22 giugno, 2022

La concezione idealistica del soggetto umano - Prima Parte (1/4)

 La concezione idealistica 

del soggetto umano

Prima Parte (1/4)

                                                                    Dovrà avvenire l’apostasia

e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo,

                                                                                  il figlio della perdizione,

colui che si contrappone e s’innalza

                                                                                               fino a sedere nel tempio di Dio,

  additando se stesso come Dio.

II Ts 2, 3-4

L’impresa dell’idealismo 

Dai tempi del peccato originale l’uomo ha sempre aspirato ad autodivinizzarsi facendo a meno di Dio, attribuendo a sé ciò che appartiene a Dio o abbassando Dio al livello di un uomo o di un idolo fatto dall’uomo. Chiara testimonianza di ciò l’antichissima sapienza indiana per la quale l’uomo è un Dio che non sa di esserlo: lezione del sapiente, il guru, è quella di rendere il discepolo cosciente di ciò.

Un barlume di questa concezione del pensare e del vivere la si trova già in quelle che si possono considerare le antiche origini dell’idealismo, ossia nell’identificazione parmenidea del pensare con l’essere[1]. Che cosa è del resto l’idolatria tanto detestata dai profeti biblici se non la pretesa umana di costruire Dio con le proprie mani, così da vantarci di essere noi stessi a produrre il nostro dio?

Che cosa è il Dio degli gnostici del sec. III e idealisti dell’800 se non un’immaginazione spropositata della grandezza umana, parto della propria mente megalomane ed egocentrica? Chi è lo gnostico se non un idealista in nuce voglioso di dominare sui meschini ed ingenui realisti, che non vedono al di là del proprio naso e prendono per cose esterne quelle idee che sono il prodotto dell’Io trascendentale?

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È vero che l’idealismo può essere messo in qualche modo in rapporto con la dottrina platonica dell’Idea; ma questa non è, come pensano gli idealisti, un prodotto della mente umana fine a se stesso, quasi primo oggetto del sapere. Al contrario, l’Idea platonica preesiste ab aeterno alla mente umana finita e fallibile, è da essa indipendente e niente affatto oggetto primo ed ultimo del sapere, ma è realtà divina e trascendente, vero e pieno essere (to pantelòs on), modello e criterio di perfezione e guida dell’azione.

Per Platone la mente umana produce bensì immagini, imitazioni, simboli, partecipazioni e rappresentazioni (eidos, eikòn, mèthexis, mimesis) dell’Idea (Idea), ma puramente funzionali all’Idea e mezzi fallibili od opinabili per conoscerla. Noi parleremmo dei concetti. 

Invece l’idealista, a cominciare da Cartesio, prende l’idea nel senso di un ente mentale o intramentale originariamente (a priori) compresente all’intelletto, non ottenuto dall’intelletto col passare dalla potenza all’atto, non vera rappresentazione di una cosa esterna, ma come sedicente rappresentazione, della quale però non ci si deve fidare a priori e la cui veridicità dev’essere verificata e dimostrata dall’esame dei contenuti del cogito cartesiano.

Immagini da Internet

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