Il mio
commento alla lettera di P. Golaski.
1. Il vetus ordo può effettivamente ispirare un senso del sacro e far comprendere la bellezza della spiritualità meglio del novus ordo. Ma questo ci mette meglio a nostro agio sotto il punto di vista umano e sociale del nostro incontro con Dio.
2. Nel confronto fra novus ordo e vetus ordo occorre tener presente che si tratta sostanzialmente della medesima Messa. La differenza di modalità del rito è solo una cosa accidentale. Occorre badare più al sostanziale che all'accidentale.
3. Occorre distinguere la lex orandi di diritto divino da quella di diritto ecclesiale. La prima regola per volontà divina la Messa come tale ed è inviolabile ed immodificabile. La seconda cade sotto la facoltà pontificia di regolare giuridicamente la modalità del rito della Messa. Papa Francesco non mette assolutamente in discussione la lex orandi nel primo senso, ma si avvale solo della sua facoltà di legiferare (la potestas clavium) circa l'osservanza della lex orandi che cade sotto il potere giurisdizionale del Papa.
4. Papa Francesco non intende assolutamente abolire la celebrazione secondo il vetus ordo - sarebbe come abolire la Messa -, ma solo dare nuove disposizioni circa la sua celebrazione.
5. Il Papa dichiara apertamente di aver adottato le restrizioni per "comporre lo scisma". Quale scisma? Quello di coloro che si sono serviti del Motu proprio di Benedetto XVI per opporsi al novus ordo, alle dottrine del Concilio Vaticano II e all'autorità dei Romani Pontefici da S. Giovanni XXIII a lui. E chi sono? Sono i filolefevriani e coloro che li appoggiano.
6. Il Papa ha piena facoltà di ordinare a tutti i cattolici di frequentare nei giorni festivi la Messa novus ordo, senza con ciò proibire, alle condizioni da lui poste, la celebrazione del vetus ordo.
7. Mi domando come farà il Padre Golaski ad appartenere alla FSSPX mantenendo gli obblighi canonici che gli vengono dalla sua appartenenza all'Ordine Domenicano. Una domanda simile me la pongo riguardo a Schillebeeckx: come ha potuto restare nell'Ordine Domenicano nonostante le sue eresie? La critica che si può fare al Papa è quella di essere stato troppo restrittivo riguardo alla celebrazione del vetus ordo e di non aver tenuto conto, riguardo agli estimatori del vetus ordo, della differenza fra cattolici e scismatici, ordinando ingiustamente ai cattolici le medesime restrizioni imposte agli scismatici. In ogni caso è bene che anche i cattolici, che simpatizzano per il VO, si adeguino alle disposizioni di Papa Francesco. P. Giovanni Cavalcoli Fontanellato, 14 novembre 2021 |
P. Golaski
Cfr.
http://blog.messainlatino.it/2021/11/p-goaski-santo-padre-perche-ha-fatto.html#more
Perfetto, non trovo altre parole: perfetto.
RispondiEliminaNon sono un teologo e avrò partecipato alla messa in latino giusto un paio di volte sotto i papi precedenti, ma mi permetto di ricordare che il latino è stata anche la Lingua dei letterati, dei filosofi e dei giuristi per quasi 2000 anni. Ed è stata anche la lingua degli studi scientifici, sino a Cartesio e poi a Newton e oltre... Ovvero la lingua della conoscenza e della logica, dunque lo strumento privilegiato di una comunicazione accurata e attendibile tra persone di differente provenienza. Lingua che non si presta alle manipolazioni. Credo profondamente che soprattutto questo pontificato (non poche volte fiera degli equivoci, delle ambiguità e delle imprecisioni) necessiti di una lingua così. E gioverebbe non solo parlare meglio in latino, ma anche pensare un poco di più in latino. Piuttosto che cancellarla dalla liturgia, Francesco la recuperi anche come occasione di linguaggio rigoroso, di cui particolarmente lui (a mio modesto parere) ha un grande bisogno. E da dove iniziare? Ma certo... consentendo il latino nella liturgia. Una volta Francesco disse che chi offendesse sua madre si meriterebbe un pugno... Ebbene, la lingua latina è nostra madre, la nostra sempre bellissima e ricca di fascino lingua madre. Non è di buon auspicio ricorrere al potere delle chiavi per chiudere fuori della porta di casa nostra madre. Di certo una chiesa più ignorante non sarà una chiesa migliore. Ed è quello che vediamo...
RispondiEliminaCaro Stefano,
Eliminanoi oggi, sia in campo culturale che in campo liturgico, siamo davanti ad una alternativa per quanto riguarda il latino. Da una parte siamo di fronte ad una lingua dalla ricchissima tradizione e dalla grande precisione semantica assicurata da secoli di storia della letteratura, della scienza, della teologia e del magistero della Chiesa, secondo quanto lei osserva molto giustamente.
Questo valore della lingua latina dal punto di vista liturgico fu consacrato dalla riforma tridentina con quel rito della Messa, che oggi chiamiamo VO. Dall’altra parte, oggi più che mai ci troviamo davanti all’esigenza di una liturgia che sia comprensibile anche dai fedeli più semplici e meno istruiti. A questa istanza è andata incontro la riforma del rito della Messa, il cosiddetto NO, operata nel 1970 da San Paolo VI.
Stando così le cose, sembrerebbe che ci trovassimo come alle strette tra due alternative ugualmente importanti, ma in contrasto tra di loro. Che cosa ci suggerisce la saggezza pastorale? La soluzione non è facile, perché si tratta di andare incontro a due esigenze opposte. Non c’è dubbio che dal punto di vista giuridico spetti in ultima analisi al Papa determinare la disciplina riguardante l’uso o del latino o della lingua volgare della Santa Messa.
In questi ultimi decenni abbiamo assistito ad una situazione agitata, insieme con diversi mutamenti nell’atteggiamento degli stessi Sommi Pontefici. Non scendo nei dettagli, che sono ben noti. In questo campo in linea di principio ci potrebbero essere varie soluzioni per il fatto che non si tratta di materia dottrinale, ma di materia disciplinare, che deve essere governata dalla virtù della prudenza.
Ora, i moralisti sanno benissimo quanto complessa sia questa virtù, quanto spesso incerte siano le sue decisioni e come è facile sbagliare, anche da parte delle somme autorità.
Per quanto riguarda il Sommo Pontefice, in forza dell’assistenza dello Spirito Santo fruisce di una autorità in materia liturgica tale per cui, salva restando la sua fallibilità umana, anche se un suo decreto appare meno prudente, è buona cosa per il cattolico adeguarsi in quanto non si tratta di materia morale, dove possa valere l’obiezione di coscienza, ma di materia semplicemente disciplinare, dove l’obbedienza può essere faticosa, ma non per questo diminuisce il merito dell’obbedienza.
La conclusione di tutto questo discorso, secondo me, è il dovere da parte di tutti i cattolici di rito romano di accogliere volentieri il Motu Proprio di papa Francesco, il quale, pur sottolineando il dovere di tutti di accettare il NO, non esclude alcune condizioni nelle quali è possibile la celebrazione del VO.