine del Concilio e rinunciando a correggere la tendenza buonista e misericordista.

 

La concezione che Gesù ci propone della donna e del sesso

scandalizza sia i platonici che gli epicurei

 

Gesù scandalizza i suoi contemporanei mostrando la confidenza che aveva verso le donne. Non teme di mettere a repentaglio la fama di rabbino che si era fatto e di sembrare un volgare donnaiolo, anche se tra tutte le accuse gli vennero rivolte, nessuno mai osò accusarlo di lussuria.

Tuttavia, nel corso della storia successiva a Gesù sorsero due tendenze morali, le quali, per motivi opposti, sentirono l’insegnamento di Gesù sulla donna e sul sesso in qualche modo come scandaloso.  Sono i cristiani influenzati sin dai primi secoli da Platone e sono gli epicurei. Questi ultimi sono stati per lunghi secoli estranei agli ambienti cattolici fino a cinquant’anni fa, ma oggi, influenzati da Freud, sono molto diffusi e si scandalizzano dell’aspetto ascetico dell’etica sessuale di Gesù.

Gesù infatti scandalizza i platonici, insegnando la resurrezione del corpo maschile e femminile. Scandalizza gli epicurei, oggi diremmo i freudiani, col consiglio di farsi eunuchi in vista del regno dei cieli. Certo, può sembrarci di trovare una contraddizione e viene da chiederci: ma insomma, Cristo apprezza o disprezza la donna e il sesso? 

La donna è pericolosa ed occorre stare alla larga oppure nell’ultima felicità dell’uomo è inclusa l’unione dell’uomo con la donna? Per risolvere questa antinomia bisogna tener conto di due fondamentali criteri di giudizio: primo, qual è il concetto di natura umana che Cristo ci propone; secondo, la differenza tra la condizione della natura umana nell’Eden, nella vita presente e alla futura resurrezione del corpo.

Per quanto riguarda la questione degli stati storici della natura umana, rivelatici dalla Bibbia, si deve dire che Gesù, nell’indicarci la meta finale, celeste, escatologica, che uomo e donna devono raggiungere nella loro reciproca relazione, si basa innanzitutto sul programma genesiaco: «Non sono più due, ma una sola carne».

Ma Gesù non si limita a proporre un semplice ripristino della condizione edenica, che comporta la propagazione della specie umana. Invece in cielo l’opera della propagazione della specie sarà cessata, e per questo Gesù dice «saranno come angeli del cielo» (Mt 22,30).

Vi sarà invece solo quella pienezza finale, che è annunciata da San Paolo (Ef 3,19), pienezza che non potrà non concernere anche l’amore  fra uomo e donna, anche se per adesso, quaggiù, viventi come siamo in un sesso decaduto e ferito dal peccato originale, benché il sesso sia redento da Cristo e pregustazione del sesso futuro, stentiamo ad immaginare come potrà essere questo amore escatologico, il quale entra certamente in quei beni messianici, dei quali San Paolo dice: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo,  queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (I Cor 2,9).

Con queste idee Cristo scandalizza indubbiamente sia i platonici che gli epicurei, i primi rappresentati oggi dai rigidi rigoristi preconciliari, i secondi dai buonisti e dai lassisti, come per esempio dai freudiani. I platonici, infatti, ossia i dualisti, si oppongono a questo principio biblico, che suppone che la differenza tra uomo e donna è ordinata all’unione reciproca, mentre essi sostengono al contrario un’ostilità costitutiva reciproca fra spirito e materia, e quindi fra spirito e sesso, e quindi fra uomo e donna. Negano che il piacere sessuale sia creato da Dio; negano che la distinzione uomo-donna sia costitutiva della natura umana e voluta da Dio; negano la possibilità di una conciliazione fra piacere spirituale e piacere sessuale. Per loro l’uomo è un puro spirito asessuato, la cui beatitudine e libertà consiste nel liberarsi e separarsi dal sesso. Origene è su questa linea.

Quanto agli epicurei e agli edonisti, essi, non credendo nell’immortalità dell’anima, confondono l’uomo con l’animale. Non percepiscono la superiorità dello spirito sulla carne. Per loro lo spirito è immerso nella carne ed ha interessi solo carnali, nessuna aspirazione a Dio, ma solo al proprio benessere materiale e quindi al piacere sessuale.

Per gli epicurei lo spirito non ha un godimento suo proprio, valido per sé stesso, indipendente da quello materiale, ma è al servizio del piacere carnale. Per loro l’unica vita dell’uomo è questa vita mortale: con la morte non c’è nessuna sopravvivenza dell’anima, ma l’intero individuo si dissolve nella polvere. Occorre dunque godere il più possibile in questa vita, perché con la morte l’io scomparirà per sempre.

