08 novembre, 2021

Molti i chiamati, pochi gli eletti - Seconda Parte (2/2)

  Molti i chiamati, pochi gli eletti

Seconda Parte (2/2)

Dio sorge dalla materia e diviene materia 

Ci sono poi i cristologi cosiddetti «kenotici», i quali, laddove San Paolo parlando di Cristo, di natura divina, dice che Cristo «ekònosen eautòn» (Fil 2,7), che la Vulgata traduce con exanivit semetipsum, traducono con uno «svuotò se stesso», come se la divinità si potesse svuotare come un vaso si svuota del suo contenuto. Ma ciò contraddice assolutamente ad una sana concezione della natura divina e invece si presta ad un’interpretazione hegeliana dell’Incarnazione.

Agli hegeliani infatti non è parso il vero utilizzare quell’espressione per dare apparenza di avallo biblico alla concezione hegeliana di Dio, il quale nega se stesso e si riafferma conciliando sè con se stesso. E come nega se stesso? Diventando uomo.

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Ci sono poi i cristologi cosiddetti «kenotici», i quali, laddove San Paolo parlando di Cristo, di natura divina, dice che Cristo «ekònosen eautòn» (Fil 2,7), che la Vulgata traduce con exanivit semetipsum, traducono con uno «svuotò se stesso», come se la divinità si potesse svuotare come un vaso si svuota del suo contenuto. Ma ciò contraddice assolutamente ad una sana concezione della natura divina e invece si presta ad un’interpretazione hegeliana dell’Incarnazione.

Ecco dunque che Paolo sembra offrire su di un piatto d’argento il concetto hegeliano dell’Incarnazione come autonegazione o autoalienazione di Dio nell’uomo, con conseguente negazione dell’uomo, come ritorno di Dio a se stesso in forma di autotrascendenza dell’uomo che diventa Dio.

Ma Tommaso già sei secoli prima di Hegel aveva previsto.Tommaso infatti con franchezza pone la domanda, alla quale risponde con la sua solita cristallina onestà intellettuale: «Forse che la divinità svuotò se stessa? No, perché rimase quello che era ed assunse quello che non era».

Se Dio vuol salvare tutti, come mai alcuni non si salvano? Su questo punto nella Scrittura sembra esserci una contraddizione, perché da una parte afferma che la volontà divina non può essere frustrata: «Quando Egli apre, nessuno chiude e quando chiude, nessuno apre» (Ap 3.7). E San Paolo: «Chi può resistere al suo volere?» (Rm 9,19), ma dall’altra sappiamo bene come il peccato è una disobbedienza alla volontà divina. Se essa si realizzasse sempre, il peccato non esisterebbe.

Se Dio muove, il mosso non può non muoversi, anche se è libero. Anzi è sommamente libero proprio nel momento in cui si muove perchè Dio è il creatore della libertà degli atti liberi.  Nel disobbedire, la volontà umana non respinge e non frustra una mozione divina, ma si oppone ad un semplice comando, che è un contenuto intenzionale percepito all’intelletto umano.

 

Le scelte divine e gli atti della predestinazione sono effetto di pura misericordia, perché non presuppongono alcun merito precedente. 

Invece la premiazione dei giusti e il castigo degli empi sono atti di giustizia perché presuppongono i rispettivi meriti al premio o al castigo.



Immagini da internet:
- Incarnazione del Figlio di Dio
- Conversione di Sant'Agostino di José Garcia Hidalgo, 1663
- Ravenna, Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, La parabola del regno di Dio e del giudizio finale

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