04 maggio, 2024

Il cogito di Cartesio e la rivoluzione copernicana di Kant - Alle origini del modernismo - Prima Parte (1/5)

 

Il cogito di Cartesio e la rivoluzione copernicana di Kant

Alle origini del modernismo

 Prima Parte (1/5)

 

 Che cosa il modernismo?

 Il termine «modernismo» fu usato per la prima volta nel Magistero della Chiesa da San Pio X nell’enciclica Pascendi del settembre 1907. Egli, per sua stessa dichiarazione, lo assunse dall’uso che già ne veniva fatto dagli stessi modernisti e lo fece proprio, tanto che il sottotitolo dell’enciclica è «circa le dottrine moderniste», per designare appunto i modernisti: «modernisti, con tal nome sono chiamati comunemente costoro e a ragione» (n.4).

Un gruppo degli stessi modernisti, nel novembre di quell’anno, pubblicò un «programma dei modernisti», designando se stesso con quel nome, tuttavia a titolo di vanto e non di biasimo, come invece lo usa il Papa, per difendersi dalle accuse del Papa, per sostenere di non esser stati capiti, ma, come osserva Padre Fabro, finirono per difendere i loro errori e confermare in  fin dei conti che sbagliavano.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-cogito-di-cartesio-e-la-rivoluzione.html


Quanto ai modernisti, l’istanza che la Chiesa assumesse quanto di buono era stato scoperto dalla filosofia moderna e dalle scienze umane, che riconoscesse quanto di valido si trovava nella teologia protestante, nonchè nelle culture, religioni e civiltà scoperte dalle attività missionarie ed esploratrici, la necessità di addolcire pratiche pastorali ed ascetiche troppo severe, tutto ciò era una giusta istanza, e bisogna dar atto che esisteva nei modernisti.

Ciò che faceva loro difetto era il possesso di criteri di giudizio e di valutazione basati su di una solida e integrale fede cattolica.

Come osserva giustamente il Gilson, o l’intelletto è realista immediatamente fin dall’inizio del conoscere o il realismo non lo si ottiene più. Nel cogito è possibile entrare partendo da fuori e allora si può uscire per cogliere il reale. Ma se si parte dal cogito dubitando del reale, il reale non lo si coglie più. Un ponte lo possiamo costruire se vediamo l’altra sponda. Solo allora potremo passare dall’una all’altra sponda, alternare la conoscenza (diretta) alla coscienza (riflessa). Ma se non la vediamo non possiamo costruire nessun ponte. Se invece vediamo e riconosciamo le cose fuori di noi, allora possiamo costruire il ponte fra loro e il nostro intelletto. Ma se l’intelletto sta per principio chiuso in se stesso, non può raggiungere la realtà esterna, perché non ha una direzione verso la quale muovere ed è tentato di credere che tutto l’essere si risolva nell’io.


Così bisogna dire francamente che il trascendentale tomista e quello kantiano non sono rispettivamente il trascendentale antico e quello moderno, come crede Maréchal, ma il primo è quello vero e il secondo è falso. Non si può fondare la metafisica sulla volontà, ma solo sull’intelletto. La volontà stia al suo posto preziosissimo, ma non pretenda di sostituirsi all’intelletto o di invadere il suo campo, se non vuol procurare la rovina di entrambi e con ciò stesso dell’uomo.

 
Immagini da Internet:
- Étienne Gilson
- Joseph Maréchal

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