E quando da loro si dice godere, naturalmente l’intendono in senso fisico e sessuale, perché per loro il piacere spirituale consiste solo nel trovare i mezzi più adatti per godere fisicamente. Lo spirito, infatti, per loro, non ha un oggetto proprio, puramente spirituale, morale, metafisico o teologico, superiore a quello del senso, ma è solo finalizzato al piacere carnale.

Quindi, per loro il piacere sessuale è un valore assoluto, fine a sé stesso, cercato per sè stesso, benché effimero, non interessa se è il piacere del matrimonio o dell’adulterio o della fornicazione o della masturbazione o della pedofilia o della sodomia, perché l’epicureo non accetta una legge morale naturale, che regoli l’uso del sesso o prescriva eventualmente l’astinenza sessuale nell’interesse dello spirito, purché ci sia il piacere, quale che sia il mezzo col quale lo si ottiene.

Infatti per l’epicureo la felicità dell’uomo, felicità puramente terrena, materiale e caduca, non proviene dall’obbedire ad una norma oggettiva ed universale, che orienta a Dio, norma stabilita da Dio, ma dall’accontentare di volta in volta con ogni mezzo ed ogni astuzia il suo animalesco bisogno di piacere fisico e quindi sessuale, così come gli è data possibilità di soddisfazione approfittando delle varie circostanze ed occasioni della vita; sta nel carpe diem di Orazio.

È chiaro che in questa visuale rinunciare a un piacere sessuale, soprattutto se in permanenza come per esempio nel voto verginità, in nome di superiori esigenze spirituali, è una stoltezza, uno scandalo, una cosa contro natura e alla fine è cosa impossibile, come credeva Lutero.

È noto d’altra parte l’ammonimento di Gesù: «Se il tuo occhio ti scandalizza, toglilo». Ma tale ammonimento evidentemente suppone la possibilità che l’occhio non ci scandalizzi, cioè non ci induca in tentazione, ma svolga la sua normale funzione stabilita da Dio; sicché Gesù avrebbe potuto aggiungere: Se il tuo occhio non ti scandalizza, conservalo ed usalo.

La stessa cosa vale per il sesso. L’astinenza sessuale conveniente o virtuosa, per esempio il voto di castità, non è motivato da un dato costitutivo della natura umana, come se l’uomo fosse un puro spirito che si trova accidentalmente unito ad un corpo e precisamente ad un sesso (la «carne»), che lo scandalizza, lo distrae dal suo interesse, lo svaluta, lo contrasta con desideri contrari, lo intralcia, lo inganna, lo rende schiavo.

La ragione di questa astinenza, quindi, non è il bisogno che lo spirito sente di liberarsi dal corpo e quindi dal sesso, per non essere da lui contrastato, distratto e intralciato, ma è una ragione relativa ad uno stato di emergenza, tutto sommato passeggero, qual è lo stato attuale di decadenza della nostra natura ferita dal peccato originale. Né nell’Eden, né alla futura resurrezione futura, stati nei quali la natura è perfettamente sana, occorre l’astinenza sessuale di tipo ascetico.

Invece nella storia della spiritualità cristiana, a partire dai primi secoli, che subirono l’influsso della morale platonica, per un eccessivo senso delle conseguenze del peccato originale, sorse un concetto ascetico dell’astinenza sessuale, che poteva avere l’apparenza dell’autentica pratica cristiana, ma che in realtà ne era una falsificazione.

Sia infatti nell’ascetica cristiana che in quella platonica esiste la coscienza di una ribellione della carne allo spirito, per cui soprattutto il monaco che vuol raggiungere la piena libertà dello spirito e il dominio sulle passioni, deve essere spesso molto severo nel reprimere i moti della carne che incitano alla lussuria.

Ma nel contempo, fra questi due atteggiamenti che possono sembrare simili, esiste una profonda differenza, che è data dal fatto che nei due casi non è la stessa la concezione del rapporto dell’anima col corpo e per conseguenza la prospettiva finale dell’agire umano, perché nel caso del Vangelo si tratta di respingere un sesso accidentalmente, contingentemente e parzialmente corrotto in vista del suo recupero inizialmente già da questa vita, in forza della grazia di Cristo, ma pienamente solo dopo la morte in condizioni di salute perfettamente ritrovata alla futura resurrezione celeste del corpo.

