La sofistica di Emanuele Severino
In un articolo apparso su Il Corriere della Sera del 14 agosto 1980 dal titolo «Oltre la cenere» Emanuele Severino espose la sua famosa teoria secondo la quale quello che a noi appare un divenire, ossia il succedersi della generazione e della corruzione delle cose, sarebbe in realtà il loro apparire e lo scomparire. Severino presenta, per la verità, il divenire in modo tendenzioso, come venire dal nulla e andare nel nulla, così da avere buon gioco nel negarlo.
Ma il fatto è che Severino confonde il divenire, generazione e corruzione, con il comparire di ciò che c’è già ed è eterno, e con lo scomparire di ciò che continua ad esistere ed è eterno. Tutto è eterno, il contingente, il caduco, il corruttibile non esistono. La morte, quindi, non è un finire, un non esser più, ma è un semplice scomparire: la morte non appare più. Ma Severino non percepisce che la morte mette in gioco l’essere, che è un essere mutevole e contingente e non un semplice scomparire di un essere eterno e necessario.
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Il richiamo di Severino all’essere, all’unità, alla totalità, al principio di non-contraddizione, all’eterno, all’immutabile, al necessario è indubbiamente opportuno nell’attuale panorama infetto di evoluzionismo, relativismo, doppiogiochismo, storicismo,
ma il suo disprezzo altero per l’umiltà del divenire e del contingente, finisce per subire la vendetta di questi ultimi reclamanti i propri diritti conculcati col rischio che l’incorruttibile Robespierre della metafisica finisca a sua svolta sotto la ghigliottina di quel divenire e quella contraddizione, che ha voluto eliminare in modo assolutista e contradditorio.
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