Invece nella visuale platonica l’anima quaggiù è in compagnia del sesso come un prigioniero è in compagnia del suo carceriere o come uno spirito che è frenato, ostacolato e contrastato da qualcosa che gli è costitutivamente ostile. Da qui il bisogno dello spirito di liberarsi per sempre, con la morte, ossia con la separazione dell’anima dal corpo, da questo nemico soffocante, che lo abbassa al livello delle bestie.

E tutto ciò perchè? Perché Platone non vede affatto nella ricongiunzione dell’anima col suo corpo dopo la morte una prospettiva di pienezza finale, ma al contrario vedeva una cosa obbrobriosa e insensata, perché ai suoi occhi sarebbe come il prigioniero liberato che torna in prigione.

 Ma il povero Platone non sapeva che Dio è il creatore tanto del piacere spirituale quanto di quello sessuale. Qual è allora il rapporto che deve esistere fra piacere spirituale e piacere sessuale? Il primo deve esprimersi nel secondo e il secondo deve condurre al primo. In questo caso si ha armonia fra lo spirito e la carne. Quando ciò accade, si ha il giusto dominio dello spirito sulla carne e cioè la virtù della castità. La coscienza gode in modo sano e si sente nella luce, nell’ordine e nella pace. È la coscienza d’aver agito bene.

Se invece l’esigenza dello spirito è soffocata o sostituita dal desiderio o dall’impulso del piacere, ossia dalla concupiscenza, si ha la lussuria. In questa situazione lo spirito è soffocato dalla carne. Diventa schiavo della carne. La coscienza si sente a disagio, insoddisfatta, confusa e turbata. È la percezione della colpa. Avviene così che nella lussuria il piacere è cercato per se stesso e fine a se stesso. Invece nell’amore vero il piacere è causato dall’amore, espressione e segno dell’amore ed incrementa l’amore.

Conclusione

Non diamo motivo di scandalo a nessuno

II Cor 6,3

 

Gesù, nei suoi insegnamenti, per quanto si sia preoccupato di non scandalizzare ed abbia condannato severamente chi scandalizza i piccoli, non ha potuto evitare di scandalizzare qualcuno, anche in buona fede ma mentalmente limitato e senza sufficiente fiducia nella sua saggezza. Altrimenti Gesù non avrebbe potuto trasmettere integralmente al mondo il messaggio che il Padre Gli aveva comandato di insegnare.

Un difetto dei predicatori opportunisti o timorosi di fare brutta figura o di attirarsi nemici o di non farsi capire o di chiedere troppo, è quello di tacere le verità evangeliche che potrebbero o non essere gradite al mondo o scandalizzare il mondo. Gesù, certo, è graduale e paziente nel suo insegnare, cominciando dal più facile verso il difficile, l’oscuro e il doloroso.

Ma a un certo punto Gesù, per obbedire al comando del Padre, ha ben dovuto insegnare cose che hanno fatto scandalo, cose che sono al centro del suo messaggio, come abbiamo visto sopra negli esempi sopra riportati. Costi quello costi. E sappiamo come a Gesù sia costato la vita. Altri fondatori di religione, come il Budda e Maometto, che non sono stati così esigenti e «scandalosi» o che meglio lo sono stati realmente, sono morti tranquillamente in tarda età nel loro letto. Però non sono risorti da morte come Cristo.

Dobbiamo preoccuparci moltissimo, sull’esempio di San Paolo, - «chi riceve scandalo, che io non ne frema?» (II Cor 11,29) – dei molti che oggi cadono nel peccato, perdono la fede, si ribellano al Papa, o escono dalla Chiesa, perché subiscono scandalo per colpa delle idee e del comportamento di certi cattivi pastori, teologi eretici, e falsi profeti.

Dobbiamo fare tutto il possibile per rimediare ai danni provocati da quegli sciagurati, così come una squadra di soccorso assisterebbe ai feriti da un gruppo di belve fuggite dallo zoo, con la differenza che oggi le belve, invece di stare in gabbia, scorrazzano per le città e le campagne.

Non temiamo comunque nello stesso tempo anche noi, sull’esempio di Cristo, se il dovere ci chiama o se è per la gloria di Dio o il bene dei fratelli, di recare scandalo, anche se si tratta di persone buone che devono essere messe alla prova, senza temere le conseguenze. Se gli affettati scandalizzati sono farisei ipocriti, non temiamo di usare le taglienti parole di Cristo: «lasciateli! Sono ciechi guide di ciechi!» (Mt 15,12). Se invece si tratta di innocenti impreparati, dobbiamo usare ogni cura per tranquillizzarle, se ci riusciamo, e spiegar loro il senso delle nostre parole. 

 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 26 luglio 2020



[1] Su questa linea è Rahner.

Testa di Cristo di Leonardo da Vinci - Immagine da internet



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